estratto da "Il sistema del diritto amministrativo - Le riforme amministrative", di F. Caringella, Dike Giuridica Editrice, sett. 2018

1. L’arcipelago delle autorità indipendenti. – 1.1. Poteri neutri, problemi costituzionali e modelli di accountability. – 1.2. Le Autorità non sono giudici e, per questo, devono soggiacere a una full jurisdiction. – 2. Le più recenti riforme individuano l’ANAC come modello di autorità giusdicente a tutto tondo. – 2.1. Il modello dell’Anac nella riforma Renzi – Madia del 2014. – 2.2. Con il codice del 2016 l’ANAC diventa il garante giusdicente nel mercato dei contratti pubblici. – 2.2.1. Il potenziamento delle funzioni di vigilanza e il correlato potere sanzionatorio. – 2.2.2. I nuovi poteri regolatori. – 2.2.3. Gli ulteriori poteri e funzioni. – 3. Le competenze in materia di trasparenza alla luce del d.lgs. n. 97/2016. – 4. Considerazioni conclusive.


 

1.  L’arcipelago delle autorità indipendenti

Le autorità indipendenti sono una manifestazione recente e tardiva della crisi e della fuga dall’amministrazione centrale di tipo tradizionale. La creazione di organismi caratterizzati dalla sottrazione all’indirizzo politico governativo e dall’equidistanza rispetto agli interessi privati ha consentito all’Italia di adeguarsi, solo negli ultimi trent’anni, a esigenze di modernizzazione e di garanzia che, già alla fine del XIX secolo (l’Interstate Commerce Commission del 1887), avevano portato, negli Stati Uniti, alla nascita di organismi e boards indipendenti, dotati di poteri quasi giudiziali (indipendent regulatory agencies).

è noto che le autorità indipendenti danno vita a un mondo vario, che sfugge a ogni tentativo di definizione unitaria. Si è parlato, in modo plastico, di arcipelago, a significare le significative diversità tra singole authorities quanto a tasso di indipendenza, ambito di operatività, tipologie di funzioni, latitudine dei poteri.

Un duplice tratto unificante è tuttavia ravvisabile nelle peculiari e immancabili incarnazioni di questo modello amministrativo di derivazione anglosassone: il profilo soggettivo dell’indipendenza dal potere politico e dall’apparato governativo; l’aspetto oggettivo di una funzione neutrale caratterizzata dall’esercizio di discrezionalità tecnica.

Soffermandosi su quest’ultimo aspetto, è utile osservare che le funzioni autoritative delle Autorità si affrancano dalle categorie amministrativistiche. Infatti, il Garante espleta una funzione giusdicente, di garanzia dell’applicazione della legge nel settore di riferimento, a tal fine dettando le regole (in applicazione delle norme primarie), risolvendo i conflitti, vigilando sugli operatori e sanzionando le inosservanze. La funzione giusdicente, in quanto più estesa rispetto a quella schiettamente giurisdizionale, si concreta in un concetto ampio di attuazione della legge, comprensivo del regolare (in applicazione della norma primaria) e del decidere. Le Autorità non sono, cioè, chiamate alla cura, con scelte amministrativamente discrezionali, di interessi pubblici di loro pertinenza, ma dirimono, in via preventiva, potenziali conflitti tra interessi collettivi, diffusi, categoriali e individuali, fissando le regole di disciplina di settore, per poi eventualmente ricorrere all’utilizzo di poteri correttivi e sanzionatori, idonei a ricondurre l’attività dei singoli e dei gruppi nei binari della correttezza e della legalità.

Sono, quindi, ascrivibili al paradigma delle funzioni giusdicenti i poteri regolamentari (ove le Autorità siano investite di un potere di adottare regolamenti, in attuazione del dettato legislativo primario), regolatori (concretantesi nell’adozione di prescrizioni che disciplinano il settore, prive di spessore regolamentare), di vigilanza, di controllo e monitoraggio, di accertamento, di risoluzione dei conflitti e sanzionatori.

In definitiva, l’affrancazione dal concetto costituzionale classico di Amministrazione risulta palpabile: buona parte delle funzioni delle Independent Commissions, pur se autoritative, lungi dal concretarsi nella ponderazione comparativa degli interessi pubblici e privati, si incentra, infatti, nell’applicazione della legge, ancorché essa non consista nella meccanica traduzione della volontà astratta del Legislatore, ma nella valutazione dei presupposti della fattispecie astratta, in base ai precetti tecnici richiamati dal Legislatore e suscettibili di vario apprezzamento.

Siamo, in sostanza, al cospetto di una discrezionalità tecnica finalizzata all’applicazione della norma, con la soluzione dei problemi che si pongono per la decodificazione di “leges artis che si atteggiano a concetti giuridici indeterminati.

Non si può, allora, non concordare con quanti hanno autorevolmente sottolineato che la particolare posizione di indipendenza delle Autorità le rende del tutto eccentriche rispetto al paradigma costituzionale, grazie all’ispirazione di detta funzione tutoria al modello della neutralità più che al classico principio di imparzialità cristallizzato dall’art. 97 della Carta fondamentale.

I due termini, pur se simili e spesso adoperati in modo promiscuo, sono indicativi di concetti diversi.

Il termine ‘imparzialità’ esprime l’esigenza che l’Amministrazione, agendo per il perseguimento dell’interesse pubblico primario che costituisce il dato teleologico di fondo, si comporti nei confronti dei destinatari dell’agere amministrativo senza innescare discriminazioni arbitrarie. Il canone costituzionale di lealtà ed equità comportamentale impone, cioè, che l’operatore pubblico, a patto di non scantonare dalla stella polare dell’ottimale perseguimento dell’interesse pubblico, si comporti equamente nell’apprezzamento degli altri interessi, pubblici e privati, in gioco, evitando sacrifici non imposti dall’interesse pubblico primario medesimo. L’imparzialità non significa, perciò, disinteresse e indifferenza, bensì equità di condotta, sulla premessa del carattere interessato dell’azione amministrativa, volta alla cura di interessi pubblici concreti.

La ‘neutralità’, per converso, indica, come accennato, indifferenza dell’Amministrazione indipendente rispetto ai protagonisti degli interessi confliggenti da comporre, il suo essere terza e, quindi, giusdicente nell’agone in cui si scontrano i protagonisti del “giuoco” da regolare. Di qui, la veste di arbitro o, in certi settori, di magistrato economico, non condizionato politicamente da un vincolo di preferenza nella regolazione degli interessi, tutti sullo stesso piano, ivi compresi quelli pubblici, rispetto all’esigenza cogente del rispetto della legge.

Il pensiero di Benjamin Constant, al quale si deve nel 1991 la prima analisi del pouvoir neutre modèrateur, ha da tempo messo in luce che non tutti gli apparati pubblici devono mantenere un collegamento stretto con il circuito politico amministrativo che risente spesso delle logiche di breve periodo dei cicli elettorali, in quanto la gestione di diritti fondamentali e la regolazione di mercati nevralgici richiedono una rafforzata autonomia di giudizio. Di qui la necessità di battezzare agenzie indipendenti per assicurare il keeping out of politics e, quindi, un riparo efficace dalla corruzione e dalle frodi grazie a processi decisionali fondati sull’esperienza tecnica e sulla neutralità[1]. Il primato della tecnica neutrale di soluzione dei problemi sociali è ben messo in evidenza dal motto “there is not a democrat or republican way to pave a road”. Le pulsioni politiche e le passioni partigiane rischiano di compromettere il primato della tecnica e il bisogno della buona amministrazione. Non è un caso se l’Interstate Commerce Commission del 1887 fu denominata the poor man’s court.

1.1. Poteri neutri, problemi costituzionali e modelli di accountability

In tutti gli ordinamenti, europei e non, l’istituzione di autorità indipendenti e il conferimento in loro favore di rilevanti poteri hanno sollevato delicati problemi di costituzionalità. Negli Stati Uniti, la Corte Suprema nel 1935 giunse ad annullare il National Recovery Act, proprio per l’eccessiva latitudine dei poteri sostanzialmente normativi (o di rule making) attribuiti all’autorità indipendente preposta alla sua attuazione.

Anche nel nostro sistema la sottrazione delle autorità indipendenti al controllo politico ha posto un problema di accountability, ossia di controlli e di responsabilità.

La giurisprudenza nazionale ha giustamente ritenuto che il deficit di legittimazione democratica e l’assenza di responsabilità politico-amministrativa possano essere colmati attraverso l’applicazione di regole di trasparenza e di partecipazione, basate sul canone del notice and comment e del due process of law. Il Consiglio di Stato ha infatti affermato che, in assenza di responsabilità e di soggezione nei confronti del Governo, l’indipendenza e la neutralità delle autorità devono trovare legittimazione “dal basso”, a condizione che siano assicurati il giusto procedimento e la protezione giurisdizionale di diritti e interessi legittimi. La mancanza dell’intervento della politica viene colmata dalla presenza della “democrazia deliberativa” e dall’applicazione della “legalità procedurale”. Infatti, nei sistemi di competenza delle autorità, in assenza di un sistema completo e preciso di regole di comportamento, con obblighi e divieti fissati dal legislatore, “la caduta del valore della legalità sostanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del contraddittorio” (Cons. Stato, sez. VI, n. 7972/2006; Comm. Spec., parere 1° aprile 2016, n. 855; 2 agosto 2016, n. 1767; 14 settembre 2016, n. 1920). Le autorità amministrative indipendenti sono quindi tenute a compensare i privilegi di cui godono assicurando un processo decisionale pienamente cristallino e particolarmente trasparente.

