pregi e difetti dell'udienza in collegamento da remoto ai tempi del coronavirus

“l’udienza pubblica appare come luogo di teatro, di “mistero”, nel senso greco: gli attori vi celebrano cose fuori dal mondo profano; e anche sul piano giuridico l’atto richiede un luogo separato. Riuscirebbe alterato in piazza oppure sotto l’occhio cinematografico o televisivo: ma demagogicamente incline all’”interesse sociale”, una norma malaccorta li ammette, consentano o no le parti (purché l’immagine tagli chi non vuole apparirvi); e quella pupilla meccanica modifica l’avvenimento, influendo sugli attori”[1].


[1] F. Cordero, Manuale di procedura penale, Dibattimento, p. 907, ed. Giuffrè 2006.

 

Nel mese di maggio 2020 alcuni avvocati amministrativisti[1], coinvolgendo altri colleghi e praticanti[2], hanno organizzato un processo simulato di diritto amministrativo con il precipuo obiettivo di testare pregi e finalità del collegamento da remoto in linea con le disposizioni emergenziali.

La questione di diritto, certamente non prioritaria rispetto all’obiettivo principale (simulare lo svolgimento dell’udienza), ha riguardato l’impugnativa di un atto di revoca di una procedura di gara con affidamento diretto ad altro operatore economico.

Il processo, dopo lo scambio degli atti, si è svolto in due puntate: una camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare e l’udienza pubblica con contestuale lettura del dispositivo, udienza tenutasi anche alla presenza di alcuni ospiti. Il processo è terminato con un’ordinanza cautelare ed una sentenza che hanno accolto il ricorso.

E’ stata utilizzata, anche per finalità formative, la piattaforma “Zoom” in luogo di quella provvisoriamente prescelta dal Giudice Amministrativo.

Sempre per esigenze formative sono state applicate alcune “finzioni” sia per le notifiche ed il deposito degli atti nonché, per meglio consentire l’illustrazione della vicenda anche al pubblico, la lettura in diretta del dispositivo dopo la discussione tra i membri del Collegio.

Tutti gli incontri, compresi quelli preliminari e di approfondimento, sono stati registrati. Dell’udienza pubblica è stato ricavato un video dell’iniziativa per consentirne la divulgazione.

Questo ai fini di poter fornire qualche ausilio in vista dei prossimi processi da remoto all’esito della pubblicazione delle specifiche tecniche da parte della Giustizia Amministrativa individuate dai Magistrati anche attraverso un’ottima cooperazione con le associazioni degli Avvocati amministrativisti.

 

ESITO DELL’INIZIATIVA

 

Dall’analisi dell’iniziativa - come emerso nelle riflessioni degli organizzatori, partecipanti, ed ospiti - emerge un quadro composito che può così sinteticamente riassumersi: il processo da “remoto”, privando la celebrazione del rito dalla fisicità del luogo tribunale, realizza un esito senza dubbio diverso ma non necessariamente deteriore.

In altre parole, lo strumento tecnologico, esattamente come in altri contesti (passaggio dal motore a scoppio all’elettrico, dalla fotografia analogica al digitale, dal testo scritto al word processor) determina delle modificazioni che finiscono per incidere anche sul “contenuto” (guida, fotografia, testo) oltre che sul semplice “contenente”.

L’innesto tecnologico nell’udienza produce infatti alcune caratteristiche:

  • mancanza di un effettivo contraddittorio (l’esposizione è “unidirezionale”);
  • presenza necessaria di un contingentamento nei tempi;
  • limite nella percezione tra i diversi soggetti (avvocati, altre parti, giudici) sia nell’illustrazione che nell’ascolto;
  • possibili rischi di connessione tra le parti;
  • problema della riservatezza e della protezione dei dati;
  • esigenza di accurata pianificazione rispetto all’ordinaria gestione dei ruoli di udienza;
  • mancanza o affievolimento della “forma”, a cominciare dall’assenza della toga e del tribunale, luogo specificamente deputato all’udienza;
  • minor “preparazione” rappresentata dal confronto preliminare tra le diverse parti rispetto alla trattazione (es. Camera Avvocati, Camera di Consiglio);
  • rischio di eccesso di regolazione con le specifiche tecniche rispetto alla oggettiva diversità dei riti processuali e delle singole cause.

Si potrebbe affermare che le “sfumature” della liturgia processuale finiscono per scomparire, privilegiando un approccio certamente più pragmatico ma meno incline a “riflettere” o raccontare la verità processuale (che di per sé, a sua volta, è sempre rappresentazione della verità storica). Una sorta di doppio “conio”, quindi, con rischi di diverso e affievolito apprezzamento della “moneta” originale.

Del resto il “contraddittorio” rappresenta il “fuoco” del processo orale e sono proprio alcune “scintille” nella discussione che permettono ai giudici di trarre quelle “note di colore” utili a comprendere meglio la rappresentazione dei fatti e l’affermazione delle teorie giuridiche[3].

 

E’, pertanto, necessaria una piena consapevolezza, all’interno dei diversi ruoli assunti dal giudice e dall’avvocato (oltre che dai funzionari e dal pubblico) nel contemperare il rispetto della fase orale, di rilievo costituzionale, con l’esigenza di garantire comunque la celebrazione del processo al di fuori dal rito ordinario.

E’ emersa poi, con perdurante evidenza, la centralità nella figura del Presidente del Collegio chiamato, forse più di prima, ad avere un ruolo di “regia” nel disporre i vari interventi ovvero nel sollecitare eventuali chiarimenti.

