Cons. Stato, sez. III, 5 dicembre 2019, n. 8340

E' opinione ampiamente condivisa in giurisprudenza che l’amministrazione aggiudicatrice debba indicare, in ottemperanza alla prescrizione dell’art. 167 d.lgs. 50/2016, il valore presunto dell’affidamento e che, laddove impossibilitata per motivi oggettivi a farlo (perché, per esempio, il servizio viene affidato per la prima volta, oppure perché il concessionario uscente non ha voluto fornire il relativo dato), sia quantomeno tenuta a fornire gli elementi analitici a sua conoscenza che possano consentire ai concorrenti di formulare un’offerta seria (e cioè, per esempio, le indicazioni circa il potenziale bacino di utenza del servizio da affidare, i costi ed i benefici correlati al servizio stesso, la  base d’asta riferibile ai corrispettivi pagati dai precedenti gestori, etc.).
La stessa giurisprudenza in qualche caso radicalizza l’obbligo dell’amministrazione ed esclude, in relazione a “particolari tipologie di servizio”, che l’elaborazione del valore economico della concessione, per la complessità e varietà dei fattori in essa implicati, possa essere demandata ai concorrenti, anziché riservata alla stazione concedente (cfr. Cons. Stato, sez. III, nn. 434/2016; 2926/2017 e 127/2018). Logico corollario di tale impostazione è che la mera difficoltà operativa dell’amministrazione in ordine ai rapporti con il precedente gestore, in difetto di una impossibilità assoluta, non giustifica l’omessa indicazione del valore della concessione negli atti di gara (Cons. Stato, sez. V, 748/2017).
Risulta comunque chiaro che, in alternativa all’indicazione del valore direttamente stimato dalla stazione appaltante, sussiste (laddove possibile e giustificata) l’unica, ma residuale, variante dell’indicazione negli atti di gara di elementi conoscitivi analitici, approfonditi e, come tali, utili ad una ponderazione autonoma, da parte dei concorrenti in gara, dei profitti potenzialmente ricavabili dalla gestione del servizio. Tertium non datur. (…)

Peraltro  (…) rileva il fatto che l’articolo 30 del d.lgs. 50/2016, pur sottraendo le concessioni alle disposizioni riferite ai contratti pubblici, le assoggetta comunque al rispetto dei principi generali di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione e correttezza.
Come precisato anche dall’AVCP (ora ANAC), “l’esatto computo del valore del contratto assume rilevanza anche per garantire condizioni di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione (…) che si traducono nell’informare correttamente il mercato di riferimento sulle complessive e reali condizioni di gara” (cfr. deliberazione AVCP del 19 dicembre 2013, n. 40; Id., deliberazione del 25 febbraio 2010, n. 9). (…)

Non è un caso, d’altra parte, che l’art. 167 d.lgs. 50/2016 disponga che il valore stimato è calcolato al momento di avvio della procedura di affidamento della concessione (comma 2) e che i margini di scostamento da tale importo sono quelli consentiti dal comma 3: nel combinato disposto delle due previsioni trova conferma il carattere cogente e vincolante del valore riportato dagli atti di gara.

 

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3709 del 2019, proposto da
Azienda Unità Sanitaria Locale - Ausl n.4 di Teramo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sandro Salera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro 13;

contro

Pap S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto Colagrande e Gennaro Lettieri, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale Liegi 35/B;

nei confronti

Basilisco S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Cioffi, Michele De Cilla, Salvatore Napolitano, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Corso Trieste 16;

 

sul ricorso numero di registro generale 4606 del 2019, proposto da
Basilisco S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Cioffi, Michele De Cilla, Salvatore Napolitano, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Corso Trieste 16;

contro

Azienda Unita' Sanitaria Locale - Ausl n. 4 di Teramo - non costituita in giudizio;
Pap S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto Colagrande e Gennaro Lettieri, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale Liegi 35/B;

per la riforma

quanto ad entrambi i ricorsi:

della sentenza del T.a.r. Abruzzo - L'aquila: Sezione I n. 00129/2019, resa tra le parti, concernente l’affidamento in concessione del servizio di gestione bar all'interno del presidio ospedaliero di Teramo;

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pap S.r.l. e di Basilisco S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2019 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti gli avvocati Carlo Beneduci su delega dichiarata di Sandro Salera, Roberto Colagrande e Mario Cioffi per sé e su delega di Salvatore Napolitano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con bando di gara pubblicato il 7 dicembre 2017 l’Azienda Sanitaria Locale – AUSL n. 4 di Teramo ha indetto una procedura aperta, ai sensi dell’art. 60 d.lgs. n. 50/2016, “per l’affidamento in concessione del servizio di gestione bar all’interno del P.O. di Teramo”, della durata quadriennale con opzione di eventuale rinnovo massimo biennale.

2. All’esito della valutazione delle offerte, il seggio di gara ha riscontrato la sospetta anomalia dell’offerta della prima classificata Basilisco S.r.l. (gestore uscente del servizio) ed ha ritenuto, pertanto, di attivare il relativo sub-procedimento di verifica di congruità.

3. Con nota del 9 luglio 2018 e relativi allegati, la Basilisco S.r.l. ha fatto pervenire le proprie giustificazioni alla AUSL n. 4.

4. Alla ravvisata adeguatezza delle suddette giustificazioni, ha fatto seguito il provvedimento di aggiudicazione in favore della Basilisco S.r.l., avverso il quale è insorta la seconda classificata Pap S.r.l..

5. La controversia di primo grado si è concentrata sul fatto che l’offerta premiata da aggiudicazione è stata reputata sostenibile nella stima dei suoi costi (indicati in € 1.289.644,40, oltre IVA), nonostante gli stessi fossero stati rapportati non già al ricavo annuo (pari ad € 1.000.000,00) stimato dalla stazione appaltante ai sensi degli artt. 35 e 167 d.lgs. n. 50/2016 ed al quale si erano attenuti tutti gli altri partecipanti; ma ad un dato di esclusiva conoscenza ed elaborazione della Basilisco - ossia la presunta stima (pari a € 1.307.000,00, oltre IVA) dei pretesi e indimostrati ricavi conseguiti, quale concessionaria del servizio bar, nel solo anno 2017.

