T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sentenza 16 febbraio 2017, n. 113.

1) La responsabilità della p.a., in materia di contratti pubblici, è di tipo oggettivo, essendo sufficiente la ravvisata illegittimità dell’atto per dedurre la colpa presunta della stazione appaltante, senza possibilità di controprova circa la scusabilità dell’errore.

2) Il danno da perdita di chance può quantificarsi nella misura del 10% del prezzo a base d’asta, diviso tuttavia per il numero di imprese che hanno partecipato alla gara medesima.

3) Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa non abbia potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili per l’espletamento di altri servizi, dovendosi tener conto dell’aliunde perceptum vel percipiendum, cosicché in difetto di prova specifica a cura di parte istante, l’importo quantificato deve pertanto esse decurtato e equitativamente rideterminato nel 5% dell’importo a base d’asta.

4) I costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione e chieda il mero danno da esclusione, atteso che in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della chance di aggiudicazione) mancano i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione.

5) L’aggiudicazione di un appalto pubblico accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la possibilità di conseguire ulteriori e futuri appalti, derivandone che l’impresa illegittimamente privata della pur sola chance di esecuzione dell’appalto, può rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.

6) Secondo i principi ormai consolidati in materia di risarcimento del danno da contratti pubblici -anche a seguito della nota decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3/2011-, la mancata tempestiva attivazione degli opportuni rimedi cautelari rientra sicuramente tra gli sforzi diligenti che gravano sul danneggiato-creditore, entro il limite dell’apprezzabile sacrifico, al fine di contenere le conseguenze dannose.

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 351 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Società Manutenzione Trasporti e Servizi a r. l.- MTS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Anna Prestifilippi, domiciliata ex art. 25 cpa presso la Segreteria T.A.R. in Reggio Calabria, viale Amendola, 8/B;

contro

Comune di Melito di Porto Salvo, in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall'avvocato Margherita Croce', con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fortunato Dattola in Reggio Calabria, via del Salvatore N.1/B;

nei confronti di

RTI - Ased srl in qualità di capogruppo mandataria - Fata Morgana SpA e Radi srl in qualità di mandanti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Luciano Orlando, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe De Luca in Reggio Calabria, via Sbarre Sup. 6/B;

per l'annullamento

A - del verbale di gara con il quale la ricorrente è stata esclusa dalla procedura de qua, nonché di tutti gli atti presupposti connessi e/o consequenziali;

B - della determina n. 149 del 4.6.2009 trasmessa con nota prot.13148 del 15.6.2009 con la quale il Comune di Melito Porto Salvo ha aggiudicato definitivamente l'appalto dei servizi integrali di igiene ambientale e servizi vari collaterali, fornitura e manutenzione della stessa, per il periodo di anni 5, al RTI Ased srl/Fata Morgana spa/Radi srl,;

C - del verbale di gara del 12.3.2009 non comunicato con il quale è stata disposta l'aggiudicazione provvisoria, nonchè di tutti gli atti presupposti, connessi e /o consequenziali;

D - nonché per il risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente in conseguenza della sua illegittima esclusione dalla gara.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Melito di Porto Salvo e del RTI Ased - Fata Morgana -Radi-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2017 il dott. Filippo Maria Tropiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.La vicenda storico-processuale alla base dell’odierno giudizio è la seguente.

La società ricorrente, interessata a partecipare alla gara de qua indetta con bando del 15 dicembre 2008 (avente ad oggetto l’affidamento dei servizi integrali di igiene ambientale e servizi vari collaterali, fornitura, attrezzatura e manutenzione della stessa della durata di anni cinque, con importo a base d’asta di € 8.344.822,10 oltre IVA), ha dapprima impugnato, con ricorso straordinario proposto al Capo dello Stato in data 15 aprile 2009, la prescrizione di cui al punto 6.8 del disciplinare di gara allegato al bando, nella parte in cui si richiedeva “l’iscrizione al Registro delle Imprese della Camera di Commercio, per le attività previste nella gara di appalto in oggetto e iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali di cui al D. Lgs n. 152/2006 e D.M. n. 406/1998, per le Cat. 1 Cl. E o superiore Cat. 4 e 5 Cl. E o superiore”.

