Consiglio di Stato sez. V 6 luglio 2018 n. 4143

La regola giuridica di cui all’attuale art. 77 comma 2 D.lgs. 50/2016 non è espressione di un principio generale, immanente nell’ordinamento, tale da determinare l’illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria.

Quand’anche, infatti, contrariamente alle esposte premesse, si convenga che la composizione numerica dispari per sé risponda al principio di buon andamento e funzionalità dell’azione amministrativa, resterebbe fermo che la violazione del canone “p[otrebbe] essere dedotta, per il principio di conservazione degli atti giuridici, non astrattamente, ma solo [quando avesse] concretamente inciso sulle decisioni assunte dalle commissioni stesse, cioè [quando venissero] lamentati o si [fossero] verificati dissensi comportanti lesioni concrete degli interessi dei soggetti giuridici nei confronti dei quali le commissioni abbiano operato.

Sotto distinto e concorrente profilo, la pronuncia appellata ha stimato che l’affidamento alle due Sottocommissioni, in cui era suddivisa la Commissione, del compito di valutare, rispettivamente, le offerte economiche e le offerte tecniche, integrasse violazione dei principi in tema di funzionamento dei collegi perfetti, in base ai quali gli stessi sono tenuti ad operare con l’interezza dei propri membri, dovendo le decisioni essere assunte dal plenum.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5140 del 2017, proposto da
Fondazione Oderzo Cultura Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mariagrazia Romeo e Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Lo Pinto in Roma, via Vittoria Colonna, 32;

contro

Associazione Studio Didattica Nord Est, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gianluigi Florian e Stefano Trubian, con domicilio eletto presso lo studio Irma Conti in Roma, via Barnaba Tortolini, 34;

nei confronti

Aster s.r.l., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 471/2017, resa tra le parti

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Associazione Studio Didattica Nord Est;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Lo Pinto e Gianluigi Florian;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1.- Con atto di appello notificato nelle forme e nei tempi di rito, la Fondazione Oderzo Cultura, come in atti rappresentata e difesa:

a) premetteva di gestire, per conto del Comune di Oderzo, l’attività delle istituzioni museali presenti nel territorio comunale;

b) precisava che, in siffatta qualità, aveva attivato, in data 7 luglio 2016, procedura evidenziale ristretta, finalizzata alla individuazione, giusta il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, di un concessionario del servizio di attività didattica museale per il Museo archeologico “Eno Bellis” e la Pinacoteca “Alberto Martini”, per la complessiva durata di tre anni;

c) chiariva che – all’esito delle valutazioni rese, all’unanimità dei componenti, dalla istituita Commissione – era stata approvata la graduatoria di gara, che aveva visto prevalere, per entrambe le strutture, la società Aster, alla quale era stato, di conserva, immediatamente affidato il servizio, mercé sottoscrizione di apposita convenzione;

d) precisava che del ridetto affidamento le ditte partecipanti erano state ritualmente informate, nelle forme di cui all’art. 76, comma 4 del d.lgs. n. 50 cit.;

e) esponeva che la ditta Studio Didattica Nordest aveva, peraltro, impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo per il Veneto, i verbali di gara ed il provvedimento di aggiudicazione, lamentandone per vario rispetto l’illegittimità (avuto segnatamente riguardo alla composizione, pretesamente irrituale, della Commissione di valutazione);

f) lamentava che, con sentenza n. 471 del 15 maggio 2017, il primo giudice, rigettate le plurime eccezioni formulate in rito, aveva inopinatamente accolto il gravame, “in virtù della fondatezza delle censure mosse alla composizione della Commissione giudicatrice ed all’affidamento ad apposite Sottocommissioni della valutazione delle offerte”;

g) impugnava, perciò, la ridetta statuizione, di cui argomentava la complessiva erroneità ed invocava l’integrale riforma.

2.- Si costituiva in giudizio, per resistere al gravame, la Associazione Studio Didattica Nord Est.

Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2018, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è fondato e merita di essere accolto.

Nell’ordine logico delle questioni sottoposte alla valutazione del Collegio, è opportuno esaminare prioritariamente le doglianze relative al merito della controversia: la loro fondatezza, nei sensi delle considerazioni che seguono, vale, invero, ad assorbire (in quanto di per sé implicante la reiezione del ricorso di prime cure) le questioni pregiudiziali di rito, con cui l’appellante aveva vanamente lamentato la tardività e l’inammissibilità, per carenza di interesse, dell’avverso gravame.

2.- Con un primo mezzo, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 84, comma 2, d.lgs. 163 del 2006 e dell’art. 77, comma 2, d. lgs. n. 50 del 2016, una a difetto del presupposto e contraddittorietà: avrebbe errato la sentenza nell’assumere violata la detta disposizione, nella parte in cui imporrebbe che la Commissione di gara fosse necessariamente costituita da un numero dispari di commissari.

2.1.- La censura è fondata.

In effetti, la sentenza appellata:

a) premette che, dalla documentazione versata agli atti della causa, era dato, in punto di fatto, di ricavare che la Commissione di gara fosse, nella vicenda in esame, composta da due Consiglieri di Gestione della Fondazione (dott. Gal ed arch. Appoloni) e da due Conservatori del Museo Archeologico “Eno Bellis” e della Pinacoteca “Alberto Martini” (dott.ssa Mascardi e dr.ssa Bonifacio), per un totale di quattro componenti;

b) osserva che, in questo modo, sarebbe stata violata la regola dell’art. 84, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 (“ora riproposta dall’art. 77, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016”), alla cui stregua la Commissione di gara avrebbe dovuto essere costituita da un numero dispari di commissari, non superiore a cinque;

c) si mostra consapevole del (difforme) orientamento giurisprudenziale, maturato nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, per cui la violazione della regola non è tale da implicare l’illegittimità della costituzione di un collegio con un numero pari di componenti: nondimeno se ne discosta assumendo che il precetto – similmente presente all’art. 21, comma 5, l. n. 109 del 1994 e poi ribadito dall’art. 84, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 – sarebbe stato riaffermato “categoricamente – e senza deroghe di sorta –“ dall’art. 77, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, al quale la procedura non avrebbe, perciò, potuto sottrarsi;

d) ribadisce che la regola risponderebbe all’obiettivo di garantire il computo del quorum strutturale e soddisfare le necessità di funzionamento del principio maggioritario, in coerenza con il principio in base al quale i collegi perfetti (com’è, pacificamente, una commissione di gara) sono sempre composti da un numero dispari di membri.

2.2.- Osserva il Collegio che la composizione numerica della Commissione giudicatrice è stata, in progresso di tempo, positivamente disciplinata e con continuità, nei sensi della previsione di un numero dispari di componenti, per un massimo di cinque.

Invero, la regola:

a) era già codificata dall’art. 4 r.d. 8 febbraio 1923, n. 422 (Emendamenti al D.L. Lgt. 6 febbraio 1919, n. 107, recante norme per l'esecuzione delle opere pubbliche, e al R.D. 12 febbraio 1922, n. 214) che – con esclusivo riferimento alla aggiudicazione mediante appalto concorso – prevedeva, per la “valutazione degli elementi economici e tecnici delle offerte”, la costituzione di una “Commissione di 3 o 5 membri da nominarsi di volta in volta dalla Amministrazione stessa” (sempreché non si fosse trattato di lavori, alla direzione dei quali fosse già “preposta una speciale Commissione tecnica”);

b) veniva riproposta – con estensione all’“affidamento delle concessioni mediante licitazione privata”, sul comune presupposto della imposizione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – dall’art. 2, commi 4 e 5 l. n. 109 del 1994 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), che prevedeva “un numero dispari di componenti non superiore a cinque”;

c) veniva confermata – con più lata generalizzazione a tutte le ipotesi di contratti da aggiudicare mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – dall’art. 84, comma 2 d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE);

d) è stata, infine, ripetuta – con più vasto ambito di operatività, corrispondente alla dequotazione del criterio di aggiudicazione secondo il prezzo più basso – dall’art. 77, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici).

