Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, ordinanza, 28 ottobre 2019, n. 11

1. A seguito della sentenza della Corte di giustizia U.E. 2 maggio 2019, causa C-309/18 – che ha deciso “una analoga questione” sollevata dal T.A.R. Lazio – deve ritenersi che non sussista più alcun interesse alla decisione pregiudiziale sollevata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza del 24 gennaio 2019 in ordine alle conseguenze che si producono nel caso di mancata indicazione separata nell’offerta dei costi della manodopera e degli oneri aziendali della sicurezza, disponendosene così il ritiro ai sensi dell’art. 100 co. 1 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia (Reg. int. 25 settembre 2012).

2.  Secondo la sentenza della Corte di giustizia U.E. 2 maggio 2019, causa C-309/18, la mancata indicazione separata dei costi della manodopera nell’offerta economica comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non sia specificato nella documentazione di gara, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono “materialmente” agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

 

sul ricorso numero di registro generale 19 di A.P. del 2018, proposto da

Industria Italiana Autobus S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Laura Di Giovanni, Alessandro Tozzi, Guido Molinari, con domicilio eletto presso lo studio Guido Molinari/Quorum Studio Legale in Roma, via degli Scipioni, 281;

contro

Comune di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Carmelo Lauria, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

nei confronti

Irisbus Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Malinconico, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

sul ricorso numero di registro generale 20 di A.P. del 2018, proposto da
Industria Italiana Autobus S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Laura Di Giovanni, Alessandro Tozzi, Guido Molinari, con domicilio eletto presso lo studio Guido Molinari/Quorum Studio Legale in Roma, via degli Scipioni, 281;

contro

Comune di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Carmelo Lauria, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

nei confronti

Irisbus Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Malinconico, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

per la riforma

quanto al ricorso n. 19 del 2018,

della sentenza in forma semplificata del T.A.R. della Sicilia, Sezione III, n. 1552/2018;

quanto al ricorso n. 20 del 2018,

della sentenza in forma semplificata del T.A.R. della Sicilia, Sezione III, n. 1553/2018

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Palermo e di Irisbus Italia S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2019 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Tozzi e Carlo Malinconico;

Considerato che, all’esito dell’udienza del 12 dicembre 2018, questa Adunanza plenaria si è pronunciata sulle questioni alla stessa rimesse, emanando l’ordinanza 24 gennaio 2019 n. 3 (nrg. AP 19 e 20 del 2018) pronunciata nelle cause riunite tra Industria Italiana Autobus S.p.A e Comune di Palermo (nrg. 9291 e 9292 del 2018), con cui è stata sottoposta alla Corte di giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E. il seguente quesito interpretativo pregiudiziale:

“se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente i princìpi di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi) ostino a una disciplina nazionale (quale quella di cui agli articoli 83, comma 9, 95, comma 10 e 97, comma 5 del ‘Codice dei contratti pubblici’ italiano) in base alla quale la mancata indicazione da parte di un concorrente a una pubblica gara di appalto dei costi della manodopera e degli oneri per la sicurezza dei lavoratori comporta comunque l’esclusione dalla gara senza che il concorrente stesso possa essere ammesso in un secondo momento al beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’, pur nelle ipotesi in cui la sussistenza di tale obbligo dichiarativo derivi da disposizioni sufficientemente chiare e conoscibili e indipendentemente dal fatto che il bando di gara non richiami in modo espresso il richiamato obbligo legale di puntuale indicazione”.

Considerato che la Corte di giustizia, con nota del 28 marzo 2019, ha comunicato di aver disposto la sospensione del giudizio originato dalla citata ordinanza (causa C-111/19), stante la pendenza di una questione similare, iscritta come causa C-309/18 e sollevata con ordinanza 24 aprile 2018 n. 4562 del T.A.R. del Lazio, con cui era stata proposta la seguente questione interpretativa:

Se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza, di cui alla direttiva n. 2014/24/UE, ostino all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dal combinato disposto degli artt. 95, comma 10, e 83, comma 9, del D. Lgs. n. 50/2016, secondo la quale l’omessa separata indicazione dei costi della manodopera nelle offerte economiche di una procedura di affidamento di servizi pubblici determina, in ogni caso, l’esclusione della ditta offerente senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicazione separata non sia stato specificato nella documentazione di gara e, ancora, a prescindere dalla circostanza che, dal punto di vista sostanziale, l’offerta rispetti effettivamente i costi minimi della manodopera, in linea peraltro con una dichiarazione all’uopo resa dalla concorrente”.

