Il rapporto amministrativo presenta spesso caratteri di accentuata complessità in quanto, accanto all’interesse pubblico “primario” perseguito dall’amministrazione procedente, possono convivere, ora confliggendo ora collimando, altri interessi pubblici ed in quanto gli effetti dell’attività amministrativa possono incidere nella sfera giuridica di una pluralità di interessati, titolari di posizioni analoghe o antagoniste tra loro.

Il rapporto tra imprese ed amministrazione aggiudicatrice in materia di appalti pubblici è un rapporto particolarmente complesso in quanto, da un lato, vi sono molteplici interessi pubblici che dovrebbero essere ugualmente perseguiti con l’azione amministrativa, dall’altro, vi è un unico “bene della vita” oggetto di potere amministrativo che può essere attribuito, l’aggiudicazione della gara, e vi sono una pluralità di soggetti che vi ambiscono, le imprese concorrenti, titolari tra loro di posizioni ontologicamente contrapposte.

Lo scopo del presente contributo è quello di analizzare gli obiettivi di interesse generale che il sistema mira a realizzare attraverso la disciplina dello svolgimento delle gare di appalto pubblico e di individuare la loro intrinseca coerenza o eventuali criticità nel loro contestuale perseguimento, con conseguente necessità di scegliere, attraverso l’esame della ratio legis, la loro più efficace composizione.

 

 

 

Il public procurement è la quota di spesa pubblica destinata all’acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione e rappresenta una leva di politica economica di particolare rilievo.

Ogni pubblica amministrazione, a differenza dei privati, deve dare conto di come spende il proprio denaro in quanto si tratta di denaro della collettività, da utilizzare in modo prudente, efficace e funzionale alla soddisfazione dei bisogni dei consociati.

Ne consegue che un contratto di appalto stipulato da una amministrazione pubblica che richieda la realizzazione di un’opera ovvero la prestazione di servizi o forniture si distingue da un analogo contratto stipulato tra soggetti privati sia per la rilevanza giuridica assunta dai motivi che spingono la parte pubblica a contrarre – per i privati di solito giuridicamente irrilevanti, a meno che non siano dedotti nello schema negoziale sotto forma di condizione, laddove per la pubblica amministrazione sono sempre rilevanti e devono essere indicati nella determina a contrarre - sia e soprattutto per le modalità di scelta del contraente.

La libertà di scelta del contraente costituisce uno dei fondamentali precipitati dell’autonomia negoziale, per cui il contraente privato, di norma, può scegliere discrezionalmente con chi contrarre; la pubblica amministrazione, invece, è tenuta a scegliere il proprio contraente in esito ad una apposita procedura (rectius: procedimento) ad evidenza pubblica.

Il corpus normativo di disciplina dell’evidenza pubblica era originariamente costituito dalla legge di contabilità di Stato, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, e dal suo regolamento di attuazione, R.D. 23 maggio 1924, n. 827, ed era finalizzato alla individuazione del “giusto” contraente dell’amministrazione, vale a dire del contraente in grado di offrire le migliori prestazioni e garanzie alle condizioni più vantaggiose, per cui la ratio della normativa sull’evidenza pubblica era volta esclusivamente al controllo della spesa pubblica per il miglior utilizzo del denaro della collettività (cd. concezione contabilistica).

A tale esigenza di tutela degli interessi pubblici si è aggiunta, sotto la pressante spinta dei principi e delle direttive comunitarie, l’esigenza di tutela della libertà di concorrenza e di non discriminazione tra le imprese.

Di talché, la concorrenzialità nell’aggiudicazione, che ha la sua stella polare nel principio di massima partecipazione alla gara delle imprese in possesso dei requisiti richiesti, in origine funzionale al solo interesse finanziario dell’amministrazione, nel senso che la procedura competitiva tra imprese era, ed è, ritenuta la modalità più efficace per garantire la migliore spendita del denaro pubblico, è diventata un’espressione dell’ondata neoliberista degli ultimi decenni dello scorso secolo, che ha portato le autorità comunitarie a prendere in considerazione - ai fini della tutela della concorrenza, che dovrebbe garantire l’efficiente allocazione delle risorse sul mercato - l’impatto concorrenziale prodotto dalle amministrazioni pubbliche in qualità di committenti o di concedenti, per cui ogni singola gara diviene uno specifico e temporaneo micromercato nel quale gli operatori economici del settore possono confrontarsi.