2.3.- Se – nella successione nel tempo delle varie fonti - la norma è rimasta testualmente immutata, non è conferente l’assunto dell’appellata sentenza, che valorizza un’attitudine pretesamente categorica e perentoria della sola formulazione di cui all’ultima disposizione nel tempo, per desumerne un’implicita soluzione di continuità a fronte dell’orientamento maturato vigenti le disposizioni precedenti (e, segnatamente, l’art. 84, comma 2, d.lgs. n. 163/2006).

Invero, l’assunto avrebbe potuto avere plausibilità solo nel quadro di un’ipotetica discontinuità dell’ambito operativo ed applicativo della norma: per contro, la previsione è rimasta costantemente ed uniformemente operante in tutti i casi in cui – trattandosi di aggiudicare il contratto con il criterio quali-quantitativo dell’offerta economicamente più vantaggiosa – si renda necessario il ricorso a specifiche competenze tecniche per il congiunto apprezzamento dei profili tecnici ed economici delle offerte.

Nemmeno il già evidenziato recente favor legislativoper il criterio in questione (a scapito del prezzo più basso) immuta la conclusione, valendo solo ad estendere, in fatto, i casi di necessaria designazione di una Commissione.

2.4.- Ne discende che – non essendo dato rinvenire, in diritto, ragioni per articolare difforme lettura di simile disposizione – va data continuità, anche nella vigenza dell’art. 77 d.lgs. n. 50 del 2016, all’orientamento maturato in relazione all’art. 84 d.lgs. n. 163 del 2006: in relazione al quale la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ritiene la regola non “espressione di un principio generale, immanente nell'ordinamento, tale da determinare l'illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria” (cfr. Cons. Stato, V, 26 luglio 2016, n. 3372; Id., III, 3 ottobre 2013, n. 4884; Id., III, 11 luglio 2013, n. 3730).

Vero è che si tratta di orientamento non unanime (implicitamente in senso difforme, tra le più recenti, Cons. Stato, V, 23 giugno 2016, n. 2812; Id. V, 28 luglio 2014, n. 4017). Nondimeno, il relativo (e potenziale) contrasto non appare, nel caso in esame, né rilevante né decisivo, posto che (in concreto) la Commissione risulta avere comechessia deciso all’unanimità dei componenti.

Invero, quand’anche si conceda, contro le esposte premesse, che la composizione numerica dispari per sé risponda al principio di buon andamento e funzionalità dell’azione amministrativa, resterebbe fermo che la violazione del canone “p[otrebbe] essere dedotta, per il principio di conservazione degli atti giuridici, non astrattamente, ma solo [quando avesse] concretamente inciso sulle decisioni assunte dalle commissioni stesse, cioè [quando venissero] lamentati o si [fossero] verificati dissensi comportanti lesioni concrete degli interessi dei soggetti giuridici nei confronti dei quali le commissioni abbiano operato” (cfr.. Cons. Stato, V, 31 ottobre 2012, n. 5563): con il che, in buona sostanza, avuto riguardo alla concretezza e specificità dell’interesse ad agire quale effettiva condizione dell’azione, la violazione delle regole di formazione della commissione potrebbe essere dedotta solo le quante volte avesse concretamente (e non potenzialmente) inciso sugli interessi della parte che se ne assumesse pregiudicata. Ciò che deve, per l’appunto, per definizione escludersi nei casi in cui – essendo maturata una decisione unanime – il rivendicato numero dispari dei componenti non abbia in qualche modo prefigurato un’effettiva attitudine discretiva, tale da lasciar ipotizzare un esito valutativo difforme da quello effettivamente reso (cfr., in fattispecie contermine, Cons. Stato, III, 11 luglio 2013, n. 3730).

