Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 2021 n. 687

La rinegoziazione del contratto, ove conduca alla previsione di clausole differenti rispetto a quelle poste a base di gara, consiste in un vero e proprio affidamento a trattativa privata, in violazione della normativa sull’evidenza pubblica.

Di talché, una modifica delle condizioni essenziali del contratto, in assenza di una nuova procedura di evidenza pubblica, è idonea a determinare la stipulazione di un contratto radicalmente nullo.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
 
 
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 8174 del 2015, proposto dalla BI&S s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Ripetta, n. 142;
contro
il Comune di Castelnovetto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Saverio Bertone, con domicilio eletto presso lo studio del dottor Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione Prima, n. 1229 del 26 maggio 2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castelnovetto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2020, svoltasi con collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il Cons. Roberto Caponigro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO e DIRITTO
 
1. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione Prima, con la sentenza n. 1229 del 26 maggio 2015, ha respinto l’azione proposta dalla BI&S (di seguito anche la Società) nei confronti del Comune di Castelnovetto per il risarcimento dei danni subiti, avendo dedotto l’ingiustificata interruzione, da parte del Comune, delle trattative finalizzate alla stipula di accordi contrattuali, nonché ha respinto l’azione di annullamento della determinazione in data 4 luglio 2011, con cui il Comune di Castelnovetto ha disposto la revoca dell’affidamento in concessione del diritto di superficie su aree comunali per la progettazione, realizzazione e gestione di una rete di impianti fotovoltaici.
Di talché, la Società ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi di diritto:
Erroneità della sentenza di primo grado per violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 L. n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost., nonché conseguentemente degli artt. 1337, 1773 e 1775 cod. civ. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost. Difetto, contraddittorietà e perplessità della motivazione. Erronea e falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto.
Le trattative intercorse tra l’Amministrazione comunale e l’aggiudicataria costituiscono il presupposto giuridico nonché l’antecedente fattuale del successivo provvedimento di revoca dell’aggiudicazione definitiva.
La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione integra una responsabilità “da comportamento”, da vagliarsi alla luce del contegno dall’Amministrazione complessivamente tenuto durante il corso delle trattative e della formazione del contratto.
Dai ripetuti scambi di comunicazioni intercorse, sarebbe emerso come sia la B&I sia il Comune di Castelnovetto abbiano manifestato un reciproco consenso in ordine all’eventuale rimodulazione delle originarie condizioni fissate, rispettivamente, nell’offerta presentata dalla prima e nel bando emanato dal secondo, alla luce del mutato contesto normativo e fattuale.
Il quadro fattuale mostra che, già a partire dall’8 ottobre 2010, il Comune aveva contezza che, sia il termine del 31 dicembre 2010, che quello del 31 marzo 2011, non avrebbero potuto essere rispettati a causa di circostanze indipendenti dalla sfera di controllo propria e dell’aggiudicataria.
In ragione di tali presupposti, l’Amministrazione comunale ha presentato la domanda di autorizzazione unica, funzionale a consentire a BI&S di avviare la realizzazione degli impianti, solo in data 22 marzo 2011, spendendosi poi in favore della Società innanzi al GSE addirittura oltre il decorso della scadenza del 31 marzo.
Il surrettizio prolungamento delle trattative, attribuito dal Tar all’appellante, sarebbe frutto di un travisamento dei presupposti di fatto, che si è riflesso nell’erroneo inquadramento della res controversa anche dal punto di vista giuridico.
Il Comune avrebbe dapprima ingenerato un legittimo affidamento in capo alla controparte privata, salvo poi frustrarlo in assenza di una giusta causa e senza addurre alcuna motivazione.
Il revirement comunale, peraltro, sarebbe stato comunicato a mezzo della determina di revoca solo alla Provincia di Pavia e mai alla diretta destinataria del provvedimento.
Erroneità della sentenza di primo grado per violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, del d.m. 10 settembre 2010 e della d.G.R. 25 novembre 2009, n. 8/10622, vigente all’epoca dei fatti di causa. Omessa ed erronea motivazione su un punto decisivo della controversia. Erronea rappresentazione delle questioni di fatto e di diritto. Contraddittorietà, illogicità e perplessità della motivazione.
La revoca dell’aggiudicazione sarebbe fondata sull’unico presupposto per cui la Società avrebbe disatteso l’impegno, dichiarato in sede di offerta, di concludere i lavori di realizzazione degli impianti fotovoltaici entro il 31 dicembre 2010.