Oltre al fatto di non avere adeguatamente suffragato detta quantificazione ed averla inficiata con una serie di defalcazioni e sottostime di costi, ciò che principalmente è stato contestato alla Basilisco S.r.l. è di avere strumentalmente scelto di calibrare la propria proposta economica sulla base di una irrealistica e indimostrata previsione di ricavi asseritamente riveniente dai dati sulla precedente gestione del servizio, e ciò al premeditato fine di potere offrire migliorie tecniche e rialzi sull’offerta economica tali da garantirle i massimi punteggi e di primeggiare sulla concorrenza, attestatasi, al contrario, sul dato di stima indicato nel bando di gara.

6. Con sentenza n. 129/2019, il Tar Abruzzo ha accolto il ricorso proposto da Pap S.r.l., rappresentando, dopo una breve premessa di inquadramento giuridico della fattispecie in esame, che: “la ASL non ha verificato la sostenibilità dell’offerta dell’aggiudicataria, ma si è limitata a considerare attendibili i dati allegati a chiarimento della controinteressata. Innanzitutto non è documentato il valore dei ricavi annuali sulla base del quale l’aggiudicataria ha inteso giustificare i costi della gestione e i rialzi offerti, né rileva in senso contrario il bilancio dell’esercizio 2017 versato in atti perché privo di alcun riferimento all’attività di gestione del bar del P.O. di Teramo, né è stato dedotto e tantomeno provato che la Basilisco S.r.l. abbia, in detto periodo, esercitato solo la gestione del bar del P.O. e che, quindi, il bilancio in questione sia sicuramente ed esclusivamente riferibile a detta attività. Inoltre, il valore dei ricavi considerato dall’aggiudicataria modifica le condizioni di gara perché è riferito ad un solo anno in aperto contrasto con le stesse modalità di stima dei ricavi che il bando considera su base quadriennale, ricavandone una media annua di € 1.000.000.

Appare quindi evidente, sotto il primo profilo, che il giudizio di congruità si basa, come le giustificazioni addotte dall’aggiudicataria, su un dato del tutto indimostrato e parziale, sicché il sospetto di anomalia non poteva ritenersi superato. Sotto il secondo profilo, tale dato altera la par condicio fra i concorrenti nel momento in cui, senza alcuna giustificazione, se ne ammette l’idoneità a fungere da parametro di verifica della congruità dell’offerta, in deroga al valore presunto dei ricavi posto a base di gara, la cui funzione non è, per quanto premesso il linea di principio, solo quella di orientare i concorrenti nel formulare una offerta consapevole, ma di porre un vincolo uniforme a tutti i concorrenti allo scopo di neutralizzare il vantaggio competitivo del concessionario uscente. Basta infatti considerare che il bando, tanto se avesse previsto ex ante la possibilità di giustificare l’offerta in deroga al valore presunto dei ricavi, sulla base di un altro valore assunto ad nutum dai concorrenti, quanto se avesse consentito di giustificare l’offerta sulla base dei ricavi storici del servizio – non esplicitati nel bando e dunque conosciuti dal solo concessionario uscente – si sarebbe posto in violazione, nel primo caso, con l’art. 167 del decreto legislativo. 50/2016 che demanda alla stazione appaltante di calcolare detto valore secondo un metodo oggettivo, e, nel secondo caso, con i principi di libera concorrenza e non discriminazione posti dall’art. 30 del decreto legislativo n. 50/2016 che vietano di attribuire vantaggi competitivi o informativi solo ad alcuni concorrenti. Del pari, l’aver reso possibili entrambi gli effetti sopra descritti in fase di verifica dell’anomalia, accreditando il diverso valore della concessione allegato dall’aggiudicataria, perché non dimostrato e, comunque, solo ad essa noto, viola tutti i richiamati principi”.

7. Appellano in questa sede, con due distinti ricorsi, l’Azienda Sanitaria Locale – AUSL n. 4 di Teramo (R.G. 3709/2019) e la Basilisco S.r.l. (R.G. 4606/2019).

8. Nel primo procedimento si sono costituite in giudizio la Pap s.r.l. e la Basilisco S.r.l., replicando, rispettivamente, in senso contrario ed a favore delle tesi esposte dalla parte appellante.

La Pap ha anche riproposti i motivi dedotti nel primo grado di giudizio e assorbiti dal Tar.

9. Nel secondo procedimento si è costituita la sola Pap s.r.l., senza svolgere deduzioni difensive e limitandosi a chiedere la riunione dei due appelli.

10. A seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare nel procedimento R.G. 3709/2019 (disposto con ordinanza n. 2617/2019) e della rinuncia all’istanza cautelare nel procedimento R.G. 4606/2019, effettuato lo scambio di memorie ex art. 73 c.p.a., le due cause sono state contestualmente discusse e poste in decisione all’udienza pubblica del 17 ottobre 2019.

DIRITTO

1. I profili di connessione soggettiva e oggettiva che legano i due procedimenti, convergenti sui medesimi atti contestati ed accomunati da una base deduttiva coincidente, ne suggeriscono la trattazione unitaria, ai sensi dell’art. 70 c.p.a..

2. Nel merito, occorre premettere che:

i) ai sensi dell’art. II.2.1 del Bando e dell’art. 1 del Capitolato “il valore della gara, stimato sulla base dei corrispettivi che la ditta aggiudicataria potrà percepire dai servizi oggetto di concessione è pari a 6.000.000,00 EUR I.V.A. esclusa riferito all’intera durata contrattuale massima prevista di anni sei in cui è computato il valore relativo ai primi quattro anni di contratto (4 000 000,00 EUR) ed il valore dell’opzione di eventuale rinnovo massimo biennale (2 000 000,00 EUR)”;

ii) ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 e 27 del Disciplinare di gara, l’offerta economica si doveva comporre di due elementi: il canone di concessione, che l’operatore economico era chiamato ad offrire sotto forma di rialzo percentuale sul canone di concessione annuo posto a base di gara, pari ad € 200.000,00, IVA esclusa; nonché l’aggio sul fatturato, offerto quale percentuale di rialzo al netto del minimo ammesso, pari al 7%;

iii) più esattamente, l’art. 22 del Capitolato speciale dispone che “il canone di concessione si compone di una parte fissa e di una parte variabile. La parte fissa non potrà essere inferiore ad € 200.000,00 annui; la parte variabile è invece rappresentata dalla percentuale di aggio sul fatturato calcolato sul risultato conseguito nella gestione del servizio bar così come documentato dai registri dei corrispettivi e/o dai registratori di cassa. Tale percentuale non potrà essere inferiore al 7%”;

iv) la società Basilisco ha formulato la propria offerta economica nei seguenti termini:

- canone di concessione, percentuale di rialzo 38%, pari ad € 276.000,00 annui IVA esclusa;

- aggio sul fatturato, percentuale offerta 17%, pari ad un rialzo del 10% rispetto alla percentuale minima ammessa del 7%.