3.- Sotto distinto e concorrente profilo, la sentenza appellata ha stimato che l’affidamento alle due Sottocommissioni, in cui era suddivisa la Commissione, del compito di valutare, rispettivamente, le offerte economiche e le offerte tecniche, integrasse violazione dei principi in tema di funzionamento dei collegi perfetti, in base ai quali gli stessi sono tenuti ad operare con l’interezza dei propri membri, dovendo le decisioni essere assunte dal plenum.

3.1.- L’assunto non regge alle giuste doglianze dell’appello.

Non è, invero, in discussione il principio - che va ribadito- per cui la commissione giudicatrice di gare d'appalto è un collegio perfetto, che deve operare, in quanto tale, in pienezza della sua composizione e non con la maggioranza dei suoi componenti, con la conseguenza che le operazioni di gara propriamente valutative, come la fissazione dei criteri di massima e la valutazione delle offerte, non possono essere delegate a singoli membri o a sottocommissioni (cfr. Cons. giust. amm. sic,, 21 luglio 2008, n. 661; Cons. Stato, V, 22 ottobre 2007, n. 5502; Id., VI, 2 febbraio 2004, n. 324).

Nondimeno, per evidenti esigenze di funzionalità, il principio è temperato per cui non è indispensabile la piena collegialità quando occorra effettuare attività preparatorie, istruttorie o strumentali, destinate, come tali, a refluire nella successiva e definitiva valutazione dell’intero consesso (cfr. Cons. Stato, V, 25 gennaio 2011, n. 513; Id., IV, 5 agosto 2005, n. 4196).

In concreto, l’attitudine meramente strumentale dell’attività delegabile o affidabile a sottocommissioni dovrà avere, in difetto di criteri identificativi o discretivi di ordine materiale o sostanziale, la duplice caratteristica (a un tempo necessaria e sufficiente): a) di essere, ex ante e in abstracto, suscettibile di potenziale verifica a posteriori da parte del plenum; b) di essere, ex post e in concreto, effettivamente acquisita alla valutazione collegiale piena, in termini di controllo, condivisione ed approvazione.

Nel caso di specie, in effetti, risulta dalla documentazione in atti che la Commissione, a composizione piena, preso atto di quanto predisposto dalle due sottocommissioni e svolta, in merito, un’“approfondita discussione”, ha determinato, in adesiva conformità, i punteggi definitivi da attribuire alle imprese offerenti: con ciò mostrando di far propri, in autonomia e nell’esercizio del proprio discrezionale apprezzamento, gli esiti dell’attività preparatoria dispiegata dalle costituite sottocommissioni.

4.- Le esposte considerazioni, che assorbono ogni ulteriore profilo critico (ivi, segnatamente, inclusi i motivi rimasti assorbiti e devolutivamente reiterati in seconde cure ex art. 101 Cod. proc. amm.), inducono al complessivo accoglimento dell’appello ed alla integrale riforma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’Associazione Studio Didattica Nord Est alla refusione delle spese di lite in favore della Fondazione appellante, che liquida in complessivi € 5.000 (cinquemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018.

 

 

La sentenza in commento offre lo spunto per soffermare l’attenzione sull’importanza della composizione della commissione giudicatrice di una gara pubblica.

Dall’analisi della documentazione presente nella vicenda in esame emerge con chiarezza come la Commissione di gara sia stata composta da due Consiglieri di

Gestione della Fondazione e da due Conservatori del Museo Archeologico “Eno Bellis” e della Pinacoteca “Alberto Martini”, per un totale di quattro componenti.

I Giudici di primo grado hanno osservato come in tal modo sia stata violata la regola di cui all’attuale art. 77 comma 2 D.lgs. 50/2016, a parere della quale “la commissione è costituta da un numero dispari di commissari, non superiore a cinque, individuato dalla stazione appaltante …”.

