Consiglio di Stato, sez. V, 18 luglio 2017, n. 4030

Al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per l’amministrazione aggiudicatrice, segnatamente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che lo controllino, non si deve ricomprendere in tale attività quella imposta a detto ente da un’amministrazione pubblica, non sua socia, a favore di enti territoriali a loro volta non soci di detto ente e che non esercitino su di esso alcun controllo. Tale ultima attività deve essere considerata come un’attività svolta a favore di terzi.

 

 

Guida alla lettura

Intervenuta in tema di affidamento diretto a soggetto in house la pronuncia oggetto di nota, richiamando la pronuncia della Corte di Giustizia, intervenuta per la risoluzione di talune questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione del diritto UE, mette in evidenza come la sussistenza del requisito dell’attività prevalente (quale elemento costitutivo della figura dell’in house) va esclusa nell’ipotesi in cui la predetta attività sia imposta da un’amministrazione pubblica non socia e sia svolta in favore di enti territoriali (anch’essi non soci) non sottoposti ad alcun potere di controllo da parte dell’ente affidatario.

In buona sostanza nell’ipotesi appena descritta l’attività si considera posta in essere in favore di un soggetto terzo.

Ancora una volta la giurisprudenza sofferma la sua attenzione sulla delimitazione concettuale della peculiare figura dell’in house, di recente oggetto di pesanti modifiche normative.

Con D.lgs. 22 aprile 2016 n. 50 il legislatore nazionale ha recepito le Direttive UE nn. 23-24-25 del 2014, intervenute in materia di riorganizzazione dei contratti pubblici.

Per quanto in questa sede maggiormente rileva, e dunque soffermando l’attenzione sull’istituto dell’affidamento diretto, i nuovi dettami normativi delineano un istituto in house ben lontano da quello plasmato dalle numerose pronunce della Corte di Giustizia (Corte Giust. CE, 18 novembre 1999, in causa C- 107/98; Id., 13 ottobre 2005, in causa C- 458/03; Id., 10 novembre 2005, in causa C- 29/04; Id., 10 settembre 2009, in causa C-573/07), aprendo alla partecipazione al capitale sociale anche di soci privati (ancorchè in posizione non determinante) e fissando il limite minimo di attività che la società deve esercitare a favore dell’ente pubblico di controllo nel dato numerico dell’80%.

L’originario quadro pretorio, infatti, edificava la figura dell’in house sulla sussistenza di un binomio di elementi costitutivi, consistenti nel controllo analogo e nello svolgimento della parte più rilevante della propria attività a vantaggio dell’ente controllante. Con particolare riferimento al primo dei requisiti anzidetti, la giurisprudenza aveva finito per qualificare il controllo analogo in termini di vero e proprio dominio sulla struttura dell’organo cui il servizio o l’attività risultava affidato. Con riguardo all’elemento funzionale, invece, la Corte di Giustizia 11 maggio 2006 in causa C-340/2004 precisava che sussiste il requisito dell’espletamento della parte più importante di attività da parte della controllata (in house nei confronti della controllante) allorquando le prestazioni dell’impresa siano tendenzialmente destinate all’esercizio dell’attività dell’ente pubblico in via esclusiva o principale, ogni altra attività potendo possedere solo un carattere marginale.

Il vento riformatore portato dall’intervento legislativo del 2016 ha sostanzialmente mutato i tratti somatici della figura dell’affidamento diretto, in concreto producendo un pericoloso (dal punto di vista interpretativo) allargamento delle maglie dell’ambito applicativo dell’in house.

L’attuale apertura all’utilizzo dello strumento in house (art. 5 comma 1 D.lgs. 50/2016 e art. 16 D.lgs. 175/2016), pertanto, produce di fatto una maggiore difficoltà nell’individuare in concreto le ipotesi in cui una società possa considerarsi realmente tale.

Più nel dettaglio, la contaminazione privatistica delle società in house apre il dibattito attorno al potenziale fenomeno della cosiddetta “giungla delle società in house”.

