Cons. St., sez. V, 2 febbraio 2018, n. 671

Il disciplinare di gara, quanto al requisito della capacità economico- finanziaria, prescriveva che i concorrenti dovessero:
a) “essere in grado di produrre referenza bancaria di almeno un istituto bancario”;
b) “possedere un fatturato globale d’impresa, per servizi analoghi, realizzato nell’ultimo triennio”.
Nessuna norma del detto disciplinare stabiliva, tanto meno a pena di esclusione, che i bilanci eventualmente prodotti dai concorrenti dovessero essere stati depositati presso l’ufficio del registro delle imprese nei termini di legge.
La stazione appaltante non poteva quindi ricavare dal tardivo deposito dei bilanci presso l’ufficio del registro delle imprese, una nuova causa di esclusione dalla gara non prevista dalla lex specialis.
Ed invero, in base ad un condivisibile orientamento giurisprudenziale “il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti” (Corte Giustizia UE, Sez. VI, 2/6/2016, in C–27/15; si veda anche Cons. Stato, Sez. V, 18/1/2017, n, 194, seppur con riguardo alla problematica dell’omessa dichiarazione degli oneri di sicurezza aziendale).

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6079 del 2016, proposto da:
La Capanna società cooperativa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Chiara Mele, con domicilio eletto presso lo studio Gianluca Accardi, in Roma, viale Parioli, n. 180;

contro

Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Silvio Bozzi, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, viale Regina Margherita, n. 1;

nei confronti di

Impresa di Pulizia La Rapida 2004 s.a.s. di Corni Leonardo & C., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – Latina, Sezione I, n. 00237/2016, resa tra le parti, concernente l’esclusione dalla gara per l’affidamento del servizio di gestione esternalizzata di un arenile ex art. 45 bis del codice della navigazione.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sabaudia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2018 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Maria Chiara Mele e Silvio Bozzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Il Comune di Sabaudia ha indetto una procedura aperta per l’affidamento triennale del servizio di gestione di un tratto di arenile, per un importo a base d’asta di € 10.000 all’anno.

All’esito delle operazioni di valutazione delle offerte la società cooperativa La Capanna è stata dichiarata aggiudicataria provvisoria.

Sennonché, in sede di controllo dei requisiti dichiarati, la stazione appaltante ha riscontrato che i bilanci 2012 e 2013, prodotti a dimostrazione del prescritto requisito di fatturato, erano stati depositati presso l’ufficio del registro delle imprese oltre i termini di legge e che il capitale aveva subito una riduzione al di sotto del minimo legale, per cui ha invitato l’aggiudicataria provvisoria a contraddire in ordine a dette circostanze.

Acquisite le osservazioni pervenute e ritenuto che le stesse non consentissero di superare i rilievi mossi, la medesima stazione appaltante ha escluso la detta concorrente dalla gara e ha aggiudicato la commessa all’Impresa di Pulizia La Rapida 2004 s.a.s. di Corni Leonardo & C., seconda classificata.

Tanto il provvedimento espulsivo, quanto quello di aggiudicazione sono stati impugnati dalla società cooperativa La Capanna davanti al TAR Lazio – Latina, il quale, con sentenza 15/4/2016, n. 237, ha respinto il gravame.

Avverso la sentenza la società cooperativa La Capanna ha proposto appello.

Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di Sabaudia.

Con successive memorie le parti ha ulteriormente delineato le proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 11/1/2018 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo l’appellante deduce nei confronti dell’impugnata sentenza i vizi qui di seguito sinteticamente riassunti.

a) Il deposito dei bilanci, contrariamente a quanto ritenuto dall’adito Tribunale amministrativo, non poteva ritenersi tardivo essendo avvenuto nei trenta giorni dall’approvazione, in conformità a quanto prescritto dall’art. 2435, comma 1, del cod. civ. Il medesimo Tribunale, peraltro, avrebbe confuso la questione del tardivo deposito dei bilanci con quella della loro intempestiva approvazione, mai contestata dalla stazione appaltante e in ogni caso anch’essa insuscettibile di portare all’esclusione dalla gara.

Il provvedimento espulsivo risulterebbe, comunque, viziato sia perché il mancato rispetto dei termini di cui al citato articolo 2345, comma 1, potrebbe comportare soltanto l’applicazione di una sanzione pecuniaria (art. 2630 cod. civ.), sia perché la lex specialis della gara non prevedeva, tanto meno a pena di esclusione, che i concorrenti dovessero dimostrare il tempestivo deposito dei bilanci presso l’ufficio del registro delle imprese.

b) In primo grado era stato dedotto che in relazione alle società cooperative non sarebbe previsto un capitale sociale minimo, per cui non sarebbe conseguentemente ipotizzabile una sua riduzione al di sotto del detto inesistente limite.

