Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2020, n. 2397

La circostanza che all’avviso di accertamento non impugnato non sia seguita una cartella di pagamento (e, prima ancora, che non vi sia stata iscrizione a ruolo delle somme dovute) non è d’impedimento a ritenere la violazione definitivamente accertata. Infatti la cartella di pagamento è il primo atto della fase di riscossione, che può essere contestata per vizi formali, ma senza che possa più discutersi dell’esistenza del debito tributario, che è iscritto a ruolo solo dopo la definitività degli stessi.

Sono “gravi” le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore a quello dell’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (Disposizioni sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6109 del 2019, proposto da

Società Cattolica di Assicurazione - Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Gaetano Alfarano ed Emanuele Grippo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gaetano Alfarano in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;

contro

Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Generali Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Simone Abrate, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 04597/2019, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip s.p.a. e di Generali Italia s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Gaetano Alfarano e Simone Abrate, l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con lettera 15 febbraio 2018, Consip s.p.a. invitava gli operatori economici ammessi alle corrispondenti categorie merceologiche del S.D.A.P.A. – Sistema dinamico di acquisizione della pubblica amministrazione, di cui all’art. 55 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, a presentare un’offerta per l’affidamento “dei servizi di copertura assicurativa dei rischi connessi alla circolazione dei veicoli e dei natanti delle amministrazioni dello Stato”.

La gara, suddivisa in 3 lotti, era da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso.

1.1. La Società Cattolica di Assicurazione partecipava al lotto 1 e inseriva nel Sistema, il 5 marzo 2018, la dichiarazione prevista dall’art. 7.2 del Capitolato d’oneri, in cui, inter alia, attestava di non aver commesso gravi violazioni, ai sensi dell'art. 48-bis, commi 1 e 2-bis , d.P.R. n. 60 del 1973 definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui è stabilita

All’esito delle operazioni di gara, la Società Cattolica di Assicurazione si collocava al primo posto della graduatoria.

Consip s.p.a. avviava, pertanto, i controlli sul possesso dei requisiti di ordine generale in precedenza dichiarati e acquisiva dall’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Venezia certificazione riportante i carichi tributari della società dalla quale emergeva, alla data del 29 marzo 2018, un debito complessivo di € 2.941,88 derivante da 15 cartelle di pagamento, di € 42.986,00 per un avviso di accertamento (n. TJB0302002762017) notificato alla società incorporata Fata Assicuazioni Danni s.p.a. e, infine, di un € 89.836,95 per un atto di contestazione unificata (n. TJBCO02000622017).

Di conseguenza, Consip s.p.a. attivava il contraddittorio con l’impresa e l’invitava a presentare memorie scritte e documenti, rilevando che il debito tributario era di ammontare superiore alla soglia di tollerabilità fissata dall’art. 48 bis, commi 1 e 2 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e, idoneo ad integrare, per questo, la causa di esclusione dell’art. 80, comma 4, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

Esaminata la memoria dell’impresa, Consip, con provvedimento 8 maggio 2018, disponeva la sua esclusione dalla procedura di gara per carenza del requisito della regolarità tributaria.

2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, notificato il 6 giugno 2018, la Società Cattolica di Assicurazione impugnava il provvedimento di esclusione e quello di segnalazione all’A.N.A.C. del 14 maggio 2018 (prot. 15381/2018).

La ricorrente articolava due motivi, con i quali deduceva, in primo luogo, la violazione dell’art. 80 comma 4 d.lgs. n. 50 del 2016 per avere la stazione appaltante disposto la sua esclusione pur in mancanza di una violazione fiscale “definitivamente accertata” in senso proprio, considerato che agli atti impositivi mai era seguita la notifica di cartelle di pagamento relative alle violazioni contestate.

La ricorrente aggiungeva poi, con il secondo motivo, che la violazione non poteva ritenersi definitiva, anche in ragione dell’avvenuto pagamento, il 12 aprile 2018, dell’intero debito tributario.

 

In pendenza del giudizio, la gara veniva aggiudicata a Generali Italia s.p.a., e il provvedimento di aggiudicazione notificato alla Società Cattolica Assicurazioni il 15 giugno 2018. L’aggiudicazione era impugnata con motivi aggiunti.

2.1 Il giudizio, nel quale si erano costituiti Consip s.p.a., l’A.N.A.C. e Generali Italia s.p.a., era concluso dalla sentenza sez. II, 9 aprile 2019, n. 4597, di reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti.

La ricorrente era condannata al pagamento delle spese del giudizio in favore di Consip s.p.a.