Il requisito della disponibilità delle aree costituirebbe un indefettibile presupposto, in assenza del quale non sussisterebbe la legittimazione a richiedere l’avvio del procedimento di autorizzazione unica, per cui, non avendo mai avuto luogo la stipulazione degli accordi previsti dal bando e, in particolare la concessione di suolo pubblico in favore della Società, la BI&S non avrebbe avuto modo di instaurare autonomamente il procedimento autorizzativo.
Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41, 97 Cost., violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 77 e 79 d.lgs. n. 163 del 2006; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7, 8, 10, 10 bis, 21 quater e 21 quinquies della legge n. 241 del 1990. Violazione degli artt. 7, 8, 10 bis l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per mancata comunicazione del provvedimento e, in ogni caso, mancata comunicazione di avvio del procedimento; eccesso di potere per violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio, contraddittorietà, ingiustizia manifesta.
Il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per l’affidamento del diritto di superficie sarebbe illegittimo poiché assunto in assenza delle prescritte e fondamentali regole procedurali e di forma.
Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41, 97 Cost., violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 21 quinquies della legge n. 241 del 1990. Violazione degli artt. 7, 8, 10 bis l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento, illegittimità, irragionevolezza e contraddittorietà, ingiustizia manifesta. Violazione del principio dell’affidamento.
L’atto di revoca sarebbe privo dei requisiti di ordine sostanziale, in presenza dei quali l’art. 21 quinquies giustifica il ritiro del provvedimento favorevole originario.
In ogni caso, non si sarebbe verificato alcun colpevole inadempimento addebitabile all’appellante.
L’appellante ha altresì dedotto l’erroneità della sentenza gravata per l’omessa pronuncia in ordine alle richieste risarcitorie formulate, che ha riproposto nella presente sede di appello, e, in subordine, ha dedotto il mancato riconoscimento di un giusto indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.
Il Comune di Castelnovetto, in rito, ha eccepito la tardività sia dell’azione risarcitoria “autonoma” sia dell’azione di annullamento del provvedimento di revoca, proposta in primo grado con i motivi aggiunti.
Nel merito, l’Amministrazione comunale ha analiticamente contestato le argomentazioni svolte dalla parte appellante, concludendo per il rigetto del gravame.
Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive ragioni.
L’appellante, nella propria memoria ha anche eccepito l’inammissibilità, in quanto presentata fuori termine, della memoria depositata dal Comune in data 18 febbraio 2020, ma il differimento dell’udienza pubblica elide in radice la questione che, comunque, non assume rilievo ai fini della decisione della controversia.
All’udienza pubblica del 10 dicembre 2020, svoltasi in collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto e ciò esime il Collegio dall’esame delle eccezioni di tardività formulate dall’Amministrazione comunale.
2.1. Il Comune di Castelnovetto, con bando del 20 luglio 2010, ha indetto una procedura di selezione per l’affidamento in concessione del diritto di superficie su aree, di proprietà del detto Comune, per la progettazione, realizzazione e gestione di un impianto fotovoltaico, da aggiudicare con l’offerta economica più vantaggiosa si sensi dell’art. 83 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Il Comune, infatti, si è proposto di realizzare, sulle aree individuate, un impianto fotovoltaico per produrre energia elettrica da immettere nella rete elettrica nazionale secondo le disposizioni del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 19 febbraio 2007 e delle delibere attuative emanate dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas e, a tal fine, ha inteso individuare un soggetto (il concessionario) per realizzare un impianto fotovoltaico in grado di generare – in una modalità ecocompatibile e rinnovabile – almeno in parte, una quantità di energia elettrica rapportata alla superficie del terreno in oggetto.
Il valore della concessione a base d’asta, ai fini della procedura di gara, è stato fissato in euro 50.000,00.
