Cons. Stato, sez. III 5 giugno 2019, n. 3780

1. L’art. 53 del Codice dei contratti pubblici richiama al primo comma la disciplina contenuta nella L. 241/90, mentre nel secondo elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara. L’art. 5 bis, comma 3 del D.lgs. n. 33/2013, invece, stabilisce che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

2. Tale ultima prescrizione, nel limitare il diritto, fa riferimento a “specifiche condizioni, modalità e limiti”, non anche ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione.

3. Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9470 del 2018, proposto dal Consorzio Parts & Services, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Martini e Antonio Battaglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Battaglia in Roma, piazza della Libertà n. 20; 

contro

Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Elena Pontiroli e Salvatore Alberto Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Salvatore Alberto Romano in Roma, viale XXI Aprile n. 11; 

nei confronti

C.A.P.- Consorzio Automanutentori Parmensi, non costituito in giudizio; 

per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) n. 197/2018, resa tra le parti, concernente il diniego di accesso agli atti relativi all'affidamento del servizio di manutenzione e riparazione di tutti gli automezzi in dotazione all'Azienda Unità Samitaria Locale di Parma;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Unità' Sanitaria Locale di Parma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2019 il Pres. Franco Frattini e uditi per le parti gli avvocati Antonio Martini e Elena Pontiroli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con la sentenza oggetto dell’odierno gravame, il T.A.R. di Parma respingeva il ricorso proposto dal Consorzio per l’annullamento della nota n.20440 del 23 marzo 2018 dell’A.U.S.L. di Parma relativa al diniego dell’istanza di accesso civico generalizzato in relazione agli atti concernenti l’affidamento del servizio di manutenzione e riparazione di tutti gli automezzi in dotazione dell’Azienda U.S.L. per il periodo dall’1.1.2013 al 31.12.2015, nonché del “Frontespizio Protocollo Generale” allegato a suddetta nota e di ogni altro ulteriore atto presupposto, connesso e/o consequenziale.

Nel respingere tale ricorso, il giudice di prime cure ha svolto le seguenti considerazioni: agli atti di cui è richiesto l’accesso (consistenti per una parte nei documenti di gara e per la restante parte in una serie di dati relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito) va applicata la disciplina “ordinaria” dell’accesso agli atti di cui all’art. 22 e ss. della l. 241/1990 e ciò in virtù del combinato dell’art. 53 del d.lgs. 50/2016 con l’art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n.33/2013. L’art. 53 a mente del quale “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”, infatti, è stato considerato dal primo giudice come fonte della esclusione dalla disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis su richiamato, ai sensi del quale “il diritto di cui all’art. 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della l. 241/1990”.

Avverso tale decisione, il Consorzio ha proposto appello, fondato sulle seguenti motivazioni:

1) Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 5 bis del d.lgs. n. 33/2013 e dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016; violazione dell’art. 97 Cost.;

2) Riproposizione delle censure non esaminate ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 101 c.p.a.; error in procedendo: violazione e/o falsa applicazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.a.

In relazione a tale ultimo aspetto, parte appellante ripropone diverse censure sulle quali il giudice di prime cure non si sarebbe pronunciato: illegittimità del diniego impugnato per eclatante ed insanabile difetto di motivazione; illegittimità del diniego impugnato e riconducibilità dell’istanza avanzata dal ricorrente nell’ambito dell’accesso civico generalizzato; illegittimità del diniego e insussistenza di ipotesi di esclusione e/o limitazione in materia di accesso civico generalizzato.

Il 7 gennaio 2019 si è costituita l’AUSL di Parma con riserva di presentare una successiva memoria.

Il 13 maggio 2019 l’AUSL di Parma ha depositato memoria con cui anzitutto vengono ricostruiti i fatti oggetto del contenzioso. Con riguardo alla procedura di gara indetta nel 2012 per il servizio di manutenzione degli automezzi per il triennio 2013-2015, l’A.U.S.L. nega che vi fosse stato un malfunzionamento della piattaforma Intercent che avrebbe impedito all’odierno appellante di presentare l’offerta e che avverso tale malfunzionamento è stato proposto ricorso avverso il TAR Parma culminato con una sentenza (n.163/2014) di improcedibilità a seguito della dichiarata sopravvenuta carenza di interesse di Parts & Services, parte ricorrente del giudizio. L’Azienda espone inoltre di aver bandito una nuova gara avente ad oggetto il medesimo servizio per il triennio 2018-2020 alla quale Part & Services non ha partecipato e avverso la quale è stato proposto ricorso da parte di altra impresa, Auto Service Milano s.r.l., sostenendo che non fossero stati previsti criteri di selezione conformi alla normativa in materia. Tale giudizio è culminato con sentenza di rigetto del TAR di Parma (n. 80/2018), a dimostrazione, secondo parte resistente, della correttezza dell’operato dell’Amministrazione. Con riguardo alle istanze di accesso presentate dall’odierno appellante, l’Azienda riferisce di averle rigettate in quanto nella prima, presentata ai sensi degli artt. 22 e ss della l. 241/90, sarebbe mancato un interesse concreto, diretto e attuale, mentre la seconda, avente ad oggetto un accesso civico generalizzato, non sarebbe stata applicabile alla documentazione richiesta. Successivamente a tale disamina, l’Azienda nella memoria espone diverse considerazioni riguradanti l’inapplicabilità dell’accesso civico generalizzato agli atti di gara, l’inapplicabilità del d.lgs. 33/2013 ai preventivi e fatture, e sottolinea l’intento emulativo di parte appellante nel richiedere l’accesso agli atti.

DIRITTO

L’appello è fondato.

In linea generale va premesso che il legislatore, attraverso l’introduzione dell’accesso civico generalizzato, ha voluto consentire l’accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, a “chiunque”, prescindendo da un interesse manifesto. Tale istituto di portata generale, tuttavia non è esente da alcune limitazioni rinvenibili sia in quanto stabilito nell’art. 5-bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 33/2013, sia nella scelta del legislatore di far rimanere in vita gli artt. 22 e ss. della l. 241/90 relativi all’accesso c.d. “ordinario”.

Nella fattispecie in esame la richiesta di accesso civico generalizzato riguarda gli atti di una procedura di gara ormai definita; in particolare il Consorzio ha chiesto l’ostensione dei seguenti documenti: la documentazione dei singoli atti della procedura; il contratto stipulato con l’aggiudicataria; i preventivi dettagliati, i collaudi, i pagamenti “con la relativa documentazione fiscale dettagliata”. In casi del genere si tratta di stabilire se l’art. 53 del codice dei contratti il quale stabilisce “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241” possa condurre alla esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, ai sensi del quale “il diritto di cui all’art. 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della l. 241/1990”.

La giurisprudenza amministrativa formatasi innanzi ai TAR, sul punto non è univoca registrandosi diversi orientamenti.

Secondo un primo indirizzo i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 (T.A.R. Emilia- Romagna, Parma, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 630/19).

Secondo un diverso orientamento, di contro, dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici (da ultimo, T.A.R. Lombardia, sez. IV, n. 45/2019).

Ritiene il Collegio che ai fini di una corretta decisione, si debba muovere dalla lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli art. 53 d.lgs. 50/2016, che rinvia alla disciplina di cui all’art. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e dell’art. 5 bis, comma 3, d.lgs. 33/2013.

L’art. 53 del codice dei contratti pubblici, come già chiarito, richiama al primo comma la disciplina contenuta nella l. 241/90, mentre nel secondo elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara. L’art. 5 bis, comma 3 del d.lgs. n. 33/2013, stabilisce, invece che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

Come correttamente ritenuto da parte appellante, tale ultima prescrizione fa riferimento, nel limitare tale diritto, a “specifiche condizioni, modalità e limiti” ma non ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. Entrambe le discipline, contenute nel d.lgs. 50/2016 e nel d.lgs. 33/2013, mirano all’attuazione dello stesso, identico principio e non si vedrebbe per quale ragione, la disciplina dell’accesso civico dovrebbe essere esclusa dalla disciplina dei contratti pubblici. D’altro canto, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della l. 241/90 è spiegabile alla luce del fatto che il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al d.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del d.lgs. 33/2013.

Il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information act” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013.

L’intento del legislatore delegato è stato quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.

La “ratio” dell’intervento è stata declinata in tutte le sue implicazioni da questo Consiglio di Stato (cfr. Commiss. Speciale 24 febbraio 2016 n. 515) il quale, nell’esprimere il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza ai fini della presente decisione:

A) Il primo aspetto, cioè la già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”.

Deriva da tale principio anzitutto che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa.

In secondo luogo, dal medesimo principio – ricavabile dalla testuale interpretazione dell’art. 5 bis co. 3 d.lgs. n. 33/2013 come novellato – discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti.

Non ritiene il Collegio che il richiamo, ritenuto decisivo dal primo giudice, all’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici.

E’ evidente che il citato d. lgs. n. 97/2016, successivo sia al “Codice dei contratti” che – ovviamente – alla legge n. 241/90, sconta un mancato coordinamento con quest’ultima normativa, sul procedimento amministrativo, a causa del non raro difetto, sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi, in cui il legislatore incorre.

Non può, dunque, ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento: sarebbe questa, opinando sulla scia della impugnata sentenza, la strada per la preclusione dell’accesso civico ogniqualvolta una norma di legge si riferisca alla procedura ex artt. 22 e seguenti L. 241/90.

Ritiene, viceversa, il Collegio, che una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. debba valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno.

B) Il secondo aspetto, che il citato parere Comm. Speciale 515/2016 di questo Consiglio ha sottolineato, e che risulta utile ai fini della presente decisione, è che la normativa sull’accesso civico non ha certo regolato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili a lui utili relativi ad ambiti di una impresa concorrente e coperti dalla ordinaria “segretezza aziendale”.

Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33).

Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.

Il richiamato parere n. 515/2016, con argomenti che trovano nella materia degli appalti un terreno privilegiato, ha correttamente osservato:

La trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato […] come modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri […].

In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto e del potere amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono […] nonché rendere conoscibili i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate”.

Tali principi trovano, sempre in materia, significativa conferma nella posizione chiara della Commissione Europea, che nella relazione concernente il contrasto alla corruzione in ogni ambito, sottolinea la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza in ogni ambito, e particolarmente negli appalti pubblici “prima” ma anche “dopo l’aggiudicazione”.

A tali linee, poi, si è ispirato il Piano Nazionale Anticorruzione, proprio a partire dal 2016, anno di entrata in vigore del d.lgs. introduttivo dell’accesso civico.

Dal richiamo, sub A) e B) a principi generali ormai applicabili necessariamente a tutti i settori e materie – salve le specifiche esclusioni - dell’azione delle pubbliche amministrazioni, deriva che, contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza appellata, l’appellante abbia diritto ad accedere agli atti della procedura di appalto a cui non ha partecipato, per le ragioni che seguono in rapporto agli specifici ostacoli preclusivi posti dalla resistente A.S.L. di Parma:

1) Del tutto privo di pregio è il riferimento alla asserita “voluminosità” della documentazione di gara. Anzitutto perché l’appellante ha richiesto di accedere ad una specifica procedura, e poi perché il riferimento a disagi e lunghe tempistiche per l’ostensione degli atti configura proprio quel tentativo di “opaca schermatura”, nascosto dietro non dimostrati disagi pratici, che l’accesso civico ha inteso eliminare per sempre;

2) La natura degli atti da esibire, consistenti perlopiù nella documentazione amministrativa e contabile, incluse le fatture pagate all’aggiudicatario, esclude qualsiasi compromissione di segreti del processo industriale della società che esegue l’appalto.

Per quanto riguarda gli importi liquidati all’esecutore dell’appalto, si tratta di dati che devono essere resi pubblici dalle stazioni appaltanti, sicché altrettanto ostensibili devono ritenersi i documenti contabili da cui si ricavano gli importi stessi.

Infine, osserva il Collegio, che l’oggetto dell’appalto in questione si configura come prestazione standardizzata e altamente ripetitiva, giacché nella realtà contemporanea la manutenzione e riparazione dei veicoli avviene con tecniche ed interventi che ciascuna ditta produttrice del veicolo indica con puntualità, a partire dai “libretti di manutenzione” consegnati all’atto della vendita.

Pertanto, nessun – dimostrato o ipotizzabile – vulnus a segreti commerciali o industriali può prodursi nella concreta fattispecie all’esame del Collegio.

Resta, ovviamente, la cautela che l’Amministrazione dovrà esercitare con specifico riferimento alla “documentazione fiscale” della società aggiudicataria, avendo riguardo l’ostensione consentita soltanto alla documentazione – inclusa quella fiscale – strettamente relativa alla procedura di gara per cui è richiesto l’accesso civico, e alla esecuzione dell’appalto affidata al Consorzio aggiudicatario.

Conclusivamente, in relazione alle considerazioni svolte, deve essere accolto l’appello, con la conseguente doverosa ostensione, da parte dell’Amministrazione, della documentazione di gara e della fase esecutiva dell’appalto aggiudicato, per la procedura di gara in questione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese del grado nella misura di euro 3.000 (tremila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

L’istituto dell’accesso civico generalizzato è finalizzato a consentire l’accesso ai documenti detenuti dalle PP.AA., ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, a “chiunque”, a prescindere, cioè, dalla presenza di un interesse manifesto.

Nonostante la chiara portata estensiva, però, non mancano limitazioni applicative, rinvenibili in parte nell’art. 5 bis, commi 1 e 1 D.lgs. 33/2013 e in parte nel richiamo legislativo alle generiche previsioni di cui agli artt. 22 e ss. L. 241/1990, afferenti all’accesso ordinario.

Con la pronuncia in commento il Supremo Consesso amministrativo si sofferma sull’analisi dell’accesso civico generalizzato avente ad oggetto gli atti di una procedura di gara ormai definita. In casi del genere si tratta di stabilire se l’art. 53 del codice dei contratti - a parere del quale “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241possa condurre alla esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi dell’art. 5 bis, comma 3 D.lgs. 33 cit. - ai sensi del quale “il diritto di cui all’art. 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della l. 241/1990”.
La giurisprudenza amministrativa di primo grado formatasi sul punto non è, invero, univoca.

Secondo un primo indirizzo i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 D.lgs. 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, D.lgs. 33/2013 (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, I, 25 marzo 2019, n.  630/19; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 18 luglio 2018, n. 197).

A parere di un differente orientamento, invece, anche nella materia appalti dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato (da ultimo, T.A.R. Lombardia, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 45).

I Giudici di Palazzo Spada, pronunciatisi sul tema, affermano che punto di avvio è costituito dalla lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli artt. 53 cit., che rinvia alla disciplina di cui all’art. 22 e seguenti della Legge n. 241/1990, e 5 bis, comma 3 cit.

L’art. 53 del Codice dei contratti pubblici, come già chiarito, richiama al primo comma la disciplina contenuta nella L. 241/90, mentre nel secondo elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara. L’art. 5 bis, comma 3 del D.lgs. n. 33/2013, invece, stabilisce che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

Tale ultima prescrizione, nel limitare il diritto, fa riferimento a “specifiche condizioni, modalità e limiti”, non anche ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. Entrambe le discipline, contenute nei D.lgs. 50/2016 e 33/2013, infatti, mirano all’attuazione dello stesso, identico principio e non si vedrebbe per quale ragione, la disciplina dell’accesso civico dovrebbe essere esclusa dalla disciplina dei contratti pubblici. D’altro canto, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. cit. è spiegabile alla luce del fatto che il D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al D.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del D.lgs. 33/2013.

Orbene, il richiamato D.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 D.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information act” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5, comma 2 D.lgs. n. 33/2013.

L’intento del legislatore delegato, dunque, è stato quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.

La ratio ispiratrice dell’intervento è stata declinata in tutte le sue implicazioni da questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Commiss. Speciale, 24 febbraio 2016, n. 515) il quale, nell’esprimere il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza ai fini della presente decisione.

Nel dettaglio il riferimento è primariamente alla già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, la quale comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24, comma 1, L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”.

Deriva da tale principio anzitutto che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa.

In secondo luogo, dal medesimo principio – ricavabile dalla testuale interpretazione dell’art. 5 bis, comma 3, D.lgs. n. 33 cit., come novellato – discende la regola per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti.

Orbene, il Collegio non ritiene che il richiamo all’art. 53 del Codice dei contratti nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della L. 241/90, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici.

È evidente che il citato D.lgs. n. 97/2016, successivo sia al “Codice dei contratti” che – ovviamente – alla Legge n. 241/90, sconta un mancato coordinamento con quest’ultima normativa, sul procedimento amministrativo, a causa del non raro difetto, sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi, in cui il legislatore incorre.

Non può, dunque, ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del D. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento: sarebbe questa, opinando sulla scia della impugnata sentenza, la strada per la preclusione dell’accesso civico ogniqualvolta una norma di legge si riferisca alla procedura ex artt. 22 e seguenti L. 241/90.

Ritiene, viceversa, il Collegio, che una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. debba valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno.

Il secondo aspetto, che il citato parere Comm. Speciale n. 515/2016 di questo Consiglio ha sottolineato, e che risulta utile ai fini della presente decisione, è che la normativa sull’accesso civico non ha certo regolato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili a lui utili relativi ad ambiti di una impresa concorrente e coperti dalla ordinaria “segretezza aziendale”.

Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della par condicio dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5, comma 2, cit.).

Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.

Il richiamato parere n. 515/2016, con argomenti che trovano nella materia degli appalti un terreno privilegiato, ha correttamente osservato “la trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato […] come modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri […]. In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto e del potere amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono […] nonché rendere conoscibili i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate”.
Tali principi trovano significativa conferma nella posizione chiara della Commissione Europea, che nella relazione concernente il contrasto alla corruzione in ogni ambito, sottolinea la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza in ogni ambito, e particolarmente negli appalti pubblici “prima” ma anche “dopo l’aggiudicazione”.

A tali linee, poi, si è ispirato il Piano Nazionale Anticorruzione, proprio a partire dal 2016, anno di entrata in vigore del Decreto legislativo introduttivo dell’accesso civico.