Le spese venivano invece compensate nei confronti di Generali Italia s.p.a.

3. Propone appello la Società Cattolica di Assicurazione; si sono costituite Consip s.p.a. e Generali Italia s.p.a. che hanno depositato memorie ex art. 73, comma 1, Cod. proc. amm., cui è seguita replica della Società Cattolica di Assicurazione.

All’udienza pubblica del 16 gennaio 2020, la causa è stata assunta in decisione.

4. I primi due motivi di appello possono essere congiuntamente esaminati.

Con il primo motivo di appello la sentenza è censurata per “Error in iudicando: Omessa pronuncia. Eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto; erronea ed insufficiente motivazione; difetto di istruttoria”, con il secondo per “Violazione e falsa applicazione dell’art. 80, comma 4, del d.lgs. 50/2016 e dell’art. 48-bis del D.P.R. n. 602/1973. Eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto; erronea ed insufficiente motivazione; difetto di istruttoria”.

Il giudice di primo grado avrebbe omesso ogni pronuncia sulla mancanza di “gravità” delle violazioni tributarie accertate dall’Agenzia delle entrate (primo motivo di appello); e avrebbe errato nel considerare “definitivamente accertato” l’omesso pagamento di imposte e tasse (secondo motivo di appello).

4.1.Quanto al primo profilo, l’appellante assume che la sentenza non avrebbe considerato, omettendo di pronunciarsi sulla relativa censura, che gli erano state notificate cartelle di pagamento per un debito tributario pari a € 2.941,88: inferiore, dunque, alla soglia di tollerabilità fissata dall’articolo 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973 in un debito, purché contenuto in cartelle di pagamento, superiore a € 10.000,00 (ora € 5.000,00). Egli ribadisce, pertanto, che la violazione tributaria certificata dall’Agenzia delle entrate non era connotata dal requisito della “gravità”.

4.2. D’altra parte, la sentenza appellata avrebbe erroneamente ritenuto “definitivamente accertate” le violazioni tributarie contestate con gli atti impositivi, sebbene non ne fosse mai seguita alcuna cartella di pagamento ritualmente notificata: invece, per lo stesso appellante, ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara per carenza dei requisiti generali è definitivamente accertato solo un insoluto fiscale che è oggetto di specifica cartella di pagamento, ritualmente notificata.

5. I motivi sono infondati.

5.1. Le circostanze di fatto sono pacifiche e non contestate.

La Società Cattolica di Assicurazione, all’atto della verifica dei requisiti generali da parte della stazione appaltante, risultava destinataria di quindici cartelle di pagamento, per un debito tributario complessivo di € 2.941,88, nonché di un avviso di accertamento di € 42.986,00 e di un atto unico di contestazione di € 89.836,95. La società non ha allegato di aver impugnato gli atti impositivi.

 

L’appellante assume che, ai fini della “gravità” della violazione, andava considerato il solo debito tributario portato dalle cartelle di pagamento; e che comunque, a tener conto delle somme dovute in ragione degli altri impositivi, la violazione non era “definitivamente accertata”, per mancata notificazione delle conseguenti cartelle di pagamento.

5.2. La tesi non è condivisibile.

La causa di esclusione qui in rilievo è prevista dall’art. 80, comma 4, d.lgs. 12 aprile 2016, n. 50 in questi termini: «Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48 bis, commi 1 e 2 bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione».

Ai fini dell’ultima parte della disposizione, la giurisprudenza ha identificato tipologie di atti amministrativi che, divenuti inoppugnabili perché non tempestivamente impugnati ovvero confermati all’esito di un giudizio, danno luogo ad una siffatta fattispecie di violazione tributaria definitivamente accertata. Così è ad esempio per gli avvisi di accertamento e gli atti di contestazione ex art. 16 (Procedimento di irrogazione delle sanzioni) d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) e, nel caso in cui costituiscano il primo atto di esercizio della pretesa impositiva, anche le cartelle di pagamento (cfr. Cons. Stato, V, 8 aprile 2019, n. 2279; V, 27 luglio 2018, n. 1970; Cass., SS.UU., 14 maggio 2010, n. 11722).