L’art. 4 del bando ha previsto che la busta contenente l’offerta economica, tra l’altro, avrebbe dovuto contenere:
- l’impegno dell’impresa a sostenere interamente i costi e le spese necessari per la realizzazione e la manutenzione per un periodo di 27 anni degli impianti fotovoltaici da installare sulle diverse aree dell’Ente, senza alcun onere finanziario per l’Ente;
- l’impegno dell’impresa a farsi carico di tutti i costi necessari per le coperture assicurative ad impianti ed opere di proprietà dell’Amministrazione stessa derivanti dall’utilizzo dell’area concessa;
- l’impegno dell’impresa a farsi carico di tutti i costi necessari per la gestione delle pratiche di ammissione del Comune alle tariffe incentivanti del GSE e di vendita al gestore della rete dell’energia prodotta;
- l’impegno dell’impresa a prestare le garanzie previste al successivo paragrafo “oneri ed obblighi”;
- l’impegno dell’impresa a farsi carico di tutti i costi necessari per la realizzazione di eventuali coperture o interventi sui tetti degli edifici.
L’art. 13 della lexspecialis, poi, ha previsto che il concessionario avrebbe dovuto presentare un progetto definitivo/esecutivo entro trenta giorni dalla data di ricezione della comunicazione di aggiudicazione definitiva.
L’art. 14, ultima parte, ha disposto che, ove il termine fissato dal Comune per la stipula degli accordi contrattuali a seguito della presentazione definitivo/esecutivo non venisse rispettato, il Comune potrebbe unilateralmente dichiarare, senza bisogno di messa in mora, la decadenza dell’aggiudicazione del concessionario.
L’art. 15, secondo periodo, ha poi stabilito che il termine per ultimare i lavori e le installazioni dell’impianto fotovoltaico di cui al progetto definitivo-esecutivo è fissata al 31 marzo 2011 e che la gestione dei servizi di manutenzione degli impianti dovrà essere assicurata per l’intero periodo della concessione.
Il successivo art. 18 ha altresì posto al carico del concessionario gli obblighi relativi al procedimento per ottenere le autorizzazioni per la costruzione e gestione deli impianti secondo quanto previsto dalla D.G.R. 25 novembre 2009, n. 8/10622, con la previsione dell’allacciamento degli impianti fotovoltaici entro il 31 marzo 2011.
2.2. La BI&S ha dichiarato nella propria offerta economica che “la presente offerta tecnico economica si intende condizionata in vista dell’attuale incerta situazione di mercato. Ad oggi, infatti, non sono pienamente noti il contenuto del conto energia 2011 e pertanto la nostra società può assumere impegni solo nell’ipotesi di completamento dei lavori entro il 31.12.2010 ed allacciamento e collaudo dell’impianto entro il 31.12.2010. Le condizioni di validità della presente offerta sono … l’ottenimento di tutte le autorizzazioni di legge per la realizzazione dell’impianto entro il 15.10.2010 e stipula del diritto di superficie con clausola sospensiva entro e non oltre il 15.09.2010”.
Le condizioni contenute, peraltro indebitamente, nell’offerta economica dell’appellante non si sono avverate.
2.3. L’Amministrazione comunale, con determina n. 48 del 20 agosto 2010, ha affidato in modo definitivo alla BI&S l’appalto per la concessione del diritto di superficie su aree nel Comune di Castelnovetto per la progettazione, realizzazione e gestione di una rete di impianti fotovoltaici, alle condizioni dell’offerta economica presentate dall’impresa ed alle modificazioni successivamente intervenute.
Con la successiva determina n. 67 del 4 luglio 2011, il Comune di Castelnovetto - considerato che la BI&S nella busta C “offerta economica” presentata a suo tempo dichiarava che il completamento dei lavori in questione doveva avvenire entro il 31 dicembre 2010, attesa la documentazione e i permessi necessari per la realizzazione dello stesso e considerato che la documentazione necessaria non è stata prodotta nei termini stabiliti dal bando di gara – ha revocato la determina n. 48 del 20 agosto 2010, con cui si affidava in modo definitivo alla BI&S l’appalto per la concessione del diritto di superficie in discorso.
2.4. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso proposto dalla Società con la seguente motivazione:
“Ciò posto, emerge ex actis che la ricorrente, nonostante l’urgenza rappresentata nella propria offerta economica, e a dispetto degli impegni presi, non ha chiesto alla Provincia il rilascio della necessaria autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, allegando che il titolo in questione sarebbe dovuto essere richiesto dal Comune.
Tale assunto, tuttavia, non trova riscontro nella disposizione di cui al citato art. 12 del d.lgs. n. 387/2003; l’adempimento in questione, quindi, conformemente alle previsioni della lexspecialis e alle condizioni dell’offerta economica, ricadeva pacificamente in capo all’interessata.
