Sommario: 1. Premessa; 2. Gli appalti verdi in ambito europeo, le origini: l’iniziale assenza del criterio ambientale e il contesto di generale presa di coscienza, in ambito europeo, delle esigenze di tutela ambientale; 2.1. Le nuove istanze di tutela dell’ambiente tradotte nella mutevole disciplina in materia di appalti: le Comunicazioni della Commissione e le prime pronunce giurisprudenziali; 2.2. La prima normativa europea in materia di appalti verdi: le Direttive 2014/17 e 18; 2.3. Gli ulteriori impulsi evolutivi: le Comunicazioni della Commissione e le strategie per una crescita sostenibile; 2.4. Le nuove Direttive 2014 e l’ottimizzazione degli strumenti “verdi” negli appalti pubblici; 3. Gli appalti verdi nel panorama italiano, l’iniziale arretratezza nell’elaborazione di istanze ambientali in materia di appalti. 3.1. Il codice dei contratti pubblici, D.lgs. 163/2006, e il recepimento delle Direttive europee e dei relativi criteri ambientali nell’ordinamento italiano. 3.2 Il Piano di azione per la sostenibilità ambientale (PAN GPP) e i criteri ambientali minimi; 3.3 Il c.d. “Collegato Ambientale” e le importanti novità in materia di appalti pubblici “verdi” 4. Il nuovo codice dei contratti pubblici: oltre il mero recepimento delle direttive dell’Unione europea; 4.1. Il ciclo di vita e la sua declinazione nelle diverse fasi della procedura di evidenza pubblica. La connessione con l’oggetto dell’appalto e le specifiche tecniche; 4.2. Il costo del ciclo di vita e il nuovo criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; 4.3. I sistemi di eco-etichettatura e di eco-audit nella duplice veste di mezzi di prova e di criteri premiali; 4.4. L’art. 34 e l’obbligatorio ricorso agli appalti verdi. La nuova funzione vincolante dei Criteri Ambientali Minimi: una peculiarità italiana 5. Considerazioni conclusive.

1.     Premessa

 

Il tema affrontato nel presente contributo affonda le proprie radici negli ultimi decenni del secolo scorso e costituisce un interessante ambito d’indagine sotto numerosi profili, non ultimo, anche alla luce delle incertezze attuali, quello riguardante l’incidenza della disciplina europea e la sua capacità di tutelare interessi ulteriori rispetto a quello “tipico” alla libera concorrenza.

La materia degli appalti verdi, o GPP (green public procurement), infatti, si pone come esempio emblematico dell’evoluzione che ha caratterizzato l’ordinamento europeo, da Comunità economica, volta alla mera creazione del mercato unico e alla tutela della concorrenza, all’Unione europea, che in un settore ampiamente disciplinato in termini pro-concorrenziali come quello degli appalti pubblici, mostra di essere estremamente sensibile anche alla tutela di altri interessi dell’Unione, quale in particolare l’interesse alla tutela dell’ambiente.

L’interesse alla tutela ambientale, infatti, può individuarsi come uno dei primi ad aver messo in crisi il perseguimento e l’attuazione del principio di concorrenza, financo portando le istituzioni e la giurisprudenza europea a riconoscerne la supremazia[1].

L’istituto degli appalti verdi appare poi esemplare anche al fine di testimoniare l’assenza di necessarie e aprioristiche antinomie tra il perseguimento della libera concorrenza e la tutela ambientale, ponendosi come esempio di una possibile integrazione tra i due obiettivi senza il necessario sacrificio dell’uno o dell’altro interesse, in ossequio al principio dello sviluppo sostenibile[2].

Prima di addentrarci nell’evoluzione che ha caratterizzato l’istituto, dalle sue origini fino alla maturità odierna, è bene chiarire due punti preliminari. Cosa sono gli appalti verdi, e perché questo istituto appare così rilevante anche ai fini del perseguimento della tutela ambientale.