Considerato che, con sentenza 2 maggio 2019, causa C-309/18 (notificata a questo Consiglio in data 30 maggio 2019), la CGUE ha deciso la questione sottopostale dal T.A.R. del Lazio, enunciando il seguente principio:

I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice.”

Considerato che, unitamente alla notifica, il Cancelliere della Corte ha fatto pervenire una istanza tesa ad accertare la permanenza dell’interesse di questa Adunanza plenaria alla decisione delle questioni pregiudiziali sottoposte, alla luce di quanto deciso con la sentenza contestualmente notificata;

Considerato che, al fine di rispondere all’istanza pervenuta, questa Adunanza plenaria è stata convocata per l’udienza del 16 ottobre 2019 e, in quel contesto, le parti hanno rappresentato come la sentenza 2 maggio 2019, causa C-309/18 avesse soddisfatto i dubbi interpretativi proposti;

Considerato che, sulla base del raffronto tra i contenuti della sentenza 2 maggio 2019, causa C-309/18 e l’ordinanza di rimessione di questa Adunanza plenaria appare evidente la piena sovrapponibilità tra quanto deciso in relazione al caso sottoposto dal T.A.R. del Lazio e la richiesta interpretazione propugnata da questo Giudice;

Considerato che, pertanto, non vi è più interesse di questa Adunanza plenaria ad ottenere una pronuncia pregiudiziale dalla Corte di giustizia dell’Unione europea sulla questione rimessa, trattandosi di questione divenuta non più rilevante per la decisione a seguito della sentenza 2 maggio 2019, causa C-309/18;

Considerata la possibilità che il giudice nazionale ritiri la domanda di pronuncia pregiudiziale, a norma dell’art. 100, comma 1, del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia (Reg. int. 25 settembre 2012), che prevede che “La Corte resta investita della domanda di pronuncia pregiudiziale fintantoché il giudice che ha adito la Corte non abbia ritirato la sua domanda. Il ritiro di una domanda può essere preso in considerazione sino alla notifica della data di pronuncia della sentenza agli interessati menzionati dall’articolo 23 dello statuto”;

Considerato che pertanto appare necessario comunicare al Cancelliere della Corte, ai sensi dell’art. 28 delle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (2018/C 257/01), la sopravvenuta non rilevanza della pronuncia pregiudiziale sottoposta ai fini della decisione della causa in esame;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria),

1. dichiara di ritenere non più rilevante per la decisione della causa in oggetto la pronuncia pregiudiziale richiesta alla CGUE con l’ordinanza di rimessione n. 3 del 2019, iscritta quale causa C-111/19;

2. dispone la trasmissione di copia della presente ordinanza alla Cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea e la comunicazione alle parti, a cura della Segreteria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2019 

 

Guida alla lettura 

La pronuncia in commento, pur chiudendo formalmente in rito la controversia sottoposta al suo esame, sembra avere, in realtà, una portata sostanziale significativa rispetto a una vicenda interpretativa così a lungo dibattuta come quella del rapporto tra limiti di ammissibilità del soccorso istruttorio e mancata indicazione separata di costi della manodopera e oneri aziendali della sicurezza nell’offerta economica. Con tre ordinanze gemelle (n. 1, 2 e 3 del 24 maggio 2019), infatti, l’Adunanza Plenaria aveva sollevato questione pregiudiziale interpretativa exart. 267 TFUE sulle conseguenze della mancata indicazione nell’offerta economica di oneri di sicurezza e costi della manodopera, a fronte di soluzioni contrastanti nella giurisprudenza amministrativa, pur riconoscendo che, secondo l’indirizzo prevalente, il diritto italiano richiederebbe l’esclusione automatica del concorrente dalla procedura.