Tutto questo immaginando peraltro una piena dimestichezza da parte di tutti i componenti della macchina processuale (compreso il personale di giustizia) con gli strumenti informatici, circostanza certamente non rispondente al reale.

Si tratta di temi che richiedono quindi approfondimenti ed anche investimenti sia come dotazioni che come formazione anche culturale.

La portata del processo da “remoto”, nata in un contesto emergenziale, potrebbe, all’esito dell’inevitabile sperimentazione, portare, quindi, a considerarlo un valido strumento, se non alternativo, certamente complementare a quello originario.

Questo potrebbe anche condurre, in una sorta di serendipity rispetto alle finalità originarie, a concepire il processo da “remoto” come uno strumento utile per approcciare alcuni momenti/fasi processuali o financo tipologie di contenzioso (si pensi alle c.d. “preliminari d’udienza”, alle tipologie di udienze ovvero a riti semplificati o speciali), lasciando al processo “fisico” la celebrazione che merita.

Del resto esperienze estere (soprattutto nel mondo anglosassone) riferiscono di vantaggi nell’utilizzo dello strumento del processo da remoto anche per consentire, nelle udienze pubbliche, una maggior trasparenza della funzione giudicante, oggi certamente limitata nella presenza fisica del pubblico.

In conclusione il processo da remoto, dopo oltre duemila anni di invenzione del diritto in occidente, potrebbe rappresentare qualcosa di più di una semplice “delocalizzazione” dal luogo fisico di celebrazione del processo, finendo per mutare la stessa funzione nell’esecuzione della giustizia amministrativa. Con i suoi pregi e i suoi difetti, analogamente alla rivoluzione cinematografica rispetto alla rappresentazione teatrale.

Questo pone, certamente, a “valle” della sperimentazione l’esigenza che tutti gli attori del processo possano dar vita ad alcune previsioni normative che diano un ingresso a questo strumento nel rispetto della costituzione e dei diritti sottesi.

Pare utile, per comprendere le sfide, riportare i commenti dei partecipanti oltre che la visione del video del processo ed i commenti “a caldo” degli ospiti[4]

 

COMMENTI DEGLI ORGANIZZATORI

 

La simulazione del processo amministrativo da remoto è stata, per me, un’occasione non tanto per testare questo strumento sotto il profilo tecnico, quanto piuttosto per verificarne pregi e difetti sul piano concreto/pratico, in un’ottica anche propositiva.

Ebbene, durante la simulazione, ciò che mi ha subito colpito è stata la mancanza di “calore” di tale strumento.

L’udienza è il luogo dove, da sempre, si celebra il processo: vale a dire il luogo dove si svolge una sorta di funzione laica, dove si compiono “atti solenni”. Il processo da remoto, invece, risulta prima facie freddo, neutro, distante.

Molte sono le assenze/le carenze riscontrate che mi portano a tale riflessione.

Alcune di piccolo cabotaggio: quali l’assenza della corsa mattutina (talvolta carica d’ansia) verso il Tribunale, l’assenza dell’attesa nella sala avvocati, luogo in cui si ha modo di riordinare le proprie idee e/o dove si ha l’occasione di scambiare due chiacchiere “vere” con i colleghi (chiacchiere da cui spesso nascono occasioni professionali e/o scientifiche), ovvero la mancanza di quella obbligata camera di decompressione che, all’uscita dall’udienza, consente, nell’immediatezza, di ricomporre le tensioni eventualmente emerse tra i colleghi durante la discussione.

Altre più visibili: quali l’obliterazione della cerimonialità. L’assenza o la non necessità di indossare la toga, ad esempio. Toga che per alcuni è oggi un inutile orpello, ma che, invece, è il simbolo dell’altissima funzione sociale, intellettuale e morale che l’avvocato è chiamato a svolgere, è l’abito che caratterizza il ruolo essenziale della difesa nel processo.

Altre, infine, più direttamente incidenti sul processo: quali l’impossibilità e/o la difficoltà di cogliere il linguaggio del corpo dei colleghi che discutono e finanche quello dei componenti del collegio; la difficoltà e/o l’impossibilità da parte del Presidente di condurre/dirigere la discussione, che risulta, invece, imbrigliata e costretta su un binario prestabilito (con tempi di intervento predefiniti); l’annullamento della “presenza scenica” dell’avvocato (ed anche del Presidente).

Oltre a tali carenze, la simulazione ha permesso di rilevare anche alcune oggettive criticità del processo da remoto, che provo sinteticamente ad evidenziare: 1) La difficoltà di assicurare la riservatezza e la privacy (sia con riferimento alla fase di discussione, sia con riferimento alla fase decisionale: camera di consiglio) in un epoca in cui l’hackeraggio è sempre più frequente; 2) La difficoltà di concentrazione (credo che possa valere sia per gli avvocati che per i magistrati) che è peraltro già emersa e studiata, sebbene con riferimento, per ora, alle sole videoconference; 3) La mancanza di affidabilità dello strumento: cosa accade se la connessione salta per una sola delle parti e non viene immediatamente ripristinata? l’udienza si da per celebrata? o si rinvia? 4) La necessità di prevedere un numero di udienze maggiore (le udienze andrebbero, infatti, fissate ad intervalli temporali tali da assicurare a tutti i difensori il concreto utilizzo dell’intero “minutaggio di discussione” a disposizione, con una dilatazione enorme dei tempi che non consentirebbe la trattazione di tutte le udienze nella medesima giornata); 5) La potenziale difficoltà per gli avvocati di trattare personalmente più cause che vengano fissate in contemporanea (capita di frequente che gli avvocati chiedano al collegio ed ai colleghi di aspettare perché impegnati in contemporanea in udienze presso altre sezioni del medesimo TAR o del CdS).