Sotto il primo profilo, è interessante sottolineare come si sia assistito a vari tentativi definitori dell’istituto. La natura non univoca degli elementi che possono qualificare come “verde” un appalto ha portato gli studiosi del tema ad elaborare una nozione molto ampia, nella quale rilevano esclusivamente il profilo oggettivo – l’essere inerente ad un appalto pubblico – e quello teleologico – la contribuzione alla tutela dell’ambiente.

Gli appalti verdi sono infatti definiti, in dottrina, come «strumenti giuridici intesi a promuovere la graduale integrazione degli interessi ambientali nella disciplina legislativa degli appalti pubblici»[3]. Ma possono rinvenirsi definizioni più ampie, anche di derivazione istituzionale, ove si fa riferimento ad un «approccio in base al quale le amministrazioni pubbliche integrano i requisiti ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita»[4].

Si tratta, dunque, di un istituto che non descrive un particolare tipo di appalto, bensì di una serie di strumenti eterogenei finalizzati a propiziare la convergenza tra l’interesse principale oggetto dell’appalto e l’interesse alla tutela dell’ambiente. Il ricorso a questi strumenti, comporta la qualificazione di quello specifico appalto come “verde”.

L’importanza di un concreto utilizzo di questi strumenti è giustificata dalla presa di coscienza di una rilevante circostanza di fatto: gli enti pubblici sono i maggiori consumatori europei. Secondo alcune stime[5] le amministrazioni pubbliche hanno una spesa annuale pari circa al 14 % del prodotto interno lordo dell’intera Unione europea.

Ciò rende, di conseguenza, manifesto come l’imposizione di criteri ecologicamente orientati per gli acquisti della pubblica amministrazione possa risultare determinante al fine di incrementare in termini cospicui la contribuzione alla tutela ambientale e l’applicazione del principio dello sviluppo sostenibile.

Il riconoscimento della facoltà per le amministrazioni pubbliche di orientare in senso verde i propri acquisti può spingersi fino ad influenzare le «tendenze della produzione e del consumo e grazie a una domanda sostenuta di beni “più ecologici” da parte delle pubbliche amministrazioni si potranno creare o ampliare i mercati di prodotti e servizi meno nocivi per l’ambiente, oltre a incentivare le imprese a sviluppare tecnologie ambientali».

A fronte di tali evidenti presupposti, l’emersione della disciplina sugli appalti verdi è stata in realtà molto graduale e non priva di insuccessi.

Come vedremo a breve, dai primi tentativi di introdurre criteri ambientali negli appalti, risalenti alla metà degli anni novanta, solo nel 2004 vi è stato un espresso riconoscimento a livello normativo dell’istituto (o meglio, dei relativi strumenti) tramite le Direttive 2004/CE 17 e 18, e solo con le recenti Direttive 2014/UE 23, 24 e 25, la disciplina sembra aver acquisito una piena maturità. Il processo di integrazione dei criteri ambientali negli appalti, tuttavia, non sembra essere giunto ancora alla sua massima espressione rimanendo, quantomeno nella normativa europea, sostanzialmente facoltativo. Sul punto sembra, invece, distinguersi in positivo la normativa di recepimento nazionale, ove, con il nuovo codice dei contratti pubblici[6], sono previsti degli interessanti profili di obbligatorietà riguardo il ricorso ad alcuni degli strumenti idonei a qualificare come verde un appalto pubblico.

 

2.     Gli appalti verdi in ambito europeo, le origini: l’iniziale assenza del criterio ambientale e il contesto di generale presa di coscienza, in ambito europeo, delle esigenze di tutela ambientale;

 

La materia degli appalti pubblici, nei primi anni Novanta era disciplinata, in termini non ancora organici, dalle direttive 92/50/CEE, 93/36/CEE e 93/37/CEE[7], le quali pur costituendo un primo passo verso una disciplina unitaria in materia di appalti[8], non contemplavano in alcun modo variabili ambientali, né mostravano alcun tipo di profilo ecologicamente rilevante[9].