L’esponente ha contestato l’illegittimità della clausola, in quanto irragionevole e sproporzionata rispetto all’oggetto del contratto.

La MTS, proposto ricorso straordinario, ha presentato comunque la relativa domanda di partecipazione ed è stata tuttavia esclusa proprio in applicazione della predetta clausola, gravata davanti al Capo dello Stato.

La gara è stata quindi aggiudicata alla RTI Ased – Fata Morgana – Radi, odierno controinteressato, in favore del quale il Comune di Melito di Porto Salvo ha affidato l’appalto con determinazione n. 149 del 4 giugno 2009.

Sia il provvedimento di esclusione della MTS, sia l’aggiudicazione definitiva dell’appalto sono stati impugnati con il presente ricorso giurisdizionale a mezzo di atto notificato in data 16 giugno 2009 e depositato il 19 giugno successivo.

Con l’impugnativa giurisdizionale, oggetto di odierno scrutinio, la MTS ha denunciato l’illegittimità derivata del provvedimento di esclusione, stante l’illegittima clausola contenuta nel bando, previamente impugnata con ricorso al Capo dello Stato.

La ricorrente ha anche contestato l’aggiudicazione disposta in favore della RTI Ased – Fata Morgana – Radi, ravvisando una presunta violazione e/o falsa applicazione dell’art.38 D.Lgs n. 163/2006, stante una asserita incompletezza delle dichiarazioni prodotte in sede di gara dalle imprese raggruppate.

Lamenta l’istante in ricorso che, se non fosse stata esclusa dalla procedura, sarebbe essa stessa risultata aggiudicataria, avendo presentato un’offerta, a suo dire, economicamente più vantaggiosa.

Ha dunque concluso per l’annullamento degli atti gravati con il ricorso principale e con i motivi aggiunti depositati in data 9 luglio 2009, instando altresì per il risarcimento dei danni subiti e subendi in conseguenza della illegittima esclusione dalla gara e della mancata tempestiva aggiudicazione dell’appalto.

Nel dettaglio, i motivi di diritto articolati dalla ricorrente sono i seguenti:

1.In relazione al provvedimento di esclusione, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 e 9 D.M. 28 aprile 1998 n. 406 e D.Lgs n. 152/2006. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento ed errata valutazione dei fatti. Violazione dell’art. 42 D.Lgs 163/2006. Manifesta illogicità. Illegittimità derivata;

2.In relazione all’aggiudicazione della gara alla ATI Ased – Fata Morgana – Radi, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 D.Lgs n. 163/2006. Eccesso di potere. Incompletezza delle dichiarazioni in sede di gara dalle imprese raggruppate. Illegittimità derivata.

Si è costituito il Comune di Melito di Porto Salvo, contestando tutte le domande proposte da MTS; l’Ente ha eccepito in via preliminare l’irricevibilità del ricorso avverso l’esclusione per tardività nonché l’inammissibilità del gravame per violazione del principio di alternatività, essendo stato proposto previamente ricorso straordinario e dunque non potendo l’istante agire in sede giurisdizionale.

Il Comune ha altresì contestato nel merito la fondatezza dei vizi lamentati, assumendo la piena legittimità dell’operato posto in essere dalla Stazione Appaltante.

Si è altresì costituito in data 30 giugno 2009 il RTI controinteressato, anch’esso eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per i motivi meglio esposti nella memoria di costituzione; contestando nel merito le censure sollevate da MTS e concludendo per la reiezione di ogni domanda.

Unitamente alla domanda di prelievo, la MTS ha depositato in data 2 dicembre 2013, la decisione di accoglimento resa sul ricorso straordinario e segnatamente:

- il parere n. 4325/2012 del Consiglio di Stato;

- il pedissequo DPR del 27 dicembre 2012.

