Intervento al convegno sul tema “La tutela dei diritti tra giurisdizione e Autorità indipendenti”, organizzato dall’Università di Catanzaro il 28 giugno 2019

Tre disposizioni legislative regolano espressamente il potere di altrettante autorità indipendenti di ricorrere dinanzi al giudice amministrativo.

La più risalente e più utilizzata è l’art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990 n. 287 (introdotto dall’art. 35 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201), a mente del quale «l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato».

Tale potere di azione si colloca a valle di un articolato procedimento amministrativo, in base al quale l’Autorità è tenuta ad emettere un parere motivato entro sessanta giorni[1], indicando gli specifici profili delle violazioni riscontrate e, solo se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi, può presentare il ricorso, tramite l’Avvocatura dello Stato, entro i successivi trenta giorni.

Ai giudizi così instaurati si applica il rito speciale di cui al Titolo V del Libro IV del codice del processo amministrativo.

L’art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 attribuisce all’Autorità di regolazione dei trasporti il diritto di ricorrere al T.A.R. del Lazio contro i provvedimenti amministrativi lesivi del diritto di mobilità degli utenti con riferimento al servizio di trasporto su taxi.

A differenza dell’altra norma, non si prevedono modalità procedurali.

L’art. 211 del D.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, come modificato col correttivo del 2017, assegna all’ANAC la legittimazione ad agire in giudizio «per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture».

Per i provvedimenti di diverso genere, adottati in violazione delle norme sui contratti pubblici, l’ANAC può emettere, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato, specificando i vizi di legittimità riscontrati.

Se la stazione appaltante non vi si conforma nel termine assegnato, l’ANAC, entro i successivi trenta giorni, può presentare ricorso innanzi al giudice amministrativo, secondo il rito super-speciale sugli appalti.

La stessa legge attribuisce all’ANAC il potere di regolamentare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercitare i predetti poteri.

Quelle descritte non sono le uniche norme che regolano il potere di agire in giudizio di un’autorità indipendente.

La Banca d’Italia e la CONSOB sono infatti legittimate ad impugnare dinanzi al giudice ordinario le deliberazioni o gli atti delle società vigilate adottati in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria (artt. 14, 62, 110, 121 e 157 del D.lgs. n. 58 del 1998)[2].

Il problema teorico più affrontato in subiecta materia riguarda la natura della legittimazione processuale dell’autorità indipendente.

Secondo una tesi minoritaria, si tratta di un potere giurisdizionale di diritto oggettivo, posto a salvaguardia di un interesse generale, al quale non corrisponde la titolarità, in capo al ricorrente, di una posizione giuridica soggettiva[3] e che è in qualche modo assimilabile a quello del pubblico ministero, che agisce nell’interesse della legge, senza essere portatore di un interesse particolare.

Detto in altre parole, «non è possibile ritenere che l’autorità, in quanto tale, sia titolare di un interesse legittimo in senso proprio, potendo (e dovendo) attivarsi per la tutela e realizzazione di un interesse generale alla concorrenza che, per un verso, finisce per coincidere con una sommatoria di interessi di mero fatto ascrivibili alla collettività e, per altro verso, restando così generico, non soddisfa di certo i caratteri di una situazione soggettiva imputabile ad un soggetto di diritto»[4].

L’origine di questa impostazione va ricercata nel parere reso all’Adunanza generale del Consiglio di Stato sul futuro regolamento n. 500 del 1999, di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici, nella parte in cui, in merito alla proposta dell’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici di essere legittimata a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo avverso gli affidamenti illegittimi, è stato rilevato come «l’attribuzione di un generale potere di legittimazione ad impugnare gli atti delle stazioni appaltanti verrebbe a configurare una sorta di azione pubblica nell’interesse della legge, in contrasto con i principî generali del nostro ordinamento che richiedono – a parte i settori della giurisdizione penale e contabile – che l’azione giudiziaria trovi comunque un collegamento, sia pure amplissimo, con un interesse del soggetto agente protetto sia direttamente (diritto soggettivo) sia occasionalmente (interesse legittimo)», concludendosi che «una simile azione non può che essere disposta per legge»[5].

La tesi oggi maggioritaria ritiene, viceversa, che il potere processuale sia stato conferito per la migliore tutela delle situazioni giuridiche differenziate e qualificate attribuite all’autorità[6].

Quando all’AGCM, è stato sottolineato come il bene giuridico della concorrenza, per la sua particolare rilevanza, non può rimanere al livello di una congerie di interessi deboli perché diffusi[7].