5.3. La circostanza che all’avviso di accertamento non impugnato non sia seguita una cartella di pagamento (e, prima ancora, che non vi sia stata iscrizione a ruolo delle somme dovute) non è d’impedimento a ritenere la violazione definitivamente accertata. Infatti la cartella di pagamento è il primo atto della fase di riscossione, che può essere contestata per vizi formali, ma senza che possa più discutersi dell’esistenza del debito tributario, che è iscritto a ruolo solo dopo la definitività degli stessi (cfr. Cons. Stato, V, 3 aprile 2018, n. 2049). Sicché – ai fini contrattuali per cui è causa - non ha rilevanza l’argomento dell’appellante di essere ancora per lui possibile impugnare la cartella esattoriale all’atto della notifica.

Detto altrimenti e sempre con riguardo alla norma in esame, se la cartella di pagamento è mero strumento della riscossione che segue una notifica di un precedente avviso di accertamento (contenente una pregressa richiesta di pagamento di debito tributario), la definitività dell’accertamento decorre non già dalla notifica della cartella di pagamento, bensì da quella dell’avviso di accertamento (principio consolidato, cfr. Cons. Stato, V, 14 dicembre 2018, n. 7058; V, 12 febbraio 2018, n. 856).

Per le esposte considerazioni la sentenza di primo grado che ha considerato “definitivamente accertato” il debito tributario a carico della Società Cattolica di Assicurazioni per essere divenuto inoppugnabile l’avviso di accertamento (come pure l’atto di contestazione), senza attribuire rilevanza alla mancata notifica di una conseguente cartella di pagamento, merita conferma.

5.4. La violazione contestata, d’altra parte, appare in effetti essere «grave».

Sono “gravi” le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore a quello dell’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (Disposizioni sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 a mente del quale: «[…] le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a cinquemila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all'agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell'esercizio dell'attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo»

Il rinvio dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 ai commi 1 e 1 –bis dell’art. 48-bis è solo al fine di determinare la soglia di tollerabilità della violazione tributaria.

Pertanto, la circostanza che nell’art. 48 – bis il debito tributario – in presenza del quale il beneficiario del pagamento di una pubblica amministrazione è considerato inadempiente – sia riferito ad una “cartella di pagamento notificata”, non impone l’avvio della procedura di riscossione anche per disporre l’esclusione da una procedura di gara; come in precedenza chiarito il codice dei contratti pubblici ha autonomamente individuato gli atti impositivi dai quali può derivare una pretesa tributaria che, se definitivamente accertata, comporta l’esclusione dalla gara.

Per questo è irrilevante che le cartelle di pagamento notificate all’appellante ammontassero a poco più di duemila euro, dovendosi aver riguardo agli altri atti impositivi di cui la società era stata destinataria.

6. Con il terzo motivo di appello, l’appellante censura la sentenza per “Violazione dell’art. 80, comma 4, D.lgs n. 50/2016 e dell’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE e dei principi di cui al considerando (1). Falsa applicazione del principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 15/2018. Eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto, erronea ed insufficiente motivazione; difetto di istruttoria”.

Il motivo di appello è articolato in due censure; la prima di esse è diretta a dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non meritava di essere esclusa dalla procedura di gara poiché aveva, sia al momento di iscrizione al Sistema dinamico di acquisto della pubblica amministrazione, il 28 novembre 2017, sia successivamente, il 28 febbraio 2018, in sede di aggiornamento della propria situazione per intervenuta modifica delle cariche sociali, reso dichiarazioni veritiere sull’assenza di violazioni tributarie definitivamente accertate (come dimostrato dal certificato di regolarità fiscale rilasciato il 19 settembre 2017 con validità semestrale).

Nella seconda parte del motivo l’appellante contesta la validità del principio di continuità dei requisiti generali (a partire dalla data di presentazione della domanda e fino al momento dell’aggiudicazione) per requisiti diversi dall’attestazione SOA in relazione ad appalto di servizi, avendo Cons. Stato, Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8, enunciato detto principio di diritto proprio in relazione a tale requisito e per un appalto di lavori.

Per l’appellante, per requisiti diversi dall’attestazione SOA, in difetto di una “puntuale pronuncia nomofilattica”, deve ritenersi che gli unici momenti rilevanti ai fini del possesso dei requisiti di partecipazione siano la data di presentazione dell’offerta e il momento dell’aggiudicazione, momenti nei quali egli era fornito del requisito della regolarità contributiva avendo puntualmente corrisposto le somme dovute a titolo di debito tributario.

Diversamente opinando, conclude, sarebbe limitato il principio di massima partecipazione ed apertura alla concorrenza e per questo domanda che la questione, dell’estensione del principio di continuità nel possesso dei requisiti, sia rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ovvero all’Adunanza plenaria.