Depositati documenti e memorie a cura delle parti, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione all’udienza del 25 gennaio 2017.

2.Così sinteticamente esposto l’iter storico-processuale della vicenda in esame, devono subito essere esaminate le eccezioni preliminari di irricevibilità e inammissibilità sollevate dal Comune e dall’ATI controinteressata.

2.1 In primo luogo, il Comune ha eccepito l’irricevibilità dell’impugnativa proposta avverso il provvedimento di esclusione, posto che, la detta esclusione, compendiata nel verbale di gara del 12 marzo 2009, sarebbe stata conosciuta immediatamente da un delegato dell’odierna ricorrente, presente alla seduta di gara.

L’assunto comunale non può essere seguito, posto che dai documenti di causa non emerge che la parte interessata abbia preso contezza nell’occasione della piena portata lesiva del provvedimento di esclusione assunto dalla Commissione.

La mera presenza del delegato, in difetto di più preganti elementi, non può infatti fondare una piena e significativa conoscenza giuridica dell’atto pregiudizievole.

2.2 Sia il Comune, sia il RTI hanno poi contestato l’inammissibilità del gravame, poiché l’istante non avrebbe impugnato la clausola del bando in applicazione della quale è stata disposta l’esclusione ovvero l’avrebbe impugnata con ricorso al Capo dello Stato a mezzo tuttavia di atto non tempestivamente notificato al Comune, né ritualmente notificato al RTI controinteressato, il quale già al momento del ricorso amministrativo appariva tale.

Premesso che la clausola è stata gravata tempestivamente a mezzo del ricorso al Capo dello Stato, deve osservarsi che ogni questione relativa alla ritualità del ricorso straordinario era rimessa allo scrutinio dello stesso e che nessun vizio di ricevibilità ovvero di inammissibilità è stato ravvisato dal Consiglio di Stato nel parere n. 4325/2012, reso in data 23 ottobre 2012, di accoglimento della domanda.

La decisione resa sul ricorso straordinario non risulta del resto impugnata ed è divenuta definitiva.

Dal che deriva la non esaminabilità dell’eccezione in rilievo nel presente giudizio.

2.3 In terzo luogo, entrambe le parti resistenti hanno contestato la violazione del principio di alternatività, atteso che la ricorrente avrebbe dapprima proposto ricorso straordinario contro la clausola incriminata (punto 6.8 del bando) e quindi, in spregio del noto principio secondo cui electa una via non datur recursus ad alteram, avrebbe azionato il rimedio giurisdizionale avverso gli atti seguenti assunti dalla stazione appaltante.

Il punto merita più attenta disamina.

Il corretto intendimento del principio di alternatività ha subito infatti oscillazioni interpretative, laddove i due rimedi abbiano ad oggetto l’atto presupposto, da una parte, e gli atti consequenziali e/o connessi dall’altra.

Secondo una convincente impostazione (CdS Sez. VI n. 4650/2013), poiché la scelta di invocare la tutela ordinaria o quella straordinaria è riconosciuta dall’ordinamento, la contemporanea pendenza di ricorsi nelle due distinte sedi avverso atti collegati da un rapporto di presupposizione non può portare, da un lato, l’organo decidente il ricorso straordinario proposto avverso l’atto presupposto a dichiararlo improcedibile se l’atto consequenziale viene impugnato innanzi al TAR né, dall’altro, il giudice amministrativo a dichiarare inammissibile il ricorso proposto avverso l’atto consequenziale sul rilievo che l’atto presupposto sia oggetto di esame in sede straordinaria.

Opportunamente precisandosi che l’esigenza di uniformità dei giudicati è certo meritevole della massima considerazione onde occorre utilizzare tutti gli strumenti atti a scongiurare una difformità delle decisioni.

Ulteriori chiarimenti sono stati puntualizzati da CdS Sez. VI n. 4652/2013, sempre in un’ottica prudente e calibratrice del principio de quo: in assenza di trasposizione, deve comunque essere valorizzato il principio di effettività della tutela, senza approdare a conclusioni penalizzanti per chi (per ragioni di per sé insindacabili) ha inteso avvalersi di entrambi i rimedi di tutela, per impugnare atti tra loro connessi.

