Cons. Stato, sez. V, 30 dicembre 2020, n. 8510

Il seggio di gara è un organo straordinario e temporaneo, funzionale alle operazioni di gara e le cui competenze si consumano nel giungere all’aggiudicazione. Appare estraneo al normale funzionamento di un siffatto organo che dopo ben sette mesi dall’esaurimento dei propri poteri la commissione venga riconvocata ad hoc per rimeditare e controvertere quelle che erano state le proprie determinazioni.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 8394 del 2019, proposto da

Comune di Soverato in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Oreste Morcavallo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Arno, 6;

contro

Azienda Agricola Loprieno Antonio, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Cioffi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. 1453/2019, resa tra le parti, concernente la revoca della locazione di unità immobiliare di proprietà comunale;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’appello incidentale proposto dall’Azienda Agricola Loprieno Antonio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2020, tenutasi da remoto secondo quanto stabilito dall'art. 25, comma 1, del d.-l. 18 ottobre 2020, n. 137, il Cons. Raffaele Prosperi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La “Azienda agricola Loprieno Antonio” impugnava il provvedimento prot. n. 58 emesso dal Comune di Soverato il 17 febbraio 2017, con cui l’ente aveva disposto la revoca dell’aggiudicazione definitiva della gara per l’assegnazione in locazione di un’unità immobiliare di sua proprietà e di tutti gli atti connessi, poiché sul conto corrente di tesoreria del Comune non sarebbe risultato alcun accredito del deposito cauzionale da parte dell’impresa ricorrente, nonostante questa avesse presentato in sede di gara, un “certificato di avvenuto bonifico per l’importo di € 1.251,45 datato 29 febbraio 2016.

La ricorrente lamentava dinanzi al Tribunale amministrativo per la Calabria l’illegittimità del provvedimento di autotutela per violazione dei principi che informano l’azione amministrativa e l’esercizio dei poteri di autotutela, per violazione della lex specialis di gara e dell’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, nonché per difetto di competenza della commissione di gara.

Il Comune di Soverato aveva chiesto il rigetto del ricorso.

Con la sentenza 19 luglio 2019, n. 1453, il giudice adito riteneva infondate le censure sulla tassatività delle cause di esclusione e sul vizio di incompetenza, essendosi trattato di un provvedimento di autotutela e non di esclusione da una gara; dall’altro poiché rientrava nei poteri della commissione di gara di riesaminare, nell’esercizio dell’autotutela, il procedimento già espletato, per emendarlo da illegittimità.

Per il giudice era invece fondato il primo motivo di ricorso nella parte in cui censurava la violazione dei principi sull’azione amministrativa e la mancata ponderazione degli interessi coinvolti nel procedimento da parte dell’Amministrazione: qualificata come annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 l’impugnata “revoca” era stata disposta sulla base del rinvio all’art. 6 del disciplinare di gara, ai sensi del quale “per partecipare alla gare i concorrenti dovranno costituire un deposito cauzionale a garanzia dell’offerta pari al 25% del canone annuo a base d’asta”, e al contrario si era riscontrato il mancato versamento di tale deposito da parte dell’interessata.

La sentenza riteneva viziato tale autoannullamento: da un lato perché assunto in violazione delle regole sul contraddittorio visto il mancato richiamo alla mendacità del documento concernente il deposito cauzionale non citato nella comunicazione di avvio del procedimento di revoca; dall’altro, la mendacità del documento sull’avvenuto deposito non era affatto dimostrata ed appariva piuttosto una disposizione di pagamento incompleta e inefficace, peraltro in illegittima omissione del soccorso istruttorio.

Inoltre l’atto di autotutela non dava conto dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’aggiudicazione, intervenuta a distanza di sei mesi - con contratto di locazione ormai in essere - e della ponderazione della posizione del destinatario, che non aveva avuto modo di contestare la pretesa mendacità del documento.

Per tali ragioni il Tribunale amministrativo annullava il provvedimento impugnato, fatta salva l’ulteriore attività che l’Amministrazione avrebbe ritenuto di porre in essere.

La sentenza invece respingeva la domanda risarcitoria della ricorrente, articolata su una generica richiesta di “un adeguato risarcimento per tutti i danni patrimoniali dovuti a causa dell’illegittima chiusura dell’esercizio commerciale”, nonché il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, senza dare conto delle conseguenze pregiudizievoli derivate dalla condotta dell’Amministrazione, in specie quanto ai lavori di riqualificazione dell’area e di ristrutturazione dell’unità immobiliare di proprietà del Comune, risultanti da una lunga elencazione di fatture allegate prive però di indicazioni specifiche tanto da non essere con certezza riconducibili ai lavori in questione; quanto poi ai danni patrimoniali derivanti dalla illegittima chiusura dell’esercizio commerciale, era corretto l’assunto difensivo del Comune per il quale l’attività di somministrazione di alimenti e bevande – di cui alla proposta progettuale presentata dalla azienda nel corso della procedura – non fosse stata regolarmente avviata.