3. Ciò posto, con i primi due motivi di appello, che per evidente connessione logica possono essere trattati congiuntamente, l’Azienda sanitaria deduce innanzitutto il preteso travisamento dei fatti da parte del Giudice di primo grado, con correlato vizio di illogicità e contradditorietà della motivazione da questi resa.

A suo dire il Tar: i) per un verso, avrebbe omesso di considerare la documentazione dalla quale risulta il valore dei ricavi annuali sulla base dei quali Basilisco ha inteso giustificare i costi della gestione e i rialzi offerti (cfr. pag. 5 dell’appello), giungendo ad invertire l’onere della prova in danno di quest’ultima ed ignorando, pertanto, che la prova contraria alle risultanze documentali era dovuta dalla parte ricorrente; ii) per altro verso, avrebbe errato nel ritenere che il valore dei ricavi considerato dall’aggiudicataria fosse modificativo delle condizioni di gara, in quanto riferito ad un solo anno, laddove quello stimato a base di gara risultava ragguagliato ad una media annua su base quadriennale (cfr. pag. 6 dell’appello). Al contrario, l’appellante sostiene che il valore indicato dalla Basilisco esprimeva una media annua e non era affatto riferito ad un solo anno; iii) ulteriore rilievo attiene all’assunto, fatto proprio dal primo giudice, secondo il quale l’Azienda sanitaria non avrebbe in alcun modo verificato la sostenibilità dell’offerta economica dell’aggiudicataria, essendosi limitata a considerare attendibili i dati allegati in sede di giustificazione dalla Basilisco S.r.l..

In dissenso da tale impostazione, la parte appellante osserva che: a) sul piano formale-procedimentale, la possibilità di esprimere la valutazione di congruità in senso adesivo alle giustificazioni fornite dalla parte e, quindi, con motivazione per relationem alle stesse, è ampiamente ammessa dalla giurisprudenza; b) nel merito della valutazione espressa, l’utile medio rilevabile dall’offerta della Basilisco risulta lineare rispetto ai valori di mercato di un’azienda operante nel settore qui di interesse, mentre la voce dei ricavi riportati nell’offerta de qua appare prudenziale e suscettibile di correzione al rialzo, in quanto non tiene conto degli ulteriori ricavi che potrebbero derivare dall’adeguamento dei prezzi nonché dagli incrementi degli incassi derivanti dal restyling dei locali e dall’installazione della linea self service. Pertanto, sotto tutti i profili considerati, formali e sostanziali, il giudizio di congruità risulterebbe del tutto immune da rilievi.

3.1. I motivi sin qui riepilogati non possono essere accolti.

All’esito del confronto dialettico sviluppatosi attraverso lo scambio delle memorie in atti, risultano immutati i dati salienti sulla cui base il giudice di primo grado ha argomentato le proprie conclusioni, ovvero che:

a) dal bilancio d’esercizio al 31.12.2017 di Basilisco S.r.l. (o, per meglio dire, dal relativo “conto economico” – depositato solo nel corso del giudizio di primo grado e non nel corso del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta) non si ricava la dimostrazione dell’entità dei ricavi delle vendite e delle prestazioni per l’anno 2017 riferite alla gestione del bar interno al P.O. di Teramo. Tale documento, infatti, non contiene indicazioni in ordine alla provenienza dei ricavi, non distingue i vari introiti né tantomeno rende possibile evincere quali e quante siano le attività aziendali gestite dall’impresa;

b) il valore dei ricavi preso a riferimento da Basilisco S.r.l. e riconducibile all’anno 2017, ovverosia ad un solo anno di gestione, appare pertanto indimostrato e comunque incongruo e incoerente con quello posto a base di gara, siccome riferito e calibrato, per l’appunto, su un quadriennio di durata della gestione del servizio.

3.2. Gli ulteriori documenti (bilanci, registri contabili e certificati camerali) richiamati dalla Basilisco e riferiti a tutti gli anni di gestione del servizio bar dal 2015 al 2018, non sono ammissibili ai sensi dell’art. 104 comma 2 c.p.a., in quanto - come puntualmente eccepito dalla parte resistente - prodotti per la prima volta solo nel giudizio di appello (il 31 maggio e 26 settembre 2019).

E’ appena il caso di richiamare, in proposito, il principio per il quale la produzione di nuovi mezzi di prova nel grado di appello è subordinata alla duplice e alternativa condizione: i) della sussistenza di una causa non imputabile che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado; ii) della loro indispensabilità ai fini della decisione, la quale, peraltro, lungi dal potersi intendere come mera rilevanza dei fatti dedotti, postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l'onere di fornire tempestivamente, nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 3142/2017; n. 4703/2017 e n. 3329/2019).

Entrambe le suddette condizioni nel caso di specie non risultano allegate dalla parte interessata, né altrimenti verificabili.

3.3. Né rileva sostenere, in difetto di elementi di prova a riscontro, che le suddette circostanze erano a perfetta conoscenza dell’AUSL, in virtù del pregresso rapporto di gestione del bar e dei dati di bilancio.

Vero è, infatti, che la stessa Azienda sanitaria ha affermato nel corso del primo grado di giudizio di non essere in possesso “dei dati sul fatturato realizzati dall’attuale gestore” (v pag. 6 della memoria di costituzione datata 1 dicembre2018).

3.4. Alla stregua di tali considerazioni, risulta decisivo, assorbente e meritevole di conferma il rilievo circa il carattere del tutto indimostrato e parziale del dato economico sulla base del quale, dapprima la parte offerente, quindi la stazione appaltante, hanno ritenuto di supportare il giudizio di sostenibilità dell’offerta e di superare il sospetto di anomalia. Parimenti, resta valido - in quanto non efficacemente confutato - anche l’ulteriore rilievo accolto dal Tar volto ad evidenziare l’incongruenza tra il valore dei ricavi preso a riferimento da Basilisco S.r.l. e quello posto a base di gara, siccome riferito e calibrato, per l’appunto, su un quadriennio di durata della gestione del servizio. Discostandosi da tale parametro, l’aggiudicataria non ha operato una media dei suoi ricavi nel quadriennio di precedente gestione del servizio bar, ma si è limitata, al contrario, a modulare la propria offerta sui presunti ricavi conseguiti nell’anno 2017, ovverosia su un solo anno di gestione.