Nell’esprimere la presente posizione, il Consesso non manca di richiamare un’opposta ricostruzione giurisprudenziale, invero maturata sotto la vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 63/2006), alla stregua della quale

la violazione della regola, all’epoca disciplinata dall’art. 84 D.lgs. 63 cit., non è tale da implicare l’illegittimità della costituzione di un collegio con un numero pari di componenti.

L’opposto principio fatto proprio con la pronuncia posta al vaglio del Supremo Collegio, però, trova giustificazione nella considerazione per cui la nuova disposizione normativa di cui al citato art. 77, nel richiamare le precedenti previsioni di cui all’art. 84 cit. e prima ancora 21 comma 5 L. 109/1994, non sembra lasciare alcun legittimo margine derogatorio.

Ratio della prescrizione, invero, sarebbe individuabile “nell’obiettivo di garantire il computo del quorum strutturale e soddisfare le necessità di funzionamento del principio maggioritario, in coerenza con il principio in base al quale i collegi perfetti (com’è, pacificamente, una commissione di gara) sono sempre composti da un numero dispari di membri”.

Giunta all’attenzione dei Giudici di Palazzo Spada, la vicenda è stata differentemente vagliata e interpretata.

Nel dettaglio, con pronuncia dello scorso 6 luglio, il Collegio ha cura di precisare che la composizione numerica della Commissione giudicatrice è stata nel tempo e con continuità positivamente disciplinata, sempre nei sensi della previsione di un numero dispari di componenti, per un massimo di cinque.

Originariamente l’art. 4 R.d. 8 febbraio 1923, n. 422 (Emendamenti al D.l. Lgt. 6 febbraio 1919, n. 107, recante norme per l'esecuzione delle opere pubbliche, e al R.D. 12 febbraio 1922, n. 214), sia pure con esclusivo riferimento alla aggiudicazione mediante appalto-concorso, prevedeva, per la “valutazione degli elementi economici e tecnici delle offerte”, la costituzione di una “Commissione di 3 o 5 membri da nominarsi di volta in volta dalla Amministrazione stessa” (sempreché non si fosse trattato di lavori, alla direzione dei quali fosse già “preposta una speciale Commissione tecnica”).

Con successiva disposizione, inserita nell’art. 2, commi 4 e 5 L. 109/1994 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), l’anzidetta previsione veniva riproposta (“numero dispari di componenti non superiore a cinque”), con estensione all’“affidamento delle concessioni mediante licitazione privata”, sul comune presupposto della imposizione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che prevedeva.

L’introduzione del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (D.lgs. 163/2006) ha conferito alla prescrizione portata generale, la stessa dovendo trovare applicazione rispetto a tutte le ipotesi di contratti da aggiudicare mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 84 D.lgs. 63 cit.).

Da ultimo, come invero innanzi rilevato, il principio è stato ripreso ed inserito, con un più vasto ambito di operatività, in corrispondenza alla dequotazione del criterio di aggiudicazione secondo il prezzo più basso, nell’art. 77 comma 2 D.lgs. n. 50 del 2016 (nuovo Codice dei contratti pubblici).

Orbene, la ricostruita continuità normativa che connota giuridicamente la vicenda in esame rappresenta il maggiore ed indiscusso ostacolo all’assunto dell’appellata sentenza, che valorizza un’attitudine pretesamente categorica e perentoria della sola formulazione di cui all’ultima disposizione nel tempo.

La presente ricostruzione, infatti, avrebbe potuto avere plausibilità solo nel quadro di un’ipotetica discontinuità dell’ambito operativo ed applicativo della norma: per contro, come innanzi rilevato, la previsione è rimasta costantemente ed uniformemente operante in tutti i casi in cui – trattandosi di aggiudicare il contratto con il criterio quali-quantitativo dell’offerta economicamente più vantaggiosa – si renda necessario il ricorso a specifiche competenze tecniche per il congiunto apprezzamento dei profili tecnici ed economici delle offerte.

In senso differente non può neppure essere richiamato il già evidenziato recente favor legislativo per il criterio in questione (a scapito del prezzo più basso) quest’ultimo valendo solo ad estendere, in fatto, i casi di necessaria designazione di una Commissione.