Sennonché, nel respingere la doglianza, il giudice di prime cure avrebbe stravolto il thema decidendum soffermandosi sulla ravvisata inaffidabilità finanziaria dell’odierna appellante, questione inammissibilmente introdotta dalla difesa della stazione appaltante solo nel corso del giudizio e mai contestata nella fase di gara.

L’impugnata sentenza risulterebbe, pertanto, viziata da ultrapetizione.

c) Il giudice di prime cure avrebbe errato a ritenere che le contestazioni in merito alla violazione ed erronea applicazione della lex specialis contenute nella memoria conclusiva e in quella di replica fossero inammissibili in quanto introdotte solo con atti non notificati alle controparti. Si tratterebbe, infatti, di argomentazioni costituenti mero sviluppo di censure ritualmente prospettate col ricorso introduttivo del giudizio.

d) Diversamente da quanto affermato dall’adito Tribunale amministrativo le perdite di bilancio sarebbero in realtà insussistenti e la sentenza si fonderebbe su mere supposizioni, invece che su fatti certi ed oggettivi acquisiti al giudizio.

Peraltro, l’impugnata sentenza risulterebbe erronea nella parte in cui ha giustificato la pretesa della stazione appaltante di esaminare i bilanci, laddove la disciplina di gara consentiva di comprovare il requisito di capacità economico-finanziaria attraverso una referenza bancaria e un determinato fatturato per attività analoghe a quelle da affidare nell’ultimo triennio.

Oltre a ciò, la carenza di una “effettiva autonomia patrimoniale della citata società posta a garanzia della stazione (appaltante) nonché a garanzia dell’utenza cui i servizi sono rivolti” non potrebbe dedursi dal “susseguirsi di cospicue perdite”, sia perché queste ultime sono state riscontrate solo in sede giudiziale, sia perché la solidità economica dell’appellante è comprovata dal requisito del fatturato, unico elemento di valutazione ammesso dalla disciplina di gara.

La doglianze di cui alle lettere a), b) e c), tutte fondate, si prestano ad una trattazione congiunta.

Il disciplinare di gara, quanto al requisito della capacità economico- finanziaria, prescriveva (punto 2.2) che i concorrenti dovessero:

a) “essere in grado di produrre referenza bancaria di almeno un istituto bancario”;

b) “possedere un fatturato globale d’impresa, per servizi analoghi, realizzato nell’ultimo triennio (2012-2013-2014) che non deve essere inferiore all’importo di € 250.000,00”.

Nessuna norma del detto disciplinare stabiliva, tanto meno a pena di esclusione, che i bilanci eventualmente prodotti dai concorrenti dovessero essere stati depositati presso l’ufficio del registro delle imprese nei “termini di legge”.

Già questa sola circostanza si opponeva a che la contestazione relativa al tardivo deposito dei bilanci potesse assurgere a legittima causa di esclusione dalla gara.

Ed invero, in base ad un condivisibile orientamento giurisprudenziale “Il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all'esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un'interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti” (Corte Giustizia UE, Sez. VI, 2/6/2016, in C–27/15; si veda anche Cons. Stato, Sez. V, 18/1/2017, n, 194, seppur con riguardo alla problematica dell’omessa dichiarazione degli oneri di sicurezza aziendale).

Sul punto giova puntualizzare che, diversamente da quanto eccepito dal Comune appellato, la società cooperativa La Capanna ha espressamente dedotto, anche in primo grado, seppur succintamente, la violazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione.

Si legge, infatti, a pag. 5 del ricorso di primo grado: “Le contestazioni sollevate dall’amministrazione comunale con i provvedimenti impugnati sono infondate e comunque nulla hanno a che vedere con i requisiti richiesti dal bando e dagli atti allegati – disciplinare di gara e capitolato prestazionale che la odierna ricorrente anzi possiede tutti i requisiti”.

La stazione appaltante non poteva quindi ricavare dal tardivo deposito dei bilanci presso l’ufficio del registro delle imprese, una nuova causa di esclusione dalla gara non prevista dalla lex specialis.

La rilevata tardività del deposito era, peraltro, insussistente in fatto.