Un importante e salvifico intervento legislativo sembra essere quello di cui all’art. 192 D.lgs. 50 cit., il quale sancisce l’istituzione presso l’A.N.A.C. “anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici” di un elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori operante mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1746 del 2015, proposto dalla Undis Servizi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Della Rocca, con domicilio eletto presso gli Studi Legali Riuniti in Roma, corso d'Italia, 19

contro

Comune di Sulmona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Guido Blandini e Marina Fracassi, con domicilio eletto presso lo studio Luca Giusti in Roma, viale Angelico, 92

nei confronti di

Cogesa s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Colagrande, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, 35 B

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo, Sezione I, n. 929/2014

 

 

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo, recante il n. 727/2014, l’odierna appellante Undis Servizi s.r.l. (d’ora innanzi: “la Undis”) impugnava la delibera consiliare n. 60 del 2014, adottata dal Comune di Sulmona, con la quale era stato disposto l'affidamento in house del servizio di igiene urbana in favore della Cogesa s.p.a. (d'ora innanzi: “Cogesa”).

In particolare, la Undis lamentava la violazione dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e degli articoli 43, 49 e 86 del Trattato CE, asserendo che la società affidataria del suddetto servizio difettasse dei prescritti requisiti del controllo analogo e della prevalenza dell'attività.

Per quanto riguarda il requisito del controllo analogo, la Undis lamentava che, al momento in cui era stato disposto l’impugnato affidamento diretto, il Comune di Sulmona non esercitava nei confronti della Cogesa un controllo analogo. Ciò, in quanto solo in un momento successivo all’affidamento il Comune aveva stipulato con gli altri enti soci della Cogesa una convenzione per l’esercizio del c.d. ‘controllo analogo congiunto’.

Per quanto riguarda, poi, il ‘secondo requisito Teckal’, la Undis lamentava che la Cogesa svolgesse la parte principale della propria attività in favore di enti non soci e che, ai fini dell’inveramento del ‘secondo requisito’, non potesse tenersi conto dell’attività svolta in favore di altri enti pubblici (non soci), pure se imposta da un atto regionale a valenza pubblicistica quale l’Autorizzazione Integrata Ambientale n. 9/11 (sul punto, v. infra).

Ai fini della presente decisione mette conto sottolineare:

- che la Cogesa è una società a capitale interamente pubblico e che il Comune di Sulmona detiene azioni pari a circa il 16,6 per cento del suo capitale;

- che la Cogesa svolge la propria attività sia in favore degli enti soci, sia in favore dei enti non soci;

- che, in particolare, con l’Autorizzazione Integrata Ambientale n. 9/11 la Regione Abruzzo ha imposto alla Cogesa (conformemente ai princìpi di autosufficienza, prossimità e sussidiarietà) di trattare e smaltire i rifiuti urbani sia in favore degli enti soci che degli enti non soci

Con la sentenza impugnata, il Tribunale amministrativo adito ha respinto il ricorso, ritenendo la sussistenza dei presupposti enucleati dalla giurisprudenza comunitaria ai fini dell’affidamento in regime di delegazione interorganica (i requisiti del controllo analogo e dell'attività prevalente).

In particolare, richiamando quanto espresso dalla Corte di giustizia, il primo giudice ha rilevato che, al fine di accertare la sussistenza del criterio del controllo analogo, è necessario considerare la capacità dell'ente di influenzare sia gli obiettivi strategici che le decisioni della società partecipata.

Pertanto, secondo la sentenza, risulta fondamentale l'espletamento di un controllo effettivo e concreto da parte dell'ente affidante l'appalto o il servizio, il quale deve essere idoneo, quindi, ad incidere considerevolmente sulle scelte politico-decisionali nonché organizzative dell'ente affidatario.

Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto integrato tale primo requisito, constatando l'effettività dei controlli svolti da parte dei Comuni soci, a cui gli organi della società partecipata sono assoggettati, attribuendo, in particolar modo, notevole rilevanza alla sottoscrizione di una convenzione da parte degli stessi enti soci. Infatti, tale convenzione, adottata prima della stipula del contratto di servizio, prevede l'istituzione di un organo composto dai sindaci dei rispettivi Comuni soci o dai loro delegati, il cui fine è quello di indicare gli indirizzi strategici della società partecipata.