La compresenza della duplice esigenza volta alla tutela della concorrenza tra le imprese ed al buon uso del denaro della collettività è stata chiaramente delineata dalla giurisprudenza europea la quale, nel dichiarare che uno degli obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile e che è nell’interesse del diritto comunitario che venga garantita la più ampia partecipazione possibile di offerenti ad una gara d’appalto, ha aggiunto che siffatta apertura alla concorrenza è prevista non soltanto con riguardo all’interesse comunitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, ma anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice che può disporre in tal modo di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata (cfr ex multis: sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Quarta Sezione, 23 dicembre 2009 nel procedimento C-305/08).

Le due finalità fondamentali dell’evidenza pubblica, quindi, dovrebbero coesistere ed il principio del favor partecipationis alla singola gara dovrebbe essere lo strumento essenziale per il perseguimento di entrambe.

In tale scenario, all’interno della tutela della libertà di concorrenza, si aggiunge un ulteriore ed autonomo obiettivo di politica economica e sociale e cioè la tutela delle piccole e medie imprese.

Secondo uno studio commissionato dalla Commissione Europea tra il 2006 ed il 2008 il valore complessivo degli appalti aggiudicati alle PMI è stato stimato tra il 31% ed il 38%, sensibilmente inferiore alla loro quota di mercato pari a circa il 52% (cfr. Consip, Divisione in lotti, partecipazione e competizione nelle gare d’appalto, Quaderni 2/2016).

Di qui, la necessità di tutelare le piccole e medie imprese nella partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica in relazione al loro potenziale per la creazione di posti di lavoro, la crescita e l’innovazione.

Le PMI, in ragione di tali potenzialità, sono considerate la spina dorsale dell’economia dell’Unione Europea, per cui la garanzia di un loro più ampio accesso alle gare e l’aumento delle probabilità di un loro successo costituiscono una finalità primaria di politica economica e sociale, ulteriore rispetto alla massimizzazione del rapporto qualità/prezzo che continua ad essere uno, ma non il solo, degli obiettivi del procurement pubblico.

Proprio per questo, la direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio reca tra i propri principi essenziali il facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese (di seguito anche PMI) agli appalti pubblici.

Tale concetto è focalizzato in diversi “considerando” della direttiva, ed in particolare nei seguenti:

il considerando 2 - nel rilevare come gli appalti pubblici svolgano un ruolo fondamentale nella strategia Europa 2020 in quanto costituiscono uno degli strumenti basati sul mercato necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva garantendo contemporaneamente l’uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici – ha rappresentato che, a tal fine, la normativa sugli appalti dovrebbe essere rivista ed aggiornata in modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, “facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici”;

il considerando 59, nello specificare che nei mercati di appalti pubblici dell’Unione si registra una forte tendenza all’aggregazione della domanda da parte dei committenti pubblici onde ottenere economie di scale, evidenzia, tuttavia, che l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze dovrebbero essere attentamente monitorate per evitare un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto e collusioni,  nonché di preservare la trasparenza e la concorrenza e “la possibilità di accesso al mercato per le PMI”;

il considerando 78 sancisce ancora l’opportunità che gli appalti pubblici “siano adeguati alle necessità delle PMI”. “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad avvalersi del Codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 giugno 2008, dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici», che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI. A tal fine e per rafforzare la concorrenza, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero in particolare essere incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive del progetto”;

il considerando n. 124, infine, nel premettere che, “dato il potenziale delle PMI per la creazione di posti di lavoro, la crescite e l’innovazione, è importante incoraggiare la loro partecipazione agli appalti pubblici, sia tramite disposizioni appropriate nella presente direttiva che tramite iniziative a livello nazionale”, ha posto in rilievo che “le nuove disposizioni della presente direttiva dovrebbero contribuire al miglioramento del livello di successo, ossia la percentuale delle PMI rispetto al valore complessivo degli appalti pubblici”, precisando che “non è appropriato imporre percentuali obbligatorie di successo, ma occorre tenere sotto stretto controllo le iniziative nazionali volte a rafforzare la partecipazione delle PMI, data la sua importanza”.