3.5. Deve essere respinto anche l’ulteriore assunto per cui il giudice di primo grado, nel censurare tali incongruenze, avrebbe indebitamente invaso l’ambito delle valutazioni di merito e tecniche riservato alla stazione aggiudicatrice, trascurando di considerare sia gli stringenti limiti al sindacato giurisdizionale in materia di verifica dell’anomalia dell’offerta; sia la peculiare natura del contratto oggetto di affidamento (concessione di servizio).

In realtà, la carenza riscontrata dal Tar si pone a monte delle valutazioni di merito, in quanto intercetta un dato conoscitivo preliminare (il valore dei ricavi), addotto dalla stessa offerente a dimostrazione della sostenibilità della propria offerta.

3.6. Ciò posto, la contestazione svolta dalla Pap in primo grado ha correttamente colto la incongruenza e l’inadeguatezza delle giustificazioni rese dall’impresa aggiudicataria rispetto agli oggettivi dati di riferimento della lex specialis, del tutto obliterati nel giudizio di anomalia motivato “per relationem”; e, pur tenendo presente il differente meccanismo remunerativo ed il meccanismo di traslazione del rischio che distinguono l’appalto dalla concessione, nessuna obiettiva differenza può ravvisarsi tra le due tipologie contrattuali in ordine alla necessità che l’offerta presentata dal concorrente, tanto in un caso quanto nell’altro, si riveli seria e attendibile oltre che in grado di ripagarlo degli investimenti e delle prestazioni svolte (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2944/2018). Sicché anche sotto questo specifico profilo non si ravvisano spazi di plausibile critica alla pronuncia del Tar.

4. Con il terzo e quarto motivo di appello, l’Azienda sanitaria contesta l’affermazione del primo giudice secondo la quale, operando nel modo qui censurato, la stazione appaltante avrebbe leso la par condicio tra i concorrenti: in senso contrario la ricorrente segnala il fatto che la verifica di congruità non può essere effettuata tramite un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, ma solo avendo riguardo agli elementi che compongono l’offerta dell’impresa e alle sue capacità (cfr. pagg. 9-10 dell’appello).

D’altro canto, nel caso in esame non vi sarebbe stata alcuna violazione delle previsioni del codice dei contratti pubblici (artt. 167 e 30 del decreto legislativo n.50/2016), in quanto nelle concessioni di servizi la stima del valore dei ricavi che il servizio può generare, posta dalla stazione appaltante a base di gara, non è vincolante per i concorrenti, sicché questi rimangono liberi di offrire un importo diverso, che consenta loro di massimizzare il guadagno derivante dalla concessione, con l’unico limite della ragionevolezza dell’offerta sotto il profilo della sostenibilità e serietà (cfr. pagg. 11-12 dell’appello).

4.1. Anche tali motivi paiono infondati.

4.2. Anzitutto, la piana lettura della pronuncia appellata induce ad escludere che il giudice di primo grado abbia inteso affermare che la verifica di congruità debba essere condotta attraverso una valutazione comparativa delle offerte in gara.

Al contrario, il Tar ha stigmatizzato la scelta della stazione appaltante di assumere, quale parametro di verifica della congruità dell’offerta, un dato economico (i ricavi realizzati nella gestione pregressa) rientrante nell’esclusiva sfera conoscitiva del gestore uscente; e, comunque, difforme dal valore presunto dei ricavi indicato dal bando in modo uniforme per tutti i concorrenti.

Questa scelta ha ingenerato un evidente vantaggio competitivo per il concessionario uscente – unico depositario di dati in suo esclusivo possesso ed ignoti agli altri concorrenti; ed un effetto spiazzante in danno di questi ultimi, indotti a formulare offerte sul valore indicato dalla stazione appaltante, in assenza di altre fonti dalle quali potere attingere elementi utili alla ponderazione di una proposta economica alternativa, sostenibile e aderente alle effettive potenzialità redditizie del servizio oggetto di gara.

In termini ancora più nitidi il giudice di primo grado ha poi aggiunto che detto effetto di alterazione della par condicio si sarebbe comunque determinato sia che il bando “.. avesse previsto ex ante la possibilità di giustificare l’offerta in deroga al valore presunto dei ricavi, sulla base di un altro valore assunto ad nutum dai concorrenti”; sia che “..avesse consentito di giustificare l’offerta sulla base dei ricavi storici del servizio – non esplicitati nel bando e dunque conosciuti dal solo concessionario uscente”. In entrambi i casi, infatti, la lex specialis si sarebbe posta in evidente violazione, nel primo caso, dell’art. 167 del decreto legislativo 50/2016 “che demanda alla stazione appaltante di calcolare detto valore secondo un metodo oggettivo”; e, nel secondo caso, dei “principi di libera concorrenza e non discriminazione posti dall’art. 30 del decreto legislativo n. 50/2016 che vietano di attribuire vantaggi competitivi o informativi solo ad alcuni concorrenti. Del pari, l’aver reso possibili entrambi gli effetti sopra descritti in fase di verifica dell’anomalia, accreditando il diverso valore della concessione allegato dall’aggiudicataria, perché non dimostrato e, comunque, solo ad essa noto, viola tutti i richiamati principi”.

4.3. La AUSL appellante, al fine di superare i rilievi sin qui illustrati, sostiene la tesi secondo cui la stima del valore dei ricavi che il servizio può generare, posta dalla stazione appaltante a base di gara, non è vincolante per i concorrenti, sicché questi rimangono liberi di offrire un importo diverso, che consenta loro di massimizzare il guadagno derivante dalla concessione, con l’unico limite della ragionevolezza dell’offerta sotto il profilo della sostenibilità e serietà.

4.4. L’assunto si espone ad obiezioni stringenti, sul piano ermeneutico e logico.

4.4.I) Quanto al primo profilo, è opinione ampiamente condivisa in giurisprudenza che l’amministrazione aggiudicatrice debba indicare, in ottemperanza alla prescrizione dell’art. 167 d.lgs. 50/2016, il valore presunto dell'affidamento e che, laddove impossibilitata per motivi oggettivi a farlo (perché, per esempio, il servizio viene affidato per la prima volta, oppure perché il concessionario uscente non ha voluto fornire il relativo dato), sia quantomeno tenuta a fornire gli elementi analitici a sua conoscenza che possano consentire ai concorrenti di formulare un'offerta seria (e cioè, per esempio, le indicazioni circa il potenziale bacino di utenza del servizio da affidare, i costi ed i benefici correlati al servizio stesso, la base d'asta riferibile ai corrispettivi pagati dai precedenti gestori, etc.).