Il Collegio, infine, ha ritenuto soddisfatto anche il secondo requisito (cd. attività prevalente), in virtù del fatto che il servizio di igiene urbano è svolto dalla Cogesa in favore dei Comuni soci in misura superiore al 90 per cento del fatturato, non rilevando l'attività destinata ai Comuni non soci, essendo stata quest'ultima imposta da un'amministrazione pubblica non socia, quale è la Regione Abruzzo (AIA n. 9/2011).

Avverso la sentenza la Undis propone appello dinanzi al Consiglio di Stato, deducendone l'erroneità e chiedendone l’integrale riforma sulla base dei seguenti motivi:

1)Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 43, 49 e 86 del Trattato CE – Violazione dell'art. 2 del D. Lgs. n. 163/2006 – Violazione dei principi di trasparenza, di parità di trattamento, di libera concorrenza e di non discriminazione – Violazione art. 97 Cost – Violazione del principio della domanda – Violazione dell'art. 64 c.p.a. e del principio dispositivo.

1-a) difetto del controllo analogo ed irrilevanza ed inidoneità della convenzione del 30.10.2014, sopravvenuta agli atti impugnati e comunque insufficiente ai fini del requisito;

1-b) difetto della prevalenza dell'attività, dovendosi considerare tutte le attività comunque svolte dalla società in favore di non soci, e risultando provato che la mission societaria è rivolta ad implementare tale attività esterna;

1-c) difetto della prevalenza stante l'acclarata insussistenza di affidamenti in house antecedenti al 30.10.2014, cosicchè tutto il fatturato di Cogesa sino a tale data è da considerare esterno (ovvero non prodotto nei confronti di “enti controllanti”).

Si è costituita in giudizio Cogesa s.p.a., che ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Con ordinanza 20 ottobre 2015, n. 4793/2015 questo Consiglio di Stato, ritenendo che ai fini del decidere fosse necessario risolvere talune questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione del diritto dell’UE, ha sospeso il giudizio e ha rimesso alla Corte di giustizia i seguenti quesiti ai sensi dell’articolo 267 del TFUE:

i) se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento all’attività imposta da un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci;

ii) se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del c.d. ‘controllo analogo’.

Con sentenza dell’8 dicembre 2016, in causa C-553/15 la Corte di Giustizia dell’UE ha fornito risposta ai due quesiti dedotti nell’ordinanza di rimessione.

Entrambe le parti in causa hanno prodotto memorie e articolato ulteriormente le proprie difese.

All'udienza pubblica del 15 giugno 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla Undis (attiva nel settore dell’igiene urbana) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con cui il Comune di Sulmona ha affidato il ciclo integrato dei rifiuti in favore della Cogesa (una società a partecipazione integralmente pubblica, di cui il Comune di Sulmona detiene circa il 16 per cento del capitale).

2. In particolare, è controversa la questione concernente la mancanza del requisito dell'attività prevalente in capo alla società affidataria del servizio suddetto, non essendo pacifico che sia computabile a tali fini la rilevante quota di attività svolta dalla Cogesa in favore di enti pubblici non soci, sia pure sulla base di un atto avente valenza pubblicistica, quale l’AIA regionale n. 9/11.

La questione è dirimente ai fini del decidere in quanto:

- laddove la quota di attività svolta in favore di enti non soci risulti computabile ai fini del c.d. ‘secondo requisito Teckal’, potrà dirsi sussistente in capo alla Cogesa tale requisito;

- al contrario, laddove tale quota di attività non risulti computabile ai medesimi fini, la Cogesa risulterà priva del ‘secondo requisito Teckal’ (in quanto la quota di attività svolta nei confronti e in favore degli enti soci risulta pari a circa il cinquanta per cento del totale, non raggiungendo il requisito della ‘prevalenza’).

3. La Corte di Giustizia UE ha risolto il primo dei quesiti interpretativi rivolti con l’ordinanza di rimessione n. 4793/2015 enunciando il seguente principio di diritto: “nell’ambito dell’applicazione della giurisprudenza della Corte in materia di affidamenti diretti degli appalti pubblici detti «in house», al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per l’amministrazione aggiudicatrice, segnatamente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che lo controllino, non si deve ricomprendere in tale attività quella imposta a detto ente da un’amministrazione pubblica, non sua socia, a favore di enti territoriali a loro volta non soci di detto ente e che non esercitino su di esso alcun controllo. Tale ultima attività deve essere considerata come un’attività svolta a favore di terzi”.

