Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2017 n. 5552

La certezza della provenienza dell’offerta è assicurata dalla sottoscrizione del documento contenente la manifestazione di volontà, con cui l’impresa partecipante «fa propria la dichiarazione contenuta nel documento», vincolandosi ad essa ed assumendone le responsabilità. Il difetto di sottoscrizione invalida la manifestazione contenuta nell’offerta, e legittima l’esclusione dalla gara pur in assenza di espressa previsione della lex specialis.

Non vi è equipollenza tra la firma di un documento in calce e quella solo in sua apertura; e tanto meno sul solo frontespizio di un testo di più pagine, perché è solo con la firma in calce che si esprime il senso della consapevole assunzione della paternità di un testo e della responsabilità in ordine al suo contenuto.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1010 del 2017, proposto da:
Agrifarm s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Michele Coromano, con domicilio eletto presso l’avvocato Nicola Corbo in Roma, viale Umberto Tupini, 113;

contro

Regione Molise, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Orto d'Autore s.r.l. Societa Agricola, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vincenzo Giordano, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Sannicandro Garganico, corso G. Garibaldi, 27;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Molise n. 36/2017, resa tra le parti, concernente la procedura aperta per la concessione in affitto dell’azienda Pantano di Termoli di proprietà regionale, nonché per l'annullamento e/o dichiarazione di inefficacia del contratto pubblico ove nelle more stipulato dalla Regione Molise con la impresa aggiudicataria e per la condanna al risarcimento dei danni in forma specifica ovvero per equivalente di quelli subiti e subendi;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Molise e della Orto d’Autore s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2017 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Di Nezza su dichiarata delega dell'avv. Coromano, l’avvocato dello Stato De Nunctis e l’avvocato Vincenzo Giordano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con bando approvato con determina dirigenziale del 24 febbraio 2015, n. 87, la Regione Molise aveva indetto una procedura di selezione per la concessione in affitto dell’azienda agricola Pantano, in Termoli, di sua proprietà, allo scopo di individuare un soggetto che potesse riqualificare e valorizzare l’azienda predetta e l’intero complesso aziendale composto da terreni e da fabbricati rurali anche al fine di promuovere la produzione agricola legata al territorio e l’occupazione, sostenendo le filiere produttive sul territorio molisano (art. 2 del bando).

Il criterio di selezione individuato dal bando di selezione era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa con attribuzione di punteggi articolati su alcuni criteri, tra cui quello dell’offerta economica e quello tecnico del pregio delle soluzione proposta per la riqualificazione del complesso.

Alla gara partecipava la Agrifarm s.r.l., che risultava infine collocata al secondo posto nella graduatoria, di seguito alla Orto d’Autore s.r.l. ed avverso tale aggiudicazione disposta con determinazione dirigenziale 1° aprile 2016, n. 1098, la Agrifarm proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo del Molise, sollevando il seguente unico articolato motivo:

Violazione e falsa applicazione del bando di gara, violazione e falsa applicazione dei principi di par condicio e imparzialità, eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento dalla causa tipica, eccesso di potere sotto molteplici ulteriori profili anche con riferimento al codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 e con particolare riguardo agli artt. 46, comma 1-bis e comma 1-ter.

Si costituiva in giudizio la Regione Molise, eccependo il difetto di giurisdizione amministrativa, trattandosi di questione rientrante nella materia degli acquisti o locazioni di terreni o fabbricati, di beni disponibili come tali sottratti alle regole di evidenza pubblica, la tardività del ricorso e comunque l’infondatezza delle tesi sostenute dalla ricorrente e si costituiva inoltre l’aggiudicataria controinteressata Orto d’Autore s.r.l., che sosteneva l’inammissibilità del ricorso perché la materia dell’affitto dei beni di proprietà pubblica non sarebbe stata sottoposta alla disciplina del d.lgs. n. 163 del 2006, ma a quella dettata per i contratti di affitto dei beni pubblici dal r.d. 23 maggio 1924 n. 827 (art. 89) essenzialmente liberalizzata, e comunque la sua infondatezza,

La sentenza 3 febbraio 2017, n. 36 del Tribunale amministrativo dapprima respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione amministrativa perché infondata, poiché l’oggetto della controversia non era tanto la destinazione del bene immobile di povertà pubblica, bensì la correttezza dello svolgimento della procedura selettiva, in cui venivano pacificamente esercitati poteri di carattere autoritativo corrispondenti a situazioni di interesse legittimo, rientrante nella regola generale dell’evidenza pubblica di cui all’art. 37 r.d. 23 maggio 1924 n. 827.

La sentenza prescindeva poi dall’eccezione di tardività, nel rilevare l’infondatezza del merito del ricorso.