A sostegno della piena sindacabilità delle decisioni delle autorità in esame e dell’applicazione, peraltro rafforzata, delle regole di democrazia procedurale previste per l’azione amministrativa, si è posta, a livello teorico, la considerazione che non si tratta di entità che incarnano un quarto potere acefalo di carattere paragiurisdizionale, ma di pubbliche amministrazioni, pur se caratterizzate da profili di peculiarità oggettiva e soggettiva. Si è, in particolare, rimarcato che, stante l’assenza di una definizione costituzionalmente rigida di pubblica amministrazione e di potere amministrativo, non è possibile evincere dall’assimilazione materiale di talune funzioni delle Autorità a quelle giurisdizionali la qualificazione di siffatti organismi alla stregua di giudici speciali, invece che di pubbliche amministrazioni. Nell’assetto costituzionale non esiste, infatti, un tertium genus tra Amministrazione e Giurisdizione, ossia una funzione paragiurisdizionale che non sia meramente descrittiva e priva di rilevanza giuridica sul piano della natura dell’Autorità e dei relativi atti.

La semplice attribuzione alle Autorità di poteri di risoluzione di conflitti (e quindi la definizione in termini materialmente giustiziali dell’oggetto del decidere) non giustifica la creazione di un giudice speciale, in quanto, anche a tacere del divieto costituzionale di istituzione di nuovi giudici speciali, è, a tal fine, necessario che la legge disciplini un processo che sfoci in una decisione che acquisisca la definitività del giudicato al di fuori di qualsiasi controllo da parte di altro organo o potere dello Stato. Viene allora in rilievo un modello di Amministrazione decidente (art. 97 Cost.), che trova precisi e antichi riferimenti nel modello della tutela giustiziale imperniato sullo strumento del ricorso amministrativo e un più recente addentellato nell’estensione al procedimento, grazie alla L. 241, dei principi di derivazione giurisdizionale in termini di integrità del contraddittorio e di diritto di difesa.

1.2. Le Autorità non sono giudici e, per questo, devono soggiacere a una full jurisdiction

L’attribuzione alle Autorità di poteri neutrali di risoluzione di conflitti (e quindi la definizione in termini materialmente giustiziali dell’oggetto del decidere) non giustifica la qualificazione di esse come organi giurisdizionali, in quanto, anche a tacere del divieto costituzionale di istituzione di nuovi giudici speciali, è, a tal fine, necessario che la legge disciplini un processo che sfoci in una decisione che acquisisca la definitività del giudicato al di fuori di qualsiasi controllo da parte di altro organo o potere dello Stato. Si deve, allora, concludere che l’assimilazione funzionale alle decisioni giudiziarie, non supportata dalla volontà legislativa di dare foggia a giudici chiamati, all’esito di un processo, alla pronuncia di decisioni capaci di passare in giudicato, non vale a decretare una fuga dall’Amministrazione ex art. 97 Cost. verso la giurisdizione ex art. 111 Cost. Viene, invece, in rilievo, come detto, un modello di Amministrazione giusdicente che trova precisi e antichi riferimenti nel modello della tutela giustiziale imperniato sullo strumento del ricorso amministrativo e un più recente addentellato nell’estensione al procedimento, grazie alla L. 241, dei principi di derivazione giurisdizionale in termini di integrità del contraddittorio e di diritto di difesa.

Può, così, concludersi che le Autorità indipendenti hanno natura amministrativa: pertanto, l’attribuzione alle Autorità indipendenti di funzioni «contenziose», comportanti un potere decisorio su diritti soggettivi, basato cioè sull’identificazione di posizioni giuridiche tutelate e non di valutazioni semplicemente discrezionali circa la sussistenza di un interesse pubblico, non elimina la necessaria soggezione di ogni atto delle Autorità a un controllo giudiziario.

Proprio la natura non giurisdizionale delle autorità indipendenti, in particolare laddove esse applichino sanzioni in materia riservata alla giurisdizione (vedi capitolo 2, par. 3.2.1.), implica d’altronde, secondo la giurisprudenza della Corte Edu, la necessità che le decisioni amministrative siano sottoposte a un sindacato giurisdizionale pieno onde garantire la paternità finale della sanzione da parte di un giudice in senso stretto e formale.

Occorre considerare, seguendo i c.d. Engels criteria, che il concetto di “giurisdizione piena” (“full jurisdiction”), è legato a quello di “Tribunal”. Un “Tribunal” è tale quando è competente a giudicare di tutte le questioni, sia di fatto che di diritto, che siano rilevanti per la controversia per cui è adito, atteso che «article 6 draws no distinction between questions of fact and questions of law. Both categories of questions are equally crucial for the outcome of proceedings relating to ‘civil rights and obligations’».

Ciò vale naturalmente anche per le valutazioni tecniche compiute da una pubblica amministrazione, che un giudice si trovi a dover (ri)controllare. In proposito, è stato chiaramente statuito che un controllo giurisdizionale che si limiti a verificare solo la palese irragionevolezza dell’agire amministrativo non valuta davvero il fondamento della decisione della p.a (“the merits of the matter”).

Dunque, i giudici non possono ritenersi vincolati da quanto previamente valutato dalle amministrazioni (ancorché si tratti di fatti complessi), dovendo, invece procedere a un riesame, se del caso, mediante l’ausilio di un consulente tecnico. Secondo la dottrina e la giurisprudenza “il pieno e diretto accesso ai fatti in sede di procedimento giurisdizionale deve essere assicurato anche laddove vengano in rilievo fatti complessi o valutazioni di carattere tecnico, quali quelle ricondotte in Italia alla discussa nozione di discrezionalità tecnica”.[2]

È quindi necessario un sindacato intrinseco, pur se non necessariamente sostitutivo (vedi tomo 2, capitolo 5, parr. 3 e 4).

 

Non crediamo, infatti, che il canone del giusto processo imponga il modello di sindacato di full jurisdiction plasmato in modo da disegnare un perfetto continuum tra procedimento amministrativo e procedimento giurisdizionale, da considerare il provvedimento come sentenza emessa da un ‘autorité administrative che ha le rôle du juge e da qualificare il giudice amministrativo come giudice d’impugnazione chiamato, secondo uno schema appellatorio e non cassatorio, a riesercitare en plein il potere, senza essere pregiudicato dalle “prior findings of administrative bodies which were decisive for the outcome of the cases before them”.

A fronte degli argomenti a sostegno della tesi opposta, basati sulla valorizzazione forte del diritto di difesa e dell’esigenza di tutela satisfattoria in uno con il principio di parità delle armi[3], sembrano di peso superiore i rilievi opposti imperniati sulla diversa soluzione adottata da ben nove Paesi aderenti alla Convezione che riconoscono all’intrinseco del giudizio discrezionale la qualità di profilo di merito non sostituibile,[4] sull’autonomia riconosciuta dalla CEDU agli Stati membri nella graduazione delle tecniche di protezione e, soprattutto, sulla stessa flessibilità della giurisprudenza della Corte EDU che, in materia di determinazione amministrativa dei diritti civili, ha ammesso una declinazione della full jurisdiction in termini più morbidi di sufficient review o jurisdiction, quale accesso pieno e autonomo ai fatti, senza un’effettiva capacità di sostituzione giudiziale e senza, in particolare, esorbitanza dal limite intrinseco della scelta discrezionale.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che non tutte le garanzie di cui all’art. 6 CEDU devono essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa, a condizione però che “la decisione dell’autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni dell’articolo 6 sia successivamente sottoposta al controllo di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione (sentenza Grande Stevens).

Con la sentenza Menarini[5], la CEDU ha fugato ogni dubbio nella materia che qui interessa, affermando la compatibilità del nostro sindacato giurisdizionale con la natura penale delle sanzioni antitrust.

In merito a quest’ultimo profilo, la Corte ha riconosciuto la natura sostanzialmente “penale” delle sanzioni inflitte dall’Autorità. Infatti, sebbene gli illeciti antitrust non costituiscono reato secondo l’ordinamento italiano, è stata ritenuta dirimente: (a) la natura della norma violata, volta a preservare la libera concorrenza sul mercato e idonea dunque ad incidere sugli interessi generali della società, normalmente tutelati dal diritto penale; (b) la natura e la gravità della sanzione, avente natura repressiva e preventiva.

La Corte ha poi esaminato la conformità alla convenzione del modello di sindacato sulle sanzioni dell’Autorità esercitato dal giudice amministrativo, concludendo in merito alla compatibilità con l’art. 6 CEDU di sanzioni penali imposte in prima istanza da un organo amministrativo, purché sia assicurata la possibilità di ricorso a un giudice avente giurisdizione piena e intrinseca, pur se non sostitutiva (“[…] La sanzione contestata non è stata inflitta da un giudice dopo un procedimento nel contraddittorio delle parti, ma dalla AGCM. […]. La conformità con l’articolo 6 non esclude che, in un procedimento di natura amministrativa, una pena sia inflitta da un’autorità amministrativa. Si presuppone però che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi le condizioni di cui all’articolo 6 § 1 debba subire un controllo a posteriori da un organo giudiziario avente giurisdizione piena[6]).

2.  Le più recenti riforme individuano l’ANAC come modello di autorità giusdicente a tutto tondo

L’incarnazione più avanzata di questo modello giusdicente di autorità è l’Autorità Nazionale Anticorruzione.

L’esame delle caratteristiche peculiari di questa autorità, affinate dal nuovo codice dei contratti pubblici del 2016 e dal correttivo di cui al decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, è l’occasione per decifrare lo stato dell’arte e i profili evolutivi di un istituto affascinante e, per molti versi, inesplorato.

2.1. Il modello dell’Anac nella riforma Renzi – Madia del 2014

L’attribuzione all’ANAC della veste di autorità indipendente con ampie funzioni giusdicenti trova fondamento, prima ancora che nel d.lgs n. 50/2016, nel d.l. n. 90/2014, conv. dalla legge n. 114/2014 (riforma Renzi-Madia), che aveva già rafforzato i poteri attribuiti con la legge fondativa n. 190/2012.

Detta normativa ha, infatti, sancito la riconfigurazione istituzionale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione prevedendo l’accentramento in capo a essa di nuovi compiti e funzioni[7]. L’intervento in parola ha interessato contemporaneamente sia l’impianto delle regole per la prevenzione della corruzione (soprattutto nel settore degli appalti), sia i poteri, la struttura e lo stesso assetto istituzionale dell’ANAC, sempre più avvicinata a un modello di Multi-purpose agency.