Nell’ordinamento interno, con il nuovo codice degli appalti pubblici e delle concessioni (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), che ha attuato, tra le altre, la direttiva 2014/24/UE, risulta evidente che la funzione proconcorrenziale delle regole di evidenza pubblica ha assunto ancora maggiore rilievo ed è divenuta il baricentro del sistema.

In primo luogo, l’art. 2 del d.lgs. n. 50 del 2016 sancisce che le disposizioni ivi contenute sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, sicché è consequenziale ritenere che i provvedimenti adottati in applicazione del codice degli appalti ove non realizzino detta finalità violano le regole stesse ed i principi di libera concorrenza.

La massima partecipazione alla gara, come detto, è tendenzialmente funzionale alla realizzazione di entrambe le “anime” della normativa sull’evidenza pubblica e il principio del favor partecipationis, oltre ad essere per tale ragione consustanziale al sistema, è scolpito a chiare lettere anche nella disciplina legislativa.

L’art. 30, comma 1, del nuovo codice, analogamente a quanto già espresso dall’art. 2 del precedente d.lgs. 163/2006, indica che l’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni ai sensi del codice garantisce la qualità delle prestazioni e deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza (principi ispirati alla tutela della pubblica amministrazione per il controllo ed il miglior utilizzo delle finanze pubbliche), ma specifica anche che le stazioni appaltanti rispettano i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità nonché di pubblicità (principi ispirati alla tutela delle imprese concorrenti e del corretto funzionamento del mercato).

Il successivo settimo comma dello stesso art. 30 dispone che “i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e medie imprese”.

Ai sensi dell’art. 3 del nuovo codice, si intendono per:

- medie imprese, le imprese che hanno meno di 250 occupati ed un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro;

- piccole imprese, le imprese che hanno meno di 50 occupati ed un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro;

- microimprese, le imprese che hanno meno di 10 occupati ed un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.

L’art. 83, comma 2, d. lgs. n. 50 del 2016 prevede che i requisiti di idoneità professionale e le capacità economica e finanziaria e tecniche – professionali sono attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, “tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione”.

Le norme “chiave” in tema di tutela delle piccole e medie imprese, però, sono contenute nell’art. 51 del nuovo codice il quale, al primo comma, stabilisce non solo che, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, “al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali … ovvero in lotti prestazionali …”, ma anche che “nel caso di suddivisione in lotti, il relativo valore deve essere adeguato in modo da garantire l’effettiva possibilità di partecipazione da parte delle microimprese, piccole e medie imprese”.

Lo strumento individuato dal legislatore per realizzare l’obiettivo di facilitare la partecipazione agli appalti pubblici delle piccole e medie imprese, quindi, in coerenza con quanto previsto dall’ordinamento sovranazionale, è la suddivisione degli appalti in lotti.

La tendenziale ripartizione degli appalti in lotti era stata già introdotta nel precedente codice (d. lgs. n. 163 del 2006) dall’art. 44, comma 7, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

La norma di cui all’art. 51 del codice attuale, tuttavia, contiene una significativa differenza, atteso che, mentre l’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 aveva stabilito che, al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti, “ove possibile ed economicamente conveniente”, devono suddividere gli appalti in lotti funzionali, l’art. 51, comma 1, del nuovo codice si limita a stabilire che le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali o in lotti prestazionali.

In altri termini, laddove nella disciplina previgente, la suddivisione in lotti era subordinata alla condizione della convenienza economica, nella nuova disciplina tale condizione sparisce, con la conseguenza che la suddivisione in lotti diventa una regola generale, che ben difficilmente può essere disattesa.

La suddivisione dell’appalto in lotti, come detto, costituisce nell’architettura del sistema lo strumento principale per favorire la partecipazione alla gara delle piccole e medie imprese.

Il frazionamento dell’appalto può avvenire su base quantitativa, facendo in modo che il valore delle singole gare sia adeguato alle capacità delle PMI, o su base qualitativa, per adattare meglio l’oggetto e il contenuto delle prestazioni richieste alle peculiarità produttive delle PMI.

Va da sé che alla più ampia ripartizione in lotti corrisponde un minore perimetro territoriale o prestazionale, sicché maggiore sarà il numero atteso dei partecipanti alla procedura in ragione della previsione di requisiti di ammissione meno stringenti.

Di converso, l’aumento del numero dei lotti comporta inevitabilmente un incremento dei costi del processo a carico della stazione appaltante.