Sotto questo profilo nessun rilievo può attribuirsi, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, alla circostanza che, nell’inerzia di quest’ultima, l’autorizzazione unica sia stata richiesta alla Provincia dal Comune il 22.3.2011.
In tale contesto il mancato rispetto del termine previsto per il completamento dei lavori - non solo di quello previsto nell’offerta economica, ma anche di quello indicato nel bando - non può essere imputato ad alcuna inadempienza o negligenza da parte del Comune, dovendo invece ascriversi esclusivamente alla condotta dilatoria posta in essere dalla ricorrente.
In quest’ottica si giustifica il provvedimento con il quale il Comune ha revocato l’affidamento della concessione in precedenza disposto in favore dell’interessata sul fondato rilievo che quest’ultima non aveva prodotto nei termini stabiliti dal bando di gara la documentazione necessaria né aveva rispettato il termine del 31.12.2010 individuato per il completamento dei lavori.
Peraltro, la documentazione prodotta in giudizio dimostra che il prolungamento delle trattative è scaturito non già da atteggiamenti del Comune suscettibili di consolidare l’affidamento della ricorrente, bensì dai tentativi di quest’ultima di apportare al contratto modifiche che, tuttavia, non sono mai state accettate dal Comune perché ritenute non convenienti o contrarie a norme imperative; nel quadro così delineato, l’interruzione delle trattative da parte del Comune (v. comunicazione in data 23.6.2011, all. 18 della produzione di parte ricorrente) non può ritenersi ingiustificata”.
2.5. Il themadecidendum della presente controversia è costituito dall’accertamento dell’eventuale responsabilità precontrattuale del Comune di Castelnovetto per l’affidamento ingenerato in capo alla Società appellante in ordine alla conclusione del contratto in ragione delle trattative che si sono sviluppate anche dopo la conclusione del termine per adempiere.
In particolare, a sostegno delle proprie pretese, l’appellante ha richiamato le seguenti circostanze:
- la comunicazione dell’8 ottobre 2010, dalla quale emergerebbe il consenso del Comune alla prosecuzione delle trattative, anche a seguito della comunicazione con cui la Società informava di avere appreso da parte della Provincia di Pavia, quale ente competente al rilascio dell’autorizzazione unica ex d.lgs. n. 387 del 2003, l’impossibilità per tale Amministrazione di addivenire al rilascio del titolo abilitativo entro i termini auspicati e, in ogni caso, prima del mese di febbraio 2011;
- l’e-mail del 26 ottobre 2010, di riepilogo dei contenuti trattati e dei risultati raggiunti nell’ambito dell’incontro del 20 ottobre 2010, nel corso del quale le parti sarebbero addivenute ad alcuni importanti e condivisi punti dello stipulando contratto, impegnandosi inoltre a perfezionare e a sottoscrivere lo stesso entro fine ottobre del 2010;
- i quesiti che, nel dicembre 2010, il Comune di Castelnovetto e BI&S (insieme con l’Amministrazione comunale di Confienza) congiuntamente sottoponevano al Gestore Servizi Energetici in ordine ad alcuni aspetti attinenti al regime incentivante spettante ai futuri impianti;
- l’istanza di avvio del procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, presentata dal Comune alla competente Provincia in data 22 marzo 2011;
- l’autonoma e volontaria presa di posizione in difesa dell’offerta di BI&S, assunta dal Comune nei confronti del GSE, al fine di sostenere la applicabilità ai realizzandi impianti del regime incentivante anteriore al terzo conto energia, dedotta ben oltre il termine di ultimazione dei lavori fissato dal bando, con comunicazione del 20 maggio 2011.
2.6. Le doglianze proposte con l’atto di appello, sia pure ampiamente argomentate, non possono essere condivise, sicché l’appello va respinto e la sentenza impugnata, sia pure con una motivazione parzialmente diversa, deve essere confermata.
Le trattative sono intercorse, su iniziativa della Società, senza mai pervenire ad un accordo tra le parti, sulla base di modifiche alla bozza del testo contrattuale base, con inserimento di previsioni non contenute nel bando di concorso e nell’offerta economica.
Di talché, un eventuale accordo si sarebbe inevitabilmente tradotto in una rinegoziazione delle condizioni a cui il contratto avrebbe dovuto essere stipulato sulla base del contenuto della lexspecialis della gara.