In primo luogo non si poteva ritenere scorretta l’offerta tecnica dell’aggiudicataria, come sostenuto nel primo motivo, in quanto recante solo la firma dell’amministratore sul frontespizio e non la sottoscrizione del legale rappresentante ovvero di un tecnico abilitato.

La circostanza non era violazione del bando, poiché quest’ultimo non prescriveva che il Piano di valorizzazione dovesse essere sottoscritto anche da un tecnico, ma solo dal rappresentante legale dell’offerente, mentre per la mancata sottoscrizione in calce dell’offerta, andava rilevata la regola generale di cui all’art. 46, comma 1-bis d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui «la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti […] nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali». Quindi era stata rispettata la regola della concreta riferibilità all’impresa concorrente, desumibile anche dall’art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016.

Quindi, anche se la sottoscrizione in calce è la tipica assunzione degli obblighi civilistici, si doveva rilevare che il procedimento di selezione secondo il modello legislativo tanto vecchio quanto nuovo e del bando della selezione, era rilevante la riferibilità dell’offerta concorrente perché la fase di aggiudicazione era sganciata da quella successiva di stipulazione del contratto; e ciò anche nella dovuta interpretazione delle clausole della legge di gara più favorevole alla massima partecipazione delle imprese, evitando che aspetti formali riconosciuti sanabili anche dall’ANAC limitino la concorrenza.

In secondo luogo era senza fondamento la doglianza con cui Agrifarm s.r.l. sosteneva l’inattendibilità del Piano di valorizzazione proposto dall’aggiudicataria per la prospettazione di costi irrisori rispetto alla portata di interventi indicati.

Il bando, per i contenuti del Piano, aveva solo previsto l’indicazione di uno studio di fattibilità sugli interventi programmati senza dettaglio dei costi: questi non erano quindi oggetto di specifica valutazione da parte dell’Amministrazione, anche perché ai sensi dell’art. 5 del bando avrebbero potuto essere scomputati dall’importo del canone; erano da valutare gli interventi programmati e la sostenibilità generale del piano finanziario con tutte le voci comprese quelle sul reddito.

In terzo luogo erano infondate anche le doglianze di illogica e irragionevole valutazione effettuata dalla commissione nell’attribuire i punteggi, tipica espressione di potere di natura tecnico-discrezionale cui venivano contrapposte questioni concernenti il merito amministrativo e recanti un’indebita sostituzione del potere valutativo della commissione di gara.

La sentenza descriveva poi il contenuto di alcune censure e rilevava che le soluzioni tecniche offerte dalla ricorrente erano state prese in considerazione e ne erano stati rilevati aspetti di criticità.

Da ultimo veniva ritenuto infondato anche il motivo sulla somma offerta dall’aggiudicataria per canone annuale di affitto, pari a quella posta a base d’asta. La legge di gara prevedeva espressamente che il canone poteva essere di importo “pari” o superiore a quello indicato dall’Amministrazione come minimo.

Con appello in Consiglio di Stato notificato il 17 febbraio 2017, Agrifarm s.r.l. impugnava la sentenza. Esposte in fatto le modalità di gara e le vicende che l’avevano caratterizzata, deduceva:

1.Illegittimità dell’aggiudicazione per carenza assoluta di sottoscrizione dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria. Veniva censurato quanto affermato in ordine alla mancata sottoscrizione in calce dell’offerta tecnica, la cui funzione è quella di assicurare la provenienza, serietà, l’affidabilità dell’offerta stessa e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità tanto da doversi ritenere tassativa e comunque non sostituibile da una firma sul frontespizio.

2.Illegittimità dell’aggiudicazione per palese inattendibilità e/o incertezza dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria. L'impresa aggiudicataria ha proposto una serie di interventi edilizi sui sette fabbricati dell’azienda in stato di abbandono e di non agibilità prevedendo un costo neppure sufficiente a coprire il 20% delle spese per il lavori realmente occorrenti, e la sentenza ha ritenuto legittima l’omissione da parte della commissione di gara della valutazione di tale elemento, laddove l’insufficienza dei costi era talmente evidente da non potersene prescindere.

3.Illegittimità degli atti impugnati per palese e manifesta illogicità nell’attribuzione dei punteggi. Se effettivamente la valutazione della commissione di gara è un esercizio connotato da discrezionalità tecnica, non si poteva ignorare che l’aggiudicataria si era limitata a proporre l’attività meramente agricola, mentre l’appellante aveva evidenziato anche processi di trasformazione con vendita diretta ed inoltre la commissione aveva voluto privilegiare senza alcuna previsione negli atti di gara i prodotti ortofrutticoli in luogo di quelli zootecnici; altrettanto illogica era l’assegnazione all’aggiudicataria di un punto per gli interventi edilizi già menzionati, le cui previsioni dovevano portare o all’esclusione dell’offerta o in via subordinata a punti 0; ancora illogica era l’assegnazione alla Orto d’Autore di quattro punti per la conversione della superficie aziendale al sistema biologico, laddove l’appellante ne prevedeva la conversione integrale e l’aggiudicataria soltanto per il 10%.