Dal che si è pure inferito che, per un verso il Giudice che decide sull’atto presupposto può statuire per primo e sulla legittimità di questo, non potendo contestare la sussistenza di uno specifico e perdurante interesse del ricorrente (derivante dalla pendenza del giudizio proposto avverso l’atto consequenziale); per altro verso, il Giudice che decide sull’atto consequenziale può statuire per primo e sulla legittimità di questo, disponendone l’annullamento quando risultino suoi vizi propri (ferma restando la necessità della valutazione del Giudice che si occupa dell’atto presupposto, sulla sussistenza di un interesse all’accoglimento di ulteriori doglianze dell’interessato, volte ad ottenere la più piena tutela).

In ogni caso le censure ritualmente proposte avverso l’atto presupposto innanzi al primo Giudice vanno comunque solo da questi decise, anche se sono riproposte in sede di impugnazione dell’atto consequenziale. Se l’atto consequenziale è impugnato unicamente per far rilevare la perduranza dell’interesse ad ottenere l’annullamento dell’atto presupposto, proprio per il principio della alternatività non vi è e non può esservi uno spostamento dei poteri decisori, tal che solo il Giudice ritualmente già adito per primo avverso l’atto presupposto può decidere sulla sussistenza o meno dei suoi vizi (pur se riproposti con il secondo ricorso).

Dal descritto quadro ermeneutico, il Collegio trae la conclusione secondo cui nessuna violazione del principio di alternatività è dato ravvisare nella fattispecie di cui è causa.

Il principio infatti va inteso in senso elastico e coordinato con la regola della effettività della tutela e del diritto di difesa.

Pendente il ricorso straordinario, il TAR non poteva sindacare la questione inerente la legittimità della clausola del bando; essendo intervenuta tuttavia, nelle more del giudizio, la decisione sul ricorso al Capo dello Stato, nessun ostacolo alla decidibilità delle presenti domande è più rinvenibile, riespandendosi appieno il potere giudicante del TAR sugli atti impugnati tramite il rimedio giurisdizionale.

Ed invero, proprio in coerenza con l’approccio meno formalistico ispirato al principio di effettività della tutela, deve dirsi che, in presenza del previo ricorso al Presidente della Repubblica, non viene in questione un’ipotesi di inammissibilità del ricorso al TAR per difetto di giurisdizione, come pur si ritiene secondo una certa tesi ( il che imporrebbe per altro il vaglio della presunta trasgressione dell’alternatività con riferimento al momento della proposizione del ricorso giurisdizionale), non perdendo il ricorrente il diritto di far valere la pretesa in via giurisdizionale.

Piuttosto ciò che si è concretizzato, interinalmente sino alla decisione del ricorso straordinario intervenuta nelle more del giudizio, è stata solo una situazione di impedimento a decidere da parte del Giudice Amministrativo sul punto riservato allo scrutinio del previo rimedio esperito.

Dal che infine può dedursi che, da una parte, come detto, non vi è stata alcuna violazione del principio di alternatività e dunque nessun profilo di inammissibilità è ravvisabile, dall’altra il TAR è ora perfettamente libero di esaminare la domanda proposta sulla base della decisione assunta circa la illegittimità del bando in parte qua (punto 6.8. del disciplinare allegato al bando).

3. Ciò posto, essendo stata accertata l’illegittimità della clausola della normativa di gara in contestazione, deve essere dichiarata l’illegittimità del provvedimento di esclusione adottato dalla Stazione Appaltante nei riguardi della ricorrente in data 12 marzo 2009, travolto per illegittimità derivata.

Viceversa non può essere ritenuta l’illegittimità degli ulteriori atti impugnati, segnatamente della aggiudicazione disposta in favore del RTI controinteressato, alla stregua degli articolati vizi di cui al ricorso introduttivo, non emergendo per tabulas nessuna violazione dell’art. 38 D.lgs. n. 163/2006.