La scelta ottimale del numero dei lotti in cui suddividere l’appalto richiede, pertanto, un’analisi accurata dei diversi mercati rilevanti al fine di cercare di individuare gli ambiti di competizione ottimali per garantire la possibile partecipazione anche a titolo individuale delle piccole e medie imprese.

La considerazione che un’impresa sfornita dei requisiti di partecipazione possa concorrere in Raggruppamento Temporaneo di Imprese o ricorrendo all’avvalimento non soddisfa l’esigenza della più ampia partecipazione possibile in quanto la costituzione di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese o il ricorso all’avvalimento sono il frutto di scelte discrezionali di tutte le imprese coinvolte, per le quali non è sufficiente la volontà della piccola o media impresa che intende partecipare alla gara, essendo necessaria anche una coincidente volontà delle altre imprese nella costituzione dell’eventuale raggruppamento e dell’impresa o delle imprese ausiliarie nell’avvalimento.

Ne consegue che l’astratta possibilità di costituire un RTI o di ricorrere all’avvalimento non esclude che una preclusione alla possibile partecipazione individuale dell’impresa si concreti in un vulnus al principio del favor partecipationis e, quindi, in una lesione sia alla sfera giuridica dell’impresa che non può partecipare individualmente sia alle finalità pubblicistiche a base della normativa in materia.

L’individuazione dell’ambito ottimale del territorio e delle prestazioni postula, soprattutto nelle gare di maggiore rilievo - quali quelle indette dalle centrali di committenza, che pure hanno come loro ruolo precipuo il perseguimento di obiettivi di efficientamento della spesa pubblica - un’articolata istruttoria, tale da concretare un’effettiva analisi economica del mercato rilevante e delle imprese che vi operano, ed uno specifico obbligo motivazionale, atteso che può ritenersi manifestamente illogico considerare ambiti ottimali lotti per l’affidamento dei quali possono concorrere individualmente soltanto poche imprese di grandi dimensioni con preclusione alla partecipazione individuale delle altre imprese, di piccole e medie dimensioni, che compongono il mercato (cfr., in tema, TAR Lazio, II, 30 agosto 2016, n. 9941 e 26 gennaio 2017, n. 1345).

L’ambito territoriale o prestazionale ottimale, in definitiva, dovrebbe consentire il funzionamento di un mercato in cui la facoltà di presentare offerte in forma singola sia concessa non solo ai player dello stesso, ma anche, per quanto possibile, alle imprese di medie e piccole dimensioni al fine di incentivare una concorrenza piena, con possibilità per ogni impresa di incrementare le proprie qualificazioni e la propria professionalità, e di trarre i potenziali benefici in termini di qualità di servizi resi e di prezzi corrisposti.

L’efficacia dell’attività di una centrale di committenza, ma lo stesso può dirsi per ogni stazione appaltante di notevoli dimensioni, in definitiva, risiede nella capacità di trovare il giusto equilibrio tra i suoi obiettivi primari, in particolare la razionalizzazione della spesa e l’efficienza dei processi di acquisto, ed il rispetto delle dinamiche del mercato e della concorrenza, ivi compresa la necessità di favorire la partecipazione ed accrescere le possibilità di aggiudicazione per le PMI.

L’art. 51, ai commi 2 e 3, prevede strumenti ulteriori, per incrementare non tanto la partecipazione alle gare quanto la possibile aggiudicazione delle stesse alle piccole e medie imprese: il vincolo di partecipazione ed il vincolo di aggiudicazione.

Il vincolo di partecipazione, consentito dal secondo comma, costituisce la facoltà per la stazione appaltante di indicare nel bando di gara o nella lettera di invito se le offerte possono essere presentate per un solo lotto, per alcuni o per tutti i lotti.

Il vincolo di aggiudicazione, consentito dal terzo comma, costituisce la possibilità per la stazione appaltante, anche ove esista la facoltà di presentare offerte per alcuni o per tutti i lotti, di limitare il numero dei lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente, a condizione che il numero massimo di lotti per offerente sia indicato nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse.