La questione giuridica sottoposta all’attenzione dello scrivente, invero, presuppone l’opportunità di definire, brevemente, la distinzione presente nell’ordinamento tra costi della sicurezza e oneri aziendali della sicurezza. Non si pongono particolari problemi definitori, infatti, ad avviso di scrive, per la decodificazione del concetto di costo della manodopera. Ebbene, i costi della sicurezza derivano dalla stima effettuata nel piano di sicurezza e coordinamento (PSC), ai sensi dell'articolo 100 del d.lgs. n. 81/2008, ovvero dall’analisi della stazione appaltante, laddove il piano non sia previsto. Tali costi, a cui l’impresa è vincolata contrattualmente, rappresentano “l’ingerenza” del committente nelle scelte esecutive della stessa e attengono esclusivamente alle spese connesse al coordinamento delle attività nel cantiere, alla gestione delle interferenze o sovrapposizioni, nonché a quelle spese degli apprestamenti, dei servizi e delle procedure necessarie per la sicurezza dello specifico cantiere. Gli oneri aziendali della sicurezza attengono, invece, ai costi aziendali necessari per la risoluzione dei rischi specifici propri dell’appaltatore, relativi sia alle misure per la gestione del rischio dell’impresa, sia alle misure operative per i rischi legati alle lavorazioni nell’esercizio dell’attività svolta da ciascun operatore economico. Oltre alla diversità delle caratteristiche, le due categorie divergono anche a livello funzionale. Difatti, mentre la quantificazione dei costi della sicurezza è rimessa alle stazioni appaltanti, che li indicano nel bando di gara, e non sono suscettibili di ribasso in sede di offerta, la determinazione e l’indicazione in sede di offerta degli oneri aziendali della sicurezza rappresentano un obbligo a carico degli operatori economici concorrenti, da indicare nella propria offerta, e ne costituiscono elemento essenziale. Pertanto, mentre i costi della sicurezza attengono a ogni e specifica procedura, gli oneri aziendali della sicurezza ineriscono l’espletamento dell’attività economica nell’intero svolgersi dell’impresa. 

Esaurita questa breve disamina, occorre ricordare che la questione della mancata indicazione separata degli oneri di sicurezza e dell’ammissibilità, o meno, del soccorso istruttorio, è stata risolta, per le procedure sottoposte al D.lgs. n. 163/2006, dalla sentenza Adunanza Plenaria n. 20/2016. In questa pronuncia, precisamente, è stato affermato che il beneficio del soccorso istruttorio si giustifica per la mancanza nel Codice degli Appalti Pubblici di una norma che, in maniera chiara e univoca, prescriva espressamente la doverosità della dichiarazione relativa agli oneri di sicurezza. In tale situazione normativa, allora, il soccorso istruttorio risponde all’esigenza di assicurare il rispetto dei principi di certezza del diritto, tutela dell’affidamento, tassatività delle cause di esclusione, proporzionalità e par condicio. Tale soluzione interpretativa, in fondo, è stata sposata anche dall’ordinanza della Corte di Giustizia UE, Sesta Sezione del 10 novembre 2016 in C-697/15, nella vigenza della precedente direttiva 2004/18/CE, ritenendo necessario concedere il soccorso istruttorio laddove il bando non preveda l’indicazione degli oneri di sicurezza. Date queste premesse, a ben vedere, l’avvento dell’art. 95 co. 10 D.lgs. n. 50/2016, nel prevedere espressamente l’obbligo di indicazione separata nell’offerta economica dei costi per la sicurezza aziendale e di quelli della manodopera, nell’ottica di un sempre più marcato riconoscimento del valore attribuito dall’art. 30 Cost. alla tutela dei lavoratori e della sicurezza sul lavoro, avrebbe fatto venire meno la ragione (unica) che ha indotto l’Adunanza Plenaria ad ammettere il soccorso istruttorio sotto la vigenza del vecchio Codice. Di ciò, del resto, si fanno portavoci le stesse ordinanze di rimessione del 2019 prima citate, nel chiedere alla CGUE di soddisfare l’esigenza di chiarire (definitivamente) quale sia l’ambito oggettivo della norma di cui, in particolare, al secondo paragrafo dell’art. 18 della Dir. 2014/24, che impone agli Stati membri l’adozione di “misure adeguate” in relazione alla necessità di garantire che gli operatori economici rispettino gli obblighi applicabili in materia di sicurezza sul lavoro nell’esecuzione di appalti pubblici. La conclusione condivisa dall’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa trova equo coordinamento interpretativo nell’attuale statuto del soccorso istruttorio di cui all’art. 83 co. 9 D.lgs. n. 50/2016. Questa disposizione, infatti, nasce nel solco tracciato dal precedente art. 38 co. 2 bis D.lgs. n. 163/2006 al fine, da un lato, di ridurre gli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti e, dall’altro lato, di ovviare alla diffusa prassi delle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti per carenze meramente documentali o formali (ad esempio, per la mancata indicazione del documento di identità). Il soccorso istruttorio, tuttavia, per espressa previsione dell’art. 83 co. 9 cit., consente il superamento delle carenze di qualsiasi elemento formale della domanda di partecipazione, del DGUE e delle dichiarazioni ma non di quelle relative all’offerta tecnica ed economica, rispetto alle quali l’istituto cede il passo ai principi generali di intangibilità dei contenuti fondamentali dell’offerta, di inderogabilità del relativo termine di presentazione e di parità tra concorrenti. 