Per concludere credo che il processo da remoto, benché sia verosimilmente destinato ad imporsi nel futuro, sia ancora oggi da considerarsi uno strumento esclusivamente emergenziale. Ciò, anche in considerazione del fatto che gli unici soggetti che oggi potrebbero trarne un concreto beneficio sono gli avvocati, i quali eviterebbero certamente scomode e costose trasferte infra regionali e lunghe attese presso i tribunali; per i magistrati, invece, non vedo quali possano essere i vantaggi, posto che difficilmente potranno essere esonerati dall’obbligo di recarsi fisicamente presso gli uffici (per motivi principalmente di cyber sicurezza).     

Avvocato Eugenio Barrile

 

Svolgere il processo amministrativo con udienza da remoto non è un’attività surrogatoria del processo storicamente celebrato da giudici e avvocati dal vivo in aula; la percezione di ciò che viene detto e del linguaggio corporeo (la mimica del viso, in particolare) è del tutto differente, per via delle strette inquadrature e rimanda direttamente all’esperienza televisiva e, in qualche modo, allo spettacolo; inoltre, si tratta di frammenti separati di discussione e manca nell’insieme la consueta dialettica: non è il noto contraddittorio, ma una nuova teatralità.

Ciò detto, tuttavia, non sono emersi nel corso della simulazione problemi insormontabili di attuazione del processo amministrativo da remoto, né tecnici, né giuridici, trattandosi semmai di mettere a punto procedure informatiche e di rodare le prassi, al fine precipuo di garantire la privacy e la segretezza delle decisioni e, appunto, di fornire alle parti un adeguato livello di confronto (seppure diverso dal solito), nonché di stimolare, anche tra il personale amministrativo, un approccio proattivo e rapido alla risoluzione dei possibili errori o bachi tecnologici.

Deve invece essere ancora compreso se l’utilità - sostanzialmente economica, in disparte quella attualissima che attiene alla riduzione dei contagi tramite distanziamento - che si connette a tale modalità in video conferenza, sia così vantaggiosa da determinare l’accettazione dei rischi connessi nel lungo periodo (dei quali, prima, andrebbe fatta una attenta elencazione) e se tale modalità non vada opportunamente accompagna da altre azioni riformatrici.

Sembra evidente, anche se non si è in grado di prevederne i confini, che stabilizzando la modalità di udienza in video conferenza e innestandola su un processo cartolare coatto, cambierà, nel corso del tempo, il linguaggio stesso delle sentenze e dei provvedimenti adottati, a causa della diversa percezione dei contenuti soltanto scritti ed eventualmente tradotti in modalità video: la televisione è una trasmissione, un filtro ulteriore apposto alla discussione.

E d’altronde, anche i pochi provvedimenti adottati in seguito all’esperimento di un processo cartolare coatto, nel periodo emergenziale, sono sembrati mostrare una struttura e un linguaggio diversi dal solito al quale si era abituati (ci si riferisce, nella specie, ai provvedimenti cautelari).

Inoltre, è pure prevedibile e certamente non auspicabile (quest’ultimo “accento” viene messo per ragioni anagrafiche e culturali, come tali ampiamente sindacabili), che il passaggio successivo potrebbe essere quello di una ulteriore riduzione della dimensione degli atti giudiziari e di una loro modellazione contenutistica, secondo standard che potrebbero, larvatamente, essere introdotti di qui a poco; anche in questo caso pare percepirsi una netta tendenza in tal senso.

Tali complessi argomenti esulano dal presente commento, ma sembra ragionevole che, pur tra i tanti dissenzienti, molti, anche tra gli avvocati, potrebbero ritenere conveniente sintetizzare e armonizzare gli atti giudiziari, in linea con un sistema dematerializzato, che ricerchi (e dovrà dimostrare di ritornare concretamente) una giustizia più snella, a parità di qualità delle decisioni ed anzi accrescendola: il “tempo” della decisione vuole diventare parametro principale, ma ovviamente si spera non unico, dell’effettività della tutela e della qualità della giustizia.

In questi strani frangenti, chi scrive non ritiene di dover esprimere opinioni o di forzare giudizi, in quanto il mutamento dei fenomeni sociali è sempre in atto e la giustizia delle o nelle Corti (o fuori di esse) fa parte di questi fenomeni; fermo restando che, già ante pandemia Covid19, il processo amministrativo aveva assunto - da anni - una conformazione sostanzialmente cartolare, con un trattazioni orali limitate di fatto dal giudice, in funzione della ritenuta esaustività delle allegazioni difensive scritte, spese nel singolo caso dai procuratori delle parti e proprio al fine di velocizzare le udienze / decisioni.

L’emergenza sanitaria ha determinato una accelerazione di questo cambiamento in atto e occorre chiedersi, senza pregiudizi, ma anche rifiutando le imposizioni, se imprimere forti accelerazioni al mutamento dei fenomeni sociali, sulla base di presupposti - esterni al funzionamento della macchina della giustizia - del tutto incerti, per entità, intensità e durata, possa rivelarsi sbagliato e in che termini, tutti da esaminare criticamente; ciò, se non altro, in quanto potremmo non ricordare, in futuro, il perché del cambiamento e la strada per tornare indietro.

Nel periodo transitorio emergenziale, stabilito dal D.L. 28/2020, è auspicabile quindi che si testi il maggior numero possibile di udienze da remoto - e forse neppure basterà questo ristretto lasso -, prima di criticare a priori la soluzione della comunicazione a distanza e che si accettino, con consapevolezza e coscienza, le implicazioni dello stesso mezzo, al fine di decidere oculatamente se mantenerlo come soluzione fissa e con quali eventuali correttivi; questo, a maggior ragione, secondo il pensiero dello scrivente, vale per il processo cartolare coatto, che pare essere il vero spartiacque del cambiamento.