Non emerge invero alcuna irregolarità nelle dette dichiarazioni nella parte in cui involgono la figura del responsabile tecnico, come correttamente dedotto dalla difesa del RTI alle cui pertinenti argomentazioni difensive può sicuramente rinviarsi.

4. Deve dunque essere esaminata nel merito la domanda risarcitoria proposta in via residuale dall’esponente.

Dagli atti di causa e dalle dichiarazioni rese in udienza emerge infatti che l’appalto de quo è stato aggiudicato ed eseguito da tempo e che dunque la domanda di MTS si concentra, in via residuale, sull’anelato risarcimento del danno patito a seguito della (dichiarata illegittima esclusione) nonché per effetto della privata possibilità di partecipare alla gara e finanche di aggiudicarsela.

Viene dunque in rilievo un lamentato danno da illegittima esclusione e da perdita di chance.

Ciò posto, il Collegio ricorda che, a seguito della nota sentenza Graz Stadt resa dalla Corte di Giustizia in data 30 settembre 2010, la responsabilità della PA, in materia di contratti pubblici è di tipo oggettivo, essendo sufficiente la ravvisata illegittimità dell’atto per dedurre la colpa presunta della Stazione Appaltante, senza possibilità di controprova circa la scusabilità dell’errore.

Pertanto, dichiarata l’illegittimità della clausola del bando sulla base della quale la ricorrente è stata esclusa dalla procedura, deve dedursi la responsabilità dell’Amministrazione comunale, causativa del pregiudizio siccome derivante dalla illegittima esclusione e dalla impossibilità di ambire all’aggiudicazione dell’appalto ovvero alla possibilità di aggiudicarselo.

5. Quanto alla determinazione del danno – conseguenza, si osserva che la ricorrente ha chiesto genericamente risarcirsi il danno costituito dalla mancata aggiudicazione ovvero dalla mancata acquisizione della commessa nei termini programmati.

Tale richiesta risarcitoria, non articolata nelle singole voci e proposta cumulativamente, può essere intesa e declinata come ricomprendente anzitutto il danno da lucro cessante e cioè l’utile economico che sarebbe derivato all’impresa dall’esecuzione dell’appalto.

5.1 A tal riguardo, essendo stata l’istante esclusa illegittimamente, spetta, più precisamente, ad MTS il danno da perdita di chance e cioè il pregiudizio costituito dalla perdita della possibilità di aggiudicarsi la gara, il quale può quantificarsi nella misura del 10% del prezzo a base d’asta (non avendo potuto MPS depositare la propria offerta), diviso tuttavia per il numero di imprese che hanno partecipato alla gara medesima.

Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può tuttavia essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa non abbia potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili per l’espletamento di altri servizi, dovendosi tener conto dell’aliunde perceptum vel percipiendum.

5.2 In difetto di prova specifica a cura di parte istante, l’importo quantificato sub 5.1 deve pertanto esse decurtato e equitativamente rideterminato nel 5% dell’importo a base d’asta (TAR Toscana Sez. I n. 562/2016; TAR Veneto Sez. II n. 279/2016; nonché si veda CdS Sez. VI n. 2751/2008 circa l’onere della prova contraria a carico del danneggiato stesso).

5.3 Non possono essere liquidate le spese di partecipazione alla gara, posto che, in caso di domanda di risarcimento danni per mancata aggiudicazione ovvero per perdita di chance di aggiudicarsi la commessa, dette spese dovevano comunque essere sostenute dall’impresa, difettando così la riconducibilità del costo all’area del danno (v. CdS Sez. V n. 3634/2016 e 1904/2016).

Invero, come la giurisprudenza ha avuto pure modo di precisare, i costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione e chieda il mero danno da esclusione, atteso che in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della chance di aggiudicazione) mancano i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (v. CdS, Sez. VI n. 2751/2008).