La stessa giurisprudenza in qualche caso radicalizza l’obbligo dell’amministrazione ed esclude, in relazione a “particolari tipologie di servizio”, che l’elaborazione del valore economico della concessione, per la complessità e varietà dei fattori in essa implicati, possa essere demandata ai concorrenti, anziché riservata alla stazione concedente (cfr. Cons. Stato, sez. III, nn. 434/2016; 2926/2017 e 127/2018). Logico corollario di tale impostazione è che la mera difficoltà operativa dell’amministrazione in ordine ai rapporti con il precedente gestore, in difetto di una impossibilità assoluta, non giustifica l’omessa indicazione del valore della concessione negli atti di gara (Cons. Stato, sez. V, 748/2017).

Risulta comunque chiaro che, in alternativa all’indicazione del valore direttamente stimato dalla stazione appaltante, sussiste (laddove possibile e giustificata) l’unica, ma residuale, variante dell’indicazione negli atti di gara di elementi conoscitivi analitici, approfonditi e, come tali, utili ad una ponderazione autonoma, da parte dei concorrenti in gara, dei profitti potenzialmente ricavabili dalla gestione del servizio.

Tertium non datur.

Nel caso di specie, la stazione appaltante si è limitata ad indicare una stima presunta dei ricavi, senza fare menzione di fattori conoscitivi ulteriori che potessero porre i concorrenti nella condizione di prescindere dal valore stimato (o di integrarlo in parte) attraverso un autonoma elaborazione del rapporto costi/benefici.

Vero è, infatti, che l’art. 2 del capitolato fornisce taluni dati sulla dimensione economica del servizio da affidare, utili alla “definizione del bacino di utenza potenziale dell’esercizio”, quali il numero di posti letto e, con riferimento all’anno 2016, i giorni di apertura dell’attività ambulatoriale, le giornate di degenza ed i dipendenti in servizio.

Tuttavia, si tratta di elementi sommari - che la stessa stazione concedente si premura di segnalare come “meramente indicativi” - oltre che parziali e, per tutta evidenza, inidonei all’elaborazione di un calcolo di convenienza economica funzionale alla formulazione di una seria offerta; né sussistono indicazioni nella legge di gara che consentano di ritenere che il valore dei ricavi ivi indicato fosse surrogabile da una autonoma stima dell’operatore concorrente, formulabile, in ipotesi, sulla base dei pochi fattori conoscitivi innanzi richiamati. D’altra parte, la devoluzione del calcolo ai concorrenti non si sarebbe potuta giustificare neppure sulla base di una riscontrabile condizione di impossibilità oggettiva all’elaborazione del valore della concessione direttamente da parte della stazione concedente.

4.4.II) Non convince, infine, la tesi delle appellanti secondo la quale - attraverso la predeterminazione di un valore statico della concessione - si sarebbe trasferito il rischio d'impresa dal concessionario all'Amministrazione, con conseguente stravolgimento di quello che è lo specifico della concessione di servizi rispetto all'appalto.

Invero, il rischio imprenditoriale di cui il concessionario è portatore discende non solo dal flusso di accesso degli utenti al servizio e dalle variazioni di mercato, ma anche da scelte dell'imprenditore in merito all'organizzazione dei propri mezzi e delle modalità di offerta del servizio, in quanto capaci di orientare la domanda e di condizionare, almeno in una certa misura, i fattori esogeni sopra indicati; pertanto, la previa stima approssimativa del fatturato compiuta dalla stazione appaltante non è neanche astrattamente idonea a neutralizzare tale alea imprenditoriale.

4.4.III) Sul piano fattuale, la disapplicazione del valore riportato nel bando di gara ha ingenerato un evidente disparità di mezzi competitivi tra il gestore uscente e gli altri concorrenti, che l’amministrazione qui appellante non si fa carico di confutare neppure sul piano strettamente logico, non rinvenendosi alcuna considerazione in replica alla constatazione della chiara divaricazione di mezzi e di possibilità che, per il modo in cui si è atteggiata la conduzione della gara, è venuta a prodursi tra gli operatori in gara. Uno solo di questi, infatti, ha potuto avvalersi dei soli ulteriori dati oggettivi, utili ad una autonoma ricostruzione dell'effettivo margine di guadagno ricavabile dalla concessione e, quindi, al superamento della stima presuntiva posta a base di gara. Gli altri concorrenti non hanno potuto che attenersi all’unico dato conoscitivo loro offerto, viepiù maturando, nelle condizioni date, un legittimo e del tutto ragionevole affidamento circa il fatto che quello stesso dato avrebbe costituito la base comune, esclusiva e uniforme, sulla quale si sarebbe svolto il confronto competitivo.

La disparità di trattamento è emblematicamente rappresentata sia dal fatto che alla indicazione del bando si sono coerentemente e debitamente attenuti, nella predisposizione delle relative offerte, tutti i concorrenti in gara, ad eccezione della sola Basilisco S.r.l.; sia dalla evidente differenza tra i rialzi sul canone di concessione e sull’aggio sul fatturato riscontrabile nel confronto tra l’offerta della Basilisco (rispettivamente, pari al 38% e al 17%) e quelle delle altre partecipanti (rispettivamente, tra il 2,50% e il 15% e tra il 7,50% e l’8,25%).

4.4.IV) Peraltro, posta la pacifica riconduzione dell'affidamento del servizio di bar all'interno di un complesso ospedaliero nel genus della concessione di servizi – rileva il fatto che l'articolo 30 del d.lgs. 50/2016, pur sottraendo le concessioni alle disposizioni riferite ai contratti pubblici, le assoggetta comunque al rispetto dei principi generali di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione e correttezza.

Come precisato anche dall’AVCP (ora ANAC), “l’esatto computo del valore del contratto assume rilevanza anche per garantire condizioni di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, ex art. 2, comma 1, D.L.vo n. 163 del 2006 che si traducono nell’informare correttamente il mercato di riferimento sulle complessive e reali condizioni di gara” (cfr. deliberazione AVCP del 19 dicembre 2013, n. 40; Id., deliberazione del 25 febbraio 2010, n. 9).