è così iniziato un deciso cambio di passo nelle scelte politiche, ascrivibile, in parte alla necessità di dare esecuzione alle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia[8] e alle nuove direttive contratti dell’Unione Europea[9]; e, in parte, alla volontà di rendere evidente l’avvio di una nuova ‘era’ di contrasto al fenomeno della corruzione (che, da tempo, si ritiene annidato soprattutto nel settore delle commesse pubbliche) che costituisce un sostanziale blocco allo sviluppo economico del sistema Paese[10].

L’emanazione del decreto ha seguito alcuni noti casi giudiziari, quali gli arresti per fatti corruttivi connessi alla realizzazione delle opere dell’Esposizione Universale di Milano “EXPO 2015”, e alla costruzione del Modulo sperimentale elettromeccanico della laguna di Venezia (c.d. “Mose”). Pertanto, non può essere derubricata a mera illazione quella che, con tale intervento, si sia provato a soddisfare l’esigenza, particolarmente sentita anche nell’opinione pubblica, di costituire in Italia un presidio forte a tutela della trasparenza e legalità nella gestione della cosa pubblica[11].

Il veicolo normativo prescelto dal legislatore è rappresentato da un provvedimento governativo di urgenza, il cui focus principale è la pubblica amministrazione in senso lato (il titolo del decreto è, infatti, “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”).

Numerose norme, tuttavia, si riferiscono in via esclusiva alla prevenzione della corruzione e, soprattutto, all’Autorità di riferimento alla quale significativamente viene mutato anche il nome in quello attuale: semplicemente e significativamente, Autorità Nazionale Anticorruzione[12].

Il più rilevante intervento riguarda l’impianto generale della prevenzione della corruzione e si articola in due punti.

In primo luogo, sono ridefiniti i rapporti con il Dipartimento della funzione pubblica. In estrema sintesi, tutti i poteri in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza passano all’ANAC[13]; i poteri, invece, in materia di valutazione delle performance delle pubbliche amministrazioni vengono trasferiti al richiamato Dipartimento[14].

In secondo luogo, viene soppressa l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP)[15], decretando così la decadenza dei suoi organi di vertice e trasferendo i relativi compiti, funzioni e risorse all’ANAC.

Si tratta di due scelte molto importanti:

(i)  la prima, consente di individuare un unico centro di riferimento che dovrà occuparsi della prevenzione della corruzione[16];

(ii) la seconda, in una logica coerente con le linee guida del complessivo intervento normativo, riconduce nell’alveo della prevenzione della corruzione tutta la materia dei controlli sugli appalti, in quanto comparto di elevata rilevanza strategico-economica per il Paese e, quindi, maggiormente esposto – probabilmente più di ogni altro – al rischio di annidamento di sacche di illiceità e di mala gestio[17].

A quest’ultima modifica deve ascriversi anche un effetto indiretto non meno importante sul piano della complessiva funzionalità operativa dell’ANAC: ossia il suo rafforzamento sul versante della forza lavoro[18].

L’altro ambito su cui il d.l. n. 90/2014 ha inciso significativamente riguarda i poteri attraverso cui le funzioni dell’ANAC possono essere esercitate. In questo senso, viene introdotto in materia di anticorruzione un potere sanzionatorio diretto[19] (e cioè, la possibilità di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie), che va ad aggiungersi ai poteri, già posseduti, dall’AVCP in materia di contratti pubblici e a quelli di segnalazione e di attivazione dell’esercizio dei poteri sanzionatori di altri soggetti[20]. Il potere in questione può essere esercitato nelle fattispecie in cui le amministrazioni omettano l’adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, dei programmi triennali di trasparenza o dei codici di comportamento[21].

Si sono ampliati, poi, i canali informativi dell’ANAC e, quindi, le notizie in base alle quali possono essere esercitati i poteri di vigilanza e controllo. L’Autorità, infatti, diventa destinataria sia degli esposti che provengono dai dipendenti pubblici che segnalano illeciti volendo mantenere la riservatezza (whistleblower); sia delle notizie e segnalazioni provenienti da Avvocati dello Stato i quali, nell’esercizio delle proprie funzioni, vengano a conoscenza di violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolarità relative ai contratti pubblici[22]; sia, infine, delle comunicazioni obbligatorie delle stazioni appaltanti di varianti in corso d’opera superiori a certi importi[23].

Il d.l. n. 90/2014 – con una scelta, invero, senza precedenti nel panorama nazionale delle autorità indipendenti – ha attribuito anche poteri monocratici allo stesso Presidente dell’Autorità: alcuni collegati a circostanze contingenti che hanno (o hanno avuto), quindi, carattere temporaneo e straordinario (ad esempio, i poteri sul grande evento EXPO 2015); altri che, invece, si configurano come vere e proprie funzioni ordinarie ed esercitabili a regime (ad esempio, il commissariamento a fini anticorruzione delle imprese esecutrici di appalti).

In conclusione, il Decreto Renzi-Madia ha delineato la struttura di una nuova Autorità indipendente che unisce le funzioni di controllo e vigilanza sui fatti corruttivi – in genere – all’interno delle Pubbliche Amministrazioni, e quelle inerenti alla vigilanza (“lato sensu intesa) sul settore dei contratti pubblici[24]. In altri termini, con il richiamato intervento normativo, il legislatore ha – in un certo modo – ‘aperto il cantiere’ per la configurazione di questo nuovo soggetto e così avviato una fase quasi biennale di rodaggio (di funzioni e competenze) che si è conclusa con l’approvazione del nuovo Codice dei contratti pubblici[25].

2.2. Con il codice del 2016 l’ANAC diventa il garante giusdicente nel mercato dei contratti pubblici

Dopo un ulteriore rafforzamento delineato dalla legge n. 69/2015, il vero salto di qualità, nella prospettiva di una fisionomia pienamente e schiettamente giusdicente dell’Autorità, è stato suggellato dal codice dei contratti pubblici di cui al al d.lgs 18 aprile 2016, n. 50, come modificato dal decreto correttivo n. 56/2017. Detta riforma ha inserito appieno l’ANAC in un nevralgico sistema di controlli bicipite su appalti e concessioni. Infatti:

(i)  da un lato, c’è – e resta potenziata – la figura del giudice amministrativo in funzione di giudice degli appalti (che giudica secondo regole assolutamente peculiari)”[26], la cui giurisdizione esclusiva è stata confermata dal Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) e il rito successivamente rimodulato dall’art. 40 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114 – c.d. Decreto Renzi-Madia) e dall’art. 204 del nuovo Codice dei contratti pubblici (vedi cap. 7, par. 3.4.);

(ii) dall’altro lato, c’è il potenziamento di una “giovane”[27]. Autorità indipendente che – attraverso la riconfigurazione, operata dal richiamato d.l. n. 90/2014, delle vecchie CIVIT e AVCP e con l’approvazione del nuovo Codice dei contratti pubblici – ha unito in sé i ruoli di soggetto regolatore (paralegislativo) del settore e di primo garante (anche paragiurisdizionale) del rispetto di tale regolazione attraverso incisive funzioni di vigilanza del buon andamento del mercato: ossia l’Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC.

In certo modo è possibile affermare che il Codice approvato con il d.lgs. n. 50/2016 costituisce il riconoscimento definitivo della bontà dei nuovi modelli di controllo nell’ambito della contrattualistica pubblica delineati, nei contorni, dal Decreto Renzi-Madia e strutturati su un processo giurisdizionale iper-accelerato e su una Autorità amministrativa che somma al proprio interno la mission di contrasto alla corruzione (anche attraverso l’approntamento di regole per una amministrazione pubblica più trasparente) e la vigilanza, costante e ad ampio spettro, sui contratti pubblici.

Le molteplici funzioni assegnate all’Anac rendono evidente l’assunzione, da parte di quest’ultima, del ruolo di primo garante dei contratti pubblici che, in funzione giusdicente, si affianca al giudice amministrativo allo scopo di assicurare il buon andamento del mercato delle commesse pubbliche.

Il nuovo Codice dei contratti pubblici ha, infatti, ri-descritto il quadro dei poteri dell’Autorità, con un rafforzamento delle funzioni, anche a seguito dell’attribuzione di ulteriori competenze.

Il riconoscimento del ruolo dell’ANAC di primo garante del mercato dei contratti pubblici è contenuto nel comma 1 dell’art. 213 del d.lgs. n. 50/2016, secondo cui “la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e l’attività di regolazione degli stessi, sono attribuiti, nei limiti di quanto stabilito dal presente codice, all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) di cui all’articolo 19 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che agisce anche al fine di prevenire e contrastare illegalità e corruzione”[28].

A differenza di quanto avveniva in base al previgente d.lgs. n. 163/2006, il legislatore ha deciso di dettare il principio generale (in precedenza, solo e forse troppo, sottinteso) per cui le funzioni di regolazione, di vigilanza e di controllo sul mercato delle commesse pubbliche debbano essere esercitate anche al fine di prevenire e contrastare le condotte illecite e i fatti corruttivi. Il corollario di tale principio è, dunque, che il soggetto amministrativo maggiormente titolato per svolgere tale funzioni non può non essere l’autorità preposta per legge alla prevenzione, alla vigilanza e al controllo sulla corruzione. Il nuovo Codice ribadisce così le ragioni della confluenza in ANAC delle funzioni (potenziate) in precedenza assegnate alla AVCP.

Per comprendere il ruolo di autorità amministrativa pienamente giusdicente è utile esaminare i poteri attribuiti all’autorità in esame nel settore della contrattualistica pubblica.

2.2.1. Il potenziamento delle funzioni di vigilanza e il correlato potere sanzionatorio

Per quanto concerne la vigilanza tout court, si tratta del potere tipico di una autorità indipendente cui spetta verificare se e come le disposizioni dettate per un determinato settore siano applicate in concreto.

Nel nuovo Codice questa funzione viene descritta (e prevista) ad ampio spettro, includendovi tutti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, anche di interesse regionale, inclusi o esclusi dall’ambito di applicazione del nuovo Codice[29].