Tali strumenti hanno anch’essi la loro radice nella normativa europea e, in particolare, nell’art. 46, comma 2, della menzionata direttiva 2014/24/UE, secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici indicano nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse se le offerte possono essere presentate per uno solo lotto, per alcuni lotti o per tutti (vincolo di partecipazione) e possono limitare il numero di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente a condizione che il numero massimo di lotti per offerente sia indicato nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse (vincolo di aggiudicazione).

La suddivisione dell’appalto in lotti ed, a maggior ragione, la previsione nella lex specialis di gara di un vincolo di partecipazione o di un vincolo di aggiudicazione, oltre ad aumentare i costi del processo a carico della stazione appaltante, pongono dei problemi di compatibilità, in relazione alla singola gara, nel contestuale perseguimento di quelli che abbiamo indicato essere gli obiettivi di interesse pubblico che il sistema mira a perseguire.

La suddivisione in lotti, come più volte evidenziato, mira ad assicurare una maggiore possibilità di partecipazione alle piccole e medie imprese. Tuttavia, non può escludersi che, ove la stazione appaltante avesse indetto una gara unica, il singolo offerente, verosimilmente un player del mercato, avrebbe potuto formulare un’offerta più conveniente di quanto risultante dalla somma delle offerte proponibili per i diversi lotti in cui l’appalto è ripartito.

Il vincolo di partecipazione, escludendo la facoltà per le imprese concorrenti di partecipare a tutti i lotti in cui è suddivisa la procedura di affidamento, mira ad assicurare una maggiore probabilità di aggiudicazione del singolo lotto alle piccole e medie imprese. Tuttavia, la tecnica refluisce in un possibile vulnus sia per la massima partecipazione alla gara stessa, atteso che il concorrente teoricamente interessato a presentare la domanda per tutti i lotti non può farlo, sia per la formulazione dell’offerta più conveniente, atteso che l’impresa inibita alla partecipazione per la presentazione della domanda in altro o altri lotti ben avrebbe potuto formulare la migliore offerta per il lotto alla quale è preclusa.

Il vincolo di aggiudicazione, escludendo la possibilità per l’impresa concorrente di rendersi aggiudicataria di tutti o parte dei lotti, mira anch’esso a garantire una maggiore probabilità di aggiudicazione per le piccole e medie imprese pur in presenza di aziende meglio posizionate sul mercato. Tuttavia, anche tale strumento può evidentemente incidere sulla possibilità che il lotto non sia aggiudicato al miglior offerente in quanto già aggiudicatario di altro lotto.

La possibile negativa incidenza sul principio del favor partecipationis e sull’esigenza di spendere il denaro pubblico nel modo più conveniente possibile è chiaramente presente soprattutto laddove la stazione appaltante si avvalga sia del vincolo di partecipazione sia del vincolo di aggiudicazione.

La necessità, nell’ambito della generale esigenza di tutela della concorrenza, di tutelare le piccole e medie imprese per facilitarne la partecipazione alle gare nonché aumentarne le probabilità di aggiudicazione, quindi, può ledere l’interesse a ricercare la migliore offerta sotto un profilo qualitativo e quantitativo al fine di spendere nel modo migliore le risorse economiche della collettività e può altresì, nei vincoli di partecipazione, addirittura ledere il principio del favor partecipationis.

Tali considerazioni, tuttavia, valgono con riferimento alla singola gara, vale a dire in un’ottica di brevissimo periodo.

In un’ottica temporale più ampia, invece, occorre rilevare che solo dalla possibilità che le gare siano aggiudicate ad imprese diverse dai player di mercato può conseguire un ulteriore impulso all’apertura della concorrenza, atteso che solo in tal mondo diviene possibile per le imprese di non grandi dimensioni acquisire le qualificazioni ed i requisiti necessari alla partecipazione ad un numero sempre più ampio di competizioni.

In altri termini, se l’aggiudicazione delle gare andasse costantemente alle stesse imprese di rilevanti dimensioni, il mercato non riuscirebbe mai ad aprirsi ad altri competitori in grado di contrastare gli attuali player e ciò potrebbe ridondare in un funzionamento del mercato tale da vulnerare anche l’interesse delle amministrazione aggiudicatrici ad ottenere la migliore offerta tra quelle possibili.

Diversamente, una maggiore partecipazione delle PMI alle gare ed una maggiore possibilità di successo per le stesse consentirebbe alle amministrazioni aggiudicatrici di allargare il numero dei potenziali contraenti e di ridurre l’incidenza degli operatori maggiori, con conseguenze vantaggiose in tema di concorrenzialità se non nel breve, certamente nel medio e lungo periodo.  