7. Il motivo è infondato.

7.1. Nella presente vicenda non rileva che l’appellante abbia reso, prima dell’avvio della procedura di gara, dichiarazioni veritiere sull’assenza di carichi tributari – o che, compilando l’allegato alla lettera di invito, non avesse dovuto pronunciarsi sull’esistenza di pregressi debiti tributari: ciò che rileva è che, all’atto dell’aggiudicazione, l’impresa era carente del requisito generale di regolarità tributaria.

7.2. La stazione appaltante, d’altronde, non avrebbe potuto evitare l’esclusione per essere, prima dell’aggiudicazione definitiva, avvenuto il pagamento dei debiti tributari; lo impediva il principio di necessaria continuità del possesso dei requisiti di partecipazione che non è, come sostiene l’appellante, riferito al solo possesso della SOA e valido per i soli appalti di lavori, ma si riferisce a tutti i requisiti generali e speciali di partecipazione e postula che gli stessi siano posseduti senza soluzione di continuità dal momento della presentazione della domanda di partecipazione all’aggiudicazione e per tutta la fase di esecuzione, qualora l’impresa sia aggiudicataria dell’appalto (per le più recenti: Cons. Stato, V, 17 marzo 2020, n. 1918; V, 16 dicembre 2019, n. 8514; V, 31 luglio 2019, n. 5441; V, 17 giugno 2019, n. 4046; V, 12 marzo 2018, n. 1543, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 5, in ciascuna delle quali è diverso il requisito di partecipazione del quale è prospettata la necessaria continuità nel possesso e tutte prendono le mosse da Cons. Stato, Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8)

Non v’era motivo – né, invero, l’appellante lo prospetta – per la quale l’orientamento giurisprudenziale vada riferito al solo caso del possesso dell’attestazione SOA; la circostanza che Cons. Stato, Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8 si sia pronunciata solamente su tale particolare fattispecie non può essere, da sola, ragione per restringere la portata di un principio che è stato enunciato con caratteri di generalità.

7.3. L’Adunanza plenaria, chiamata a vagliare proprio la prospettazione, che è ora dell’appellante, della possibilità di ritenere soddisfatto il possesso dei requisiti di partecipazione ove utilmente accertato all’atto della verifica dei requisiti, ha precisato: “…tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti, è appena il caso di rilevarlo, non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell'esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell'affidabilità del suo interlocutore "operatore economico" (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest'ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all'ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa, per quanto qui ne occupa, garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica. Diversamente ritenendo, del resto, la naturale flessibilità temporale dei momenti della procedura che l'Ordinanza di rimessione assume come "esclusivamente" rilevanti si tradurrebbe nella assoluta aleatorietà della collocazione, nell'arco temporale della procedura stessa, dei singoli momenti, nei quali ("soli") sarebbero richiesti il possesso a pena di esclusione dei requisiti e la sua prova; aleatorietà, questa, che, oltre a contrastare palesemente con i principii indefettibili della trasparenza e della par condicio che presiedono all'evidenza pubblica, finirebbe col collidere con la stessa esigenza, sottolineata dall'Ordinanza di rimessione in collegamento con il diritto dell'Unione, di "un controllo ragionevole, trasparente e proporzionato" in relazione a termini temporali, che la qui assunta (o, meglio, confermata) interpretazione del principio di continuità della sussistenza dei requisiti per tutta la durata della procedura consente, invece, di assicurare con caratteri di sufficiente certezza (quanto meno in relazione alla univocità delle conseguenze della perdita del requisito in qualunque momento della gara essa si collochi) sia per la stazione appaltante che per gli operatori concorrenti.”

Sono proprio le esposte ragioni che inducono ad escludere ogni dubbio di compatibilità con i principi di massima partecipazione ed apertura alla concorrenza e, dunque, consentono di respingere la richiesta di sollevare questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Nessun contrasto, né attuale né potenziale, sussiste perché possa ritenersi necessario rimettere la questione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ex art. 99, comma 1, Cod. proc. amm.

8. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado integralmente confermata.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna Società Cattolica di Assicurazione – società cooperativa al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in € 5,000,00 oltre accessori e spese di legge, a favore di ciascuna parte costituita, Consip s.p.a. e Generali Italia s.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato risponde al quesito: quando le irregolarità tributarie e fiscali sono gravi e definitive tali da legittimare l’esclusione dalle pubbliche gare?

L’occasione nasce dal ricorso presentato da una società di assicurazione arrivata prima in una gara di appalto per l’affidamento dei servizi di copertura assicurativa dei rischi connessi alla circolazione dei veicoli e dei natanti delle amministrazioni dello Stato, ma poi esclusa all’esito dei controlli che hanno rilevato debiti derivanti da cartelle di pagamento e avvisi di accertamento superiori alla soglia di tollerabilità.