Ed invero, l’art. 2435, comma 1, cod. civ. stabilisce che: “Entro trenta giorni dall'approvazione una copia del bilancio, corredata dalle relazioni previste dagli articoli 2428 e 2429 e dal verbale di approvazione dell'assemblea o del consiglio di sorveglianza, deve essere, a cura degli amministratori, depositata presso l'ufficio del registro delle imprese o spedita al medesimo ufficio a mezzo di lettera raccomandata”.

I bilanci 2012 e 2013 sono stati approvati in data 30/4/2015, per cui il deposito degli stessi, avvenuto rispettivamente in data 15 e 18 maggio 2015, deve ritenersi tempestivo.

Come correttamente rilevato dall’odierna appellante il giudice di prime cure ha erroneamente, fatto discendere la tardività del deposito da quella dell’approvazione degli stessi bilanci.

In tal modo si è, però, pronunciato su un aspetto (quello concernente la tardività dell’approvazione) non emerso in sede procedimentale, incorrendo, di conseguenza, in un evidente vizio di ultrapetizione.

Oltre al tardivo deposito dei bilanci, la stazione appaltante ha contestato all’odierna appellante “una riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale causa questa che comporta l’applicazione dell’art. 2448 del Codice civile con specifico riferimento agli artt. 2446 - 2447 – 2448 del codice civile”.

Il giudice di prime cure ha respinto la censura con cui la ricorrente di primo grado aveva dedotto l’insussistenza, per le società cooperative di produzione e lavoro di prescrizioni legali che impongano un capitale sociale minimo, motivando la reiezione con ampi riferimenti all’asserita inaffidabilità economico finanziaria della concorrente desunta dalle perdite evidenziate dai bilanci.

Così facendo il Tribunale amministrativo si è inammissibilmente sostituito all’amministrazione, individuando una ragione di esclusione diversa ed ulteriore rispetto a quelle poste a base del provvedimento espulsivo impugnato, incorrendo, anche sotto questo profilo, nel vizio di ultrapetizione.

Ed Invero, la questione dell’inaffidabilità economico finanziaria della concorrente era stata evocata dalla stazione appaltante solo negli scritti difensivi depositati nel corso del processo, ma per pacifico principio non è consentito alla Pubblica amministrazione, integrare la motivazione del provvedimento impugnato attraverso gli scritti difensivi depositati in giudizio, dovendo la motivazione stessa essere sempre il frutto della volontà decisionale dell'amministrazione da esprimere nell’ambito del procedimento amministrativo (sul divieto di integrazione postuma della motivazione mediante scritti difensivi Cons. Stato, Sez. III, 9/1/2017, n. 24; Sez. VI, 19/8/2009, n. 4993; Sez. IV, 7/5/2007, n. 1975; Sez. V, 23/1/2007, n. 192).

La censura dedotta in primo grado dall’appellante e qui riproposta risulta, peraltro, fondata.

Difatti, come si ricava dagli artt. 2511 e 2524 cod. civ., le cooperative sono società a capitale variabile, non determinato in un ammontare prestabilito.

Tant’è che l’art. 2545-duodecies cod. civ., nell’individuare le cause di scioglimento delle società cooperative, richiama quelle indicate, per le società di capitali, ai numeri 1), 2), 3), 5), 6) e 7) dell'articolo 2484, ma non anche quella di cui al n. 4) di quest’ultimo, che per l’appunto riguarda “la riduzione del capitale al disotto del minimo legale”.

Solo la perdita dell’intero capitale sociale, ai sensi del citato 2545-duodecies ultima parte, costituisce causa di scioglimento della società cooperative.

L’accoglimento delle censure sin qui affrontate determina l’annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara impugnato in primo grado, privando, di conseguenza, l’appellante di ogni interesse all’esame delle ulteriori doglianze dirette a contestare per un verso la posizione della seconda classificata e per altro verso l’intero procedimento ad evidenza pubblica.

L’appello, sotto il profilo impugnatorio, va, quindi, accolto.

Resta da esaminare la domanda risarcitoria.

L’appellante chiede il risarcimento in forma specifica e il danno da lucro cessante in relazione al parte di contratto già eseguita dalla controinteressata.

La domanda è inammissibile in quanto articolata in modo diverso da come prospettata in primo grado, tanto da configurare una domanda nuova, non consentita ex art. 104, comma 1, c.p.a.

