C.g.a. Regione Sicilia, 10 luglio 2019, n. 662

1. Nell’ottica eurounitaria resta sempre rimessa alla stazione appaltante la valutazione caso per caso in ordine alla affidabilità del concorrente finalizzata all’esclusione dello stesso dalla gara pubblica.

2. Anche la mancata esecuzione anticipata delle prestazioni contrattuali non adeguatamente giustificata, traducendosi in una violazione del principio di correttezza e buona fede da parte dell’aggiudicatario, lesiva dell’affidamento ingeneratosi in capo alla stazione appaltante, che solo e in forza del detto illecito può adottare un provvedimento di caducazione dell’intervenuta aggiudicazione, costituisce senz’altro illecito professionale rientrante nella fattispecie legale anche se non espressamente menzionato e può conseguentemente produrre l’esclusione del concorrente alla procedura di gara.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 890 del 2018, proposto da 
Consorzio Sisifo Coop. Soc. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Cintioli, Arturo Merlo, Ester Daina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giorgio Li Vigni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Pindemonte, n. 88 Uoc Legale;
Medicasa Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Filippo Brunetti, Elio Leonetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Guido Corso in Palermo, via Rodi, n. 1; 
Cooperativa Sociale e di Lavoro Operatori Sanitari Associati, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cristiano Dolce, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia n. 2148/2018, resa tra le parti, concernente procedura aperta per l’affidamento del servizio di assistenza domiciliare integrata per gli assistiti dell’ASP di Palermo;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, di Medicasa Italia S.p.A. e di Cooperativa Sociale e di Lavoro Operatori Sanitari Associati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2019 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Ester Daina, Arturo Merlo. Giorgio Li Vigni, Cristiano Dolce, Filippo Brunetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Sicilia l’odierno appellante invocava l’annullamento:

- del verbale del 4 giugno 2018, con il quale la Commissione giudicatrice della procedura aperta per l'affidamento del servizio di assistenza domiciliare integrata per gli assistiti dell'ASP di Palermo aveva escluso la ricorrente dalla gara;

- della nota prot. n. 19284 del 24 aprile 2018, richiamata nel verbale predetto, con la quale il RUP della procedura de qua aveva rimesso al Presidente della Commissione di gara, per le valutazioni di competenza, una nota del legale del concorrente risultato secondo in graduatoria e un allegato parere dell'ANAC, per la possibile rilevanza in ordine alla già disposta ammissione in gara dell'ATI Sisifo – Capp, aggiudicataria provvisoria;

- della nota prot. n. 17145 del 11 aprile 2018, richiamata nel verbale predetto, con la quale il RUP della procedura de qua e il Direttore del Dipartimento Risorse Economiche e Finanziarie avevano rimesso al Presidente della Commissione di gara, per le valutazioni di competenza in ordine alla già disposta ammissione in gara dell'ATI Sisifo – Capp, aggiudicataria provvisoria, altra nota del legale del concorrente risultato secondo in graduatoria corredata da copia dell'ordinanza del TAR CT n. 173/2018.

2. Il primo giudice respingeva il ricorso, ritenendo di abbracciare la tesi estensiva in ordine alla parametrazione della nozione di illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lett. c.), d.lgs. 50/2016, che consente di ampliare il catalogo di cui alla citata lett. c) e di ritenere l’inadempimento rilevante quale grave illecito professionale a prescindere dalla risoluzione del contratto. Pertanto, il TAR considerava sussumibile nella detta nozione l’illecito, non dichiarato in sede di gara dall’odierna appellante, consistente nel fatto che l’originario ricorrente in merito ad un bando del 2015 emanato dall’ASP di Enna aveva subito la revoca dell’aggiudicazione per non avere accettato la richiesta di esecuzione provvisoria del servizio nelle more della stipula del contratto. Né nella fattispecie il primo giudice valutava potesse operare il soccorso istruttorio. Da ultimo, il TAR riguardo alla censura con cui veniva dedotta la violazione dell’art. 7 della L. 241/90, ne rilevava l’infondatezza in quanto, nessun eventuale apporto collaborativo del Consorzio ricorrente, avrebbe potuto mutare l’esito del procedimento ben suffragato dall’acclarato illecito professionale. Ed ancora più a monte, peraltro, doveva escludersi la stessa sussistenza dell’obbligo comunicativo di cui la parte ricorrente lamentava la violazione, essendo la (iniziale) ammissione del concorrente atto endoprocedimentale, interno alla procedura di scelta del contraente, per sua natura inidoneo ad attribuire in modo stabile il bene della vita ed ad ingenerare il connesso legittimo affidamento che impone l’instaurazione del contraddittorio procedimentale.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originaria ricorrente, lamentandone l’erroneità in quanto:

a) il provvedimento di esclusione dalla gara non potrebbe in alcun modo non considerarsi atto immediatamente lesivo idoneo ad incidere in modo sfavorevole sulla sfera giuridica del destinatario; tanto che il legislatore avrebbe previsto l’onere d’immediata impugnazione del ridetto provvedimento prima ancora della definizione della procedura di gara, pena la decadenza dall’azione avverso il provvedimento di aggiudicazione. Da ciò l’impossibilità di qualificarlo come atto endoprocedimentale e la necessità di assicurare una utile partecipazione procedimentale all’interessato;

b) l’appellante non avrebbe mai sostenuto come motivo di gravame la tassatività delle ipotesi indicate dalla norma e non avrebbe mai sostenuto che l’art. 80, comma 5, lett. c), in discussione contemplasse l’onere dichiarativo soltanto per gli illeciti compiuti nella fase contrattuale. Infatti, il secondo motivo del ricorso avrebbe propugnato un’interpretazione relativa alla parte introduttiva della norma, destinata ad individuare i limiti intrinseci di operatività della stessa anche con riferimento alle ipotesi non tipizzate. In particolare, il riferimento all’illecito professionale dovrebbe essere contenuta all’interno del riferimento ad un comportamento contrario ad un precetto ordinamentale a fronte del quale risulti prevista una reazione sanzionatoria, nell’interesse generale, mentre la revoca dell’aggiudicazione non rientrerebbe in alcuna delle ipotesi tipizzate di illecito, civile, penale o amministrativo. Il mancato pronunciamento del primo giudice sul descritto motivo comporterebbe la nullità della sentenza di primo grado con le conseguenze di cui all’art. 105 c.p.a.; c) la stazione appaltante non avrebbe assicurato un’adeguata motivazione, mentre la revoca dell’aggiudicazione per mancata sottoscrizione del contratto non potrebbe valere a qualificare la condotta presupposto del provvedimento di autotutela quale illecito amministrativo;

d) nelle ipotesi non tipizzate di illecito professionale incomberebbe, da un lato, sulla stazione appaltante un onere motivazionale rafforzato circa la commissione dell’illecito e la sua incidenza in termini di scarsa sull’integrità e affidabilità dell’operatore e la sua gravità. Dall’altro, non vi sarebbe un obbligo dichiarativo in capo al concorrente, dalla cui omissione possa derivare in via automatica il provvedimento espulsivo. Al contrario, il primo giudice avrebbe ricompreso la condotta serbata dall’appellante nella nozione di illecito professionale, pur difettandone l’elemento oggettivo e soggettivo;

e) il primo giudice avrebbe, infine, errato nel non ritenere applicabile il soccorso istruttorio.

4. Costituitesi in giudizio rispettivamente in data 26 novembre 2018 e in data 30 novembre 2018, Cooperativa Sociale e di Lavoro Operatori Sanitari Associati e Medicasa Italia S.p.A. invocano il rigetto dell’odierno gravame, argomentando più approfonditamente le proprie posizioni con le successive memorie.

5. Costituitasi in giudizio con memoria depositata l’11 dicembre 2018, l’ASP di Palermo conclude per il rigetto dell’odierno gravame, esponendo le proprie ragioni nei successivi scritti defensionali.

6. In vista dell’odierna udienza è stata depositata circolare dell’Assessorato della salute del 12 giugno 2019, nella quale si dà atto che l’Amministrazione regionale intende avviare il percorso finalizzato all’accreditamento degli erogatori per l’assistenza domiciliare ex art. 22 del D.P.C.M. 12 gennaio 2017, recante: “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”, entro 180 giorni dalla adozione della circolare. A tal fine, l’amministrazione regionale fa divieto alle ASP di indire nuove gare in materia di Assistenza Domiciliare Integrata, puntualizzando che saranno ritenute valide esclusivamente le procedure in essere e già aggiudicate definitivamente, per le quali il relativo accordo contrattuale sia già stato sottoscritto in data antecedente alla presente circolare, che sarà trasmessa per la pubblicazione alla G.U.R.S., salvo diversi accordi successivi all’entrata in vigore della nuova disciplina regionale in materia di accreditamento.