5.4 Nell’ambito del chiesto danno può altresì riconoscersi presuntivamente il danno curriculare, posto che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la possibilità di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti, derivandone che l’impresa illegittimamente privata della pur sola chance di esecuzione dell’appalto, può rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale (Cds Sez. VI n. 4283/2015).

Quanto alla liquidazione di tale voce di danno, per natura estremamente difficoltosa trattandosi di danno non surrogabile patrimonialmente, il Collegio ritiene che esso possa, equitativamente determinarsi nella misura dell’1% dell’importo liquidato a titolo di lucro cessante (Cds Sez. VI n. 5611/2015).

Deve infatti osservarsi che tale danno si collega alla mera chance di aggiudicazione e dunque ad una situazione in cui non vi è certezza di vittoria nella procedura, ridondando tale incertezza sulla minor individuazione della relativa percentuale.

6. Così quantificato complessivamente il danno – conseguenza, deve tuttavia osservarsi che il relativo importo va opportunamente ridotto in ragione della percentuale dell’ 80 %, in coerente applicazione della regola sulla limitazione del danno consacrata nell’art. 1227 2° comma c.c..

Secondo i principi ormai consolidati in materia di risarcimento del danno da contratti pubblici (anche a seguito della nota decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3/2011), la mancata tempestiva attivazione degli opportuni rimedi cautelari rientra sicuramente tra gli sforzi diligenti che gravano sul danneggiato – creditore, entro il limite dell’apprezzabile sacrifico, al fine di contenere le conseguenze dannose.

Tanto più ciò deve essere valorizzato nel caso di specie, posto che l’esponente ha contestato una clausola del bando che poneva un requisito di partecipazione oltremodo sproporzionato e dunque, esperendo l’apposito rimedio cautelare, avrebbe potuto verosimilmente limitare il pregiudizio successivo sin da subito, ottenendo il bene della vita costituito dalla possibilità di partecipare alla selezione.

E’ invece accaduto che, da una parte, MTS ha rinunciato alla sospensiva in sede di proposizione di motivi aggiunti ( segnatamente alla camera di consiglio del 15 luglio 2009); dall’altra non ha proposto neppure in sede di ricorso straordinario alcuna domanda cautelare, facoltà già prevista dalla L. n. 205/2000 (l’ultimo comma dell’art. 3 contemplava infatti la possibilità che, in sede di ricorso straordinario, potesse essere concessa, a richiesta del ricorrente, la sospensione dell’atto, ove venissero allegati danni gravi ed irreparabili, sospensione che poteva essere disposta con atto motivato del Ministero competente ai sensi dell’art. 8 DPR n. 1199/1971 su conforme parere del Consiglio di Stato).

Ad avviso del Collegio, il pronto esperimento del rimedio cautelare, considerati gli sviluppi successivi del ricorso straordinario e la palmare fondatezza dello stesso come ritenuta nel parere n. 4325/2012 reso dal Consiglio di Stato, avrebbe comportato una tutela immediata con un alto grado di probabilità, che il TAR stima pari alla percentuale dell’80 % di accoglimento.

Dal che la riduzione della somma complessiva come individuata al superiore punto 5, in ragione della percentuale sopra citata.

L’importo finale dovrà essere rivalutato all’attualità sulla base degli indici Istat, a decorrere dalla stipulazione del contratto tra l’Amministrazione e il RTI controinteressato; quindi andranno aggiunti gli interessi legali dalla data della presente sentenza sino al soddisfo effettivo.

In definitiva la domanda risarcitoria deve essere accolta nei termini sopra indicati e pertanto deve essere condannato il Comune di Melito Porto Salvo alla liquidazione del relativo importo in favore della ricorrente.

Le spese di giudizio possono essere tuttavia compensate tra le parti, tenuto conto della particolarità della vicenda e della sussistenza degli altri presupposti di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come in motivazione e per l’effetto:

annulla il provvedimento di esclusione impugnato al punto A) dell’epigrafe;

condanna il Comune di Melito di Porto Salvo a risarcire il danno subito dalla ricorrente e a pagare il relativo importo nella misura determinata in parte motiva;

spese compensate tra tutte le parti in causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Filippo Maria Tropiano, Referendario, Estensore

Donatella Testini, Referendario

 

 

Guida alla lettura.