Con appello in Consiglio di Stato notificato il 15 ottobre 2019, il Comune di Soverato impugnava la sentenza e ne deduceva in via preliminare la contraddittorietà: da un lato assumeva il mancato versamento in parola e dall’altro rilevava la mancata attivazione del soccorso istruttorio nella mancata regolare costituzione del deposito cauzionale, senza considerare che l’aggiudicataria aveva avviato un’attività abusiva di somministrazione di alimenti e bevande senza pagare canoni e senza occuparsi della manutenzione dell’immobile; in secondo luogo, pur ritenendo che la questione non concerneva l’esclusione da una gara, la sentenza aveva rilevato la mancata attivazione del soccorso istruttorio tipicamente connesso a situazioni di esclusione, ricadendo la vicenda in un passaggio vincolante – il deposito cauzionale – del tutto omesso e non già in una semplice irregolarità; in terzo luogo non si comprendeva ove il Comune avesse disapplicato le prerogative procedimentali dell’interessata senza contestare la mendacità del bonifico quando la comunicazione di avvio ne aveva comunque evidenziato l’assenza e la stessa interessata aveva sùbito proceduto al bonifico; ancora, gli interessi coinvolti erano stati presi in considerazione, viste le violazione sistematiche degli obblighi da parte della ricorrente.

L’Azienda agricola Loprieno Antonio si costituiva con appello incidentale notificato il 25 novembre 2019: contestava le tesi del Comune e deduceva i seguenti motivi:

1.La commissione di gara aveva esaurito i compiti con l’aggiudicazione e non era competente ad adottare il provvedimento di secondo grado che ha dato luogo alla controversia.

2.L’Azienda agricola contestava il rigetto della domanda risarcitoria e dava conto di tutti gli atti adottati dal Comune nei suoi confronti anteriormente alla sentenza di primo grado al fine di costringerla all’abbandono del compendio al tempo aggiudicato e concludeva per il rigetto dell’appello principale e per la condanna del Comune al pagamento di un massimo di €. 40.000,00 per i danni patrimoniali oltre a quelli non patrimoniali consistenti nel danno all’immagine ed alla reputazione dell’Azienda.

All’udienza del 10 dicembre 2020 tenutasi da remoto, la causa è passata in decisione.

La ricostruzione della vicenda passa attraverso gli atipici atti del procedimento che hanno condotto alla revoca, o meglio all’annullamento d’ufficio dell’affidamento del bene immobile comunale.

IL 17 febbraio 2017 il seggio di gara ha tenuto una seduta riservata sulla documentazione prodotta dall'azienda Agricola Antonio Loprieno in sede di gara, dove sono stati richiamati il verbale di gara per la verifica dell’offerta, la sola pervenuta, la determinazione di affidamento del 27 giugno 2016 del bene all’Azienda Loprieno insieme ai passaggi successivi ed alla comunicazione di avvio del procedimento finalizzato al provvedimento di secondo grado poi adottato.

Il seggo di gara approvava nella medesima data il verbale di gara n. 2 e revocava la locazione dell’unità immobiliare di proprietà comunale per la quale era stata individuata l’attuale appellata quale locataria con atto n. 193 del 27 giugno 2016 in esito al verbale di gara, e stipulato il relativo contratto il successivo 29 luglio.

Il 17 febbraio 2017 veniva riconvocata la commissione di gara in seduta riservata straordinaria: ivi si prendeva atto che in sede di gara la ditta affidataria aveva prodotto un certificato di avvenuto bonifico sul conto corrente della tesoreria del Comune datato 29 febbraio 2016 per un importo di €. 1.251,45: ma in realtà non risultava pervenuto alcun pagamento/bonifico, come attestato dal Responsabile del Settore economico finanziario con nota n. 1209 del 2 febbraio 2017 e dalla Banca BCC con nota 7212017.

Veniva perciò avviato un procedimento finalizzato alla revoca dell'affidamento de quo, poi pronunciato con nota n. 1226 del 3 febbraio 2017. Alla luce di quanto accaduto, la commissione di gara, in seduta straordinaria e riservata, riteneva che il documento prodotto dall’Azienda Antonio Loprieno fosse mendace, e quindi privo di validità di deposito cauzionale provvisorio, o fideiussione bancaria o assicurativa, come previsto dal bando. Per conseguenza la stessa ditta non poteva essere ammessa alle fasi di gara successive ed a maggior ragione proclamata aggiudicataria.