Donde, la scelta legislativa di soggettivizzarlo in capo ad un’autorità indipendente, che si giustifica con l’esigenza di porre un argine ad una «frequente dinamica amministrativa, che induce molte amministrazioni pubbliche a porre ostacoli al libero dispiegarsi della concorrenza, piuttosto che a una sovrordinazione dell’interesse alla concorrenza rispetto ad altri interessi pubblici»[8].

E’ la teoria della “mutazione genetica” dell’interesse adespota, la cui cura, preclusa al singolo, è affidata all’ente esponenziale[9].

Quanto, invece, alla volontà di dotare l’ANAC di una propria legittimazione processuale, si è fatto acutamente notare come «è difficile ipotizzare l’esistenza di numerosi interessi totalmente adespoti, non giustiziabili attraverso le vie ordinarie. Semmai, uno dei “mali” del settore dei contratti è costituito proprio dall’eccesso di contenzioso. Pertanto, la legittimazione speciale dell’ANAC potrebbe determinare, in numerosi casi concreti, un fenomeno di “sostituzione processuale”, piuttosto che di personificazione di interessi diffusi. Spetterà all’Autorità verificare se restringere l’esercizio del proprio potere di azione, escludendolo nei casi in cui la proposizione del ricorso potrebbe apparire come una forma di “supplenza” all’inerzia delle iniziative spettanti ai soggetti direttamente interessati»[10].

Anche la Corte costituzionale ha escluso che l’iniziativa processuale dell’AGCM rappresenti un «nuovo e generalizzato controllo di legittimità», proprio perché essa è circoscritta a particolari atti amministrativi, quelli cioè «che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato» ed è finalizzata ad una più completa tutela di quell’interesse[11].

Comunque sia, l’elemento che accomuna entrambe le tesi, minoritaria e maggioritaria, è che solo una legge speciale può attribuire ad un’autorità indipendente il potere di ricorrere dinanzi al giudice amministrativo.

Non a caso, è stato fatto notare come «l’attribuzione ex lege ad un’autorità pubblica del potere (e forse dovere) di ricorrere dinanzi al giudice amministrativo a tutela di un interesse di valenza generale è stata avvertita come una novità sensazionale nel nostro sistema, che, come era prevedibile, ha destato immediatamente l’attenzione degli studiosi»[12].

Tuttavia, sotto quest’aspetto, va considerato che, più di recente, è intervenuta un’importante decisione della Consulta, su cui merita soffermarsi, nella quale si è affrontata l’apparentemente diversa tematica della possibilità, da parte dell’AGCM e più in generale delle altre autorità indipendenti, di sollevare questioni di legittimità costituzionale in via incidentale[13].

Nello sciogliere il quesito in senso negativo, la Corte ha rammentato come la legittimazione a promuovere il sindacato di costituzionalità può riconoscersi anche ad organi non incardinati in un ordine giudiziario, «ma sempre in presenza dell’essenziale requisito della terzietà».

Nondimeno, nel caso in esame, «tale requisito manca», principalmente in ragione del fatto che l’autorità indipendente assume la posizione di parte nel processo amministrativo avverso i suoi provvedimenti, cosa che appare ontologicamente incompatibile con la posizione di giudice.

L’AGCM, infatti, «al pari di tutte le amministrazioni, è portatrice di un interesse pubblico specifico, che è quello alla tutela della concorrenza e del mercato (...), e quindi non è in posizione di indifferenza e neutralità rispetto agli interessi e alle posizioni soggettive che vengono in rilievo nello svolgimento della sua attività istituzionale».

Infine, «l’attività dell’autorità garante si sviluppa nell’ambito di un contraddittorio che non si differenzia – se non per la sua intensità – da quello procedimentale classico e che resta di natura verticale, proprio perché il privato si confronta con un soggetto che, nell’irrogazione della sanzione, in quanto titolare di un ben definito interesse pubblico, non è in posizione di parità»[14].

Viene così esclusa la natura di organismo para-giurisdizionale[15], ovvero di terzo genere tra amministrazione e giurisdizione[16], dell’autorità indipendente, della quale è irritrattabilmente affermata la natura di pubblica amministrazione portatrice di interessi.

Ad avviso di chi scrive, questa ricostruzione potrebbe ribaltare il dogma della necessità di una previa disposizione di legge, che attribuisca all’autorità il potere di proporre ricorso.

Invero, una volta tramontata la possibilità di qualificare l’autorità indipendente secondo forme ontologicamente differenti dall’ente pubblico affidatario di interessi diversamente adespoti, l’applicazione dei principî generali deve farci considerare come la legittimazione a ricorrere dell’ente esponenziale, pubblico o privato che sia, discenda dal fatto “che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale”[17].