La pronuncia in esame opera una ricognizione dei principi che informano il regime risarcitorio da attività provvedimentale illegittima in materia di contratti pubblici.

Come noto, il ristoro dei pregiudizi derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo pretensivo ha trovato un compiuto e storico riconoscimento a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 500/1999.

La menzionata pronuncia si è inserita nel solco già tracciato dal legislatore con il D. Lgs. n. 80/1998, emanato a seguito delle pressanti istanze di effettività della tutela giurisdizionale, di matrice eurounitaria, in ambito concorrenziale.

L’approdo esegetico cui è pervenuta la Suprema Corte è stato poi trasposto nell’art.7, L. n. 205/2000 e trova oggi un puntuale riscontro negli artt. 7 e 30 del vigente c.p.a.

In termini generali -e alla luce degli insegnamenti della maggioritaria giurisprudenza amministrativa- la responsabilità della p.a. da attività provvedimentale illegittima è riconducibile nell’alveo dell’art. 2043 c.c.

Pertanto, ai fini della sua sussistenza è necessario che: sia acclarata la difformità dell’azione amministrativa dai parametri di legge; tale difformità sia ascrivibile ad un contegno colposo o doloso del soggetto pubblico; vi sia un rapporto eziologico tra l’illegittimità provvedimentale ed il danno lamentato dal ricorrente.

La giurisprudenza amministrativa è altresì consolidata nello statuire che la mera illegittimità provvedimentale non sia di per sé sufficiente a garantire il vittorioso esperimento dell’azione di ristoro, essendo inoltre indispensabile che in sede processuale emerga, sulla scorta di un giudizio prognostico, la spettanza del bene della vita sotteso all’interesse legittimo facente capo al deducente.

Le descritte coordinate ermeneutiche sono parzialmente derogate, con precipuo riguardo all’elemento soggettivo, nell’ambito delle commesse pubbliche.

Invero, la sentenza Stadt Graz della Corte di Giustizia Europea, risalente al 2010, ha stabilito il principio secondo cui laddove l’organo giudicante accerti l’operato illegittimo della stazione appaltante, l’impresa danneggiata ha diritto al ristoro dei pregiudizi patiti, senza che l’amministrazione aggiudicataria possa dimostrare l’eventuale assenza di colpa in forza di un errore scusabile.

In sostanza, le preminenti esigenze di tutela effettiva e certa -accordate alle imprese ingiustamente pregiudicate in costanza di una procedura di evidenza pubblica- hanno conferito il crisma della natura oggettiva alla responsabilità della stazione appaltante, derivante da uno scorretto esercizio del potere autoritativo.

Nel descritto ambito, pertanto, l’illegittimità provvedimentale non postula una presunzione della condotta colposa della p.a. -superabile dal soggetto pubblico in sede processuale con una prova contraria- ma determina per ciò solo un contegno illecito dell’amministrazione.

Tanto chiarito, nella vicenda sottoposta al suo vaglio, il T.a.r. -accertata l’illegittima esclusione della società ricorrente ma ritenendo legittima la successiva aggiudicazione- esamina la domanda risarcitoria, qualificando il lamentato pregiudizio alla stregua di danno da perdita di chance di aggiudicazione.

Rileva quindi il Collegio come -in aderenza ai principi espressi dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza Stadt Graz- “la responsabilità della p.a., in materia di contratti pubblici, è di tipo oggettivo, essendo sufficiente la ravvisata illegittimità dell’atto per dedurre la colpa presunta della stazione appaltante, senza possibilità di controprova circa la scusabilità dell’errore”.

Ne consegue che, stante l’annullamento dell’illegittimo provvedimento di esclusione, risulta comprovata la responsabilità dell’amministrazione.