La Corte ha altresì risolto il secondo dei richiamati quesiti enunciando il seguente principio: “al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che esercitino su di esso, congiuntamente, un controllo analogo a quello esercitato sui loro stessi servizi, occorre tener conto di tutte le circostanze del caso di specie, tra le quali, all’occorrenza, l’attività che il medesimo ente affidatario abbia svolto per detti enti territoriali prima che divenisse effettivo tale controllo congiunto”.

4. In particolare, la Corte di Giustizia (che ha incentrato la decisione sul quadro normativo anteriore al recepimento negli ordinamenti nazionali delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE) ha osservato:

- che, in base alla giurisprudenza della medesima Corte, qualsiasi attività dell’ente affidatario che sia rivolta a persone diverse da quelle che lo controllano (i.e.: a persone che non hanno alcuna relazione di controllo con tale ente), va considerata come svolta in favore di terzi, non rilevando il fatto che tale attività sia in ipotesi svolta in favore di soggetti pubblici (punto 34 della motivazione);

- che non può giungersi a conclusioni diverse (in relazione alla controversa sussistenza del c.d. ‘secondo requisito Teckal’) in considerazione del fatto che l’attività svolta da Cogesa in favore di enti terzi sia imposta da un’amministrazione pubblica (la Regione Abruzzo), anch’essa non socia della Cogesa. La Corte ha osservato che “in assenza di un qualsiasi controllo da parte di tale amministrazione pubblica, l’attività che quest’ultima impone alla Cogesa deve essere considerata come un’attività svolta in favore di terzi” (punto 37 della motivazione).

5. La Corte di giustizia ha dunque in via di principio escluso che in capo alla Cogesa sia configurabile la sussistenza del requisito dell’attività prevalente, pur avendo subordinato tale conclusione all’esame, da parte di questo giudice del rinvio, di due questioni:

i) la prima, concernente l’assoggettabilità dell’affidamento per cui è causa alle disposizioni eurounitarie in tema di appalti ovvero – quanto meno – alle norme fondamentali e ai princìpi generali del Trattato (in tale secondo caso deve essere accertato l’interesse transfrontaliero potenzialmente connesso all’affidamento stesso);

ii) la seconda concernente la verifica circa il fatto che lo svolgimento di attività in favore degli enti non soci non presenti carattere marginale (in tal caso, la sussistenza del ‘secondo requisito Teckal’ non potrebbe comunque essere esclusa).

5.1. Quanto al primo aspetto, questo Consiglio di Stato non può che confermare quanto meno l’interesse transfrontaliero dell’affidamento per cui è causa, trattandosi di servizio pluriennale di notevole rilievo economico disposto da un ente (quale il Comune di Sulmona) di apprezzabili dimensioni.

5.2. Quanto al secondo aspetto, deve concludersi che le attività svolte dalla Undis in favore di enti non soci (e, segnatamente, quelle svolte sulla base delle prescrizioni di cui all’AIA regionale n. 9/11) non presentassero affatto un carattere di marginalità, rappresentando – in base a quanto risulta agli atti di causa – il cinquanta per cento circa dell’attività sociale intesa in termini di fatturato (in tal senso le relazioni allegate alla delibera consiliare impugnata in primo grado).

6. Il Collegio ritiene che, alla luce dell’interpretazione della Corte di giustizia, l’affidamento diretto a suo tempo disposto in favore della Undis fosse effettivamente illegittimo per carenza dei requisiti a tal fine previsti dall’ordinamento UE.

Può discutersi se, alla luce del secondo dei chiarimenti offerti dalla Corte di giustizia, il Comune di Sulmona potesse esercitare nei confronti della Undis un controllo analogo a quello esercitato nei confronti delle proprie articolazioni interne (nella forma del c.d. ‘controllo analogo congiunto’).

Risulta tuttavia dirimente ai fini del decidere l’acclarata carenza in capo alla Undis del c.d. ‘secondo requisito Teckal’, sulla base di quanto chiarito dalla Corte di giustizia con il primo dei princìpi di diritto enunciati con la richiamata sentenza dell’8 dicembre 2016.