Avvocato Francesco Buonanno

 

La simulazione di udienza da remoto mi ha fatto tornare alla mente l’esperienza da praticante avvocato con il mio Maestro, Prof. Giuseppe Guarino, che accompagnavo regolarmente al Tar del Lazio e al Consiglio di Stato dove alcune udienze di discussione duravano fino a sera.

L’udienza rappresentava il momento di massima libertà di espressione per gli avvocati perché non vi era alcun limite, né del numero di oratori, né di durata della discussione. E il Prof. Guarino discuteva generalmente da cinque a sette cause al giorno – ognuna delle quali poteva durare anche più di un’ora - muovendosi da una Sezione all’altra con agilità e concentrazione disquisendo di varie questioni giuridiche con i colleghi.

Con il trascorrere degli anni, come è noto, vi è stata una riduzione sia del numero di cause discusse (in prevalenza i meriti rispetto alle cautelari) sia del tempo a disposizione degli avvocati per la discussione in udienza.

Con l’emergenza da Covid-19, poi, si è passati dall’assenza di udienze di discussione, per il periodo da marzo a maggio 2020, all’udienza da remoto che ci accompagnerà a partire da giugno fino al mese di luglio 2020 (se non vi saranno ulteriori proroghe).

La novità è stata ben rappresentata nella simulazione di udienza da remoto dove sono emersi, a mio avviso, diversi pregi e difetti.

I vantaggi riscontrati sono i seguenti. In primo luogo, la possibilità per gli avvocati di discutere la causa, seppure da remoto, anziché essere privati della facoltà di esporre oralmente le tesi difensive dei Clienti, come è avvenuto nel periodo emergenziale. Un ulteriore vantaggio consiste nel sapere con certezza l’orario di collegamento telematico per l’avvio dell’udienza e di regola per la sua conclusione. Vi è poi l’opportunità di ridurre gli spostamenti (non solo nella città di Roma, ma anche nell’intero territorio nazionale) rimanendo nel proprio studio.

Tuttavia, sono risultati evidenti anche alcuni difetti dell’udienza da remoto. Innanzitutto, la mancanza del colloquio tra i difensori della stessa parte o avversari, come di regola avviene prima dell’udienza. In secondo luogo, il tempo contingentato della discussione e delle repliche che, per le cause più complesse, potrebbe non essere sufficiente alla completa esposizione delle fattispecie. Inoltre, la difficoltà di comprendere attraverso il video i suggerimenti che spesso i Giudici, anche mediante la comunicazione non verbale, forniscono agli avvocati per instradare la discussione.

Infine, l’assenza di ciò che ha sempre contraddistinto l’avvocato durante l’udienza pubblica in aula: la toga.

Per queste ragioni, ritengo che l‘udienza da remoto debba essere utilizzata per un periodo limitato e non possa sostituire in via ordinaria le udienze di discussione in aula. Ciò anche al fine di rendere ancora attuali le parole di Piero Calamandrei:

L'avvocato che si lagna di non essere capito dal giudice, biasima non il giudice, ma sé stesso. Il giudice non ha il dovere di capire: è l'avvocato che ha il dovere di farsi capire fra i due, quello che sta a sedere, in attesa, è il giudice; chi sta in piedi, e deve muoversi e avvicinarsi anche spiritualmente, è l’avvocato.

Avvocato Sergio Fidanzia

 

Grazie alla felice intuizione del collega Luigi D’Ottavi e all’opera meritoria dei collaboratori di studio coinvolti nell’iniziativa, abbiamo finalmente potuto riassaporare la voglia di discussione orale rimasta soffocata per quasi tre mesi: la simulazione di udienza da remoto ha rappresentato un’utile prova per testare la nuova modalità di celebrazione delle udienze che sarà utilizzata da giugno a luglio (salvo ulteriori proroghe).

Il collegamento da remoto è uno strumento di carattere informatico. Come ogni mezzo, va valutato quanto esso sia idoneo a perseguire il fine per cui è approntato, in specie l’esercizio di un diritto costituzionale, quale è quello della discussione orale.

E’ noto che, nella materia penale, l’Unione delle Camere Penali abbia sostanzialmente bocciato lo strumento, richiedendo la reintroduzione dell’udienza in presenza.

Nel processo amministrativo, invece, ove la discussione orale si accompagna ad un’ampia fase scritta, credo che la battaglia per la sua introduzione giustamente combattuta dall’Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, nonché dalle ulteriori associazioni di settore, e che ha preso il là anche grazie alle famose ordinanze gemelle del Consiglio di Stato, abbia in ultima istanza avuto uno scopo diverso: quello di “salvare” attraverso uno strumento informatico il diritto alla fase orale del processo amministrativo, minacciato di diventare un processo sostanzialmente cartolare.

La celebrazione dell’udienza da remoto ha, quindi, avuto il merito di riportare la discussione orale al centro del dibattito tra gli avvocati e giudici amministrativisti.