Il T.a.r. si sofferma quindi sulla quantificazione del danno.

In via di principio, il pregiudizio da ristorare coincide con il c.d. danno-conseguenza, cioè il complesso degli effetti negativi, sub specie di danno emergente e lucro cessante, che si sono registrati sul patrimonio del danneggiato.

E proprio sul medesimo danneggiato grava l’onere di provare il pregiudizio subito.

Invero, in presenza di domande di ristoro trova applicazione il principio dispositivo puro, di cui all’art. 2967 c.c., e non il principio dispositivo con metodo acquisitivo, che consente al g.a. di esercitare ex officio poteri probatori.

Ciò in quanto nel giudizio risarcitorio, diversamente dal giudizio annullatorio, il privato ricorrente e la p.a. non sono collocati in posizioni asimmetriche.

Il Collegio opera poi una riflessione sul danno da lucro cessante.

Tale pregiudizio “può quantificarsi nella misura del 10% del prezzo a base d’asta, diviso tuttavia per il numero di imprese che hanno partecipato alla gara medesima. Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può tuttavia essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa non abbia potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili per l’espletamento di altri servizi, dovendosi tener conto dell’aliunde perceptum vel percipiendum”.

In sostanza, il danneggiato, affinché possa conseguire l’intero ristoro, deve dimostrare che, nelle more della procedura selettiva dalla quale è stato illegittimamente escluso, ha omesso di utilizzare i mezzi e le maestranze dell’impresa, cosicché “in difetto di prova specifica a cura di parte istante, l’importo quantificato deve esse decurtato e equitativamente rideterminato nel 5% dell’importo a base d’asta”.

Non può invece essere liquidato il danno emergente, che coincide con le spese sostenute dalla società per la partecipazione alla gara.

Come a più riprese precisato dalla giurisprudenza, infatti, “i costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione e chieda il mero danno da esclusione, atteso che in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della chance di aggiudicazione) mancano i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione”.

L’adito T.a.r. delimita, poi, l’area del c.d. danno curriculare.

L’assunto di partenza è che l’aggiudicazione di un appalto pubblico “accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la possibilità di conseguire ulteriori e futuri appalti, derivandone che l’impresa illegittimamente privata della pur sola chance di esecuzione dell’appalto, può rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale”.

Quanto alla misura del ristoro, il Collegio la determina in via equitativa nell’1% dell’importo liquidato a titolo di lucro cessante, in quanto il “danno si collega alla mera chance di aggiudicazione e dunque ad una situazione in cui non vi è certezza di vittoria nella procedura, ridondando tale incertezza sulla minor individuazione della relativa percentuale”.

La complessiva quantificazione del danno così delineata, viene tuttavia ridotta dell’80 %.

Il g.a. richiama, all’uopo, l’art. 1227, comma 2, c.c., a mente del quale la liquidazione del pregiudizio è ridotta ovvero esclusa qualora la condotta negligente del danneggiato abbia aggravato le conseguenze dell’illecito.

In argomento, rilevano i consolidati principi contenuti nella nota decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3/2011, secondo cui anche  “la mancata tempestiva attivazione degli opportuni rimedi cautelari rientra sicuramente tra gli sforzi diligenti che gravano sul danneggiato-creditore, entro il limite dell’apprezzabile sacrifico, al fine di contenere le conseguenze dannose”.

Il Collegio evidenzia che la società ricorrente, dopo avere esperito un apposito rimedio cautelare, con cui avrebbe potuto verosimilmente limitare il pregiudizio sin da subito, conseguendo il bene della vita rappresentato dalla partecipazione alla selezione, ha rinunciato alla sospensiva in sede di proposizione di motivi aggiunti.

Ma proprio il pronto esperimento del rimedio cautelare, a fronte della palmare fondatezza del gravame, avrebbe comportato una tutela immediata con un alto grado di probabilità, che il T.a.r. valuta in misura pari alla percentuale dell’80 % di accoglimento.

E tale misura viene scomputata dalla finale liquidazione del danno.