Infatti la Corte ha chiarito che la quota di attività svolta dalla Undis nei confronti di enti non soci (invero del tutto rilevante) non potesse essere in alcun modo computata ai fini del conseguimento del requisito dell’attività prevalente, a nulla rilevando il fatto che la prestazione di tali attività fosse stata imposta da un atto regionale a valenza pubblicistica e dal contenuto cogente per la società in parola.

Conseguentemente, si deve ritenere che la società in parola fosse in concreto priva di uno dei presupposti indefettibili perché potesse essere legittimamente disposto un affidamento in regime di delegazione interorganica (c.d. ‘in house’).

7. Con la memoria in data 18 maggio 2017 (successiva, quindi, alla più volte richiamata sentenza della Corte di Giustizia) il Comune di Sulmona ha sostenuto che la risposta fornita al primo quesito pregiudiziale non deporrebbe in modo univoco in senso sfavorevole alle tesi comunali in quanto residuerebbe ancora in capo a questo giudice rimettente un margine di apprezzamento in ordine all’effettiva sussistenza del requisito dell’attività prevalente.

Il Comune osserva al riguardo (richiamando anche le difese svolte dal Governo italiano nel corso del giudizio per rinvio pregiudiziale) di mai aver sostenuto che le attività svolte in favore di enti non soci andassero calcolate ai fini della prevalenza dell’attività, essendosi – piuttosto – limitato ad affermare che “quell’attività (…) non andasse computata al fine di escluderla” (pagina 6 della memoria in data 18 maggio 2017).

Per il Comune, in particolare, il chiarimento reso dalla Corte di Giustizia non travolgerebbe la tesi dallo stesso sostenuta, secondo cui le attività svolte da Undis in favore di enti non soci andrebbero radicalmente sottratte dal calcolo del fatturato realizzato in regime di libera concorrenza, “trattandosi di affidamenti ottenuti dietro un provvedimento autoritativo della Regione Abruzzo” (ivi).

In altre parole per il Comune, ai fini del requisito dell’attività prevalente, le attività svolte in favore di enti non soci non potrebbero essere computate come attività svolte in favore di enti controllanti, ma – comunque – le stesse attività andrebbero di fatto ‘scorporate’ da quelle rilevanti ai fini dell’affidamento diretto, essendo comunque sottratte dal regime di libera concorrenza.

In definitiva, il Comune auspica che il chiarimento reso dalla Corte di giustizia consenta comunque di ridurre la base di computo della quota di attività svolta dalla Undis, consentendo di non considerare quella svolta in favore di enti pubblici non soci sulla base dell’AIA regionale n. 9/11.

7.1. La tesi prospettata non può essere condivisa.

In particolare, la richiamata sentenza della Corte non consente di aderire all’interpretazione proposta dal Comune, secondo il quale le attività svolte nei confronti di enti non soci:

- non rileverebbero ai fini del ‘secondo requisito Teckal’,

- ma neppure potrebbero essere considerate ai fini della determinazione della base di calcolo (non risultando svolte in regime di libera concorrenza).

7.1.1. Si osserva in primo luogo che la tesi del Comune di Sulmona mira ad introdurre una nozione di ‘prevalenza dell’attività’ (e, più in generale, di ‘attività, in relazione alla verifica del secondo requisito Teckal) avulsa dalla tipica operatività degli organismi della cui natura si discute.

Infatti la nozione di ‘attività’ richiamata dalla sentenza ‘Teckal’ del 1999 e dalle numerose successive che si sono poste su quel solco è da intendersi in senso – per così dire – ‘naturalistico’, perché idonea a ricomprendere tutte le prestazioni svolte nell’esercizio della propria attività, senza lasciar spazio a letture (come quella qui proposta dal Comune) potenzialmente idonee ad ampliare l’area dell’eccezione al principio dell’aggiudicazione all’esito di procedure ad evidenza pubblica.

7.1.2. Si osserva in secondo luogo che, come da ultimo sancito dalla Corte di Giustizia con la richiamata sentenza in causa C-553/15, affinché possa dirsi concretato il requisito dell’attività prevalenteè indispensabile che l’attività dell’ente affidatario sia rivola principalmente all’ente o agli enti che lo controllano, mentre ogni altra attività può avere solo carattere marginale” (ivi, punto 32).