Se la fase orale nel giudizio amministrativo riveste pari dignità rispetto alla fase scritta, appare però evidente che l’udienza da remoto presenti evidenti limiti connaturati allo strumento. Molti di essi sono stati evidenziati dai colleghi che hanno preso parte alla tavola rotonda che ha seguito lo svolgimento del processo simulato, mi limito a riepilogare quelli che considero più significativi: il contingentamento dei tempi, dovuto ovviamente anche a ragioni organizzative; la difficoltà ad instaurare un dialogo reale con il collegio giudicante, dovuta ad esempio anche ai limiti della piattaforma o dei dispositivi in uso a poter contenere i partecipanti in un unico schermo; il rischio di emersione di una verità più televisiva che dibattimentale, dovuta al fatto che l’oratoria è filtrata da un’inquadratura che ovviamente è lasciata alla “regia” dell’oratore e non di chi lo ascolta; la difficoltà a stimolare un dibattito effettivamente dialettico, in quanto lo strumento penalizza le interlocuzioni rapide creando sovrapposizioni di voci; la problematicità nel coordinamento tra colleghi di un medesimo collegio difensivo, specie nello sviluppo della discussione relativa alla singola causa; i limiti dei servizi di connettività che potrebbero ad esempio penalizzare la qualità dei collegamenti di alcuni dei partecipati, rendendone meno intellegibile l’audio o il video. Infine, il processo da remoto cancella il luogo fisico in cui si celebra l’udienza, che fino ad oggi ha costituito il palcoscenico di un evento corale, alimentando il prestigio e l’autorevolezza dell’Istituto.

Mi sembra di poter dire, pertanto, che l’udienza da remoto costituisca espressione di un diritto al contraddittorio orale “precario”. Come tale, pertanto, ritengo che debba essere utilizzata nel tempo strettamente legato all’emergenza e per un periodo comunque limitato. Sul punto segnalo, ad esempio, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e il Tribunale di Primo Grado, riprenderanno le loro attività di udienze in presenza già dal 25 maggio, dopo aver osservato un periodo di sospensione dei calendari di circa due mesi.

Nel confidare in un pronto ritorno alla normalità, auspico, però, che il dibattito sulla centralità della discussione orale nel processo amministrativo prosegua, ad esempio, mediante lo studio di misure organizzative che possano, per quanto riguarda la fase cautelare, filtrare, anche mediante lo strumento informatico, le richieste diverse dalla discussione; quanto al merito, adeguare la discussione alla mutata realtà data dall’ampio scambio cartolare garantito alle parti a partire dal codice del processo amministrativo. A tal fine, credo che la formulazione di quesiti da parte dei giudici su cui concentrare la discussione potrebbe rivelarsi davvero centrale, e, in ultima istanza, vagliare quelle cause che, dopo la fase scritta, richiedano l’ulteriore approfondimento proprio della fase orale.

Avvocato Angelo Gigliola

 

La crisi porta progressi. La creatività nasce dallangoscia come il giorno dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono linventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere "Superato". Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni. […]È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo: invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”.

Così scriveva Albert Einstein dopo la Grande Crisi del 1929 e queste parole possono ben valere a valle o (sarebbe meglio dire ancora) nel corso della crisi che stiamo oggi vivendo e affrontando.

Trasponendo, dunque, queste considerazioni nel settore giustizia e calandole allo scopo nel momento processuale, è evidente che l’emergenza sanitaria ci ha costretto a compiere un obbligato salto tecnologico in avanti che sarebbe un ‘peccato’ non sfruttare e mantenere. Ciò non significa ‘abolire’ le udienze fisiche (anche una volta che lo stato di pericolo sia transitato), bensì potenzialmente prevedere entrambe le vie, sfruttando lo strumento tecnologico, ad esempio, per ridurre l’arretrato.

Del resto, la simulazione di processo svolta ha reso evidente che – sebbene dovendo adottare, soprattutto lato avvocati, un linguaggio del corpo diverso, al pari di una modalità espositiva affatto nuova – possono essere agevolmente rispettate tutte le vigenti disposizioni processuali in materia di svolgimento delle udienze e di contraddittorio. Il problema si sposta, dunque, su un piano organizzatorio. E in quest’ottica, le conclusioni a cui la simulazione effettuata conduce sono nel senso che per essere chiare le disposizioni organizzative devono essere essenziali. Mi azzardo a dire: poche.

Ai partecipanti, infatti, sono state date poche quanto essenziali indicazioni a cui attenersi; indicazioni, peraltro, che sono state affinate tra la fase della camera di consiglio e quella dell’udienza pubblica, così imparando dalle problematiche che erano emerse.

In questo modo è stato possibile verificare il corretto funzionamento dello strumento telematico per consentire il funzionamento di quello processuale. Il resto, come si suol dire, è semplicemente diritto.

Una postilla: io sono un giovane (od ormai quasi giovane) tradizionalista e vorrei che il mondo (ivi incluso quello del diritto e dell’avvocatura) migliorasse pur restando quello che è. Dopo la Primavera 2020, tuttavia, il futuro non so se sarà migliore, ma sono certo che sarà diverso.

Avvocato Marco Giustiniani

 

È stato acutamente osservato che lemergenza Covid 19 ha fatto compiere al sistema giustizia un balzo in avanti di ventanni sul ricorso alle tecnologie informatiche.

Personalmente credo che questo sia un aspetto (forse uno dei pochi) di questo momento storico che possa e debba essere visto con grande favore.

Sebbene io sia culturalmente ancorato agli schemi per così dire “classici”, insomma alla carta ed all’udienza come tutti noi la conosciamo, sono infatti da sempre fermamente convinto che la tecnologia sia uno straordinario strumento che deve trovare spazio anche nel nostro settore. Trovo ormai anacronistiche molte delle soluzioni congegnate al solo scopo di consentire a chi non ha l’abitudine e la dimestichezza di operare attraverso un pc, di seguitare a farlo, così come ritengo che la giustizia amministrativa abbia un enorme bisogno di svecchiarsi e spogliarsi di alcuni formalismi e riti che ormai sembrano per lo più fini a sé stessi.