Pertanto, per quanto riguarda gli enti pubblici, la funzione della legge non è quella di conferire all’amministrazione uno speciale potere di reazione giurisdizionale, ma semplicemente quella di attribuire alla stessa la titolarità di un interesse, poiché è da ciò che accede naturalmente il diritto di apprestarvi tutela, anche in sede giurisdizionale.

Trasponendo tale regola alle autorità indipendenti, se ne dovrebbe trarre il corollario per cui ognuna di esse, nella misura in cui è attributaria della cura di interessi pubblici, in relazione ad essi è anche titolare del potere di azionare la tutela giurisdizionale, a prescindere da un riconoscimento legale.

Dunque, le disposizioni che regolano l’iniziativa processuale di alcune autorità rivestirebbero portata non ampliativa, ma ricognitiva, se non addirittura riduttiva (per quanto concerne l’Autorità di regolazione dei trasporti, il cui potere impugnatorio è circoscritto al solo settore dei taxi), della generale facoltà di accesso alla giustizia, a tutela degli interessi affidati, appartenente a tutte le pubbliche amministrazioni, incluse le autorità indipendenti.

 

[1] Il termine di sessanta giorni decorre dal ricevimento, da parte di A.G.C.M., di una specifica comunicazione, di qualsiasi provenienza, recante gli elementi rilevanti dell’atto commesso in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, giacché soltanto a partire da tale momento essa è nella reale condizione di esercitare la propria competenza (Cons. Stato, Sez. V, 9 marzo 2015 n. 1171).

[2] Fuori dall’ambito delle autorità indipendenti, l’art. 6 della legge n. 168 del 1989 attribuisce al Ministro dell’Università e della Ricerca il potere di impugnazione degli statuti universitari che non si adeguino ai propri rilievi di legittimità, mentre l’art. 52, comma 4, del D.lgs. n. 446 del 1997 attribuisce al Ministero delle Finanze il potere di impugnare per qualsiasi vizio di legittimità i regolamenti locali in materia di entrate tributarie.

[3] T.A.R. Lazio, Sez. II, 6 maggio 2013 n. 4451 e Sez. III, 15 marzo 2013 n. 2720; in un primo momento: M.A. SANDULLI, Il processo davanti al giudice amministrativo nelle novità legislative della fine del 2011, in Foro amm., TAR, 2011.

[4] F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del 1990), in Federalismi.it 2012.

[5] Cons. Stato, Ad. gen., 12 luglio 1999 n. 123.

[6] Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2014 n. 2246; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 8 luglio 2016 n. 1356; T.A.R. Lazio, Sez. II, 6 maggio 2013 n. 4451 e Sez. III, 15 marzo 2013 n. 2720.

[7] R. GIOVAGNOLI, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell’AGCM nell’art. 21-bis legge n. 287/1990, in www.giustamm.it, 2012.

[8] B. MATTARELLA, I ricorsi dell’autorità antitrust al giudice amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2016.

[9] M. NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro it., 1987.

[11] C. cost. 14 febbraio 2013 n. 20.

[12] M.A. SANDULLI, Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle autorità indipendenti, in https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Comunicazione/Eventi/_evento/_Convegno20130228Sandulli; nello stesso senso: Cons. Stato, Ad. gen., 12 luglio 1999 n. 123, citata.

[13] C. cost. 31 gennaio 2019 n. 13.

[14] Diversamente, secondo S. CASSESE, Poteri indipendenti, Stati, relazioni ultrastatali, in Foro it., 1996, «la circostanza che ad esse [autorità indipendenti] è attribuito il compito di proteggere settori sociali sensibili, ovvero interessi degni di tutela e, normalmente, costituzionalmente rilevanti (…), richiede che l’attività venga svolta nelle forme proprie del processo. Di qui lo strumentario complesso delle autorità indipendenti, che agiscono applicando i principi propri del giudice, quali la contestazione degli addebiti, l’audizione delle parti, l’obbligo di motivazione, i poteri strumentali di indagine e di ispezione, i poteri sanzionatori e così via».

[15] In questo senso, S. MICOSSI, Il conflitto tra governati e governanti, in L’indipendenza delle Autorità, Bologna, 2001, 61, secondo cui «la neutralità [dell’autorità] coincide con l’indipendenza e con il rispetto delle dinamiche del settore, ma non importa anche necessariamente l’assenza di discrezionalità e di scelte politiche».

[16] L. CARBONE, Le Autorità indipendenti, tra regolazione e giurisdizione, in Rass. dir. pubbl. europeo, 2015.

[17] Cons. Stato, Ad. plen., 2 novembre 2015 n. 9.