Nel caso di specie e con riguardo al sin qui descritto andamento delle operazioni di gara, è innegabile che a tali principi sia stato inferto un oggettivo vulnus, conseguente alla valorizzazione premiale di una offerta formulata su elementi economici noti solo ad un operatore e, quindi, in condizioni di evidente scarsa trasparenza e di patente discriminazione tra concorrenti.

4.4.V) Una volta chiariti la ratio e i limiti di possibile deroga alla regola che rimette alla stazione concedente la fissazione del valore presunto dei ricavi, ed appurate le ovvie implicazioni con i principi di trasparenza e parità di trattamento di cui la stessa regola è innervata - diventa conseguente desumerne che i concorrenti, nella formulazione delle loro offerte, non possono decampare dal valore posto a base di gara, pena la sostanziale vanificazione dell’insieme di principi sin qui richiamati.

4.4.VI) Non è un caso, d’altra parte, che l’art. 167 d.lgs. 50/2016 disponga che il valore stimato è calcolato al momento di avvio della procedura di affidamento della concessione (comma 2) e che i margini di scostamento da tale importo sono quelli consentiti dal comma 3: nel combinato disposto delle due previsioni trova conferma il carattere cogente e vincolante del valore riportato dagli atti di gara.

4.5. Va quindi conclusivamente respinta l’opposta tesi avanzata in proposito dalle parti appellanti e intesa a sostenere il carattere meramente orientativo e derogabile del valore di stima indicato dalla stazione concedente.

5. In aggiunta ai rilievi già esaminati, ma con più specifica attenzione al contenuto della legge di gara, la Basilisco s.r.l. argomenta la tesi secondo cui proprio il Capitolato speciale avrebbe imposto alle imprese concorrenti di formulare l’offerta tenendo conto del fatturato concreto, ovvero del fatturato “calcolato sul risultato conseguito nella gestione del servizio bar così come documentato dai registri dei corrispettivi e/o registratori di cassa” (art. 22 capitolato); sicché l’importo indicato nel bando dalla stazione concedente avrebbe avuto la sola funzione di orientare gli operatori economici nel formulare le proprie proposte economiche.

5.1. In realtà, le disposizioni richiamate dalla parte appellante non forniscono, ad una attenta lettura, alcuna base alla tesi argomentata.

L’art. 22 del Capitolato speciale stabilisce espressamente che la parte variabile del corrispettivo (canone) che l’aggiudicatario sarà tenuto a corrispondere all’AUSL consiste nella percentuale di aggio sul fatturato, calcolata “sul risultato conseguito nella gestione del servizio bar così come documentato dai registri dei corrispettivi e/o dai registratori di cassa. Tale percentuale non potrà essere inferiore al 7%”. Dal che si ricava che la parte variabile del canone che il concessionario dovrà corrispondere alla AUSL sarà calcolata sull’effettivo fatturato prodotto, nella percentuale offerta.

Tuttavia:

- la prima parte del medesimo art. 22 stabilisce che il canone di concessione si compone anche di una parte fissa la quale “non potrà essere inferiore ad € 200.000,00 annui”;

- ergo, l’indicazione cui fa riferimento la Basilisco si riferisce esclusivamente alla definizione della “parte variabile” del canone di concessione, parte variabile che, per l’appunto, è costituita da una percentuale di aggio sul fatturato futuro effettivamente conseguito. Non si rinviene, invece, in tale previsione, una qualche stima o metodo di calcolo da prendere in considerazione ai fini della predisposizione dell’offerta da presentare;

- d’altra parte, le concorrenti non avevano alcuna possibilità di conoscere in anticipo quale sarebbe stato il risultato economico risultante dalla gestione del bar, potendo al più – come detto – solo fare affidamento sulle stime individuate a base di gara, che venivano, quindi, a costituire l’unica base di riferimento utile.

6. Sempre la Basilisco sostiene che, nella fattispecie in esame, la mancata corrispondenza tra l’importo del fatturato stimato dall’AUSL e il ricavo effettivo conseguito dal precedente gestore, al più, avrebbe potuto integrare un vizio della lex specialis di gara e giustificarne un’impugnazione, nella parte in cui la stessa non riporta i dati relativi ai ricavi storici del servizio ovvero non li traduce in una stima attendibile e congrua.

6.1. Il rilievo è privo di fondamento logico. Non si coglie la ragione per la quale Pap avrebbe dovuto impugnare la normativa di gara e, segnatamente, il valore della concessione stimato dalla stazione appaltante, posto che alcun vulnus le è derivato dalla predetta stima, rispetto alla quale non ha addotto alcuna contestazione ed alla quale si è pienamente attenuta (al pari di tutti gli altri concorrenti) nella predisposizione della propria offerta, viepiù invocandola, nel ricorso di primo grado, quale metro di giudizio ai fini della verifica dell’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria.

6.2. Semmai avrebbe dovuto essere interesse di Basilisco S.r.l. impugnare con ricorso incidentale la predetta stima posta a base di gara, dalla quale ha deciso di discostarsi siccome ritenuta non realistica e tale da non consentirle di calibrare la propria offerta su quelli che ha ritenuto essere i dati reali dei ricavi derivanti dalla gestione del servizio.

7. In conclusione, i due appelli riuniti devono essere integralmente respinti e la sentenza di primo grado confermata, sulla base delle ragioni sin qui illustrate che, in parte, ne integrano la motivazione.

8. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti,

li riunisce e li respinge entrambi.

Condanna le parti appellanti a rifondere in favore della società appellata Pap s.r.l. le spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi €. 4.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2019.

 

GUIDA ALLA LETTURA

Nella fattispecie oggetto della sentenza in commento l’Ente concedente, per determinare la congruità delle offerte, aveva fatto riferimento ai ricavi realizzati dal gestore uscente.

In particolare, la seconda classificata lamentava il fatto che nell’offerta dell’aggiudicatario i costi erano stati rapportati non già al ricavo annuo stimato dalla stazione appaltante, bensì ai ricavi che lo stesso aggiudicatario – concessionario uscente – aveva realizzato nell’ultimo anno. Essa lamentava che in tal modo l’aggiudicatario aveva potuto permettersi di proporre delle migliorie tecniche e dei rialzi sull’offerta tali da garantirle l’attribuzione di un punteggio maggiore. 