Emerge, nell’intelaiatura normativa, una nozione nuova e moderna di vigilanza.

In passato la vigilanza era intesa come sinonimo di “controllo”. Era avvicinata anche al concetto di tutela, ritenendosi che i due termini andassero intesi come “costituenti una possibile bipartizione dei controlli rispettivamente rivolti alla legittimità o all’opportunità dell’atto controllato”[30].

Questa posizione è da ritenersi ormai superata, in quanto una siffatta sovrapposizione della vigilanza al binomio controllo-tutela non tiene conto del fatto che essa si presenta come una vera e propria forma di amministrazione attiva, anche di tipo collaborativo, in cui trovano spazi poteri diversi particolarmente penetranti.

La nuova opzione, oggi recepita dalla dottrina e abbracciata dal legislatore, preferisce rifuggire inutili camice di forza, accontentandosi di considerare la vigilanza come generica formula organizzatoria di supremazia speciale, i cui contenuti, definiti dalla legge, possono tendenzialmente variare in modo anche significativo.

Caratteristiche di queste funzioni sono, comunque, la finalità di indirizzare l’attività del vigilato verso un precipuo scopo di interesse pubblico; e, dal punto di vista contenutistico, lo svolgimento dell’attività con atti che non integrano solo un controllo, ma si sostanziano anche in richieste di informazioni, ispezioni, poteri di indirizzo gestionale e, in taluni casi, anche rimozione diretta o indiretta di atti.

In coerenza con questa nozione ampia di compito tutorio, le attività di vigilanza sono così rafforzate rispetto al passato, in quanto si prevede che l’Autorità vigili anche sui contratti esclusi e secretati e si riconosce l’attività, già svolta pur in assenza di specifica previsione nel vecchio codice, di vigilanza collaborativa per affidamenti di particolare interesse, previa stipula di protocolli di intesa con le stazioni appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti e nell’attività di gestione dell’intera procedura di gara (vedi relazione ANAC al Parlamento del 2016).

Alla vigilanzaex post” volta a stigmatizzare illeciti si accompagna così, in modo strutturale, una vigilanzaex ante, diretta a dotare le amministrazioni degli strumenti necessari per agire secundum legem. L’Autorità è investita quindi di una mission strategica che va al di là di controlli specifici, frammentari e disomogenei, sui singoli atti, e si sublima nella garanzia complessiva della legalità e dell’efficienza del sistema e del mercato dei contratti pubblici[31]. L’obiettivo è, in una con la stigmatizzazione di illegalità e malaffare, la stimolazione di best practices in una logica di moral suasion.

Consapevole dell’importanza di tutele anticorruzione “globali”, da attuarsi non soltanto attraverso misure repressive, ma piuttosto grazie al binomio prevenzione-vigilanza, il legislatore ha allora consentito all’Autorità di affiancare, ad attività di vigilanza “ordinarie” o “tradizionali”, forme di vigilanza solidale finalizzate a supportare le pubbliche amministrazioni nell’espletamento delle procedure di appalto e, più in generale, in una logica di “accompagnamento”, a orientare le loro scelte. L’ulteriore rafforzamento delle funzioni di vigilanza lo si registra nella previsione che conferma la sottoposizione al controllo dell’ANAC anche dei contratti secretati o di quelli che esigono particolari misure di sicurezza[32]. All’Autorità è stata altresì riconosciuta, come detto, l’attività, già svolta in passato pur in assenza di specifica previsione nel vecchio d.lgs. n. 163/2006, di vigilanza collaborativa per affidamenti di particolare interesse, previa stipula di protocolli di intesa con le stazione appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti e nell’attività di gestione dell’intera procedura di gara[33].

Infine, il d.lgs. n. 50/2016 codifica e conferma in via definitiva la possibilità per l’ANAC di completare la vigilanza con un correlato, quanto assolutamente necessario, potere sanzionatorio. Le principali disposizioni di riferimento sono contenute ai commi 13 e 14 dell’art. 213 del nuovo Codice[34].

2.2.2. I nuovi poteri regolatori

La novità di maggior rilievo, oltre che per l’operatività dell’Autorità, anche per l’intero sistema della contrattualistica pubblica, non riguarda tuttavia e strettamente le funzioni di vigilanza (sebbene risulti fondamentale per l’esercizio delle stesse), ma è rappresentata dal nuovo potere regolatorio che il legislatore ha attribuito all’ANAC[35]; potere finalizzato alla semplificazione delle norme e alla flessibilità nell’attuazione delle stesse.

 

Detto potere, prima esercitato in via di prassi nonostante l’assenza di un fondamento legislativo espresso, è ora consacrato dalla legge e riveste un ruolo centrale nell’impianto codicistico.

Gli obiettivi di flessibilità e semplificazione non riguardano solo le competenze dell’Autorità, ma permeano l’intera struttura del nuovo Codice dei contratti pubblici, come dimostra la scelta compiuta di non procedere alla redazione di uno specifico regolamento di attuazione (al pari del d.P.R. 5 ottobre 2010, n 207), ma di sostituire lo stesso con strumenti di soft law (droit supple) o di “regolazione flessibile”, rappresentati da decreti ministeriali (c.d. linee guida ministeriali) e linee guida dell’ANAC.

Si passa così, come è stato detto con una punta di esterofilia, dalla dura lex sed lex alla soft law but law[36].

Tali strumenti, sottoposti a rigorosi canoni di better regulation, dovrebbero risultare meno prescrittivi, più agili e idonei a modificarsi nel tempo, in grado di garantire un aggiornamento costante e coerente con i mutamenti del sistema. In ogni caso, mediante l’utilizzo di tali strumenti si andrà a completare, “in modo coessenziale, la disciplina del Codice e il sistema delle fonti”[37].

L’esercizio di una potestà regolatoria non era del tutto ‘sconosciuta’ all’Autorità. Infatti, già in vigenza della vecchia normativa, l’ANAC e prima l’AVCP avevano svolto una funzione di regolazione del mercato, attraverso l’emanazione di linee guida, bandi-tipo, pareri sulla normativa ed altri atti aventi carattere generale.

Con l’approvazione del nuovo Codice è tuttavia possibile affermare che il potere regolatorio dell’Autorità risulta ulteriormente legittimato, ed è agevole pronosticare che questo costituirà nel tempo un cardine fondamentale per garantire una compiuta attuazione della riforma del settore e una più effettiva ed efficace vigilanza.

Del resto, il testo codicistico è estremamente chiaro nel prevedere che “l’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche. Trasmette alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione, gli atti di regolazione e gli altri atti di cui al precedente periodo ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti”.

A completare il quadro della regolazione c.d. secondaria, vi sono poi le linee guida che saranno adottate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti su proposta dell’ANAC e sottoposte al parere delle Commissioni parlamentari[38]. Vengono così a delinearsi tre tipologie di linee guida:

(i) i decreti ministeriali contenenti le linee guida adottate su proposta dell’ANAC e sottoposti a parere delle Commissioni parlamentari;

(ii) le linee guida dell’ANAC a carattere vincolante;

(iii) le linee guida dell’ANAC a carattere non vincolante.

Il legislatore, inoltre, per sottolineare ulteriormente la natura regolatoria degli atti emanati dall’Autorità, ha previsto espressamente che la stessa dovrà dotarsi di forme e metodi di consultazione, di analisi e verifica di impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, e di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale[39].

 

Sulla natura giuridica dell’istituto ha avuto modo di esprimersi anche il Consiglio di Stato nel parere 1° aprile 2016, n. 855 espresso sullo schema di decreto legislativo contenente il nuovo Codice. Secondo i giudici di Palazzo Spada, a differenza delle linee guida approvate con decreti ministeriali che devono essere considerate alla stregua di regolamenti ministerialia tutti gli effetti ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400[40], le linee guida dell’ANAC devono essere ricondotte alla categoria degli atti di regolazione delle autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio, bensì atti amministrativi generali e, appunto, “di regolazione” o “di regolamentazione flessibile”. I Giudici di Palazzo Spada, anche con il successivo parere 2 agosto 2016, n. 1767, hanno, infatti, ritenuto preferibile l’opzione interpretativa che combina la valenza certamente generale dei provvedimenti in questione con la natura del soggetto emanante (ANAC), la quale si configura a tutti gli effetti come un’Autorità amministrativa indipendente, con funzioni (anche) di regolazione. Pertanto, si è ritenuto logico ricondurre le linee guida (e gli atti a esse assimilati) alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e, appunto, ‘di regolazione’ (così Cons. Stato, Comm. spec., parere 14/9/2016, n. 1920; parere 30 marzo 2017, n. 782).

Ne deriva la giustiziabilità delle linee guida dell’ANAC innanzi al giudice amministrativo, affermata chiaramente già dalla legge delega (lett. t), non con lo strumento della disapplicazione, ma con quello dell’impugnazione secondo le stesse coordinate valevoli per i bandi di gara (impugnazione immediata in caso di immediata lesività, doppia impugnativa in caso contrario).

Tale ricostruzione consente di chiarire e di risolvere una serie di problemi sul piano applicativo.

In primo luogo, essa non pregiudica, ma anzi riconferma, gli effetti vincolanti ed erga omnes di tali atti dell’ANAC, come disposto dalla delega (in particolare dalla lett. t), che come si è detto parla di “strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolanti”.

In secondo luogo, tale assimilazione consente di assicurare, anche a questi provvedimenti dell’ANAC, tutte le garanzie procedimentali (basate sul modello nordamericano del notice and comment) e di qualità della regolazione, già oggi pacificamente vigenti per le Autorità indipendenti, in considerazione della natura ‘non politica’, ma tecnica e amministrativa, di tali organismi, e dell’esigenza di compensare la maggiore flessibilità del ‘principio di legalità sostanziale’ con un più forte rispetto di criteri di ‘legalità procedimentale’.