Difatti, davanti al Tribunale amministrativo, la società cooperativa La Capanna aveva chiesto il risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale, includendo tra questi quelli da perdita di chance, il rimborso delle spese sostenute e il mancato guadagno conseguente alle occasioni contrattuali perdute.

Aveva, inoltre, chiesto la riconoscimento del c.d. danno curriculare.

Com’è evidente non era stata proposta la domanda di risarcimento in forma specifica e per il resto non coincidono le voci di danno nelle due sedi reclamate.

A prescindere da quanto sopra la domanda risarcitoria risulta allo stato inammissibile anche sotto altro profilo.

Infatti, dall’accoglimento dell’appello discende unicamente il dovere dell’amministrazione di ripronunciarsi in ordine alla sussistenza del requisito di fatturato richiesto dalla lex specialis della gara, con la conseguenza che in assenza di una specifico riconoscimento della spettanza del bene della vita (affidamento del servizio), che potrà eventualmente aversi solo all’esito della rinnovazione, da parte della stazione appaltante, del segmento procedimentale ritenuto illegittimo, non c’è spazio per azioni risarcitorie (Cons. Stato, Sez. V, 17/7/2017, n. 3505; 6/3/2017, n. 1037; 23/8/2016, n. 3674 14/10/2014, n. 5115; Sez. VI, 25/9/2007, n. 4955).

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di natura diversa.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la parziale soccombenza, nei confronti del Comune, mentre possono essere compensati nei riguardi dell’Impresa di Pulizia La Rapida 2004.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così dispone:

a) accoglie l’appello quanto alla domanda impugnatoria e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza accoglie il ricorso di primo grado conseguentemente annullando i provvedimenti col medesimo gravati;

b) dichiara inammissibile la domanda risarcitoria.

Condanna il Comune appellato al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellante liquidandole forfettariamente in complessivi € 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Compensa le dette spese nei confronti dell’Impresa di Pulizia La Rapida 2004.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

Il principio affermato dal Consiglio di Stato è quello secondo cui, ove il bando non abbia espressamente qualificato come “causa di esclusione” la violazione di un obbligo previsto da una disposizione di legge, l’eventuale esclusione, comminata a seguito dell’accertata inosservanza di tale disposizione, deve considerarsi illegittima.

Nel caso di specie, la stazione appaltante aveva revocato l’aggiudicazione provvisoria disposta a motivo del fatto che la Società aggiudicataria non aveva depositato i bilanci presso il registro imprese nei termini di legge (ossia entro i 30 gg. stabiliti dall’art. 2435 comma 1 c.c.).

Il Consiglio di Stato dichiara l’illegittimità della revoca in quanto nessuna norma del bando prevedeva che i bilanci della Società dovessero essere stati depositati nei modi e tempi previsti dalla norma del codice civile sopra richiamata.

Esso, con tale decisione, assume un orientamento decisamente rigido rispetto al principio della c.d. “eterointegrazione del bando di gara”, più volte affermato dalla stessa giurisprudenza soprattutto in relazione all’inserimento automatico nel bando stesso (quindi anche ove non contemplato da quest’ultimo) dell’obbligo per l’offerente di indicare i costi del lavoro e della sicurezza.

Il Consiglio di Stato, infatti, con la sentenza in commento, evidenzia che la mancata espressa qualificazione come causa di esclusione, da parte del bando, dell’inosservanza di un obbligo normativo, non consente alla stazione appaltante di adottare legittimamente, nei confronti della Società che a tale obbligo non abbia adempiuto, un provvedimento di revoca dell’aggiudicazione in precedenza disposta.

L’istituto della “eterointegrazione del bando di gara” trova la sua origine nell’art. 1419 comma 2 c.c. – dettato in tema di nullità parziale del contratto – a norma del quale “la nullità di singole clausole non comporta la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.

Se si volesse applicare tale norma ai bandi di gara, si dovrebbe ritenere che, anche laddove il bando non abbia espressamente contemplato come causa di esclusione l’inadempimento di un obbligo previsto da una disposizione di legge, tale causa di esclusione debba considerarsi comunque sussistente per il semplice fatto che l’offerente non ha adempiuto ad un obbligo normativo di natura imperativa, e ciò appunto in virtù dell’eterointegrazione automatica di derivazione civilistica.

 

Occorre verificare se l’operazione sopra citata – ossia applicazione dell’art. 1419 comma 2 c.c.  anche ai bandi di gara – sia fattibile.