Per questo motivo ho aderito con grande interesse all’idea di simulare un processo da remoto e a consuntivo la mia opinione di fondo resta quella poc’anzi espressa.

Ci sono, è vero, alcune criticità – personalmente credo che la principale risieda nella esigenza di garantire la sicurezza delle connessioni (ad esempio utilizzando canali criptati), ma anche dei luoghi in cui ciascuno dei partecipanti all’udienza si trova (luoghi che peraltro e non a caso, sono stati figurativamente qualificati come “udienza”).

Non mi turba invece l’idea di discutere da remoto: è un altro modo di fare il nostro lavoro e se vogliamo proiettarci nel futuro della nostra professione, dobbiamo impararlo esattamente come abbiamo imparato prima a notificare in proprio a mezzo dell’ufficio postale (o a mani, per quelli che ci si sono avventurati), e poi a mezzo pec, per fare un esempio.

Trovo quindi un errore prospettico quello di chi approcciandosi a questa esperienza, ne valuta gli esiti in funzione della maggiore o minore idoneità del collegamento telematico a riprodurre la dimensione processuale che tutti conosciamo. Il confronto così è fra termini eterogenei.

Invece, posto che udienze da remoto si tengono e si terranno, bisogna coglierne le potenzialità: intanto di consentire a tutti noi una migliore e più razionale organizzazione del tempo lavorativo (sappiamo tutti, per dirne una, che spesso per discutere una sospensiva – di durata effettiva  media 10 minuti – siamo costretti a spendere un’intera mattinata al TAR o in Consiglio di Stato); poi la possibilità di assolvere il nostro munus anche a distanza, ciò che elimina le trasferte e si risolve anche in un significativo alleggerimento dei costi a carico dei nostri Clienti; ed infine – aspetto questo non trascurabile – anche la possibilità per i Magistrati di fruire del nostro contributo anche in differita, grazie alla registrazione della discussione: ciò che ne potenzia gli effetti ed al contempo agevola il lavoro del Collegio giudicante.

Il tema del contingentamento e della predeterminazione dei tempi della discussione è invece da approfondire: di sicuro è retorica sterile se lo riferiamo alla dimensione di Palazzo Spada o dei TAR Roma e Milano (e forse anche Napoli), luoghi questi in cui purtroppo la discussione è compressa in modo assai maggiore rispetto ai 10 minuti che si prevedono per il remoto. Ed anzi: questa predeterminazione eliminerebbe anche in radice la necessità che talvolta abbiamo di “pietire” l’attenzione dei Giudici o di assecondare richieste – cortesi ma che non postulano risposte negative – di non discutere.

Il discorso invece cambia se lo riferiamo agli altri TAR, dove invece – complice anche il minor carico di lavoro – le discussioni rivestono ancora una importanza non marginale nella complessiva economia del giudizio e dove noi avvocati siamo senz’altro messi in grado di fornire contributi non meramente formali.

In definitiva occorrerebbe non imporre schemi rigidi: penso ad esempio ad un intervallo di tempo, con minimo garantito.

È vero, manca la toga, manca l’atmosfera, manca tutto … ma Signori, questo è il futuro.

Un futuro in cui i valori in cui si muove la nostra Professione tendono ad essere più liquidi (come di fatto lo sono da tempo, purtroppo) e dove proprio per questo, le simbologie ed i rituali appaiono sempre più fini a sé stessi.

Possiamo definirlo progresso? Beh a dirla con Manzoni, che di questi tempi è tornato di moda, “Non sempre ciò che viene dopo è progresso” … ma tant’è.

Avvocato Francesco Nardocci

 

 

Non sono un fautore del “principio dello schieramento”, in base al quale di fronte ad una qualsiasi tematica si debba assumere la posizione ‘pro’ o ‘contro’. E la simulazione che si è tenuta, con il proficuo confronto che l’ha accompagnata, mi ha confermato che anche con riguardo al processo da remoto è difficile essere totalmente ‘pro’ o totalmente ‘contro’.

A mio parere questo strumento, anche alla luce delle risultanze della sperimentazione e delle considerazioni di chi vi ha partecipato in modo attivo o da spettatore, nel suo complesso non presenta rilevanti controindicazioni.

Se il processo è finzione, perché la verità processuale non è ‘la verità’, la scelta tra l’udienza in presenza o da remoto non dipende dallo strumento in sé considerato, che è certamente più freddo e meno empatico quando c’è di mezzo una telecamera, ma dall’esigenza di ridurre la distanza tra la finzione e la realtà per cercare di avvicinare il più possibile la seconda alla prima.

Nel processo amministrativo una tale esigenza non sempre sussiste, perché la verità processuale e quella empirica il più delle volte si confondono, trattandosi di un processo sostanzialmente documentale.

In quest’ottica, allora, mi sembra che si aprano importanti spazi per la gestione del processo mediante video-udienze.

Nel dibattito che si è tenuto a latere del processo simulato, il Collega Such ha segnalato come si presenti differente la valutazione sull’idoneità dello strumento per le cautelari (e quindi le camere di consiglio), anche in ragione delle esigenze di riservatezza della discussione, rispetto alle udienze pubbliche. Aggiungerei che differente è la valutazione anche in relazione alla maggiore o minore complessità del giudizio e quindi della natura dell’azione, potendosi ritenere scevra da controindicazioni l’udienza camerale per la discussione dei ricorsi in materia di accesso agli atti, di silenzio o di ottemperanza (in tale ultimo caso soprattutto per i giudizi di ottemperanza delle decisioni del giudice civile).