4.Erronea attribuzione del punteggio l’offerta economica dell’aggiudicataria. Il prezzo offerto doveva essere formulato in aumento rispetto a quello fissato a base d’asta e al contrario l’aggiudicataria ha espresso offerta economica senza rialzo e quindi il punteggio da attribuire a detta offerta dovrà essere pari a zero.

Agrifarm s.rl. concludeva per l’accoglimento dell’appello insistendo anche per il risarcimento dei danni in forma specifica e, in via subordinata, per equivalente, da quantificarsi nel giudizio.

Si sono costituite le parti intimate, sostenendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

Con ordinanza n. 1446 del 6 aprile 2017 questa V Sezione ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza, per presenza di fumus boni iuris nella prima censura.

All’udienza del 9 novembre 2017 la causa è passata in decisione.

Il Tribunale amministrativo ha respinto la censura con cui la Agrifarm ha sostenuto che l'aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa per la mancata sottoscrizione in calce dell'offerta tecnica, la cui funzione è di assicurare provenienza e affidabilità dell’offerta, tanto da costituirne elemento essenziale e non sostituibile da firme poste altrove, nel caso di specie sul frontespizio.

Per la sentenza andava rilevata la regola generale dell’art. 46, comma 1-bis, d lgs. n. 163 del 2006, per cui l’esclusione del concorrente va pronunciata nei casi di incertezza assoluta sul contenuto sulla provenienza dell’offerta oppure per difetto di sottoscrizione, mentre qui era rispettata la regola della riferibilità alla concorrente.

Il Collegio, sulla scorta di ampia giurisprudenza di questa Sezione, ritiene errata la pronuncia. Questa va riformata in accoglimento dell'appello.

Per il citato art. 46, comma 1-bis d.lgs. n. 163 del 2006, in virtù del principio di tassatività delle cause di esclusione, la sanzione espulsiva da una gara può ben essere disposta solo nei casi di «incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta». Questa, a sua volta, può conseguire al «difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali».

La disposizione, cui i bandi devono conformarsi, tutela l'interesse sostanziale di affidamento delle stazioni appaltanti circa la provenienza certa ed indiscutibile dell'offerta da un operatore economico in gara.

La certezza della provenienza dell'offerta è assicurata dalla sottoscrizione del documento contenente la manifestazione di volontà, con cui l'impresa partecipante «fa propria la dichiarazione contenuta nel documento», vincolandosi ad essa ed assumendone le responsabilità (Cons. Stato, V, 9 marzo 2015, n. 1195, 25 gennaio 2011 n. 528, 7 novembre 2008 n. 5547). Il difetto di sottoscrizione invalida la manifestazione contenuta nell'offerta, e legittima l'esclusione dalla gara pur in assenza di espressa previsione della lex specialis (es. Cons. Stato, IV, 19 marzo 2015, n. 1425).

Ancora, la giurisprudenza puntualizza intende per sottoscrizione «la firma in calce, e che questa nemmeno può essere sostituita dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa». Conseguentemente, non vi è equipollenza tra la firma di un documento in calce e quella solo in sua apertura; e tanto meno sul solo frontespizio di un testo di più pagine, perché è solo con la firma in calce che si esprime «il senso della consapevole assunzione della paternità di un testo e della responsabilità in ordine al suo contenuto» (Cons. Stato, V, 15 giugno 2015 n. 2954; 20 aprile 2012 n. 2317). E difatti per l’art. 46 il difetto di sottoscrizione è un’incertezza sicura circa la provenienza dell’offerta.

Il caso presente rientra in quest'ultima ipotesi: il legale rappresentante della controinteressata ha apposto la firma sul frontespizio dell’offerta tecnica. Il che viola la legge di gara, che prevedeva a pena di esclusione (art. 13) che il Piano di valorizzazione aziendale andasse sottoscritto dal legale rappresentante. È naturale che per “sottoscrizione” si intenda la firma apposta in calce: solo così l'assunzione della paternità della dichiarazione può essere riferita all'offerta nel complesso, così venendo soddisfatto l'interesse sostanziale di affidamento dell'amministrazione a su una valida espressione di impegno contrattuale. La sottoscrizione ne è il principale strumento. Una sottoscrizione sul frontespizio non assolve detta funzione di impegno complessivo sull’intero contenuto dell’offerta.

L'originaria ricorrente si duole della mancata esclusione della Orto d’Autore per omessa sottoscrizione dell'offerta tecnica: questo motivo risulta dunque fondato e assorbente, per violazione dell’art. 46, comma 1-bis d. lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 13 del bando di gara, contravvenendo in modo essenziale all'affidamento necessario dell'amministrazione come sopra ripetutamente evocato.