L’interrogativo successivo che si pone riguarda, invece, la possibile interferenza di (mancati) richiami espressi nella documentazione della procedura rispetto all’obbligo in discorso. Pur non evocando la categoria dogmatica dell’eterointegrazione, mutuata dai principi di matrice civilistica, è la stessa Adunanza Plenaria a ritenere che la mancata riproduzione di tale obbligo nel bando, nei disciplinari ovvero nei capitolati non potrebbe comunque giovare agli operatori economici in termini di scusabilità dell’errore, proprio per il carattere, sufficientemente chiaro, della formulazione dell’art. 95 co. 10 cit. E difatti, la Corte di Giustizia, nella pronuncia presupposto dell’ordinanza qui in commento (Corte di giustizia U.E. 2 maggio 2019, causa C-309/18 cit.), ha pienamente condiviso questa soluzione, facendo, tuttavia, rientrare tale obbligo per altra via. Si fa riferimento, precisamente, all’impossibilità materiale di ottemperare all’obbligo di separata indicazione dei costi della manodopera, a causa della struttura, in senso stretto, della documentazione di gara. Proprio nel caso oggetto della rimessione da parte del Tar Lazio – sede di Roma (sez. II bis, ord. 24 aprile 2018, n. 4562), infatti, si profilava un problema di questo tipo. La modulistica predisposta dalla stazione appaltante a corredo della documentazione di gara, infatti, non lasciava alcuno spazio fisico per l’indicazione separata dei costi della manodopera e, in aggiunta, il capitolato d’oneri precisava che agli offerenti era precluso presentare documenti ulteriori e moduli di compilazione della domanda diversi rispetto a quelli specificamente richiesti dall’amministrazione aggiudicatrice. È necessario evidenziare che, sebbene la sentenza della CGUE citata abbia preso posizione in tal senso soltanto con riferimento ai costi della manodopera, l’ordinanza dell’Adunanza Plenaria in commento, nel ritenere non più rilevante per la decisione della causa la pronuncia pregiudiziale richiesta alla CGUE, estende la portata interpretativa del principio enunciato da quest’ultima anche agli oneri aziendali della sicurezza.

In conclusione, alla luce di quanto detto, ci si chiede, ancora una volta, come avvenuto per la decodificazione del quantumdi interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara in caso di ricorsi reciprocamente escludenti (di cui alla sentenza CGUE, sez. X, 5 settembre 2019 in C-333/18), in che misura spetti al giudice nazionale vagliare la sussistenza della “impossibilità materiale” secondo una valutazione in concreto. Ad oggi, invero, pare che per l’ordinanza in commento il pertugio aperto dalla pronuncia della Corte di Giustizia del 2 maggio 2019 abbia un impatto minimale rispetto all’espressa affermazione della compatibilità con il diritto UE di una normativa nazionale che commina l’esclusione automatica del concorrente ove questo non provveda a indicare separatamente costi della manodopera e oneri aziendali della sicurezza nell’offerta economica.