7. Occorre, preliminarmente, rilevare che dalla citata circolare non si evince una causa di improcedibilità dell’odierno giudizio, che verte su una procedura di gara ed un’aggiudicazione antecedente all’entrata in vigore della stessa.

8. L’appello è infondato e non può essere accolto.

8.1. Quanto al primo motivo con il quale l’appellante ritiene di desumere dall’obbligatorietà dell’impugnazione dei provvedimenti di esclusione, la sussistenza di un atto provvedimentale che chiude un procedimento autonomo e impone una specifica interlocuzione con il suo destinatario, deve evidenziarsi che la proposta equazione non risulta convincente. L’obbligo di reazione giurisdizionale, infatti, è espressamente previsto anche per quegli atti che non hanno autonoma valenza provvedimentale, ma che comportano un arresto procedimentale sfavorevole per il suo destinatario, ovvero per quegli atti che sono adottati all’interno di un subprocedimento ancillare rispetto al procedimento principale. In questo caso le facoltà partecipative non devono essere doppiate: il dialogo tra l’amministrazione e il destinatario del provvedimento di esclusione da una gara d’appalto, infatti, è espressamente normato all’interno del codice dei contratti nella misura in cui risulta disciplinato il contraddittorio tra stazione appaltante e concorrente. Si è in presenza di un unico procedimento tipizzato anche in relazione alle facoltà partecipative dei concorrenti, che non può essere doppiato in forza della sussistenza di un autonomo procedimento teso all’esclusione dei concorrenti, che dovrebbe essere regolato dalla disciplina generale sul procedimento amministrativo. È chiaro, infatti, che la l’esclusione del concorrente è espressione di una fase del più ampio procedimento di evidenza pubblica che culmina con l’aggiudicazione e non un autonomo procedimento tra il singolo concorrente escludendo e la stazione appaltante. Da qui l’infondatezza della tesi dell’appellante.

8.2. Il secondo motivo tende ad evidenziare la presenza di un’omessa pronuncia su di un motivo di ricorso da parte del primo giudice che ne avrebbe male interpretato il senso e mira ad ottenere una sentenza di annullamento con rinvio ex art. 105 c.p.a. La tesi dell’appellante non può essere condivisa atteso che secondo quanto statuito dall’Adunanza Plenaria n. 11/2018, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche quando si sia tradotta nella mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, non costituisce un'ipotesi di annullamento con rinvio; pertanto, in applicazione del principio dell'effetto sostitutivo dell'appello, anche in questo caso, ravvisato l'errore del primo giudice, la causa deve essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado. Nel caso in esame, inoltre, secondo la prospettazione della stessa appellante non si sarebbe trattato della mancata pronuncia su di un motivo, ma sulla sua erronea interpretazione, ipotesi quest’ultima che radica il classico error in iudicando, in quanto tale insuscettibile di rappresentare ragione per il richiesto annullamento con rinvio.

Venendo, invece, all’esame del merito dei successivi motivi prospettati dall’appellante, occorre premettere che il testo vigente all’epoca di adozione dell’atto impugnato, l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016 così disponeva: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora:… c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”. La versione sopra trascritta rispetto a quella oggi vigente conteneva una elencazione delle ipotesi da considerare grave illecito professionale. Secondo la prospettazione dell’appellante, mancando una qualsivoglia connotazione di illecito rispetto alla condotta rimproveratale l’amministrazione appellata non avrebbe potuto ritenere causa giustificativa dell’esclusione la mancata accettazione della richiesta di esecuzione provvisoria del servizio nelle more della stipula del contratto.

La tesi dell’appellante non merita condivisione.

Anche prima della recente novella dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, il testo vigente ratione temporis era stato interpretato dalla prevalente e più condivisibile giurisprudenza in chiave eurounitaria, e cioè nel senso che l’elenco di illeciti professionali contenuto nella norma non è tassativo ma esemplificativo, e che resta sempre rimessa alla stazione appaltante la valutazione caso per caso in ordine alla affidabilità del concorrente.

Tale esegesi ha trovato conferma nella giurisprudenza della C. giust. UE, che ha ritenuto illegittima la originaria formulazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), osservando che le direttive europee ostano a una normativa nazionale, quale il testo originario dell’art. 80, comma 5, lett. c), codice italiano, secondo cui la contestazione in giudizio della risoluzione di un pubblico appalto disposta da una stazione appaltante per significative carenze nella sua esecuzione, impedisce alla stazione appaltante che indice una nuova gara di appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase di selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la risoluzione si riferisce (C. giust. UE, IV, 19.6.2019 C-41/18).

Ha osservato la C. giust. UE che secondo le direttive europee sui pubblici appalti:

a) spetta alla stazione appaltante valutare se l’operatore vada o meno escluso dalla gara;

b) tale facoltà di esclusione è finalizzata a verificare l’affidabilità dell’operatore;

c) la stazione appaltante deve potere escludere l’operatore inaffidabile in qualunque momento della procedura e non solo dopo una sentenza giudiziale che confermi la risoluzione contrattuale;

d) la stazione appaltante non può essere automaticamente vincolata dall’esito di un giudizio sulla risoluzione, che se lo fosse non potrebbe applicare adeguatamente il principio di proporzionalità in sede di valutazione se ricorrono o meno motivi di esclusione;

e) se uno Stato membro recepisce una causa facoltativa di esclusione, deve rispettarne gli elementi essenziali, nella specie, la riserva alla stazione appaltante della valutazione dell’affidabilità degli operatori economici;

f) l’originaria formulazione dell’art. 80, comma. 5, lett. c), dunque, non rispettava le direttive perché il potere di valutazione discrezionale della stazione appaltante circa l’affidabilità degli operatori era paralizzato dalla mera impugnativa giurisdizionale, da parte dell’operatore, di una precedente risoluzione contrattuale;

g) inoltre siffatto meccanismo, secondo la Corte, non incoraggia il self cleaning, il destinatario di una risoluzione, sapendo che essa è irrilevante se contestata in giudizio, non è incoraggiato ad adottare misure riparatorie.

Ciò premesso, anche la mancata esecuzione anticipata delle prestazioni contrattuali non adeguatamente giustificata, infatti, traducendosi in una violazione del principio di correttezza e buona fede da parte dell’aggiudicatario, lesiva dell’affidamento ingeneratosi in capo alla stazione appaltante, che solo e in forza del detto illecito può adottare un provvedimento di caducazione dell’intervenuta aggiudicazione, costituisce senz’altro illecito professionale rientrante nella fattispecie legale anche se non espressamente menzionato.

Merita di essere adeguatamente sottolineato come la ratio sottesa al motivo di esclusione di cui al citato art. 80, comma 5, lett. c), sia proprio quella di evitare che l’amministrazione aggiudichi ad un soggetto che faccia dubitare della sua integrità o affidabilità.

Dal principio di atipicità degli illeciti professionali rilevanti ai sensi e per gli effetti dell’art. 80, comma 5, lett. c), e dal principio che spetta alla stazione appaltante valutarne la rilevanza e gravità, discende come corollario che era onere dei concorrenti dichiarare tutti gli illeciti professionali potenzialmente rilevanti, non solo quelli nominati.

Ed è, altresì, evidente come proprio il comportamento rimproverato all’appellante rientri tra quelli in grado di minare l’affidabilità dell’aspirante aggiudicatario agli occhi dell’amministrazione e come il fatto stesso così come rappresentato nell’atto impugnato esaurisca l’onere motivazionale incombente sull’amministrazione, risultando chiare le ragioni del suo agire. Pertanto, sull’appellante incombeva anche l’obbligo di dichiarare la detta circostanza, al fine di consentire all’amministrazione di operarne un’adeguata valutazione.

8.3. Quanto, infine, al lamentato mancato utilizzo del soccorso istruttorio è piuttosto agevole confutare l’impostazione dell’appellante, atteso che anche all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contatti, l’istituto in questione, che pure ha visto ampliato il suo ambito di applicazione, non può essere utilmente invocato. Va, infatti, precisato che secondo l’art. 83, comma 9, d.lgs. 50/2016, ultimo periodo: “Costituiscono irregolarità essenziali non sanabili le carenze della documentazione che non consentono l'individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa”. Nella fattispecie, quindi, da un lato, il concorrente non avrebbe potuto essere rimesso in termine per rendere quella dichiarazione non resa sul fatto, in seguito valutato dall’amministrazione, dal momento che la mancata dichiarazione non equivale a dimenticanza, ma a consapevole scelta da parte del concorrente e che il contenuto della mancata dichiarazione non poteva essere noto alla stazione appaltante. Dall’altro, il richiamo al soccorso istruttorio non risulta utile, dal momento che l’esclusione risulta motivata dall’amministrazione sulla scorta della mera ponderazione operata in ordine al comportamento pregresso del concorrente e non in ragione della mancata dichiarazione dello stesso, sicché il richiamo al soccorso istruttorio non risulta davvero calzante.