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la rinegoziazione del contratto, ove conduca alla previsione di clausole differenti rispetto a quelle poste a base di gara, consistere in un vero e proprio affidamento a trattativa privata, in elusione (rectius: violazione) della normativa sull’evidenza pubblica.
In particolare, la rinegoziazione del contratto, ove determini condizioni significativamente diverse da quelle originarie, deve considerarsi alla stregua di una vera e propria trattativa privata in spregio dei principi di libera concorrenza imposti dalle regole dell’evidenza pubblica e fuori dai casi eccezionalmente e tassativamente previsti dalla legge (cfr Cons. Stato, V, 19 febbraio 2018, n. 1036).
Di talché, una modifica delle condizioni essenziali del contratto, in assenza di una nuova procedura di evidenza pubblica, è idonea a determinare la stipulazione di un contratto radicalmente nullo.
La Corte di Giustizia UE, VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, ha ancora chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.
Ciò avviene, quando le modifiche previste hanno l’effetto:
a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti;
b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario;
c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi».
Pertanto, non è consentito nell’ordinamento eurounitario alterare, in favore dell’aggiudicatario, l’equilibrio economico contrattuale, atteso che se tali condizioni di maggior favore fossero state previste nella lexspecialis di gara, un maggior numero di operatori economici avrebbero potuto essere incentivati a presentate altre e più convenienti offerte.
In altri termini, può ritenersi che il “bene della vita” in concreto perseguito dalla appellante consiste nell’ottenere la concessione a condizioni di maggior favore rispetto a quelle stabilite dalla disciplina di gara.
Tuttavia, tale interesse si pone in contrasto con la disciplina dell’evidenza pubblica, volta al miglior utilizzo possibile del danaro e degli altri beni della collettività e alla tutela della libertà di concorrenza tra le imprese (cfr. Cons. Stato, IV, 23 febbraio 2018, n. 1441).
Nel caso di specie, pertanto, l’eventuale conclusione del contratto non sarebbe stato uno sviluppo naturale del provvedimento di aggiudicazione, ma un illecito affidamento diretto, a condizioni di maggior favore non contemplate dal bando né dall’offerta economica presentata in gara dall’aggiudicataria.
La logica conseguenza di tale considerazione è che nessuna legittima aspettativa alla conclusione del contratto poteva nutrire la Società, in quanto l’aspettativa alla stipulazione di un contratto contra ius è ontologicamente illegittima, per cui la posizione dedotta non è meritevole di tutela e l’eventuale danno non è ingiusto.
Di contro, del tutto legittimamente (rectius: doverosamente), l’Amministrazione appellata ha scelto di non proseguire le trattative endoprocedimentali con un soggetto non più legittimato a divenire concessionario in esito alla gara espletata.
In sostanza, la causa del legittimo affidamento non può rinvenirsi nella circostanza che il Comune di Castelnovetto ha proseguito, prima di procedere alla revoca, le trattative con la Società, atteso che tale azione, che comunque mai si è tradotta nel perfezionamento di accordi, non implica che la stessa abbia generato o potuto generare un affidamento meritevole di tutela in ordine alla stipulazione di un contratto destinato a concretare un affidamento diretto, ben potendo, ed anzi dovendo, l’Amministrazione esercitare senza indugio la sua funzione nell’interesse della collettività ed addivenire alla revoca (rectius: decadenza) dell’affidamento.
Pertanto, va escluso che il comportamento del Comune, che pure si è fatto coinvolgere indebitamente nelle trattative, sia stato irragionevole e non conforme al canone della buona fede nel momento in cui ha posto fine alle trattative ed ha adottato il provvedimento di revoca.
2.7. L’impugnazione della revoca, a prescindere dalla sua eventuale tardività, è anch’essa infondata.
Il provvedimento è stato adottato in ragione dell’inadempimento dell’impresa affidataria che avrebbe dovuto completare i lavori entro il 31 dicembre 2010,
Ne consegue che la determina deve essere correttamente qualificata come decadenza, è basata su ragioni oggettive - vale a dire l’inadempimento dell’aggiudicataria, che non ha completato i lavori né nel termine indicato nell’offerta (31 dicembre 2010), né nel termine indicato nel bando (31 marzo 2011), rispetto ai quali termini, in quanto volontariamente accettati, risulta indifferente se la Società avesse o meno titolo ad avviare il procedimento di autorizzazione unica - e tali da giustificarne l’adozione, sicché non attribuisce alcun diritto all’indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990.