La sensazione che ho avuto nell’assistere al processo simulato è che l’udienza da remoto sia in grado di assicurare il necessario contraddittorio e che la questione che si pone, nella realtà, è di natura organizzativa perché la definizione di un tempo predeterminato per singola discussione determina una dilatazione dei tempi tale da escludere la possibilità di ‘gestire’ le discussioni in una sola giornata di udienza.

Anche tale profilo è emerso nel confronto, segnalato dal Collega Fidanzia .

Ma se le cause che vengono chiamate sono in numero troppo elevato, mi verrebbe da pensare che questo non possa essere motivo di non utilizzo di strumenti che agevolino l’accesso alla giustizia da parte degli utenti, quanto piuttosto stimolo per una modifica dell’organizzazione volta a far sì che quel numero si riduca.

Volendo giungere ad una conclusione, la simulazione svolta e le considerazioni emerse nel corso del dibattito tra i partecipanti, mi porta a ritenere che in generale non si possa essere contrari all’utilizzo delle udienze da remoto, anche quale strumento definitivo, dovendosi piuttosto valutare con attenzione per quale tipologia di udienza e di rito l’udienza da remoto possa rappresentare uno strumento idoneo di gestione del processo in relazione alle caratteristiche e peculiarità del processo amministrativo.

Tenendo sempre presente che il vero rischio che si presenta quando si parla di udienza da remoto, è quello dell’eccesso di regolazione che, alimentato dall’errata esigenza di riprodurre la realtà del processo in presenza nel processo da remoto, tende ad ingessare l’attività degli avvocati e dei magistrati, creando i presupposti per una sorta di sub-contenzioso (avente ad oggetto la corretta applicazione di quella regolamentazione) nel contenzioso, che allontana le parti e il Giudice dall’obiettivo di decidere la controversia sostanziale, così rendendo vana la funzione stessa del processo.

Ma questo è un capitolo a parte, sul quale ci si potrà confrontare in altri contesti e nell’ambito di altre iniziative (speriamo prossime).

Avvocato Antonio Pazzaglia

 

 

COMMENTI DEI PARTECIPANTI

 

La simulazione di un processo amministrativo totalmente telematico è stata un'esperienza positiva sotto molteplici aspetti. 

In primo luogo da un punto di vista personale.

La partecipazione ad udienze telematiche, ancorché simulate, ha permesso di prendere dimestichezza con il nuovo strumento messo a disposizione degli avvocati. La necessità di dover discutere la causa davanti ad uno schermo e ad una webcam e la previsione di tempi contingentati, infatti, obbliga l'avvocato a dover tener conto di una nuova modalità di comunicazione.

In questo senso è stato evidente ai partecipanti la grande differenza tra la prima udienza e la seconda. Solo con quest'ultima, a ben vedere, gli avvocati sono riusciti a rendere maggiormente incisivi i propri interventi grazie a tempi contingentati e ad una maggiore attenzione agli effetti delle inquadrature "strette" delle webcam durante la discussione.

In secondo luogo il processo simulato è stato utile perché ha permesso di verificare i vantaggi e gli svantaggi di questo nuovo strumento e di esprimere un proprio giudizio al riguardo. A ciò si aggiunga l'interessante e formativo dialogo che si è sviluppato tra i partecipanti.

L'introduzione temporanea delle udienze con collegamenti da remoto, a mio avviso, è un'occasione unica per testare dal vivo quali potranno essere i risultati su larga scala di un processo totalmente telematico. 

Dalla simulazione dell'udienza telematica, per quanto mi riguarda, non sono emerse profonde differenze con quella fisica, né ostacoli insormontabili al suo utilizzo.

Tra i benefici derivanti dallo svolgimento di udienze telematiche, ad esempio, può essere menzionata la possibilità per gli avvocati di partecipare ad udienze senza doversi spostare da una città ad un'altra o senza dover affrontare il traffico delle grandi città, dedicando il tempo guadagnato alle proprie attività.

Per questa ragione la sperimentazione dovrebbe continuare, quantomeno ove vi sia la comune volontà delle parti in causa, in modo tale da poter individuare i correttivi (primo tra tutti quelli relativi alla protezione dei dati e alle eventuali incursioni degli hacker nelle camere di consiglio) necessari a far diventare tale strumento un utile sostituto della udienza "fisica", soprattutto per le cause con poche parti o con un livello di complessità basso.

Dottor Benedetto Amoroso

 

La partecipazione a questo progetto ha rappresentato una valida opportunità formativa, da un punto di vista giuridico sia processuale che sostanziale.

 

Sebbene si tratti di una simulazione, l’iniziativa, per come è stata strutturata e organizzata, ha dato seri spunti di riflessione su quelli che potranno essere pregi e difetti del reale processo amministrativo da remoto.

 

Una modalità di udienza che in questo periodo di emergenza si rende necessaria per garantire il diritto di difesa e il contraddittorio tra le parti, ma che non può sostituire il rapporto umano, il dialogo tra avvocati e tra avvocati e giudici.

 

Un’occasione di confronto, nonché di crescita professionale e personale.

 

Per questo ringrazio tutti gli organizzatori

Avvocato Federica Drò

 

In premessa, voglio esprimere riconoscenza nei confronti degli organizzatori dell’iniziativa in quanto mi hanno consentito di cimentarmi con l’esperienza di un’udienza (per quanto telematica) con anticipo rispetto al momento in cui otterrò l’abilitazione alla professione forense e (si spera) le udienze diventeranno per me un’abitudine quasi quotidiana.

Sotto il profilo del ‘merito’ dell’iniziativa, essa ha avuto il merito di far emergere pregi e limiti di una modalità (quella telematica) di svolgimento delle udienze che, per questo periodo emergenziale, diventerà la norma e sostituirà l’udienza che prevede la presenza fisica degli avvocati e dei giudici.

