Cass., Sez. IV penale, 4 ottobre 2018, n. 47834 - TEMI GENERALI

E’ inammissibile l'appello se  del tutto privo sia di riferimenti ad elementi oggettivi di valutazione, sia di una critica dialettica rispetto alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado.

La motivazione che si sostanzia in un modello prestampato, il cui contenuto è nella quasi totalità adattabile a una quantità indiscriminata di ipotesi e oltretutto non corrispondente ai motivi d'appello si pone in sostanza ai limiti della nozione di motivazione apparente (e, dunque, inesistente), che come noto è ravvisabile quando essa sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente.

La sentenza nella sua estrema sinteticità affronta due temi di portata generale.

Quello della specificità dei motivi di appello e quello della motivazione della sentenza.

Quanto al primo tema, richiamando due distinti orientamenti della giurisprudenza di legittimità: un primo, meno restrittivo, ritiene che sussiste una differente valutazione dell'inammissibilità dei motivi di appello rispetto ai motivi di ricorso per cassazione; un secondo orientamento, invece, afferma la necessità di una valutazione omogenea della specificità dei motivi di ricorso in appello e in cassazione.

In conformità ad una “recente” sentenza a Sezioni Unite[1], la riproposizione di questioni già esaminate e disattese in primo grado non è di per sé causa di inammissibilità dell'impugnazione, atteso che il giudizio d'appello, diversamente da quello di legittimità, ha ad oggetto la rivisitazione integrale del punto della sentenza oggetto di doglianza, con i medesimi poteri del primo giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel relativo motivo. Anzi, i motivi d'appello, per essere specifici, devono necessariamente essere basati su argomenti che siano strettamente collegati agli accertamenti della sentenza di primo grado. Inoltre, l’atto d'appello non può dirsi inammissibile laddove esso si fondi su motivi che siano manifestamente infondati e però caratterizzati da specificità intrinseca ed estrinseca. Viceversa, è corretta la declaratoria d'inammissibilità dell'appello se palesemente deficitario sotto il profilo della motivazione, siccome del tutto privo sia di riferimenti ad elementi oggettivi di valutazione, sia di una critica dialettica rispetto alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado.

Pertanto, non possono essere ritenute inammissibili le doglianze se riferite ad elementi oggettivi di valutazione correlati alla vicenda sottostante e complete di censure relative al percorso argomentativo del provvedimento impugnato rispetto a tali elementi oggettivi.

Quanto al secondo tema, afferma la Cassazione, la motivazione non può sostanziarsi in un modello prestampato, il cui contenuto è, nella quasi totalità, adattabile a una quantità indiscriminata di ipotesi e oltretutto non corrispondente ai motivi d'appello rassegnati dal ricorrente: esso si pone ai limiti della nozione di motivazione apparente (e, dunque, inesistente) che, come noto, è ravvisabile quando essa sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente[2].

Quello in esame è un principio generale di diritto del quale nell’anno corrente si è occupata anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato[3]

L’Alto consesso della Giustizia amministrativa ha distinto l’ipotesi della motivazione viziata (perché incompleta o contraddittoria) da quella della motivazione radicalmente assente (o meramente apparente).

Evidenzia l’Adunanza plenaria, in quest’ultimo caso, l’assenza o il difetto assoluto della motivazione, quale elemento indefettibile che consente di rinvenire un concreto esercizio di potestas iudicandi (art. 88 c.p.a.), impedisce al giudice di appello di esercitare un qualsivoglia sindacato di tipo sostitutivo per essere mancata, nella sostanza, una statuizione sulla quale egli possa incidere, seppure nella forma di integrazione/emendazione delle motivazioni. Il difetto assoluto di motivazione integra allora un caso di nullità della sentenza, per il combinato disposto degli artt. 88, comma 2, lett. d) e 105, comma 1, c.p.a. Anche alla luce del principio processuale di cui all’art. 156, comma 2, c.p.c., la motivazione rappresenta un requisito formale (oltre che sostanziale) indispensabile affinché la sentenza raggiunta il suo scopo.

Si distingue, altresì, il difetto assoluto di motivazione dalla motivazione illogica, contraddittoria, errata, incompleta o sintetica. Invero, il difetto assoluto determina un vizio di ben più marcata gravità che dà luogo ad una sentenza abnorme ancor prima che nulla. A parte le ipotesi estreme (spesso dovute ad errori materiali in fase di redazione o pubblicazione della sentenza) di mancanza “fisica” o “grafica” della motivazione (ad esempio, la sentenza viene pubblicata solo con l’epigrafe e il dispositivo, lasciando in bianco la parte dedicata all’illustrazione delle ragioni della decisione), o di motivazione palesemente non pertinente rispetto alla domanda proposta (perché fa riferimento a parti, fatti e motivi totalmente diversi da quelli dedotti negli scritti difensivi), il difetto assoluto di motivazione coincide con la motivazione apparente, per tale dovendosi intendere la motivazione tautologica o assertiva, espressa attraverso mere formule di stile.

La motivazione è apparente quando a sostegno dell’accoglimento o non accoglimento del ricorso non individua neppure una ragione ulteriore rispetto alla generica affermazione della sua fondatezza o infondatezza, di cui, però, non viene dato conto e spiegazione, se non attraverso l’utilizzo di astratte formule di stile. Più in generale, la motivazione è apparente quando sussistono anomalie argomentative di gravità tale da porre la motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” che si ricava dall’art. 111, comma 5, della Costituzione secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Pertanto, dà luogo a nullità della sentenza solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé. Esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva, tautologica, apodittica, oppure obiettivamente incomprensibile[4]. Peraltro, la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione riguarda non solo le sentenze di rito (irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità), ma anche quelle che recano un dispositivo di merito (accoglimento o rigetto del ricorso) non sorretto da una reale motivazione. Rispetto al difetto assoluto di motivazione, invero, la nullità della sentenza prescinde dalla differenza tra pronunce di rito e pronunce di merito[5].


[1] Cass., Sez. Un., 27 ottobre 2016, n. 8825.

[2] Cass., Sez. 5, 14 luglio 2014, n. 9677. 

[3] Cons. Stato, Ad. plen., 30 luglio 2018, n. 10 e n. 11; Id., 5 settembre 2018, n. 14; Id., 28 settembre 2018, n. 15.

[4] In senso conforme, v. anche Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Id., 3 novembre 2016, n. 22232; Id., Sez. VI, 22 febbraio 2018, n. 4294.

[5] In tema di sentenza motivata per relationem, la Cassazione ha ribadito la nullità della sentenza se recante una mera adesione a quella impugnata, redatta in maniera del tutto acritica e senza dare conto delle doglianze esposte dall'appellante alla statuizione di primo grado, v. Cass., Sez. trib., 11 aprile 2018, n. 8912. In tal modo, infatti, secondo la Corte, resterebbe impossibile l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo, non potendo ritenersi che «la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l'esame e la valutazione dell'infondatezza dei motivi di gravame» (ex multis, Cass., Sez. VI, 26 giugno 2017, n. 15884; Id., Sez. III, 11 giugno 2008, n. 15483).

Con riferimento alla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, cautelari e di merito, S. Tarullo, Giusto processo (dir. proc. amm.), in Encicl. Dir., Annali II-1, 2008, 377 ss. A proposito del rinvio a precedenti giurisprudenziali nella motivazione della sentenza, V. Marinelli, Precedente giudiziario, in Encicl. Dir., Agg. VI, 2002, 871.