In definitiva, la struttura competitiva del mercato, attraverso la tutela delle piccole e medie imprese, in un’ottica di medio lungo periodo, tende a rafforzarsi, impedendo che il mercato rilevante sia dominato da poche grandi imprese.

           

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La previsione da parte della stazione appaltante di vincoli di partecipazione e, soprattutto, di vincoli di aggiudicazione ha determinato la nascita di questioni di indubbio rilievo.

In particolare, in tempi recenti, la giurisprudenza si è occupata più volte dell’applicabilità dell’art. art. 80, comma 5, lett. m), del d.lgs. n. 50 del 2016 (art. 38, comma 1, lett. m quater, del precedente codice) agli appalti suddivisi in lotti con la previsione di un vincolo di aggiudicazione.

La norma stabilisce che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico che si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale.

Il problema che si pone è se - nell’ipotesi in cui in una gara suddivisa in lotti sia previsto un vincolo di aggiudicazione per uno solo dei lotti, nel senso che ogni impresa può aggiudicarsi un solo lotto - possano partecipare, ciascuna ad un diverso lotto, imprese appartenenti ad un medesimo gruppo, vale a dire controllate totalmente da una holding ovvero se possano partecipare ai singoli lotti la holding e società controllate dalla stessa.

In altri termini, ci si chiede se sia ammissibile e compatibile con la ratio del sistema consentire che più Società appartenenti al medesimo gruppo (siano esse tutte controllate da una stessa holding oppure la holding ed altre controllate) partecipino ognuna ad un lotto distinto per poter eventualmente concorrere ciascuna all’aggiudicazione del lotto al quale partecipa.

Va da sé che l’appartenenza delle imprese al medesimo gruppo societario identifica certamente l’ipotesi di imputabilità delle offerte ad unico centro decisionale che il legislatore mira a scongiurare, storicamente per evitare la presentazione di offerte non genuine con potenziale alterazione dell’esito della gara.

La giurisprudenza (da ultimo Consiglio di Stato, V, 12 gennaio 2017, n. 52) ha ritenuto che l’unicità del centro decisionale, che legittima l’esclusione delle imprese appartenenti a tale centro, postula la partecipazione delle imprese controllate o collegate ad una specifica e determinata gara perché solo in presenza di tale circostanza può essere ravvisata la lesione del principio della concorrenza e un potenziale condizionamento all’esito della procedura.

La scelta di ciascuna impresa di partecipare ad un lotto diverso, insomma, non costituisce di per sé sola un’ipotesi restrittiva della concorrenza, né incide sulla possibilità degli operatori economici di partecipare a tutti i lotti, né, infine, pregiudica la possibilità di alcun concorrente di ottenere l’aggiudicazione.

Ciò perché nella fattispecie descritta ciascun lotto deve essere considerato un’autonoma procedura di gara in quanto finalizzata ad un distinto contratto e le imprese appartenenti al gruppo, astrattamente riconducibili ad un unico centro decisionale, partecipano a lotti diversi e, quindi, a gare diverse.

Il carattere non unitario della gara suddivisa in più lotti comporta, secondo la richiamata giurisprudenza, che il bando di gara si configura quale “atto ad oggetto plurimo”, nel senso che contiene le disposizioni per lo svolgimento di tante gare contestuali quanti sono i lotti cui sono connessi i contratti da aggiudicare.

In conclusione, la giurisprudenza che si è formata sul punto tende ad affermare che il divieto per il singolo concorrente di partecipazione plurima deve essere riferito al singolo lotto e non può valere per l’intera procedura.

Tale conclusione, in ragione delle considerazioni esposte in ordine alla ratio del sistema degli appalti pubblici e, in particolare, alle esigenze che sottostanno alla previsione del c.d. vincolo di aggiudicazione, a mio avviso, genera consistenti perplessità.

Non può essere posto in dubbio che il bando che contenga la suddivisione di un appalto in lotti costituisca un atto ad oggetto plurimo in quanto disciplina lo svolgimento di tante gare, vale a dire di tanti procedimenti ad evidenza pubblica quanti sono i lotti in cui è frazionato l’appalto, per cui, a fronte di un unico bando, si avranno tante aggiudicazioni, a conclusione di distinti procedimenti, e tanti contratti quanti sono i lotti in cui l’appalto è suddiviso.