Quanto ai pregi della modalità telematica, la simulazione processuale fatta dimostra come lo strumento della piattaforma online, lungi dal comportare inevitabilmente una compressione del contraddittorio tra le parti, assicura un confronto dialettico tra le controparti. In questo contesto, molto dipende materialmente da elementi variabili e contingenti: a titolo d’esempio, la capacità degli avvocati di adattarsi ad uno strumento inedito di discussione e l’abilità di chi presiede il Collegio di dirigere la discussione senza pregiudicare la pienezza del contraddittorio.

Quanto ai limiti della medesima modalità, come emerso dalle discussioni svolte nelle tavole rotonde svolte a valle delle nostre simulazioni processuali, il rischio insito nella digitalizzazione delle discussioni orali è la parcellizzazione del lavoro degli operatori del foro (avvocati e/o giudici). In effetti, l’udienza è non solo un’incombenza processuale, ma anche un’occasione di incontro e di arricchimento professionale reciproco. Il tribunale è stato ed è tuttora fucina di idee e teorie giuridiche che imprimono una direzione all’evoluzione dell’ordinamento e delle sue impalcature giuridiche. Del resto, il diritto non si appiattisce alle sole leggi approvate in Parlamento, ma si compone anche (e non solo) degli indirizzi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza per adattare quelle medesime leggi al contesto socio-culturale in cui esse sono calate. Questi indirizzi interpretativi si formano nel (e grazie) al foro inteso come insostituibile luogo fisico di incontro e scambio di idee e stimoli tra professionisti del diritto.

Dottor Alessandro Paccione

 

L’esperienza del processo simulato è senza ombra di dubbio un’attività di per sé interessante e formativa che assume una valenza ancora più rilevante quando ad essere simulata è la modalità da remoto. L’impiego degli strumenti tecnologici di videoconferenza – difatti – non modifica solo l’estetica dell’udienza, ma fa sorgere interessanti spunti di riflessione sull’impatto del mezzo sul suo svolgimento. Se questo esperimento dimostra come sia tecnicamente possibile svolgere il processo avvalendosi delle videoconferenze, al contempo sottolinea come – l’adozione di tale modalità – modifichi sostanzialmente lo svolgimento dell’udienza.

Come noto, in ogni atto comunicativo, come può essere considerata l’udienza, in gioco ci sono svariati fattori: oltre al messaggio e al mezzo tecnico entrano in gioco aspetti non verbali, elementi di disturbo, codifiche e decodifiche, feedback verbali e non verbali financo la punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.

Ecco, tutti questi aspetti devono necessariamente essere adeguati al nuovo mezzo, non foss’altro perché le controparti non sono più l’una a fianco dell’altra, il Collegio non siede insieme dietro al “ferro di cavallo”; è possibile studiare le espressioni facciali di alcuni dei partecipanti, anche se a spese della percezione d’insieme; anche l’opportunità di osservare, mentre si parla, le reazioni altrui è limitata, infatti per farlo bisogna guardare lo schermo e non la webcam, distogliendo di fatto lo sguardo dall'interlocutore, a scapito di una comunicazione efficace.

In sintesi, l’udienza da remoto impone un adattamento delle tecniche di comunicazione, frutto di esperienza e affinate con gli anni, adottate finora in udienza, e ciò anche avuto riguardo alla diversa soglia di attenzione propria delle videoconferenze, tenendo inoltre conto della difficoltà di cogliere le reazioni del Collegio.

In buona sostanza il nuovo mezzo ha effetti significativi sullo svolgimento delle udienze, anche senza considerare i nuovi metodi di accesso all’udienza di discussione, metodi che imprimono un formalismo finora sconosciuto nelle preliminari e impongono valutazioni nuove sia agli Avvocati che al Collegio in ordine alla decisione di chiedere la discussione da remoto.

Se questa forma di processo sarà in grado di garantire un contraddittorio effettivo in udienza – e soprattutto se sarà una breve parentesi o la nuova normalità – potrà dirlo solo il tempo, quel che è certo è che sarebbe un grave errore pensare che il processo da remoto sia una mera trasposizione digitale dell’udienza in presenza.

Dottoressa Francesca Segni


[1] Organizzatori: Avv.ti. Eugenio Barrile, Francesco Buonanno, Luigi D’Ottavi, Sergio Fidanzia, Angelo Gigliola, Andrea Grappelli, Marco Giustiniani, Francesco Nardocci e Antonio Pazzaglia.

[2] Partecipanti: Avv. Federica Drò (ricorrente), Dott. Alessandro Paccione (resistente), Dott.ssa Francesca Segni (controinteressata), Avv. Andrea Grappelli (Presidente TAR), Dott. Benedetto Amoroso (consigliere), Dott.ssa Raffaella Di Lecce (relatrice), Avv. Francesco Buonanno (segretario).

[3] Del resto il tema della retorica accompagna il processo sin dagli albori:“Si celebra con ragione Cesare quale oratore per la sua maschia eloquenza che sprezza ogni arte di avvocatura e che al pari della viva fiamma illumina e riscalda nello stesso tempo” Theodor Mommsen, Storia di Roma Antica, Libro XI.

[4] Sono inoltre intervenuti come ospiti per un commento sull’iniziativa i Colleghi Franco Coccoli, Francesco D’Ottavi, Patrizio Leozappa, Nicola Suck e Fabrizio Viola che si ringraziano per gli ottimi spunti forniti.

CONTRIBUTO VIDEO

https://m.youtube.com/watch?v=RtThFIbJsHU