Il TAR aveva accolto il ricorso proposto dalla seconda classificata, per i seguenti motivi:

- il bilancio di esercizio depositato dall’aggiudicataria non permetteva di individuare l’entità dei ricavi realizzati dall’aggiudicatario nell’ultimo anno;

- in ogni caso, il valore di tali ricavi era relativo ad un solo anno di gestione, mentre il valore stimato dall’Ente era riferito ad un quadriennio;

Il CDS ritiene che tale criterio di valutazione di congruità delle offerte abbia leso la par condicio nei confronti degli altri concorrenti, in quanto:

- i suddetti ricavi erano a conoscenza solo ed esclusivamente del gestore uscente, e quindi quest’ultimo si trovava nella posizione privilegiata di poter formulare un’offerta congrua

- si trattava di un criterio in palese contrasto con l’art. 167 del D.lgs. 50/2016 (d’ora in poi “Codice”), il quale stabilisce che il valore stimato deve essere determinato “secondo un metodo oggettivo”   

L’art. 167 del Codice prevede che il valore stimato della concessione “è calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione. Nel calcolo del valore stimato della concessione, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori tengono conto, se del caso, in particolare dei seguenti elementi:

a) il valore di eventuali forme di opzione ovvero di altre forme comunque denominate di protrazione nel tempo dei relativi effetti;

b) gli introiti derivanti dal pagamento, da parte degli utenti dei lavori e dei servizi, di tariffe e multe diverse da quelle riscosse per conto dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore;

c) i pagamenti o qualsiasi vantaggio finanziario conferito al concessionario, in qualsivoglia forma, dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore o da altre amministrazioni pubbliche, incluse le compensazioni per l'assolvimento di un obbligo di servizio pubblico e le sovvenzioni pubbliche di investimento;

d) il valore delle sovvenzioni o di qualsiasi altro vantaggio finanziario in qualsivoglia forma conferiti da terzi per l'esecuzione della concessione;

e) le entrate derivanti dalla vendita di elementi dell'attivo facenti parte della concessione;

f) il valore dell'insieme delle forniture e dei servizi messi a disposizione del concessionario dalle amministrazioni aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori, purché siano necessari per l'esecuzione dei lavori o la prestazione dei servizi;

g) ogni premio o pagamento o diverso vantaggio economico comunque denominato ai candidati o agli offerenti”.

I principi affermati dal CDS vanno esaminati alla luce di quanto segue.

Lo stesso art. 167, al comma 3, prevede che “Se il valore della concessione al momento dell'aggiudicazione è superiore di più del 20 per cento rispetto al valore stimato, la stima rilevante è costituita dal valore della concessione al momento dell'aggiudicazione”.

Quindi, quando si tratta di concessione, l’importo dell’aggiudicazione potrebbe anche essere superiore all’importo stimato: in tal caso la concessione verrà affidata per tale maggior importo (purchè tale maggiorazione superi il limite del 20%).

La ratio della norma è questa:

- il concessionario si remunera con i proventi della gestione

- l’equilibrio economico – finanziario dell’investimento rappresenta il presupposto per la corretta allocazione del c.d. rischio operativo (art. 165 comma 2), ossia del rischio che non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti;

- per “equilibrio economico e finanziario” si intende la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell’arco dell'efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento (art. 3 comma 1 lett. fff).

- di conseguenza, se non c’è l’equilibrio, non ci può essere il trasferimento del rischio, e quindi verrebbe a mancare un elemento essenziale del contratto di concessione; allora, al di là della determinazione del valore stimato fatta dall’Ente concedente, il concorrente deve poter formulare un’offerta tale da garantirgli la copertura dei costi, e non è detto che il valore stimato, per quanto accurata possa essere stata tale stima, sia sufficiente a tal fine.

- in sostanza quindi, nella concessione “è il concorrente a fare il prezzo”: egli, se ritiene che il valore stimato sia insufficiente ad assicurargli la copertura ed anche la redditività dell’investimento, offrirà un prezzo superiore a quello stimato: sarà poi l’Ente concedente a stabilire se simile offerta possa essere considerata congrua o meno; nel caso in cui venga valutata congrua e la sua maggiorazione rispetto al valore stimato superi il limite del 20%, la concessione sarà aggiudicata per tale maggior valore. 

Del resto, talmente importante è che il concorrente si assicuri, almeno sotto il profilo programmatico, l’equilibrio dell’investimento, che, ai sensi dell’art. 165 comma 2, la PA, in sede di gara, può stabilire a tal fine la corresponsione di un prezzo (sotto forma di contributo pubblico oppure di cessione di immobili).

Pertanto, dalla norma contenuta nell’art. 165 comma 2 si potrebbe ricavare quanto segue:

anche se – come accaduto nel caso di specie – il valore stimato della concessione è stato determinato facendo riferimento ai ricavi ottenuti dal precedente concessionario (e quindi non secondo un criterio oggettivo), sarebbe comunque potuto accadere che venisse considerata come congrua un’offerta anche superiore (più del 20%) a tale valore, e quindi la mancata adozione di un criterio di stima oggettivo avrebbe anche potuto non ledere la par condicio tra concorrenti.

E ciò è proprio quanto sostenuto dall’appellante Ente concedente, il quale nell’appello così argomentava:

D’altro canto, nel caso in esame non vi sarebbe stata alcuna violazione delle previsioni del codice dei contratti pubblici (artt. 167 e 30 del decreto legislativo n.50/2016), in quanto nelle concessioni di servizi la stima del valore dei ricavi che il servizio può generare, posta dalla stazione appaltante a base di gara, non è vincolante per i concorrenti, sicché questi rimangono liberi di offrire un importo diverso, che consenta loro di massimizzare il guadagno derivante dalla concessione, con l’unico limite della ragionevolezza dell’offerta sotto il profilo della sostenibilità e serietà (cfr. pagg. 11-12 dell’appello)”.