Tra queste, se ne segnalano in particolare tre:

–   l’obbligo di sottoporre le delibere di regolazione a una preventiva fase di ‘consultazione’, che costituisce ormai una forma necessaria, strutturata e trasparente di partecipazione al decision making process dei soggetti interessati, e che ha anche l’ulteriore funzione di fornire ulteriori elementi istruttori/motivazionali rilevanti per la definizione finale dell’intervento regolatorio;

–   l’esigenza di dotarsi – per gli interventi di impatto significativo – di strumenti quali l’analisi di impatto della regolazione-AIR e la verifica ex post dell’impatto della regolazione-VIR, strumenti per i quali occorrerà sviluppare modelli ad hoc per l’ANAC, sulla scorta di quanto già attualmente fanno le Autorità di regolazione (e secondo quanto già prevedeva l’art. 8, comma 1, d.lgs. n, 163/2006 per l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici);

–   la necessità di adottare tecniche di codificazione delle delibere di regolazione tramite la concentrazione in “testi unici integrati” di quelle sulla medesima materia (best practice ormai diffusa presso le principali Autorità di regolazione, in primis quella per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico): tale strumento appare significativamente necessario per il settore degli appalti, allo scopo di evitare il rischio di proliferazione delle fonti che si volevano ridurre e di perdita di sistematicità ed organicità dell’ordinamento di settore, violando, in sede attuativa, il vincolo a una “drastica riduzione” dello stock normativo imposto dalla lett. d) della delega.

In terzo luogo, tale ricostruzione consente anche la realizzazione, per gli “atti di regolazione” dell’ANAC, di forme di adeguata pubblicità: certamente sul sito della stessa Autorità, che andrà appositamente strutturato, ma anche con una pubblicità sulla Gazzetta Ufficiale, non richiesta per le autorità amministrative indipendenti ma altamente opportuna, ad avviso del Consiglio di Stato, in ragione della trasversalità della materia dei contratti pubblici e della latitudine dell’ambito applicativo dei provvedimenti de quibus. Una chiara previsione sulla pubblicità di tali delibere rende meno delicata (e comunque lascia impregiudicata) la questione se debba o meno essere disposta la successiva comunicazione alle Camere (come pure sarebbe preferibile ai fini della conoscibilità del quadro regolatorio da parte degli operatori del settore), che sussiste comunque in virtù di un requisito sostanziale di tipo rinforzato (rilevante impatto regolatorio), ancorché privo di una definizione oggettiva.

Infine, pur in assenza del parere obbligatorio del Consiglio di Stato ex art. 17 della 1. n. 400 del 1988, si rileva che tale sostegno consultivo resta pur sempre possibile in via facoltativa, sotto forma di quesito, sia in ragione della generalità delle questioni e dell’impatto erga omnes dei provvedimenti, sia per analogia con l’art. 17, comma 25, della 1. 15 maggio 1997, n. 127, che prevede il parere obbligatorio del Consiglio sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni dei Ministeri[41].

Per quanto concerne, invece, le linee guida previste dalla legge delega e dal D.lgs. n. 50 per le quali non viene fissato il carattere vincolante, il loro valore nella gerarchia delle fonti è addirittura inferiore rispetto a quella delle circolari ministeriali, sicché la loro efficacia è affidata alla c.d. moral suasion e al vincolo motivazionale che deriva dalla particolare autorità emanante. In altri termini, nonostante sui destinatari di tali linee guida non gravi un obbligo di conformare la propria attività a quanto sancito in queste linee guida, in caso di discostamento sarà necessaria una motivazione stringente onde evitare un vizio di legittimità sotto il profilo dell’eccesso di potere.

 

Ultima categoria di linee guida sono poi quelle emanate motu proprio dall’ANAC su tematiche non considerate da legge delega e dal codice.

Si tratta di atti di regolazione che traggono la loro fonte dall’intero sistema della contrattualistica pubblica, che tiene conto delle direttive comunitarie nonché, in generale, di tutti i principi garantiti dal nostro ordinamento, quali la concorrenza, l’efficienza e la qualità delle stazioni appaltanti.

Per espressa disposizione codicistica, infine, le linee guida – intese appunto come atti amministrativi generali – potranno essere impugnate “innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa”[42]-[43].

2.2.3. Gli ulteriori poteri e funzioni

Accanto all’estensione dei poteri dell’Autorità in materia di vigilanza e regolazione, vi sono altri poteri e funzioni – già esercitati e svolte dall’ANAC in vigenza del vecchio quadro normativo – che hanno subito profonde modifiche, tanto da poter essere considerati come sostanzialmente nuovi.

In quest’ottica, particolare interesse rivestono le modifiche previste per l’istituto del precontenzioso attraverso il quale l’Autorità può, oggi, incidere in maniera assai più significativa rispetto al passato sul corretto svolgimento delle procedure di gara[44].

Il d.lgs. n. 50/2016 ha previsto in realtà, disciplinandoli in un unico articolo (il 211), due strumenti di precontenzioso:

(i)  il parere facoltativo a carattere vincolante su accordo delle parti (istituto che costituisce l’evoluzione dell’originario parere di precontenzioso non vincolante)[45];

(ii) il potere, mutuato dall’articolo 21, comma 1 bis, della legge n. 287/1990 in materia antitrust, di ricorrere innanzi al g.a. avverso le procedure di gara illegittime laddove le stazioni appaltanti non si siano uniformate alla richiesta di eliminazione degli atti illegittimi formulata, in chiave collaborativa, dalla stessa autorità.[46]

 

Per quanto concerne la pareristica vincolante, l’art. 211, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 dispone che l’ANAC, su iniziativa di una stazione appaltante ovvero di una o più delle parti private interessate esprima un parere relativamente alle questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito[47].

Il parere così espresso – superando la criticità della previgente disciplina del d.lgs. n. 163/2006 che non ne prevedeva la vincolatività – assume oggi tutte le caratteristiche di un meccanismo di alternative dispute resolution, configurandosi come uno strumento finalizzato a risolvere una controversia prima del suo insorgere e in modo alternativo alla lite da sciogliersi in sede giudiziaria (v. cap. 7, par. 3.2.).

 

Quanto al nuovo potere di cui all’articolo 211, commi 1 bis e seguenti, l’art. 52-ter del decreto legge n. 50/2017, nel testo derivante dalla legge di conversione, ha chiuso la complessa parabola delle raccomandazioni vincolanti. L’istituto di cui all’art. 211, comma 2, è rimasto definitivamente espunto dal sistema, come aveva stabilito il decreto correttivo. Al loro posto l’articolo 52-ter ha immesso nell’art. 211 del codice una disciplina radicalmente diversa, che corrisponde a quella augurata dal Consiglio di Stato. Questa, a sua volta, risulta ispirata all’istituto contemplato dall’art. 21-bis della legge n. 287/1990, incentrato sulla legittimazione “speciale” dell’Autorità Antitrust, in materia di provvedimenti amministrativi lesivi delle norme a tutela della concorrenza.

Si rinvia al capitolo 7, par. 3, per un approfondimento degli istituti di cui all’articolo 211.

 

Sempre nell’ambito delle funzioni di gestione del precontenzioso, ci si limita a ricordare che, ai sensi dell’art. 210 del nuovo Codice, presso l’ANAC è istituita la Camera arbitrale per i contratti pubblici. La Camera è gestita da un Presidente e da un consiglio arbitrale tutti nominati dall’Autorità.

Infine, tra le nuove funzioni attribuite all’ANAC vanno annoverati:

(i)  la tenuta dell’elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in-house, istituito presso l’Autorità in forza dell’art. 192, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, con la finalità di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nell’attività contrattuale pubblica, soprattutto quando quest’ultima viene ‘sottratta’ al mercato;

(ii) la gestione del Casellario informatico e dell’Osservatorio, strumenti attraverso i quali si attuano le esigenze di trasparenza e pubblicità dei dati e delle informazioni inerenti alle procedure di gara e si realizzano i presupposti per lo svolgimento di un’efficace azione di vigilanza[48]. In particolare, il d.lgs. n. 50/2016 ha strutturato numerosi e rilevanti obblighi di informazione a carico di stazioni appaltanti, operatori economici e organismi di attestazione riguardanti specifici dati relativi alle procedure di affidamento (a titolo esemplificativo, il programma biennale degli acquisti di beni e servizi e il programma triennale dei lavori pubblici, i bandi e gli avvisi di gara, i motivi di esclusione, le dichiarazioni di avvalimento, gli elenchi ufficiali dei fornitori, le varianti in corso d’opera);

(iii) la gestione della Banca dati nazionale dei contratti pubblici nella quale confluiscono tutte le informazioni acquisite attraverso i diversi sistemi informatici, allo scopo di assicurare la accessibilità unificata, la pubblicità, la trasparenza e la tracciabilità delle procedure a evidenza pubblica[49].

3.  Le competenze in materia di trasparenza alla luce del d.lgs. n. 97/2016

Un ulteriore rafforzamento del ruolo dell’ANAC deriva dalla normativa intervenuta nel 2016 in materia di trasparenza (vedi cap. 2, par. 3).

Con il d.lgs. 97/2016 il Governo ha dato attuazione all’art. 7 della l. 124/2015 che prevedeva la revisione e la semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza.

Il decreto interviene sia sul decreto 33 in materia di trasparenza che sulla legge 190, e in particolare, sulle disposizioni relative alla disciplina dei programmi di prevenzione della corruzione, nazionale e delle singole amministrazioni. Diverse disposizioni riguardano il ruolo e i poteri dell’ANAC (vedi relazione al parlamento del 2016).

Una delle novità più significative del nuovo decreto è costituita, nel quadro dell’ampliamento dell’ambito di applicazione del principio di trasparenza, dall’introduzione di un accesso generalizzato ai dati e ai documenti detenuti dalle PA, sul modello del Freedom of Information Act (FOIA) di origine anglosassone (v. cap. 2, par. 3). Il novellato art. 5 del decreto 33, prevede, infatti, «la libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni». Si tratta di uno strumento profondamente innovativo, che si aggiunge all’accesso civico già previsto nel decreto 33, con cui viene assicurato il diritto di accesso da parte di qualunque cittadino o associazione a tutti gli atti, i documenti e le attività delle PA, senza motivazioni e senza che occorra la dimostrazione di un interesse attuale e concreto. La norma indica gli elementi di massima delle procedure per la presentazione delle richieste e prevede, in caso di diniego, la possibilità di un riesame della decisione da parte del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC).