Tuttavia, occorre distinguere tra il procedimento di scelta del contraente, in cui si individua l’aggiudicatario della gara, ed il più ampio procedimento di affidamento dell’appalto, che inizia con la determina a contrarre e si conclude con la stipulazione del contratto o dei contratti, in caso di suddivisione in lotti, di appalto (cfr. sul tema TAR Lazio, II, 3 novembre 2015, n. 12400).

In particolare, il procedimento di scelta del contraente può essere rappresentato come un segmento all’interno del procedimento di affidamento, costituendo un cerchio concentrico di dimensioni inferiori a quest’ultimo che lo contiene ma non si esaurisce in esso.

Insomma, nel caso in cui l’appalto sia suddiviso in lotti, debbono essere svolte più gare, ognuna autonoma dall’altra e con un proprio esito, ma la procedura di affidamento dell’appalto resta unica in quanto è concettualmente unitaria l’esigenza della collettività che la stazione appaltante tende a soddisfare.

In proposito, l’art. 51 d.lgs. n. 50 del 2016, nell’indicare al primo comma che le stazioni appaltanti “suddividono gli appalti in lotti”, lascia chiaramente intendere che l’appalto resta unico mentre sono plurimi i contraenti da scegliere cui aggiudicare i singoli lotti, e l’art. 80, comma 5, lett. m), del nuovo codice fa riferimento all’operatore economico che si trovi in una situazione di controllo rispetto ad altro partecipante “alla medesima procedura di affidamento”.

Il dato letterale, quindi, già di per sé rende problematica l’interpretazione finora seguita, ma ciò che maggiormente interessa mettere in rilievo è il dato sistematico.

La giurisprudenza formatasi sul punto, come rilevato, ha escluso l’applicabilità della norma al caso di specie in quanto la partecipazione a lotti distinti non costituisce di per sé sola un’ipotesi restrittiva della concorrenza, né incide sulla possibilità degli operatori economici di partecipare a tutti i lotti, né, infine, pregiudica la possibilità di alcun concorrente di ottenere l’aggiudicazione.

Da tale percorso argomentativo, però, resta completamente fuori quello che sembra essere l’elemento più significativo, vale a dire la vera ratio del vincolo di aggiudicazione, che, come in precedenza chiarito, non è costituito dal favorire la partecipazione alla gara delle PMI, ma dall’accrescere le probabilità per l’impresa di media o piccola dimensione di aggiudicarsi la gara a cui partecipa.

Viceversa, la partecipazione delle singole imprese di un unico grande gruppo ai distinti lotti in cui si articola l’appalto può frustrare la ratio legis, al punto da poter ipotizzare che una holding possa anche costituire società satelliti proprio al fine di eludere la norma e riservarsi la possibilità, pur in presenza del vincolo, di aggiudicarsi più lotti con inevitabile vulnus per la ratio del sistema.

In altre parole - ove si acceda alla tesi che la riconduzione ad un unico centro decisionale di una pluralità di offerte significa nella sostanza che, nonostante provengono da soggetti giuridici differenti, le offerte si ritengono presentate da uno stesso soggetto economico, il che appare plausibile in ipotesi di gruppo con una holding che controlla al 100% le società satelliti - è evidente che la partecipazione delle varie società a lotti distinti non scongiura affatto il rischio che sia vanificata la ragione, aumentare le probabilità di successo delle PMI, a base delle disposizioni normative europee e nazionali che facoltizzano le stazioni appaltanti a prevedere nella lex specialis di gara il c.d. vincolo di aggiudicazione.

La partecipazione di ciascuna delle società collegate a distinti lotti, in concreto, non riduce il rischio che la procedura di affidamento sia economicamente monopolizzata da soggetti (imprese singole o gruppi) di rilevanti dimensioni, il che è proprio il risultato che la normativa sul c.d. vincolo di aggiudicazione e l’intera normativa sulla tutela delle piccole e medie imprese mirano ad evitare.

A ciò si aggiunga un’ulteriore riflessione.

A seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’esclusione dalle gare nella fattispecie descritta, ove una o più delle imprese collegate o controllate dovesse aggiudicarsi il lotto al quale ha partecipato e dal quale era stato escluso dalla stazione appaltante, nessuna tutela sul punto residuerebbe all’eventuale seconda classificata, la quale, non essendo stata evocata nel giudizio proposto per l’annullamento dell’esclusione, non ha avuto la possibilità di far valere le proprie ragioni né in tale giudizio, in cui non ha assunto la qualità di parte necessaria non essendo controinteressata in senso tecnico, né in un’eventuale impugnazione dell’aggiudicazione sia perché l’illegittimità dell’esclusione della Società collegata o controllata è stata definitivamente sancita in sede giurisdizionale sia perché l’art. 204 del nuovo codice degli appalti pubblici, che ha introdotto il comma 2 bis nell’art. 120 del codice del processo amministrativo, impedisce che eventuali vizi di ammissione possano essere fatti valere in via derivata nell’impugnazione dell’aggiudicazione.  

Di talché, percorrendo l’opzione esegetica finora seguita, nessuna possibilità sarebbe data alle piccole e medie imprese di far valere in giudizio la propria posizione sostanziale pur in presenza di una possibile lesione alla ratio del vincolo di aggiudicazione che, proprio per accrescere le loro probabilità di aggiudicazione, è stato normativamente previsto a livello europeo e nazionale.

Analogo deficit di tutela è dato riscontrare anche nell’ipotesi in cui la stazione appaltante abbia ammesso alle gare le imprese controllate o collegate che hanno presentato domanda di partecipazione ognuna ad un lotto diverso.

La richiamata norma di cui all’art. 204 d. lgs. n. 50 del 2016 (art. 120, comma 2 bis, c.p.a.), infatti, impone agli offerenti di impugnare nel termine di trenta giorni gli atti di ammissione alla gara di altri candidati e, come già visto per l’ipotesi precedente, impedisce che eventuali vizi di ammissione possano essere fatti valere in via derivata nell’impugnazione dell’aggiudicazione.

Ne consegue che una piccola o media impresa, così come ogni altra impresa concorrente, può impugnare l’ammissione della controllata o collegata solo immediatamente, non potendo far valere in via derivata il vizio in sede di impugnazione dell’aggiudicazione.

L’esigenza sottesa a tale novella introdotta dal codice appalti conferma l’esistenza di una terza dimensione della normativa sull’evidenza pubblica – che si affianca alla tutela della libertà di concorrenza, nel cui ambito acquisisce autonomo rilievo la tutela delle piccole e medie imprese, ed alla esigenza di spendere nel modo più conveniente possibile il denaro pubblico – volta a garantire la sollecita prestazione delle opere e dei servizi alle amministrazioni richiedenti e la sollecita definizione dei rapporti amministrativi sottostanti, esigenza molto avvertita nel mondo dell’economia reale.

L’anima “tridimensionale” dell’evidenza pubblica vive un equilibrio instabile in cui qualche componente è inevitabilmente destinata a recedere (sul problematico rapporto tra le varie anime dell’evidenza pubblica sia consentito il rinvio a R. Caponigro, Il rapporto tra tutela della concorrenza ed interesse alla scelta del miglior contraente nell’impugnazione degli atti di gara, in www.giustizia-amministrativa.it).

La previsione di cui all’art. 204 del nuovo codice, presenta, ad avviso di chi scrive, dubbi di compatibilità costituzionale, costituendo, in particolare, un vulnus al diritto di piena tutela delle posizioni di interesse legittimo in sede giurisdizionale, ed appare più organica ad una visione oggettiva anziché soggettiva della giurisdizione amministrativa.

Ciò che però acquisisce maggiore interesse ai fini del presente lavoro è che il sistema processuale novellato dall’art. 204 del nuovo codice, non essendo plausibile che un’impresa impugni costantemente le ammissioni di terze imprese a prescindere da un’effettiva possibilità di aggiudicazione della gara, non sembra idoneo a garantire la tutela delle PMI nel chiedere il rigoroso rispetto del vincolo di aggiudicazione a loro favore previsto dal legislatore.

L’opzione interpretativa che si è venuta sviluppando, invece, ha preferito una lettura della normativa che, ad avviso di chi scrive, pone in ombra la vera ratio del vincolo di aggiudicazione, nell’ambito di un giudizio in cui la realtà imprenditoriale che il sistema mira specificamente a tutelare non è neppure ammessa a far sentire la propria voce.