Il CDS, tuttavia, respinge tale motivo, argomentando come segue:

deve comunque essere la PA a determinare il valore presunto dell’affidamento e comunque quest’ultima, anche quando non è in grado di farlo (o perché il servizio viene affidato per la prima volta oppure perché il gestore uscente non ha fornito il dato), deve quanto meno fornire ai concorrenti degli elementi tali da consentire loro di poter “formulare un’offerta seria”. La possibilità che siano i concorrenti stessi a fare il prezzo, ossia a fissare autonomamente i profitti potenzialmente ricavabili dalla gestione del servizio, è meramente eventuale. Nel caso di specie – prosegue il CDS – la stazione appaltante non ha fornito ai concorrenti elementi tali da permettere loro di elaborare in modo autonomo il rapporto costi – benefici.  Nel Capitolato era sì prevista una norma la quale forniva alcuni dati sulla dimensione economica del servizio da affidare, ma tali elementi venivano qualificati dalla stessa stazione appaltante come meramente indicativi e pertanto non idonei a consentire ai concorrenti un autonomo calcolo in merito alla reale convenienza economica dell’offerta. In ogni caso – conclude il CDS – una eventuale devoluzione del calcolo ai concorrenti non sarebbe stata giustificabile neanche nel caso in cui la stessa stazione appaltante non fosse stata in grado di determinare, secondo un metodo oggettivo, il valore della concessione.

In sostanza il ragionamento del CDS è: nella procedura di aggiudicazione di una concessione i concorrenti possono “fare il prezzo” solo nella misura in cui sia stata la stazione appaltante a fornire loro gli elementi utili ad un’autonoma elaborazione del calcolo costi – benefici.

A parere di chi scrive, il ragionamento del CDS inverte quelli che sono i termini della questione.

Il concorrente si decide a partecipare proprio perché ha verificato che, applicando determinanti canoni e/o tariffe, può non soltanto coprire i costi dell’investimento ma anche garantirsi, almeno per una certa misura, la redditività di quest’ultimo. Egli, per poter gestire l’opera od il servizio nel modo migliore possibile per la collettività, sa di dover sopportare determinati costi: se la situazione patrimoniale della sua impresa gli consente di ridurre al minimo l’entità di tali costi (p. es. reinvestendo nella concessione una quota degli utili di impresa in precedenza ottenuti), ciò gli permetterà di conseguire dalla concessione ricavi senza per questo essere costretto ad applicare tariffe alte, ossia senza essere costretto a formulare un’offerta che superi economicamente il valore della concessione stimato dalla stazione appaltante, ragion per cui in tal caso la propria offerta si avvicinerà di molto al valore stimato. Ma se la situazione patrimoniale della sua impresa non è particolarmente florida, è chiaro che, ai fini dell’esecuzione della concessione, dovrà sostenere dei costi ben maggiori, e quindi, per assicurarsi sia la copertura di tali costi sia la redditività dell’investimento, dovrà giocoforza applicare tariffe alte, ossia dovrà formulare un’offerta la quale molto probabilmente supererà il valore stimato dalla stazione appaltante (esattamente la situazione di cui all’art. 165 comma 2 del Codice).

Il rischio d’impresa c’è sia nell’appalto che nella concessione: però, mentre nell’appalto l’operatore è comunque tutelato dalla certezza di percepire un compenso predeterminato, nella concessione egli, non avendo tale certezza, può contare solo sulle “possibilità” di remunerazione del capitale investito: siccome tale remunerazione dipende da molteplici fattori (l’andamento generale della gestione, il grado di risposta degli utenti del servizio, l’evolversi della concorrenza nel settore, etc.), in questo caso l’operatore, se non vuole assumere la gestione di un affare che si presenta come fallimentare fin dall’inizio, dovrà fare prima di tutto l’ipotesi peggiore, ossia appunto quella in cui i fattori di cui sopra non dovessero consentirgli di recuperare i costi dell’investimento, e pertanto sarà naturalmente portato a formulare un’offerta superiore al valore della concessione stimato dalla stazione appaltante. Rischio d’impresa non vuol dire assunzione indiscriminata degli oneri connaturati all’attività, perché affermare questo vorrebbe dire di fatto legittimare le gestioni fallimentari; esso significa, anzitutto, calcolare, mediante un’accurata elaborazione del rapporto costi/benefici, la portata complessiva dell’investimento, e prevedere realisticamente (anche in conformità ai principi di buona fede e correttezza nei confronti di tutte le componenti societarie, dai soci ai dipendenti) che certi costi possono essere coperti solo se si applicano tariffe non inferiori ad un certo minimo: il rischio d’impresa è una caratteristica tipica dell’attività, ma non è – e non deve essere – il suo “obiettivo”; l’obiettivo, semmai, è la massimizzazione dei profitti.

Del resto, lo stesso art. 165, al comma 1, esige che l’allocazione del rischio operativo sia “corretta”: il rischio che non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti deve essere stato individuato correttamente, ossia non deve essere sottovalutato soltanto per venire incontro al valore stimato quale determinato dalla stazione appaltante.

Altro elemento significativo è quello per cui, quando si tratta di concessioni da affidarsi con la procedura ristretta, l’eventuale consultazione preliminare di mercato, che venga attivata al fine di verificare la insussistenza di criticità del progetto posto a base di gara, non può avere ad oggetto l’importo del contributo pubblico eventualmente stabilito dalla PA per supportare il concessionario nel raggiungimento dell’equilibrio economico – finanziario (art. 165 comma 3): l’importo di tale contributo lo stabilisce la PA in modo unilaterale e non è negoziabile con il concessionario; quindi, nel caso in cui l’entità di tale contributo sia insufficiente a consentire al concessionario il raggiungimento dell’equilibrio, la PA non potrà spingersi oltre, e quindi dovrà essere il concorrente a reperire le risorse atte a ciò (vedi: tariffe superiori al valore stimato della concessione). Diverso il discorso sarebbe stato nel caso in cui l’importo del contributo pubblico fosse adattabile alle esigenze del concessionario: in tal caso, effettivamente, non si sarebbe giustificata la formulazione di un’offerta superiore rispetto al valore stimato dalla stazione appaltante, in quanto appunto sarebbe stata la stessa PA a colmare, mediante un contributo pubblico opportunamente modulato, il deficit di redditività dell’offerta stessa.

Per le ragioni su esposte, quindi, la soluzione adottata dal CDS – il quale, confermando la sentenza di primo grado, ha  considerato illegittimo il fatto che sia stato posto a base di gara il valore dei ricavi conseguiti dal gestore uscente, anziché il valore determinato secondo i parametri dell’art. 167 del Codice – appare aver trascurato quella che è la natura del rapporto concessorio, ossia un rapporto in cui la determinazione del corrispettivo non può che essere affidata, in via prevalente, alla scelta dei concorrenti.