Per quanto detto la commissione di gara dichiara non veritiera l'offerta prodotta dall'Azienda Agricola Antonio Loprieno per cui ne conseguiva l’”eliminazione” con decadenza dell'assegnazione; il verbale di seduta veniva approvato dal Responsabile di settore/presidente della commissione di gara con separato provvedimento.

Tali atti conducono, visto in particolare il loro contenuto, a confermare la sentenza di primo grado, data la patente violazione delle regole sull’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi.

L’affidamento della proprietà comunale è avvenuto definitivamente con determinazione n. 193 del 27 giugno 2016 e un mese dopo, il 29 luglio 2016, è stato firmato il contratto di locazione per cinque anni. L’autoannullamento è stato pronunciato il 17 febbraio 2017, quindi quasi otto mesi dopo l’aggiudicazione e quasi sette mesi dopo la stipulazione nel seguente contratto di locazione e il tutto è stato determinato per vizi attinenti al deposito a garanzia dell’offerta, passaggio che dovrebbe garantire la stazione appaltante sulla regolare conclusione del procedimento, sia dal punto di vista pubblicistico, sia per quanto riguarda gli effetti contrattuali: scansioni finali queste che sono state rispettate.

E’ quindi pressoché impossibile rilevare le ragioni di interesse pubblico poste dalla amministrazione a base del suo provvedimento di così grave effetto, soprattutto ove le fasi che dovevano essere garantite dal deposito erano state adempiute senza incidenti e dopo che alla gara aveva partecipato un solo concorrente, l’affidataria Azienda Loprieno; e la difficoltà oggettiva e di carattere formale: invero, contro qualsiasi principio sulla stabilità e sicurezza dei rapporti, l’annullamento d’ufficio in questione non reca motivazione alcuna circa l’interesse pubblico concreto ed attuale giustificante una simile e seria determinazione.

Certamente tali non possono essere considerati gli elementi svolti dal Comune di Soverato solo in sede giudiziale, dove si è dibattuto del comportamento scorretto e inadempiente dell’Azienda Loprieno quale conduttore del fondo affidato: tali argomenti postumi non rilevano ai fini della valutazione di legittimità del provvedimento impugnato, il quale di suo deve dar conto delle ragioni che vi presiedono.

L’Amministrazione aveva invero omesso la debita valutazione e ponderazione degli interessi in gioco, pretermettendo la posizione della ricorrente aggiudicataria e contraente, in particolare le osservazioni da questa presentate in sede procedimentale circa la mancanza di responsabilità e la volontà di omettere la costituzione del deposito provvisorio, poi comunque regolarizzato; e non aveva apprezzato la circostanza, sottolineata dalla difesa dell’azienda ricorrente, che questa era risultata la sola partecipante alla gara, sicché nemmeno si poneva un problema di par condicio competitorum, né di tutela di controinteressati, oltre a quanto ora affermato sulla totale obliterazione dei principi in materia di ritiro degli atti amministrativi.

Quanto all’appello incidentale, occorre rilevare la fondatezza del primo motivo, ossia l’incompetenza della commissione di gara.

Il seggio di gara è un organo straordinario e temporaneo, funzionale alle operazioni di gara e le cui competenze si consumano nel giungere all’aggiudicazione. Appare estraneo al normale funzionamento di un siffatto organo che dopo ben sette mesi dall’esaurimento dei propri poteri la commissione venga riconvocata ad hoc per rimeditare e controvertere quelle che erano state le proprie determinazioni: a tutto concedere, un siffatto provvedimento spettava all’amministrazione attiva ed ordinaria, ove l’operato della commissione fosse stato da censurare per ragioni estrinseche; né l’intervento ultimo del responsabile di settore può utilmente offrire una diversa interpretazione alla fattispecie, poiché la commissione di gara era stata formalmente convocata ed ha espresso un’autentica deliberazione preliminare che è stata formalmente recepita dall’ufficio comunale.

Tali passaggi non possono mutare la situazione concreta.

Appare fondato il secondo motivo dell’appello incidentale, con cui l’Azienda contestava il rigetto della domanda risarcitoria e insisteva per la condanna del Comune al pagamento di un massimo di €. 40.000,00 per i danni patrimoniali oltre a quelli non patrimoniali consistenti nel danno all’immagine ed alla reputazione dell’Azienda.

A prescindere dal fatto non contestato del mancato avvio dell’impresa, la sentenza ha ritenuto la genericità della domanda e l’assenza di dimostrazione di poste di danno lamentato.