Ne consegue che non si può condividere la tesi del Comune di Sulmona in quanto risulterebbe idonea a riconoscere in modo artificioso il requisito della prevalenza anche in ipotesi (quale quella che qui ricorre) in cui l’esercizio di attività in favore di enti non soci risulta tutt’altro che marginale.

Ciò che rileva dunque al fine del riconoscimento del requisito della prevalenza è la quota di attività svolta in favore degli enti controllanti, e non assume rilievo il fatto che le ulteriori attività rivolte in favore di altri enti o organismi siano imposte in base a determinazioni di carattere autoritativo e siano dunque – nella tesi dell’appellante – sottratte al circuito concorrenziale.

La tesi qui al vaglio, oltretutto, finisce per operare una inversione logica fra la sussistenza dei cc.dd. ‘requisiti Teckal’ e la legittima sottrazione ai tipici meccanismi concorrenziali.

Infatti:

- mentre nello schema logico della giurisprudenza UE in tema di ‘in house providing’ la sussistenza dei due requisiti ‘Teckal’ rappresenta il vero prius logico per legittimare la sottrazione di un affidamento ai tipici meccanismi concorrenziali;

- al contrario, nello schema logico proposto dal Comune di Sulmona, la sottrazione dell’affidamento al tipico circuito concorrenziale finirebbe essa stessa per giustificare la sussistenza del requisito dell’attività prevalente.

7.1.3. Vale in terzo luogo considerare che il paragrafo 5 dell’articolo 12 della Direttiva 2014/24/UE, nell’individuare le modalità di computo dei limiti di fatturato propri del requisito dell’attività prevalente, riferisce in generale tale limite percentuale “[al] fatturato totale medio, o [a] una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto”.

Anche il richiamato argomento testuale, quindi, depone in senso contrario alla possibilità di operare forme di ‘scorporo’ dalla base di computo rilevante ai fini dell’individuazione del ‘secondo requisito Teckal’ (in quanto tali, idonee a escludere dalla computabilità quote di attività svolte in favore di enti non soci, ma comunque in assenza di un effettivo regime di mercato).

Vero è che la vicenda di causa è governata dal quadro normativo anteriore alla scadenza del termine per il recepimento della richiamata direttiva 2014/24/UE; ma è anche vero che – come già osservato nell’ambito della richiamata ordinanza di rimessione – le previsioni della direttiva in parola offrono rilevanti argomenti interpretativi per la soluzione della res controversa.

8. Concludendo sul punto, siccome la Cogesa non risulta legata al Comune di Sulmona da un genuino rapporto di delegazione interorganica (essendo quanto meno carente del requisito dell’attività prevalente) e l’affidamento diretto in suo favore del servizio del ciclo integrato dei rifiuti urbani disposto dal Comune nel settembre del 2014 risulta illegittimo.

9. Né a conclusioni diverse può giungersi in considerazione della risposta fornita dalla Corte di Giustizia al secondo quesito pregiudiziale rivoltole da questo Consiglio di Stato.

Nell’occasione la Corte ha chiarito che, al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che esercitino su di esso, congiuntamente, un controllo analogo a quello esercitato sui loro stessi servizi, occorre tener conto di tutte le circostanze del caso di specie, tra le quali, all’occorrenza, l’attività che il medesimo ente affidatario abbia svolto per detti enti territoriali prima che divenisse effettivo il controllo congiunto.

Infatti

- se, per un verso, è vero che il principio sancito in relazione al secondo quesito potrebbe addurre taluni argomenti in favore della tesi del Comune di Sulmona (consentendo di desumere argomenti circa la prevalenza dell’attività anche nel periodo anteriore alla stipula della convenzione del 30 ottobre 2014 sull’esercizio del controllo analogo).

- d’altra parte, risulta comunque insuperabilemente ostativo all’individuazione del requisito dell’attività prevalente il fatto che una quota significativa delle attività della Cogesa siano svolte in favore di soggetti e organismi diversi da quelli controllanti (sul punto si rinvia integralmente a quanto rappresentato retro da 7 a 7.1.3.).

9.1. Anche per questa ragione la sentenza in epigrafe va riformata.

10. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello va accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado dalla Undis Servizi s.r.l. con conseguente annullamento degli atti impugnati.

La particolarità e parziale novità della res controversa giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza in epigrafe, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.