Per quanto concerne i poteri dell’ANAC, le nuove disposizioni le attribuiscono il compito di adottare linee guida, alcune finalizzate, sostanzialmente, a ridurre gli oneri gravanti sulle PA, altre a intervenire sul diritto di accesso generalizzato. All’ANAC viene, poi, attribuita in via esclusiva la funzione di irrogazione di sanzioni pecuniarie per omissioni di comunicazione e di pubblicazione di taluni dati.

Nell’ottica della semplificazione, l’ANAC identifica, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, i dati, le informazioni e i documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria per i quali la pubblicazione in forma integrale può essere sostituita da informazioni riassuntive elaborate per aggregazione, fermo restando l’accesso generalizzato come sopra descritto; spetta altresì all’ANAC, nel PNA, la possibilità di precisare gli obblighi di pubblicazione e le relative modalità di attuazione, tenendo conto della natura dei soggetti interessati, della loro dimensione organizzativa e delle attività svolte, prevedendo in particolare modalità semplificate per i comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, per gli ordini e collegi professionali.

Nella medesima direzione va letta la disposizione contenuta nell’art. 8, co. 3-bis, che affida all’Autorità il potere di fissare un termine inferiore ai cinque anni della durata di pubblicazione di dati e documenti sui siti, basando la propria valutazione sul rischio corruttivo, sulle esigenze di semplificazione e sulle richieste di accesso.

In materia di accesso generalizzato, di rilievo è l’attribuzione del compito di adottare, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 “Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato – città ed autonomie locali”, linee guida per fornire indicazioni operative relativamente alle esclusioni e ai limiti all’accesso che il legislatore individua con riferimento a clausole generali tratte dall’esperienza comunitaria e internazionale. Tale disciplina dovrà orientare l’attività delle amministrazioni nell’esame e nella valutazione delle richieste di accesso a cui deve essere fornita risposta entro 30 giorni.

Il nuovo decreto, risolvendo un problema interpretativo della previgente normativa, interviene anche sul regime sanzionatorio “per la violazione degli obblighi di trasparenza per casi specifici” (art. 47, co. 3). Viene conferito definitivamente all’ANAC il potere di irrogare le sanzioni pecuniarie nel caso di mancata o incompleta comunicazione o pubblicazione delle informazioni e dei dati di cui agli artt. 14 e 22 del decreto 33, affidando alla stessa anche il compito di disciplinarne il relativo procedimento, con proprio regolamento, nel rispetto delle norme previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). Si segnala che, per le modifiche apportate all’art. 14 del decreto 33, i soggetti a cui possono essere irrogate sanzioni sono non solo gli organi di indirizzo politico di Stato, regioni, province e comuni ma anche i titolari di incarichi dirigenziali.

Per quanto concerne le modifiche della legge 190, in materia di strumenti e misure per la prevenzione della corruzione, il decreto, istituzionalizzando in capo all’ANAC il compito di adottare il Piano Nazionale Anticorruzione come previsto dal d.l. 90/2014, chiarisce che lo stesso è atto di indirizzo sia per le PA di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001 sia per gli altri soggetti pubblici e privati individuati nell’art. 2-bis, co. 2 (società in controllo pubblico e altri enti di diritto privato in controllo) ai fini dell’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”. Nel PNA devono essere individuati i principali rischi corruttivi e le misure per prevenirli, anche in relazione alla dimensione e alla tipologia di attività degli enti, in una prospettiva di superamento della logica dell’adempimento formale a favore, invece, di una maggiore effettività degli interventi preventivi in ragione delle caratteristiche proprie di ciascun ente.

Alcune disposizioni sono volte a ridurre gli oneri amministrativi per la predisposizione del Piano triennale, in cui definitivamente convergono le misure organizzative per la trasparenza che non saranno più contenute in un apposito Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (PTTI o anche Programma triennale), a coordinare maggiormente gli strumenti di programmazione strategica degli organi di indirizzo politico con i PTPC, ad attribuire a un unico soggetto, il RPC, anche i compiti di Responsabile della trasparenza (RT), a valorizzare il ruolo degli organismi indipendenti di valutazione (OIV) anche nella materia della prevenzione della corruzione e come interlocutori dell’Autorità.

Sotto il profilo dell’incremento di iniziative per la promozione dell’indipendenza del RPC (Responsabile per la Prevenzione della Corruzione), va segnalato che viene generalizzato il potere dell’ANAC di chiedere informazioni all’organo di indirizzo e di intervenire nelle forme di cui al co. 3, art. 15, decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190) in caso di segnalazione di eventuali misure discriminatorie, dirette o indirette, nei confronti del RPC per motivi collegati, direttamente o indirettamente, allo svolgimento delle sue funzioni.

 

4.  Considerazioni conclusive

Così affrescato lo stato dell’arte della normativa che disciplina funzioni e funzionalità dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, è possibile stilare alcune considerazioni generali.

Da un’analisi complessiva di quello che abbiamo definito come il ‘cantiere legislativo’ dell’ANAC, è possibile concludere che il legislatore abbia voluto trasformare questa ‘giovane’ Autorità in una custode delle regole di correttezza e buon andamento dell’azione amministrativa nel settore della contrattualistica pubblica e, in generale, di quelle afferenti la prevenzione della corruzione nella ‘vita’ pubblica.

L’idea che sta alla base di tale opzione legislativa perseguita nel triennio 2014-2016 è, appunto, quella di strutturare un nuovo soggetto, con piena funzione giusdicente, che possa operare controlli sull’osservanza delle regole non solo ex post rispetto all’esercizio del potere (al pari del controllo che può esercitare la magistratura), ma anche durante l’esercizio dello stesso.

Tale ratio (o forse sarebbe meglio dire, tale fil rouge) degli interventi legislativi degli ultimi anni porta ad escludere che l’ANAC rappresenti (o intenda divenire) una sorta di ‘P.M. amministrativo’: ossia un soggetto meramente repressore dell’illecito già commesso. Infatti, quella che si va affermando è un’idea diversa di vigilanza, che sommi, al proprio interno, fasi di controllo, di premialità, di collaborazione-paraconsultiva e (solo se necessario) di sanzione. Il tutto allo scopo di sciogliere quel circolo vizioso che sembra aver patologicamente confinato il settore della contrattualistica pubblica in sacche di corruzione e di inefficienza, e gravandolo con un’alta incidenza di contenziosi; e così trasformare il sistema in un fisiologico circolo virtuoso nel quale l’intervento correttivo dei garanti (ANAC e giudice amministrativo) diventi l’eccezione e non la regola[50].

In quest’ottica si inserisce, anche, il definitivo riconoscimento e il rafforzamento di un potere di alternative dispute resolution e, soprattutto, di un potere di regolazione del settore dei contratti pubblici attribuito in capo all’Autorità.

Del resto, per consentire la massima effettività della vigilanza (in concreto) sul corretto funzionamento di un mercato occorre che il soggetto che vigila coincida con il soggetto che appronti (in astratto) le regole sulla base delle quali il mercato in questione deve funzionare.

In altri termini, l’attribuzione all’ANAC del potere regolatorio deve essere letta come una conseguenza della attribuzione del potere di vigilanza, allo scopo di rendere più efficiente ed efficace l’esercizio di quest’ultimo. In altri termini, ancora, una Autorità che fa vigilanza non può non essere anche una Autorità di regolazione. Chi fisa le regole è nelle condizioni ideali per interpretarle correttamente e per vigilare con forza sul loro rispetto.

Il riconoscimento di un potere regolatorio è, in definitiva, connaturato al sistema delle c.d. authority. Il nuovo Codice canonizza, dunque, un qualcosa che già esisteva. L’elemento di novità si registra, invece, nell’ampiezza dei poteri di regolazione che l’ANAC potrà esercitare.

A parere di chi scrive – tesi, peraltro, confermata dal Consiglio di Stato – la sostituzione di una fonte normativa tout court di rango secondario, con una fonte di regolazione c.d. di soft law, non può non essere accolta positivamente e non implica problematiche di tipo costituzionale.

In primo luogo, infatti, non vi è nel nostro ordinamento un vero e proprio principio di tassatività delle fonti, ad esclusione di quelle primarie.

In secondo luogo, l’ambito di regolazione riservato dal legislatore all’ANAC riguarda profili del settore, il più delle volte, estremamente tecnici e specialistici, in cui sussiste la necessità di un rapido adattamento alle evoluzioni del mercato e della tecnica stessa. Ciò comporta che detti ambiti di futura regolazione da parte dell’ANAC, più che di un approccio politico (tipico del Parlamento e anche degli organi ministeriali e di governo), necessitano di un approccio più squisitamente tecnico che solo un soggetto ad alta specializzazione e indipendente dalle strutture amministrative ‘ordinarie’ può assicurare.

In terzo luogo, gli atti di soft law sono stati qualificati al pari di atti amministrativi di natura generale e, quindi, sottoposti in ogni caso alla giurisdizione del giudice amministrativo. In questo senso, il giudice amministrativo diventa la valvola di sfogo della regolazione e, in sostanza, il garante del garante. Non dimenticandoci, sul punto, che il giudice amministrativo esercita, altresì, la sua giurisdizione anche sugli atti dell’ANAC afferenti il c.d. precontenzioso stragiudiziale (i pareri vincolanti e le raccomandazioni di autotutela).

Il futuro ci dirà se questo modello sarà esteso alle altre autorità o se rimarrà confinato allo speciale e incandescente universo dei contratti pubblici.