Ne segue che la appellata sentenza va riformata Sicché va annullata l’ammissione alla gara della controinteressata e l’aggiudicazione definitiva in suo favore. Ne segue ancora, come domandata, la dichiarazione di inefficacia del contratto se ed in quanto poi stipulato.

Resta però irrilevante la domanda di risarcimento dei danni: a parte la loro mancata dimostrazione probatoria, vanno esclusi alla radice per intervenuta, nelle more, sospensione della sentenza di primo grado pronunciata in sede cautelare da questa V Sezione.

Le spese seguono la soccombenza e vanno a carico della stazione appaltante, mentre possono essere compensate nei confronti della controinteressata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.

Condanna la stazione appaltante al pagamento delle spese di giudizio determinati in complessivi €. 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre agli accessori di legge, mentre le compensa nei confronti della controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Muovendo dal principio di tassatività delle cause di esclusione da una gara deve affermarsi che la sanzione espulsiva può essere disposta solo nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, e ciò può derivare da un difetto di sottoscrizione della stessa o dall’assenza di altri elementi essenziali.

Chiamata ancora una volta a delimitare la portata applicativa del predetto principio di tassatività, nell’ottica di massima portata della concorrenza nel mercato, il Consiglio di Stato si sofferma sulla peculiare ipotesi in cui l’offerta di un operatore economico risulti priva di sottoscrizione.

Al riguardo giova ricordare che l’elemento della sottoscrizione rappresenta lo strumento con cui l’ordinamento assegna la paternità a un documento. Ne deriva che è solo attraverso la sottoscrizione che si identifica la parte contrattuale che ha manifestato la propria volontà di costituire un rapporto giuridico con la stazione appaltante, vincolandosi ad essa e assumendosi la responsabilità derivate da un ipotetico inadempimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2015, n.1195).

Logica conseguenza di tale premessa è l’invalidità della volontà negoziale manifestata e la successiva sanzione dell’esclusione dalla gara, anche in assenza di un’espressa previsione in tal senso da parte della lex specialis (cfr. Cons. Stato sez. IV, 19 Marzo 2015, n. 1425).

Da ultimo resta da appuntare che con il termine sottoscrizione la giurisprudenza intende “la firma in calce, e che questa nemmeno può essere sostituita dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa”.

In buona sostanza solo la firma in calce è idonea a garantire la certezza giuridica circa la provenienza di un atto.

Il pronunciamento del Consiglio di Stato sviluppa dunque il proprio percorso argomentativo attorno al principio di tassatività delle cause di esclusione dalla gara, inserito nell’art. 46 comma 1 bis D.lgs. 163/2006 (vecchio codice dei contratti pubblici) da parte del D.l. 70/2011.

Con tale intervento normativo il legislatore nazionale, recependo i pronunciamenti della Corte di Giustizia, interrompe il trend giurisprudenziale nazionale tendente ad assegnare alla stazione appaltante un potere discrezionale di fissazione dei requisiti di partecipazione ad una gara.

In buona sostanza il novum normativo riequilibra la diseguaglianza precedentemente solidificatasi tra l’amministrazione appaltante e le imprese partecipanti, contenendo il potere discrezionale della prima in ordine ai requisiti di partecipazione all’interno dei paletti previsti dalla legge.

Il principio di tassatività rappresenta dunque uno strumento in grado di garantire la par condicio dei concorrenti ad una gara e, al contempo, un mezzo per limitare il potere di una stazione appaltante, al fine ultimo di preservare la portata massima del principio del favor partecipationis.

Operando in tale direzione, il predetto principio si pone accanto all’art. 21 octies comma 2 Legge 241/1990, nell’ottica di una “dequotazione delle irregolarità formali” (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 25 Febbraio 2014, n. 9).

L’avvento del nuovo codice appalti ad opera del Decreto Legislativo 50/2016 non ha intaccato il predetto principio, il quale ha dovuto subire un mutamento della sedes normativa: è infatti l’art. 80 del nuovo Codice appalti ad individuare i requisiti di ordine morale che i partecipanti alla gara devo obbligatoriamente possedere pena l’automatica esclusione.

In chiusura resta da aggiungere che il principio di tassatività, accanto ad una accezione sostanziale, conosce una accezione procedimentale, nella misura in cui esso produce effetti applicativi in ordine al profilo temporale dei requisiti di partecipazione ad una gara: la prova del possesso dei requisiti di partecipazione non fotografa solo la fase iniziale di una procedura di gara, la stessa potendo conclamarsi anche in una fase successiva, allor quando il requisito cui essa afferisce non ha alcuna attinenza con la fase iniziale di presentazione dell’offerta.