Sulla base di un primo orientamento, ritenere che un istituto di origine civilistica possa essere applicato anche ad un provvedimento amministrativo – qual è il bando di gara – porterebbe ad equiparare due ambiti oggettivamente differenti, ovvero quello privatistico e quello pubblicistico: e che siano differenti lo stabilisce espressamente l’art. 30 comma 8 del D.lgs. 50/2016, il quale prevede che “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”. Pertanto, reputare che gli istituti di matrice contrattual – civilistica siano, tout court, estensibili anche agli atti delle procedure di affidamento di appalti pubblici, significherebbe svuotare di ogni sostanza il disposto dell’art. 30 comma 8 del D.lgs. 50/2016, il quale tra l’altro, siccome enuncia quelli che sono i principi generali in tema di aggiudicazione e di esecuzione degli appalti pubblici, riveste un ruolo di primo piano nell’ambito del Codice degli Appalti.

Tuttavia, sulla base di un secondo orientamento, si deve evidenziare che taluni istituti del diritto civile sono stati mutuati dal legislatore proprio al fine di disciplinare alcuni meccanismi essenziali dei provvedimenti amministrativi: è il caso, ad esempio, della “convalida del provvedimento annullabile” di cui all’art. 21 nonies della Legge 241/90, che, inequivocabilmente, trae ispirazione dall’art. 1444 c.c. (convalida del contratto annullabile); oppure è il caso della “nullità del provvedimento amministrativo” di cui all’art. 21 septies della Legge 241/90, il quale, stabilendo la nullità nel caso in cui il provvedimento manchi “degli elementi essenziali”, richiama direttamente l’art. 1418 comma 2 c.c., che elenca, quali cause di nullità del contratto, la mancanza degli elementi (appunto, essenziali) contenuti nell’art. 1325 c.c. (ovvero: causa, accordo, oggetto e forma). Di conseguenza, se ci si basa sulla disciplina generale del provvedimento amministrativo, ci si accorge che questa è in realtà fortemente permeata di alcuni rilevanti istituti del diritto civile, e pertanto, in quest’ottica, ritenere che anche il meccanismo dell’eterointegrazione automatica di cui all’art. 1419 comma 2 c.c. possa essere applicato ai bandi di gara, non appare un’operazione poi così peregrina.

Alla stregua di tale secondo orientamento, quindi, nel caso in cui il bando non abbia espressamente previsto come causa di esclusione l’inadempimento di un obbligo stabilito da una disposizione di legge (in tal caso l’art. 2435 comma 1 c.c.), deve comunque ritenersi operante il meccanismo dell’eterointegrazione automatica di cui all’art. 1419 comma 2 c.c., e, conseguentemente, l’accertato inadempimento al suddetto obbligo è sufficiente, di per sé, a legittimare un provvedimento di esclusione.

Tuttavia, posto che ai sensi della norma civilistica le clausole nulle possono essere sostituite dalle norme di legge soltanto ove queste ultime siano imperative, si tratta di verificare se la norma contenuta nell’art. 2435 comma 1 c.c. (la quale prevede l’obbligo del deposito dei bilanci societari presso il registro imprese entro 30 gg. dall’approvazione) possa essere considerata “imperativa”.

L’art. 2193 comma 1 c.c., il quale disciplina l’efficacia dell’iscrizione nel registro imprese, prevede che “i fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza”.

Una norma, per poter essere considerata come “imperativa”, non dovrebbe prevedere alcun meccanismo sanante nel caso in cui non venga osservata: altrimenti, perderebbe la sua efficacia di norma cogente, ossia inderogabile.

Nel caso dell’art. 2193 comma 1 c.c., invece, la clausola di salvezza ivi contenuta (“….a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza”), evidenzia che, anche nel caso di mancata iscrizione (la quale può conseguire anche al mancato deposito da parte dell’interessato), vi è sempre la possibilità che l’interessato stesso dimostri la già avvenuta conoscenza da parte dei terzi. Pertanto, l’art. 2435 comma 1 c.c. , analizzata – e non potrebbe essere diversamente – in combinato disposto con l’art. 2193 comma 1 c.c., non appare suscettibile di poter essere ritenuta quale “norma imperativa”. Di conseguenza, nel caso della sentenza in commento, il meccanismo dell’eterointegrazione automatica di cui all’art. 1419 comma 2 c.c. non sembra poter essere applicato al bando di gara, in quanto viene a mancare il presupposto fondamentale di tale applicabilità, ossia la imperatività della norma.