[1] Vedi R. Chieppa in G.P. Cirillo-R. Chieppa (a cura di), Le autorità amministrative indipendenti, in Trattato di diritto amministrativo (a cura di G. Santaniello), Padova, 2010, 4.

 

[2] Sentenza 31 luglio 2008, caso 72034/01, Družstevní záložna Pria and Others v. the Czech Republic). Sui rapporti tra sanzioni amministrative e garanzie fondamentali vedi la rimessione alla Consulta da Cass., II, 16 febbraio 2018, n. 3831, con riferimento all’articolo 187 sexies del TU Finanza.

 

[3] Vedi F. Goisis, La full jurisdiction sulle sanzioni amministrative.

 

[4] Vedi il General Report elaborato nel corso del recente convegno dell’associazione delle Corti Supreme Amministrative europee in tema di sanzioni amministrative alla luce delle sfide CEDU (Lubiana, 23-24 marzo 2017).

 

[5] CEDU, seconda sezione, 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia.

 

[6] CEDU, seconda sezione, 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia, par. 58 e ss.. Di recente, Cons. Stato, Sez. IV, 12 ottobre 2017, n. 4733, è intervenuto di nuovo in merito all’estensione del sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti delle Authorities: “Quanto all’ambito e ai limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità antitrust, il giudice amministrativo, in relazione ai provvedimenti dell’AGCM, esercita un sindacato di legittimità che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’Autorità risulti immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate, mentre, laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione di tali concetti, se questa sia attendibile secondo la scienza economica e immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici e da vizi di violazione di legge. Tali principi giurisprudenziali sono stati di recente recepiti dal legislatore con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, in G.U. n. 15 del 19 gennaio 2017, entrata in vigore il 3 febbraio 2017 – inapplicabile ratione temporis in via diretta al presente processo , il cui art. 7, comma 1, per quanto qui interessa, testualmente recita: “[...] Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima”.

 

[7] In precedenza, nel tentativo di rafforzare l’indipendenza dell’allora Commissione per la valutazione, l’integrità e la trasparenza nelle pubbliche amministrazioni (CIVIT), il legislatore, con la legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione), l’aveva individuata quale Autorità competente alle attività di controllo, prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione; tuttavia, solo con il successivo d.l. n. 90/2014 può essere individuato un vero e proprio punto di svolta. Per un’ampia trattazione delle novità del Decreto Renzi-Madia sull’ANAC, si cfr. R. Cantone – F. Merloni (a cura di), La nuova autorità anticorruzione, Giappichelli, Torino, 2015; M. Giustiniani, Autorità Nazionale Anticorruzione, nuove forme di controlli sui contratti pubblici e altre novità in materia di gare pubbliche, in F. Caringella – M. Giustiniani – O. Toriello, La riforma Renzi della Pubblica Amministrazione, Dike Giuridica, Roma, 2014, pp. 135 ss.. Con particolare riferimento alle funzioni di vigilanza, si cfr. R. Cantone – C. Bova, L’Anac alle prese con la vigilanza sui contratti pubblici; un ponte verso il nuovo Codice degli appalti?, in Giorn. Dir. Amm., 2/16, pp. 166 ss.. Si cfr., anche, R. De Nictolis, La riforma del codice appalti, in Urb. App., n. 8-9/14, pp. 873 ss. L. Giampaolino, Le misure anticorruzione negli appalti: rimedio adeguato al male?, in www.giustamm.it.

 

[8] In merito si cfr.: la Criminal Law Convention on Corruption, aparte alla firma il 4 novembre 1999 ed entrata internazionalmente in vigore il 1 novembre 2003 (ratificata dall’Italia con legge 28 giugno 2012, n. 110); e la United Nations Convention against Corruption, aperta alla firma a Merida il 9 dicembre 2003 ed entrata in vigore internazionalmente il 14 dicembre 2005 (ratificata dall’Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116).

 

[9] Si tratta, ovviamente, delle direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014.

 

[10] Si cfr., sul punto, R. Garofoli, “Crisi finanziaria e istituzionale: un’occasione per una seria politica di contrasto alla corruzione”, su www.ilsole24.com; per quanto riguarda la diffusione della corruzione e gli effetti della stessa sul sistema economico, si cfr., ex multis, A. Vannucci, La corruzione in Italia: cause, dimensioni ed effetti, in B.G. Mattarella – M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione, Giappichelli, Torino, 2013, p. 26 e ss. Si v. anche, sul costo della corruzione, lo Studio dell’OCSE del febbraio 2015, (www.oecd.org/eco/surveys/Overview%20Italy_2015_ITA.pdf).

 

[11] Sul punto, si cfr. M. Clarich, Corruzione: il rischio dei cali di tensione, in Guida Dir., 3/15, p. 1.

 

[12] Ben 5 articoli del d.l. n. 90/2014 si occupano solo di prevenzione della corruzione. In particolare, si tratta: dell’art. 19 che ridefinisce i poteri dell’ANAC; dell’art. 30 che prevede l’istituzione di controlli speciali sull’evento “EXPO 2015”; dell’art. 31 che consente all’ANAC di ricevere le notizie dai c.d. whistleblower; dall’art. 32 che introduce le misure straordinarie sugli appalti; e dall’art. 37 che stabilisce l’obbligo di comunicazione delle varianti.

 

[13] Art. 19, comma 15, del d.l. n. 90/2014.

 

[14] Art. 19, commi 9 e 10, del d.l. n. 90/2014.

 

[15] L’AVCP era nata inizialmente come Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (AVLP), istituita con la legge 11 febbraio 1994, n. 109 del 1994 (c.d. legge Merloni) per vigilare sul mondo degli appalti pubblici limitatamente al settore dei lavori di opere e costruzioni. Con il codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, approvato con d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la struttura dell’Autorità è stata completamente riorganizzata per ampliare le sue funzioni anche agli commesse per l’acquisizione di forniture di beni e di servizi, includendo, in pratica, qualunque tipo di appalto effettuato da parte di una amministrazione pubblica.

 

[16] Per una valutazione positiva della scelta, si cfr. F. Gaudieri, I soggetti preposti all’attività amministrativa di prevenzione e repressione della corruzione, in A. Jazzetti – A Bove (a cura di), La legge anticorruzione, II, Giapeto, Napoli, 2015, p. 41, il quale evidenzia come a seguito delle modifiche l’Autorità abbia assunto un ruolo centrale in materia di iniziative anticorruzione. Per maggiori precisazioni sui poteri trasferiti, si v. B. Neri – V. Scaffa, Le nuove sanzioni dell’ANAC e la relativa giurisdizione, in R. Cantone – F. Merloni (a cura di), La nuova Autorità …, op. cit. pp. 85 ss. e M. De Rosa – F. Merloni, Il trasferimento all’ANAC delle funzioni in materia di prevenzione della corruzione, ibidem, pp. 51 ss..

 

[17] In senso adesivo, si v. M. Corradino – I. Lincesso, La soppressione dell’AVCP e il trasferimento delle funzioni all’ANAC, in R. Cantone – F. Merloni (a cura di), La nuova Autorità…, op. cit. p. 12; al contrario, in termini parzialmente critici rispetto alla scelta del legislatore, si cfr. M. Giustiniani, Autorità nazionale anticorruzione …, in F. Caringella – M. Giustiniani – O. Toriello, La riforma Renzi…, op. cit., p. 139 secondo cui “il passaggio di tutte le competenze regolatorie e di controllo sul mercato delle commesse pubbliche all’autorità preposta alla prevenzione dei fenomeni corruttivi, induce una visione patologica degli affidamenti e della gestione dei contratti da parte della pa”.

 

[18] L’Autorità passa dall’essere un’amministrazione pubblica senza un proprio ruolo organico e con appena venti persone che in essa operavano, sulla base di comandi di altre P.A., ad una amministrazione con un ruolo molto ampio, composto da oltre trecento dipendenti, fra dirigenti amministrativi e tecnici, funzionari e impiegati.

 

[19] Art. 19, comma 5, lett. b), del d.l. n. 90/2014.

 

[20] Il d.lgs n. 163/2006 prevedeva un ampio potere sanzionatorio che poteva essere esercitato dall’AVCP successivamente esercitato dall’ANAC anche a tutela dei propri poteri di vigilanza. In materia di anticorruzione e di trasparenza, invece, prima del d.l. n. 90/2014 non vi era un apparato sanzionatorio diretto, anche se all’Autorità era riservata la possibilità di disporre sanzioni c.d. reputazionali (ad esempio, la pubblicazione di informazioni sugli enti che non si erano adeguati alla trasparenza) o di ordinare alle P.A. di adempiere o, infine, di segnalare ad altre autorità le violazioni sanzionate in via ammnistrativa di alcuni obblighi di trasparenza (si v. art. 47 d.lgs n. 33/2013).

 

[21] Sulle modalità di esercizio del potere sanzionatorio si v. B. Neri –V. Scaffa, Le nuove sanzioni dell’ANAC…, in R. Cantone – F. Merloni (a cura di), La nuova Autorità op. cit. 85 e ss..

 

[22] Art. 19, comma 5, lett. a-bis), del d.l. n. 90/2014. Si segnala, altresì, che con la legge 27 maggio 2015, n. 69 (recante “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”) è stato modificato l’art. 129, comma 3, delle disposizioni attuative del codice di procedura penale, che disciplina le ipotesi in cui il pubblico ministero, in conseguenza dell’esercizio dell’azione penale, ha l’obbligo di informare una serie di soggetti diversi a seconda dell’imputazione e del presunto autore del reato, inserendo nella lista dei destinatari dell’informazione da parte del PM anche il Presidente dell’ANAC. I reati per cui scatta l’obbligo di segnalazione sono quelli previsti dagli artt. 317 (concussione), 318 (corruzione per l’esercizio della funzione), 319 (corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-bis (circostanze aggravanti), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 319-quater (induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (corruzione di persona incaricata di pubblico servizio), 321 (pene per il corruttore), 322 (istigazione alla corruzione), 322-bis (peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri), 346-bis (traffico di influenze illecite), 353 (turbata libertà degli incanti) e 353-bis (turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) del codice penale (art. 7 della legge n. 69/2015). Inoltre, in coerenza con quanto già era stato previsto a carico degli Avvocati dello Stato dal d.l. n. 90/2014, la legge n. 69/2015 detta obblighi informativi nei confronti dell’ANAC da parte dei giudici amministrativi quando, nelle controversie sull’aggiudicazione dell’appalto, gli stessi rilevino, anche solo sommariamente, elementi di scarsa trasparenza delle procedure (art. 8, comma 3).