A sostegno dell’impugnazione sono due i motivi di doglianza lamentati: 1) la “non gravità” delle violazioni tributarie accertate dall’Agenzia delle entrare; 2) la mancanza di una violazione fiscale “definitivamente accertata” considerato che agli atti impositivi non è seguita la notifica di cartelle di pagamento relative alle violazioni contestate. 

La risposta passa attraverso l’esame di due disposizioni di legge:

  • art. 80, comma IV, Dlgs n. 50/2016 «Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al all'articolo 8 del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande».
  • art. 48-bis DPR n. 602/1973 (disposizioni sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni):

« A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a cinquemila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo».

Da una interpretazione sistematica delle norme se ne deduce che gli operatori economici non sono legittimati a partecipare a gare pubbliche se risultano debitori di imposte e tasse per importi superiori a cinquemila euro accertati in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione.

Se, dunque, non crea problemi il concetto di “grave violazione”, essendo lo stesso parametrato ad un mero dato quantitativo (si ripete, grave è un debito superiore a cinquemila euro), maggiore approfondimento necessità il concetto di “definitività dell’accertamento”.

Deve premettersi che l’Agenzia delle Entrate si avvale dell’avviso di accertamento per chiedere al contribuente la regolarizzazione spontanea della evasione o della irregolarità fiscale, tanto al fine di evitare il pignoramento. Sessanta sono i giorni che la legge concede alla parte per impugnarlo, scaduti i quali l’accertamento, quand’anche infondato o irregolare, diventa definitivo anche senza previa notifica della cartella esattoriale.

Invero, con la cartella esattoriale l’adempimento, che prima veniva lasciato ad una mera volontà, diventa imposizione costituendo titolo esecutivo impugnabile solo per vizi propri (ad es. prescrizione, decadenza, vizi di notifica), non potendo più mettersi in discussione le irregolarità eventuali del precedente avviso di accertamento non contestato. Detto altrimenti, “la cartella di pagamento (che infatti non è atto del titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto incaricato della riscossione) costituisce solo uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale, cioè non possiede alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui l’obbligazione è stata enunciata, laddove è l’avviso di accertamento l’atto mediante il quale l’ente impositore notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente, a seguito di un’attività di controllo sostanziale” (Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2018, n. 856; id. 14 dicembre 2018, n. 7058; id. 3 aprile 2018, n. 2049).

Se ne deduce che, se la cartella di pagamento è mero strumento di riscossione che segue la notifica di un precedente avviso di accertamento, la definitività dell’accertamento decorre non già dalla notifica della cartella di pagamento, bensì da quella dell’avviso di accertamento.

Riportando tali considerazioni al caso pratico in esame è evidente l’infondatezza della pretesa della società appellante sotto il duplice profilo:

  1. della gravità dell’insoluto fiscale, di gran lunga superiore alla soglia dei cinquemila euro di tollerabilità previsti per legge (la società esclusa risulta infatti destinataria di quindici cartelle di pagamento, per un debito complessivo di €2.941,88, nonché di un avviso di accertamento di € 42.968,00 e di un atto unico di contestazione di € 89.836,95, tutti atti mai impugnati);
  2. e della definitività dell’accertamento (sono da considerare definitivi e nel computo totale del debito  anche le somme contestate con l’avviso di accertamento e l’atto di contestazione divenuti inoppugnabili anche in assenza della notifica della cartella di pagamento).

Né peraltro avrebbe potuto evitare l’esclusione per essere, prima dell’aggiudicazione definitiva, avvenuto il pagamento dei debiti tributari essendo di ostacolo il principio della necessaria continuità del possesso dei requisiti di partecipazione dal momento della presentazione della domanda di partecipazione all’aggiudicazione e per tutta la fase di esecuzione.

Benché il Consiglio di Stato nella Ad. Plen., 20 luglio 2015, n. 8 abbia ricollegato il principio di continuità al conseguimento della certificazione SOA (una attestazione di qualificazione per la partecipazione a gare di appalto per l’esecuzione di appalti pubblici di lavoro), non può essere, da sola, la ragione per restringere la portata applicativa di un principio enunciato con criteri di generalità tanto a garanzia della stazione appaltante, di conoscere in ogni tempo l’affidabilità dell’operatore economico, e dell’interesse degli operatori economici concorrenti di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti.