Cassazione Civile, Sezioni Unite, 24 gennaio 2019, n. 2083 - INTERESSE GENERALE

Nelle ipotesi in cui la tutela giurisdizionale sia chiesta per fasi progressive, la decisione di merito emessa nel giudizio primario vale anche a fissare la giurisdizione del giudice che tale decisione ha emesso anche per i giudizi direttamente dipendenti: pertanto, una volta che sia stata pronunciata condanna generica, non rileva l'entrata in vigore di uno ius superveniens, determinante un nuovo criterio di riparto, giacché questo non spiega alcun effetto di fronte ad un giudicato sostanziale il quale, comportando che sul medesimo rapporto non abbiano a pronunciare giudici appartenenti ad ordini diversi di giurisdizione, prevale sull'applicabilità del diritto sopravvenuto

Si segnala la sentenza in commento per il principio affermato, rilevante in via generale, al di là della fattispecie a cui si riferisce del riparto di giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto crediti derivanti da lavoro alle dipendenze della P.A., maturati in data anteriore al d.lgs. n. 31 marzo 1998, n. 80.

La pronuncia trae origine da un giudizio promosso ex art. 362 c.p.c. e relativo ad un conflitto negativo di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in materia di pubblico impiego (medio tempore devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro).

Il ricorrente, ex dipendente di una AUSL, agiva innanzi al T.A.R. Abruzzo, Sezione di Pescara, per l’ottemperanza ad una sentenza - resa dal medesimo Tribunale - avente ad oggetto il diritto al pagamento di somme dovute per lavoro straordinario negli anni dal 1993 al 1998. Nel giudizio di merito, il Tribunale Amministrativo[1], ritenendo che la vertenza rientrasse nella propria cognizione, condannava l’ente pubblico al pagamento delle spettanze richieste dal lavoratore. Il Collegio rimetteva poi alla stessa Amministrazione, in possesso di tutta la documentazione necessaria, l’onere di quantificare le somme.

L’Amministrazione rimaneva del tutto inerte.

In sede di ottemperanza, il medesimo T.A.R. dichiarava il proprio difetto di giurisdizione[2], sul presupposto che la domanda non era determinata sotto il profilo del quantum debeatur e che, pertanto, trattavasi di giudizio di natura cognitoria, devoluto medio tempore al giudice ordinario. A suo volta, il giudice ordinario[3], successivamente adito, dichiarava la propria carenza di giurisdizione, rilevando che i crediti oggetto della controversia erano maturati in data antecedente al 30 giugno 1998.

Le Sezioni Unite - confermando un orientamento già espresso in taluni precedenti[4] - hanno affermato che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.

La Suprema Corte osserva infatti che - nelle ipotesi di tutela per fasi progressive - quando il giudizio principale di merito sia coperto dal giudicato sostanziale, l’introduzione medio tempore di un nuovo riparto di giurisdizione è del tutto irrilevante. In altri termini, lo ius superveniens non spiega effetti di fronte ad una sentenza definitiva, in quanto il giudicato sostanziale emesso sul diritto fatto valere, anche nelle ipotesi di condanna generica, involge anche la giurisdizione che funge da presupposto, la quale rimane “intangibile e insensibile alle vicende successive”. Il fondamento del giudicato sostanziale, regolato dall'art. 2909 c.c., infatti, che risponde al generale principio della certezza del diritto, è quello di rendere insensibili le situazioni di fatto dallo stesso considerate, per le quali è stata già individuata ed applicata la corrispondente regula iuris, ai successivi mutamenti della normativa di riferimento[5].

Nella materia del pubblico impiego cd. “privatizzato” o contrattualizzato, la linea di demarcazione che ha segnato la devoluzione della cognizione dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria è tracciata dall'art. 45, comma 17, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80[6], norma volta ad equiparare gli strumenti di tutela del dipendente, a prescindere dalla natura – pubblica o privata – del datore di lavoro.

Il quadro normativo delineato con le riforme degli anni ’90 si proponeva dunque l’obiettivo di colmare la distanza tra lavoratori pubblici e privati, sul presupposto che i primi risultassero svantaggiati dall’essere assoggettati ad una giurisdizione (all’epoca) priva dei poteri processuali necessari a salvaguardare adeguatamente il lavoratore. La devoluzione ha riconosciuto così in capo al giudice ordinario la possibilità di incidere in materia di diritti violati o pretermessi dalla pubblica amministrazione, adottando, nei confronti del datore di lavoro pubblico, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati.

L’avvertita esigenza di offrire al cittadino una tutela reale, non solo di natura demolitoria, ha spinto poi il legislatore – proprio all’indomani della riforma del 1998 – ad ampliare i poteri processuali propri della giustizia amministrativa, riconoscendo anche al giudice speciale (tra l’altro) la possibilità di adottare pronunce di risarcimento per equivalente o in forma specifica dei danni derivanti dalla lesione di interessi legittimi. La legge n. 205/2000 ha infatti sancito la sostanziale equiparazione dei poteri – e quindi dell’effettività della tutela – tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Invero, come in tutte le riforme strutturali, il passaggio dal vecchio al nuovo sistema ha generato non pochi problemi di diritto intertemporale, resi ancor più frequenti da una legislazione dalle linee non sempre coerenti, che continua ad intervenire spostando i limiti della giurisdizione, ora devolvendo ora sottraendo categorie di lavoratori alla giurisdizione ordinaria[7].

L’incertezza del quadro normativo e la già accennata equiparazione dell’effettività delle tutele ordinarie e speciali (sancita definitivamente dall’art. 1 del codice del processo amministrativo[8]) hanno reso necessario in più occasioni l’intervento chiarificatore della giurisprudenza di legittimità.

Nella sentenza in commento, la Corte, nell’affrontare il problema del diritto sopravvenuto con riguardo alle vicende a tutela progressiva, ha richiamato l’attenzione sulla portata del giudicato cd. implicito, che investe non solo il merito della vertenza, ma anche tutti i presupposti processuali su cui la pronunzia si fonda, radicando la cognizione delle successive vicende processuali in capo al medesimo giudice che ha emesso la sentenza definitiva.

La pronuncia offre degli spunti di riflessione sul rapporto tra giurisdizione e ius superveniens, anche nelle ipotesi in cui non sia intervenuto il giudicato a cristallizzare le vicende processuali.

Il dato normativo di riferimento è sicuramente costituito dall'art. 5 c.p.c., secondo il quale la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, senza che abbiano effetto i successivi mutamenti[9].

Nel caso posto all’attenzione della Corte, il momento determinate ai fini della cristallizzazione della cognizione in capo al giudice amministrativo coincide con la proposizione della domanda “principale” e con il giudicato che su di essa si è formato.

Il principio enunciato dalla Suprema Corte è volto, dunque, a favorire la perpetuatio iurisdictionis - secondo cui la successione delle leggi del tempo non può influire su un rapporto processuale validamente instaurato – rispetto alla traslatio iudiciis.

Entrambi gli istituti processuali, a ben vedere, hanno come finalità quella di assicurare l’effettività della tutela, da una parte, garantendo certezza al cittadino sull’identità della legge processuale applicabile alla propria domanda di giustizia e, dall’altra, fornendo un rimedio ex post a fronte degli errori nell’individuazione del giudice competente, garantendo la conservazione degli effetti della domanda.

La giurisprudenza di legittimità, chiamata di volta in volta a dare applicazione agli opposti rimedi della permanenza e del trasferimento della giurisdizione, si dimostra sensibile ad istanze di semplificazione e giustizia sostanziale, muovendo dalla considerazione che la pluralità di giurisdizioni non può risolversi in una minore effettività dell'ordinamento processuale, o addirittura in una vanificazione della tutela.

In altri termini, la pronuncia in commento non fa che sancire, ancora una volta, la piena strumentalità del processo rispetto all’attuazione del diritto fatto valere, strumentalità ancor più rilevante quando vi sia un quadro normativo in evoluzione o comunque dai contorni incerti. Da qui l’esigenza – ove possibile – di evitare che una medesima controversia sia sottoposta alla cognizione di giurisdizioni diverse, anche al fine di scongiurare il pericolo (in questi casi tutt’altro che infrequente) di giudicati contrastanti.

Nello stesso solco, invero, si inserisce la giurisprudenza che interpreta l'art. 5 c.p.c. nel senso di ritenere che la perpetuatio iurisdictionis non incide sulla immediata operatività del diritto sopravvenuto quando la nuova normativa valga a radicare la causa presso il giudice davanti al quale è stata promossa[10]. Pertanto, anche ove sia stato adito un giudice privo di giurisdizione al momento della proposizione della domanda, il difetto di giurisdizione non potrà essere dichiarato qualora la stessa sia stata attribuita per effetto di una disposizione sopravvenuta[11].

La norma in esame è elevata a principio garante del legittimo affidamento, dell’effettività della tutela e dell’efficacia del processo.


[1] Sentenza 11 marzo 2004, n. 164.

[2] Sentenza 2 febbraio 2015, n. 48.

[3] Tribunale di Pescara, 23 settembre 2016, n. 785.

[4] In termini, cfr. Cass., Sez. Un., 9 luglio 2010, nn. 16193, 16195; Cass., Sez. Un., 11 febbraio 2002, n. 1946.

[5] Ex multis, si veda la recentissima Cassazione civile, sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31904.

[6] Norma abrogata e sostituita dall'art. 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

[7] Si vedano, ad esempio, la legge 30 settembre 2004, n. 252, che disciplina il rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e la legge 27 luglio 2005, n. 154, recante la disciplina dell'ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria: entrambe le leggi sottopongono le predette categorie di impiego al regime di diritto pubblico.

[8] A norma del quale “la giustizia amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”.

 

 

[10] In termini, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 3 giugno 2010, n. 3489.

[11] Cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2012, n. 5173.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE    Giovanni                     -  Primo Presidente  -

Dott. SPIRITO    Angelo                  -  Presidente di Sezione  -

Dott. MANNA      Antonio                 -  Presidente di Sezione  -

Dott. CIRILLO    Ettore                  -  Presidente di Sezione  -

Dott. TRIA       Lucia                             -  Consigliere  -

Dott. DE STEFANO Franco                            -  Consigliere  -

Dott. DORONZO    Adriana                      -  rel. Consigliere  -

Dott. ORICCHIO   Antonio                           -  Consigliere  -

Dott. ACIERNO    Maria                             -  Consigliere  -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4537/2018 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso lo studio dell'avvocato FRANCO SABATINI - STUDIO SINAGRA - SABATINI, rappresentato e difeso dall'avvocato LUCA GROSSI;

- ricorrente -

contro

AZIENDA UNITA' SANITARIA LOCALE DI (OMISSIS) - A.U.S.L. DI (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato ANDREA MODESTI;

- controricorrente -

per la risoluzione del conflitto negativo di giurisdizione tra le

sentenze nn. 48/2015 del TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'ABRUZZO - SEZIONE DISTACCATA DI PESCARA, depositata il 2/02/2015 e n. 785/2016 del TRIBUNALE di PESCARA, depositata il 23/09/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2018 dal Consigliere ADRIANA DORONZO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo;

uditi gli avvocati Luca Grossi ed Andrea Modesti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La controversia è sorta a seguito di una sentenza resa dal Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, che, pronunciando sui ricorsi proposti da M.P., dichiarò il diritto del ricorrente "al pagamento delle somme dovute per lavoro straordinario, reperibilità e recupero festività relativi agli anni dal 1993 al 1998"; condannò "la Gestione liquidatoria della UUSL di (OMISSIS) e l'Azienda Usl di (OMISSIS)... al pagamento, in favore del ricorrente, delle somme dovute per i titoli di cui sopra". La sentenza (n. 264/2004) è passata in giudicato.

2.- Con ricorso del 21/7/2014, depositato presso la cancelleria del Tar Abruzzo-Pescara, il M., in sede di giudizio di ottemperanza, chiese che fosse ordinato alla Asl e alla Gestione liquidatoria della USL di (OMISSIS) di adottare gli atti necessari per l'esecuzione della sentenza n. 264/2004, provvedendo in particolare al conteggio dei corrispettivi richiesti per i titoli su indicati; a fondamento della domanda espose che con nota di protocollo n. 712/2014 la AUSL (OMISSIS) gli aveva comunicato di avergli corrisposto nella busta paga di novembre 2004 un corrispettivo aggiuntivo per i titoli rivendicati; che, tuttavia, l'importo non corrispondeva a quanto a lui spettante in forza della detta sentenza.

3.- Con sentenza n. 48 depositata in data 2/2/2015, il Tar Abruzzo dichiarò il suo difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario, rilevando che il ricorso non aveva ad oggetto l'ottemperanza della sentenza del giudice amministrativo quanto piuttosto la proposizione di una nuova domanda di tipo cognitorio e sulla quale non sussisteva più la sua giurisdizione, trattandosi di materia rientrante nel pubblico impiego contrattualizzato. Anche questa sentenza è passata in giudicato.

4.- Con ricorso del 12/10/2015, il M. chiese al Tribunale di Pescara di emettere un decreto ingiuntivo nei confronti della AUSL di (OMISSIS) per il pagamento della somma di Euro 62.861,38, oltre accessori, a titolo di differenze degli emolumenti solo in parte riconosciuti dall'amministrazione e rivenienti dalla sentenza n. 264/2004.

5.- Il decreto ingiuntivo fu opposto dalla AUSL e il Tribunale, con sentenza n. 785 del 23/9/2016, dichiarò inammissibile il ricorso per ingiunzione - così revocando il decreto - per difetto di giurisdizione, trattandosi di controversia relativa a prestazioni nascenti dal rapporto di lavoro anteriori al 30/6/1998 e rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo.

6.- Contro la sentenza il M. propone ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1, per la risoluzione del conflitto negativo di giurisdizione. Resiste con controricorso l'Azienda Unità Sanitaria Locale di (OMISSIS), che chiede il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Deve, in primo luogo, essere affermata l'ammissibilità del ricorso per conflitto negativo di giurisdizione: si versa infatti in un'ipotesi in cui tanto il giudice ordinario quanto il giudice amministrativo hanno negato con sentenza la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare d'ufficio il conflitto, sicchè si è in presenza non di un conflitto virtuale (risolvibile con istanza di regolamento preventivo, ex art. 41 c.p.c.), ma di un conflitto reale negativo, denunciabile alle sezioni unite della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1, in ogni tempo e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che una o entrambe le pronunce in contrasto non siano più impugnabili (cfr Cass. Sez. Un. 07/01/2013, n. 150; Cass. 30/03/2017, n. 8246). L'esistenza di due pronunce contrastanti sulla giurisdizione a conoscere la medesima controversia, declinata da entrambe, radica di per sè nelle parti un interesse alla risoluzione del conflitto in considerazione della situazione di stallo processuale (Cass. Sez. Un. 20/08/2009, n. 18499).

2.- Sussiste l'identità delle cause, sia sotto il profilo della causa petendi sia sotto il profilo del petitum, a nulla rilevando che la causa dinanzi al Tribunale ordinario di Pescara sia stata proposta nelle forme del ricorso monitorio e, quindi, vi sia stata l'esatta determinazione delle somme pretese, mentre la causa dinanzi al Tar ha avuto ad oggetto la richiesta di quantificazione degli importi, ritenuta insufficiente la determinazione fatta dall'ente datore di lavoro: rimangono infatti immutati la causa petendi - costituita dall'accertamento del diritto contenuto nella sentenza n. 264/2004 del Tar che è il titolo in forza del quale il ricorrente agisce - ed il petitum immediato, costituito dalla condanna al pagamento degli emolumenti che di quel diritto sono espressione.

3.- Sussiste anche l'identità delle parti, salvo che per quanto riguarda la Gestione liquidatoria della Usl (OMISSIS), presente solo nel giudizio davanti al Tar, giacchè tale parziale diversità non incide sulla sostanziale identità soggettiva dei due giudizi, entrambi rivolti nei confronti della AUSL (OMISSIS), quale ente datore di lavoro che si assume obbligato al pagamento degli emolumenti.

Al riguardo va richiamato il precedente di questa Corte secondo cui "La denuncia del conflitto reale, positivo o negativo di giurisdizione, a norma dell'art. 362 c.p.c., è ammissibile anche nel caso in cui fra i giudizi, svolti dinanzi a due diversi ordini giurisdizionali, vi sia una parziale diversità di parti e di petitum formale, allorchè la prima non incida sulla sostanziale identità soggettiva e la seconda sia comunque posta in relazione alla medesima causa petendi" (Cass. sez. Un., 29/08/2008, n. 21928; v. pure Cass. Sez. Un. 10/08/1996, n. 7408; Cass. 15/04/1982, n. 2287).

4. Nel merito, il conflitto deve essere risolto con l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo.

Trova infatti applicazione il principio più volte enunciato da questa Corte secondo cui, ove la tutela giurisdizionale sia chiesta per fasi progressive, la decisione di merito emessa nel giudizio primario vale anche a fissare la giurisdizione del giudice che tale decisione ha emesso anche per i giudizi direttamente dipendenti: pertanto, una volta che sia stata pronunciata condanna generica, non rileva l'entrata in vigore di uno ius superveniens, determinante un nuovo criterio di riparto, giacchè questo non spiega alcun effetto di fronte ad un giudicato sostanziale il quale, comportando che sul medesimo rapporto non abbiano a pronunciare giudici appartenenti ad ordini diversi di giurisdizione, prevale sull'applicabilità del diritto sopravvenuto (in termini, Cass. Sez. Un., 9/7/2010, nn. 16193, 16195; Cass. Sez. Un. 11/2/2002, n. 1946; cfr. anche Cass. Sez. Un., 28/5/2014, n.11912 che ha ribadito il principio secondo cui il giudicato sulla condanna risarcitoria in forma specifica preclude ogni questione sulla giurisdizione del giudice adito - nella specie amministrativo - anche relativamente al risarcimento per equivalente, atteso che ogni statuizione di merito comporta una pronuncia implicita sulla giurisdizione).

5. Ne consegue che, con la sentenza n. 264/2004 il giudice amministrativo ha affermato la sua giurisdizione che resta ferma anche per il successivo giudizio concernente la quantificazione del credito.

In altri termini, come è stato affermato nei precedenti richiamati, il giudicato sostanziale emesso sul diritto fatto valere, ancorchè conclusosi con una condanna generica, implica necessariamente la formazione del giudicato anche sulla giurisdizione che funge da presupposto, la quale rimane intangibile e insensibile alle vicende successive, come la privatizzazione del rapporto di lavoro.

6. Nè tale giudicato può dirsi a sua volta travolto dalla successiva pronuncia n. 48/2015 dello stesso Tar, la quale si è pronunciata non già sulla domanda di condanna delle amministrazioni convenute al pagamento di quanto spettante al M., previa quantificazione del quantum, bensì sulla diversa questione della ammissibilità del giudizio di ottemperanza, nella specie esclusa dallo stesso Tar.

7. Infine, coerentemente con i principi su richiamati e in conseguenza dell'intero iter che la controversia ha avuto, deve considerarsi che la proposizione dell'originaria domanda, il suo accoglimento con sentenza passata in giudicato, sia pure limitatamente all'an, da parte del Tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo e la connessa formazione del giudicato sulla giurisdizione confermano la attuale sussistenza, in capo al M., dell'interesse ad agire, dovendosi altresì ricordare che la norma prevista dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, (già D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17), che fissa, per la proposizione di domande attinenti a rapporto di lavoro anteriore al 30.06.98 - attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - il limite del 15 settembre 2000, non opera quale limite alla persistenza della giurisdizione suddetta (Cass. 06/12/2010, n. 24690).

8. In conclusione, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. La peculiarità della vicenda processuale e la controvertibilità obiettiva della questione, come attestata dalla diversità delle pronunce adottate dal Tar e dal Tribunale ordinario, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul conflitto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2019