I bonifici allegati in copia non risultano prodotti nel giudizio di primo grado; alcune fatture prodotte sono illeggibili, altre sono anteriori alla data del contratto di locazione, altre ancora non sono riferibili con certezza al bene immobile in controversia.

Per le considerazioni esposte va respinto l’appello principale, mentre l’appello incidentale va in parte accolto e in parte respinto con conferma, sia pure con parziale diversa motivazione, della sentenza impugnata.

Le spese di giudizio possono essere compensate, viste le reciproche soccombenze.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l 'appello principale ed in parte respinge ed in parte accoglie l’appello incidentale, e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata sia pure con diversa parziale motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Al fine di meglio parametrare il thema tractandum del pronunciamento in commento, giova sinteticamente richiamare le circostanze fattuali della vicenda portata al vaglio della V sezione del Consiglio di Stato.

Nella fattispecie di causa, la stazione appaltante ha annullato d’ufficio il provvedimento di affidamento in locazione di un compendio immobiliare di sua proprietà, sulla scorta del rilievo secondo cui la concorrente risultata affidataria avrebbe dovuto essere esclusa per aver presentato documentazione non veritiera.

Specificamente, dalle verifiche contabili effettuate in seguito alla sottoscrizione del contratto inter partes, l'ente ha contestato all’operatore economico la falsità dell'attestazione prodotta circa l’avvenuta costituzione del deposito cauzionale richiesto, posto che alcun accredito in tal senso è stato rilevato sui conti correnti di tesoreria comunale.

Alla luce dell’accaduto, la commissione di gara ha riesaminato il procedimento già espletato, dichiarando indi la decadenza dell’impresa interessata dall’assegnazione del bene.

Ebbene, i Giudici di Palazzo Spada hanno censurato siffatto agire, ritenendolo contrario ai principi che informano l’esercizio del potere di autotutela amministrativa a norma dell’art. 21-nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241.

Com’è noto, la citata disposizione consente all’Amministrazione di caducare un precedente provvedimento inficiato da illegittimità, al fine di prevenire o risolvere l’insorgere di conflitti.

Per ciò che in questa sede più rileva, a mente della citata normativa, l’auto-annullamento è subordinato al ricorrere di precisi e stringenti presupposti, quali:

i. in primo luogo, l’accertamento della presenza di un provvedimento invalido;

ii. in secondo luogo, il decorso di un termine ragionevole tra la data di adozione dell’atto viziato e l’intervento dell’autorità in via di autotutela;

iii. da ultimo, la presenza di ragioni d’interesse pubblico, concrete ed attuali, prevalenti rispetto all’interesse del destinatario al mantenimento della precedente determinazione e diverse dal mero ripristino della legalità violata (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5410).

L’amministrazione deve dare conto della sussistenza dei menzionati requisiti, sia pure sinteticamente (cfr., tra le numerosissime, Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5563).

Applicando le sovra esposte coordinate ermeneutiche, il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso in appello, confermando l’illegittimo esercizio del potere di autotutela nel caso di specie.

Secondo l’argomentare del Collegio, innanzitutto la stazione appaltante ha determinato il proprio revirement provvedimentale senza appurare l’effettiva natura mendace della disposizione di pagamento contestata.

A ogni buon conto, a dire del Supremo Consesso amministrativo, la p.a. ha annullato gli atti di gara oltre i termini di legge, alla luce del tempo trascorso dal momento di adozione del provvedimento di aggiudicazione e dalla sottoscrizione del relativo contratto.

In tale prospettiva, è stato considerato irragionevole il decorso di un lasso temporale pari a otto mesi dalla conclusione della gara.

Tanto premesso, il Consiglio di Stato ha censurato il provvedimento di secondo grado per essere affetto da evidente deficit istruttorio e motivazionale.

I Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che l’Amministrazione non abbia adeguatamente valutato e ponderato degli interessi coinvolti nel procedimento atteso l’omesso esame delle ragioni giustificative espresse dall’affidatario rispetto alla mancanza di responsabilità e volontà di omettere la costituzione del deposito provvisorio.

Da ultimo, il Collegio ha rilevato la fondatezza della censura in merito al difetto di competenza della Commissione di gara rispetto all’atto di secondo grado che ha dato luogo alla controversia.

In conformità al granitico orientamento pretorio, cui si allinea il pronunciamento il commento, il seggio di gara è un organo straordinario e temporaneo, le cui attribuzioni si esauriscono con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione.

Ne consegue che l’esercizio del potere di autotutela mediante annullamento, in seguito alla conclusione della procedura di gara, non può che ascriversi alla sfera di attribuzioni proprie dell’amministrazione attiva e ordinaria.