L’analisi delle ragioni che ispirano il provvedimento, infatti, dimostra come esso non costituisca espressione di un riesame delle ragioni di opportunità sottese all’adozione del provvedimento di affidamento della concessione in funzione della cura ottimale dell’interesse pubblico e, quindi, come fuoriesca dalla fattispecie disegnata dall’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, per avere, piuttosto, natura di reazione sanzionatoria decadenziale al rilevato inadempimento della parte.
Non trattandosi, perciò, dell’esercizio del potere di revoca in senso proprio, non sussiste alcun titolo all’indennizzo.
3. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’appellante ed a favore del Comune di Castelnovetto.
 
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe (R.G. n. 8174 del 2015).
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di Castelnovetto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2020, svoltasi in collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020.
 
 
 
 

GUIDA ALLA LETTURA
Con la pronuncia in commento, la IV Sezione del Consiglio di Stato di sofferma sulla questione relativa alla nullità del contratto rinegoziato con clausole differenti rispetto a quelle poste a base di gara.
A tal proposito, il collegio si interroga sulla legittimità, o meno, di possibili trattative tra la stazione appaltante e l’impresa che partecipa alla procedura di affidamento.
In particolare, il punto focale dell’analisi attiene alla possibilità di inserire previsioni contrattuali non contenute nel bando di gara, o nell’offerta economica, attraverso una rinegoziazione delle condizioni a cui il contratto avrebbe dovuto essere stipulato sulla base del contenuto della lex specialis di gara.
Il focus d’indagine si pone dunque, inevitabilmente, sul rispetto dei principi fondamentali in tema di evidenza pubblica.
Ed infatti, è stato a più riprese rilevato come il consentire la rinegoziazione delle condizioni contrattuali produrrebbe l’illegittimo sacrificio del principio di libera concorrenza così come riconosciuto sia dalla giurisprudenza nazionale che da quella comunitaria.
A tal proposito, occorre rilevare come il giudice nazionale (cfr Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2018, n. 1036) ha già avuto modo di chiarire come la rinegoziazione del contratto, ove conduca alla previsione di clausole differenti rispetto a quelle poste a base di gara, consista in un vero e proprio affidamento a trattativa privata, in elusione (rectius: violazione) della normativa sull’evidenza pubblica, evidenziando come la rinegoziazione del contratto, ove determini condizioni significativamente diverse da quelle originarie, deve considerarsi alla stregua di una vera e propria trattativa privata in spregio dei principi di libera concorrenza imposti dalle regole dell’evidenza pubblica e fuori dai casi eccezionalmente e tassativamente previsti dalla legge.
A tali considerazioni si è giunti attraverso l’analisi del dettato normativo di riferimento - cfr. art. 57 del d.lgs. n. 163/2006 ed ora, in attuazione della dir. 24/2914/UE, l’art. 63 d. lgs. n. 50/2016 - nonché della regolamentazione ANAC n. 8 recante le linee guida sulle procedure negoziate senza previa pubblicazione di bando in caso di forniture e servizi ritenuti infungibili.
È evidente dalla loro analisi, che il ricorso a procedure negoziate senza bando, alla stregua di una contrattazione tra privati, debbano essere considerate del tutto eccezionali e dal carattere strettamente derogatorio rispetto alla procedura standard di affidamento.
Di talché, è stato evidenziato come una modifica delle condizioni essenziali del contratto, in assenza di una nuova procedura di evidenza pubblica, è idonea a determinare la stipulazione di un contratto radicalmente nullo.
A tali considerazioni giunge anche la giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza  7 settembre 2016, in C. 549-14) la quale ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.
Ciò avviene, quando le modifiche previste hanno l’effetto:
a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti;
b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario;
c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi.
Alla luce della giurisprudenza comunitaria, l’alterazione dell’equilibrio concorrenziale assume rilevanza così intensa da produrre la radicale nullità del contratto atteso che, se tali condizioni di maggior favore fossero state previste nella lex specialis di gara, un maggior numero di operatori economici avrebbero potuto essere incentivati a presentate altre e più convenienti offerte nell’ottica di voler assicurare il miglior utilizzo possibile del danaro e degli altri beni della collettività e alla tutela della libertà di concorrenza tra le imprese.