9. L’appello in esame deve, quindi, essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna Consorzio Sisifo Coop. Soc. A R.L. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge in favore sia di Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, che di Medicasa Italia S.p.A. e di Cooperativa Sociale e che di Lavoro Operatori Sanitari Associati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia in commento il Supremo Consesso amministrativo siciliano si è soffermato sulla natura non tassativa dell’elenco di illeciti professionali contenuto nella norma di cui al Codice appalti, interpretazione, questa, fatta propria dalla prevalente e più condivisibile giurisprudenza già prima della novella dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016.

Nell’ottica eurounitaria, dunque, resta sempre rimessa alla stazione appaltante la valutazione caso per caso in ordine alla affidabilità del concorrente finalizzata all’esclusione dello stesso dalla gara pubblica.

Tale esegesi ha trovato conferma nella giurisprudenza della C. giust. UE, che ha ritenuto illegittima la originaria formulazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), osservando che “le direttive europee ostano a una normativa nazionale, quale il testo originario dell’art. 80, comma 5, lett. c), codice italiano, secondo cui la contestazione in giudizio della risoluzione di un pubblico appalto disposta da una stazione appaltante per significative carenze nella sua esecuzione, impedisce alla stazione appaltante che indice una nuova gara di appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase di selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la risoluzione si riferisce(cfr. Corte Giust. U.E., sez. IV, 19 giungo 2019 C-41/18).

Riprendendo le argomentazioni fatte proprie dalla Corte di Lussemburgo la Corte di Giustizia amministrativa ha osservato che: spetta alla stazione appaltante valutare se l’operatore vada o meno escluso dalla gara; tale facoltà di esclusione è finalizzata a verificare l’affidabilità dell’operatore;
la stazione appaltante deve potere escludere l’operatore inaffidabile in qualunque momento della procedura e non solo dopo una sentenza giudiziale che confermi la risoluzione contrattuale; la stazione appaltante non può essere automaticamente vincolata dall’esito di un giudizio sulla risoluzione, che se lo fosse non potrebbe applicare adeguatamente il principio di proporzionalità in sede di valutazione se ricorrono o meno motivi di esclusione;se uno Stato membro recepisce una causa facoltativa di esclusione, deve rispettarne gli elementi essenziali, nella specie, la riserva alla stazione appaltante della valutazione dell’affidabilità degli operatori economici;l’originaria formulazione dell’art. 80, comma. 5, lett. c), dunque, non rispettava le direttive perché il potere di valutazione discrezionale della stazione appaltante circa l’affidabilità degli operatori era paralizzato dalla mera impugnativa giurisdizionale, da parte dell’operatore, di una precedente risoluzione contrattuale;inoltre siffatto meccanismo, secondo la Corte, non incoraggia il self cleaning, ovvero il destinatario di una risoluzione, sapendo che essa è irrilevante se contestata in giudizio, non è incoraggiato ad adottare misure riparatorie.

Premesso quanto sopra, anche la mancata esecuzione anticipata delle prestazioni contrattuali non adeguatamente giustificata, traducendosi in una violazione del principio di correttezza e buona fede da parte dell’aggiudicatario, lesiva dell’affidamento ingeneratosi in capo alla stazione appaltante, che solo e in forza del detto illecito può adottare un provvedimento di caducazione dell’intervenuta aggiudicazione, costituisce senz’altro illecito professionale rientrante nella fattispecie legale anche se non espressamente menzionatoe può conseguentemente produrre l’esclusione del concorrente alla procedura di gara.

In chiusura i Giudici rilevano come la ratiosottesa al motivo di esclusione di cui al citato art. 80, comma 5, lett. c), sia proprio quella di evitare che l’Amministrazione aggiudichi ad un soggetto che faccia dubitare della sua integrità o affidabilità.

Da ultimo piò affermarsi che dal principio di atipicità degli illeciti professionali rilevanti ai sensi e per gli effetti dell’art. 80, comma 5, lett. c), e dal principio che spetta alla stazione appaltante valutarne la rilevanza e gravità, discende come corollario che costituisce onere dei concorrenti dichiarare tutti gli illeciti professionali potenzialmente rilevanti, non solo quelli nominati.