Opinando nei siffatti termini, dunque, il Supremo Collegio amministrativo ritiene opportuno dare continuità all’orientamento maturato in relazione al più volte citato art. 84 D.lsg. 63/2006 a parere del quale la descritta regola giuridica non è “espressione di un principio generale, immanente nell’ordinamento, tale da determinare l’illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2016, n. 3372; Cons. Stato. Sez. III, 3 ottobre 2013, n. 4884; Id., 11 luglio 2013, n. 3730).

Contra, invero, non va sottaciuto come altra parte della giurisprudenza ha espresso opinioni opposte, sia pure spesso in maniera implicita (da ultimo Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2016, n. 2812; Id., 28 luglio 2014, n. 4017).

Ancora, anche a voler dare continuità a quest’ultima e più rigorosa ricostruzione giurisprudenziale, la Corte rileva come non va “persa di vista” la stessa polare su cui si fonda l’intero ordinamento amministrativo, ovvero l’effettiva lesione al bene della vita e, dunque, l’individuazione del concreto interesse a ricorrere, secondo la logica soggettivistica.

Quand’anche, infatti, contrariamente alle esposte premesse, si convenga che la composizione numerica dispari per sé risponda al principio di buon andamento e funzionalità dell’azione amministrativa, resterebbe fermo che la violazione del canone “p[otrebbe] essere dedotta, per il principio di conservazione degli atti giuridici, non astrattamente, ma solo [quando avesse] concretamente inciso sulle decisioni assunte dalle commissioni stesse, cioè [quando venissero] lamentati o si [fossero] verificati dissensi comportanti lesioni concrete degli interessi dei soggetti giuridici nei confronti dei quali le commissioni abbiano operato” (cfr.. Cons. Stato, V, 31 ottobre 2012, n. 5563).

Avuto riguardo alla concretezza e specificità dell’interesse ad agire, quale effettiva condizione dell’azione, dunque, la violazione delle regole di formazione della commissione potrebbe essere dedotta solo le quante volte avesse concretamente (e non potenzialmente) inciso sugli interessi della parte che se ne assumesse pregiudicata.

Una siffatta fattispecie non potrebbe certamente verificarsi nell’ipotesi di decisione unanime, ovvero in tutti quei casi in cui il rivendicato e non presente numero dispari dei componenti non abbia in nessun modo prefigurato un’effettiva attitudine discretiva, tale da lasciar ipotizzare un esito valutativo difforme da quello effettivamente reso (cfr., Cons. Stato, sez. III, 11 luglio 2013, n. 3730).

Da ultimo, sotto distinto e concorrente profilo, la pronuncia appellata ha stimato che “l’affidamento alle due Sottocommissioni, in cui era suddivisa la Commissione, del compito di valutare, rispettivamente, le offerte economiche e le offerte tecniche, integrasse violazione dei principi in tema di funzionamento dei collegi perfetti, in base ai quali gli stessi sono tenuti ad operare con l’interezza dei propri membri, dovendo le decisioni essere assunte dal plenum”.

Anche il presente assunto non ha trovato positivo riscontro in sede di appello. Pur non essendo in discussione la correttezza e l’intangibilità del principio per cui la commissione giudicatrice di gare d’appalto è un collegio perfetto, in quanto tale operante in pienezza della sua composizione e non con la maggioranza dei suoi componenti, (cfr. Cons. giust. amm. sic,, 21 luglio 2008, n. 661; Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5502; Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2004, n. 324), nondimeno, per evidenti esigenze di funzionalità, il principio può essere in concreto temperato, con la conseguenza per cui “non è indispensabile la piena collegialità quando occorra effettuare attività preparatorie, istruttorie o strumentali, destinate, come tali, a refluire nella successiva e definitiva valutazione dell’intero consesso” (in termini Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2011, n. 513; Cons. Stato, sez. IV, 5 agosto 2005, n. 4196).