 

[23] Art. 37 del d.l. n. 90/2014.

 

[24] In dottrina, si è parlato anche di una “Super-Autorità specializzata nel contrasto della corruzione in tutte le sue forme e” focalizzata nel “settore delle commesse di diritto pubblico”. Così, M. Giustiniani, Autorità nazionale anticorruzione…, in F. Caringella – M. Giustiniani – O. Toriello, La riforma Renzi…, op. cit., p. 161.

 

[25] Per il dettaglio delle attività e dei risultati ottenuti in questo primo periodo di operatività dell’ANAC, si cfr. di nuovo la citata Relazione annuale 2015 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del 14 luglio 2016.

 

[26] L’espressione utilizzata nel testo (che contrappone un giudice amministrativo, in certo modo, ordinario, a un giudice amministrativo speciale) è mutuata da M. Giustiniani, Il nuovo processo sui contratti pubblici, in F. Caringella – M. Giustiniani (a cura di), Manuale dei contratti pubblici, II Ed., Dike Giuridica, Roma, 2015, p. 2037. Al medesimo scopo di evidenziare la differenza di riti e funzioni con i quali giudica il giudice amministrativo nella materia dei contratti pubblici, in dottrina si parlato, correttamente, di una “disciplina a doppia specialità”: così M. Lipari, La direttiva ricorsi nel codice del processo amministrativo: dal 16 settembre 2010 si cambia ancora?, in www.giustamm.it, n. 7/10. Si v., sul punto, altresì, G. Severini, Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it; G. Pesce, Il processo amministrativo alla luce del D.L. 90/2014: il difficile compromesso tra efficienza, diritti e Costituzione, in Nuovo Dir. Amm., n. 4/14, pp. 161 ss.

 

[27] Cfr. Relazione annuale 2015 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Senato della Repubblica, Roma, 14 luglio 2016.

 

[28] In dottrina ci si è già riferiti all’ANAC come “l’istituzione ‘regina’ del sistema degli appalti”. Così P. Mantini, La governance dei contratti pubblici, in F. Caringella – P. Mantini – M. Giustiniani (a cura di), Il nuovo diritto dei contratti pubblici, op. cit. pp. 551-552.

 

[29] Art. 213, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016.

 

[30] Così U. Forti, Vigilanza e tutela amministrativa, in Enciclopedia Italiana Treccani, XXXXV, Roma 1937, 339-341.

 

[31] In questi termini, con molta efficacia, R. Cantone – C. Bova, L’Anac alle prese con la vigilanza sui contratti pubblici: un ponte verso il nuovo codice dei contratti pubblici?, in Giornale di diritto amministrativo, n. 2/2016, 167 e segg.

 

[32] Tale potere – non previsto dal previgente d.lgs. n. 163/2006 – era stato di recente introdotto dalla legge n. 69/2015 che aveva inserito una lettera f-bis) al comma 1 dell’art. 1 della legge n. 190/2002.

 

[33] Art. 213, comma 3, lett. h), del d.lgs. n. 50/2016. In precedenza cfr. l’art. 4 del Regolamento in materia di attività di vigilanza e di accertamenti ispettivi, adottato dall’ANAC in data 9 dicembre 2014, che prevedeva la possibilità di accedere ad una vigilanza collaborativa secondo la seguente procedura: “1. Le stazioni appaltanti possono chiedere all’Autorità di svolgere un’attività di vigilanza, anche preventiva, finalizzata a verificare la conformità degli atti di gara alla normativa di settore, all’individuazione di clausole e condizioni idonee a prevenire tentativi di infiltrazione criminale, nonché al monitoraggio dello svolgimento della procedura di gara e dell’esecuzione dell’appalto. 2. L’attività di vigilanza di cui al comma 1 può essere richiesta nei casi di: programmi straordinari di interventi in occasione di grandi eventi di carattere sportivo, religioso, culturale o a contenuto economico ovvero a seguito di calamità naturali; programmi di interventi realizzati mediante investimenti di fondi comunitari; contratti di lavori, servizi e forniture di notevole rilevanza economica e/o che abbiano impatto sull’intero territorio nazionale, nonché interventi di realizzazione di grandi infrastrutture strategiche; procedure di approvvigionamento di beni e servizi svolte da centrali di committenza o da altri soggetti aggregatori. 3. L’attività di cui al comma 1 può essere richiesta dalle stazioni appaltanti anche nei casi in cui l’autorità giudiziaria proceda per i delitti di cui all’art. 32 comma 1 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, ovvero, in presenza di rilevate situazioni anomale e, comunque, sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali. 4. Le richieste di vigilanza collaborativa sono sottoposte al Consiglio per l’approvazione. Le modalità di svolgimento possono essere definite in un Protocollo di azione predisposto dall’Ufficio su indicazione del Presidente che lo sottopone al Consiglio per l’approvazione”.

 

[34] Ulteriori disposizioni sanzionatorie sono previste all’interno di altre specifiche disposizioni codicistiche. Cfr., a titolo esemplificativo: l’art. 83, comma 10, in materia di rating di impresa; l’art. 84, comma 10, in materia di sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici; l’art. 106, commi 8 e 14, in materia di comunicazioni delle modificazioni ai contratti pubblici in corso di esecuzione e delle varianti in corso d’opera; l’art. 107, comma 4, in materia di comunicazione delle sospensioni dei lavori.

 

[35] Art. 213, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[36] R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti, n. 5/2016, 510.

 

[37] Così, ancora, P. Mantini, La governance dei contratti pubblici, in F. Caringella – P. Mantini – M. Giustiniani (a cura di), Il nuovo diritto dei contratti pubblici, op. cit. p. 552.

 

[38] Art. 1, comma 5, della legge 28 gennaio 2016, n. 11 e art. 214, comma 12, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[39] Art. 213, comma 2, ultimo inciso, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[40] Tale classificazione comporta – secondo il Consiglio di Stato – tutte le conseguenze in termini di: “– forza e valore dell’atto (tra l’altro: resistenza all’abrogazione da parte di fonti sotto-ordinate, disapplicabilità entro i limiti fissati dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale); – forma e disciplina procedimentale stabilite dallo stesso comma 3 (ad esempio: comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione) e dal successivo comma 4 della legge da ultimo citata; – implicazioni sulla potestà regolamentare costituzionalmente riconosciuta a favore delle Regioni (art. 117, sesto comma, Cost.), tenuto conto dell’esistenza nella materia dei contratti pubblici di titoli di competenza di queste ultime (cfr. Corte Cost., sentenza 23 novembre 2007, n. 401); – rispetto alle regole codificate nell’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 per i regolamenti ministeriali, la legge delega “rafforza” il procedimento, prescrivendo in aggiunta – nell’evidente considerazione dell’importanza e delicatezza della materia – il parere delle competenti commissioni parlamentari”.

 

[41] In questi termini ancora R. De Nictolis, cit., 513.

 

[42] Art. 213, comma 2, terzo inciso, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[43] Nei mesi passati, l’ANAC ha già ampiamente utilizzato il potere di emettere provvedimenti di carattere generale, non solo in materia di contrattualistica pubblica, ma anche in materia di anticorruzione e trasparenza. In punto, di impugnabilità diretta e immediata di tali provvedimenti, si rinvia alla sentenza del Tar Lazio, Roma, sez. III, 24 settembre 2015, n. 11391, che ha ritenuto impugnabile la delibera ANAC n. 145/2014 relativamente all’applicazione ai consigli ed ai collegi degli ordini professionali della normativa anticorruzione (per un commento in dottrina, cfr. A Corrado, I consigli sono tenuti a predisporre anche i piani triennali la delibera n. 145 del 2014, in Guida dir., n. 43/15). In senso analogo, si v. anche Tar Lazio, Roma, sez. III, 15 giugno 2015, n. 8376 che ha ritenuto impugnabile la delibera ANAC n. 144/2014 sugli obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni.

 

[44] In dottrina, si v. C. Contessa, Il contenzioso nel nuovo codice dei contratti pubblici: alcune riflessioni critiche, in www.giustizia-amministrativa.it; R. De Nictolis, Il nuovo codice…, op. cit., pp. 537 ss.; e P. Mantini – G. Caputi, Contenzioso dinanzi al giudice amministrativo e rimedi alternativi al ricorso giurisdizionale, in F. Caringella – P. Mantini – M. Giustiniani (a cura di), Il nuovo diritto dei contratti pubblici, op. cit. pp. 529 ss.

 

[45] Art. 211, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[46] Art. 211, commi 1 bis e seguenti, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[47] Per quanto concerne la ricorribilità avverso il parere espresso dall’ANAC, il Codice prevede che lo stesso sia impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa secondo il rito speciale disciplinato dall’art. 120 c.p.a.. Tuttavia, in caso di rigetto del ricorso, il giudice valuterà il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’art. 26 c.p.a., così dovendo valutare anche la lite temeraria. Vedi il Commento all’art. 211, in F. Caringella-M. Protto (a cura di), Il codice dei contratti pubblici dopo il correttivo, Dike, Roma, 2017.

 

[48] Art. 213, commi 9 e 10, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[49] Art. 213, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016.

 

[50] Cfr., di nuovo, Relazione annuale 2015 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Senato della Repubblica, Roma, 14 luglio 2016. In tale occasione si è affermato che “la strada intrapresa” appare “quella giusta e che questo possa essere il modo migliore per introdurre nel sistema quei famosi ‘anticorpi’ in grado di rendere più difficili le pratiche corruttive”.