Come acutamente affermato[10], invece, potevano piuttosto prospettarsi conseguenze svantaggiose a fronte dell’adozione, da parte dei concorrenti, di soluzioni più attente alla tutela dell’ambiente, ciò poiché queste avrebbero con ogni probabilità comportato maggiori costi, e dunque avrebbero prodotto un effetto penalizzante rispetto agli altri concorrenti.

Se sul fronte della disciplina specifica in materia di appalti non era ancora rinvenibile, dunque, alcun tipo di riferimento specifico ai profili di tutela dell’ambiente, l’ordinamento comunitario era in procinto, nel suo complesso, di cambiare veste, dimostrandosi sempre più attento agli interessi della collettività, in particolar modo in materia ambientale.

Proprio a quegli anni, infatti, risale il Trattato di Maastricht, sottoscritto il 7 febbraio 1992 e entrato in vigore il 1 novembre 1993, ove per la prima volta veniva affermato che la Comunità Europea aveva il compito di garantire uno sviluppo equilibrato delle attività economiche e una crescita sostenibile, compatibile con le istanze ambientali. Ad esso ha poi fatto seguito il Trattato di Amsterdam del 1997 tramite il quale è stato introdotto all’interno dell’ordinamento comunitario il cd. principio di integrazione, che impone alle istituzioni comunitarie di ponderare e bilanciare gli interessi ambientali integrandoli all'interno di tutte le altre politiche da perseguire[11]. L’interesse alla tutela dell'ambiente, dunque, stava assumendo definitivamente un ruolo centrale nelle politiche della Comunità europea, consacrandosi come uno dei principi fondamentali[12].

A fronte dell’emersione verticale dell’interesse ambientale nelle politiche europee[13], anche in materia di appalti pubblici il tema ha cominciato ad assumere una autonoma rilevanza, divenendo oggetto di un vivace dibattito sia nelle pronunce giurisprudenziali, sia a livello istituzionale.

 

 2.1. Le nuove istanze di tutela dell’ambiente tradotte nella mutevole disciplina in materia di appalti: le Comunicazioni della Commissione e le prime pronunce giurisprudenziali;

 

L’emersione dell’interesse alla tutela ambientale nella disciplina dei contratti pubblici ha avuto come principale attore la Commissione europea.

Tramite l’adozione di una serie di Comunicazioni, la Commissione, pur riconoscendo l'assenza di riferimenti specifici alla tutela dell’ambiente nella disciplina allora vigente, ha intrapreso un percorso interpretativo finalizzato ad individuare i profili di compatibilità di istanze ambientali con la disciplina dei contratti pubblici, fino a ritenerli del tutto conciliabili e compatibili.

Il percorso intrapreso dalla Commissione ha inizio con l’adozione, nel 1996 del Libro Verde “Gli appalti pubblici nell'Unione europea: spunti di riflessione per il futuro[14].

Al Libro verde, ha fatto seguito, già nel 1998, l’importante Libro bianco sugli appalti pubblici nell’Unione europea[15]. Il documento ha ripreso, e sviluppato gli approdi cui era giunto il precedente Libro verde, seguendo la nuova impostazione conseguente al Trattato di Amsterdam, e riconoscendo in termini ancora più espliciti le potenzialità di un’interpretazione ambientalmente orientata della disciplina in materia di appalti pubblici[16].

In particolare, il Libro bianco ne ribadisce l’idoneità a tradursi in un valido strumento di tutela ambientale, precisando, tuttavia, la parallela necessità di non compromettere la trasparenza della procedura di gara e la parità di trattamento dei partecipanti, e allo stesso modo, riaffermando la natura prettamente economica della regolazione degli appalti pubblici.

Il punto di partenza è costituito, in ogni caso, dall’esigenza di delimitare in termini ben definiti l’effettiva incidenza e legittimità da attribuire ai criteri ambientali. Ciò a testimonianza della preminente necessità di tutelare l’integrità di quello che era ritenuto ancora l’interesse primario: la libera concorrenza.

Il Libro bianco, tuttavia, ha il pregio di entrare, altresì, nel merito degli strumenti astrattamente utilizzabili al fine di realizzare la convergenza tra i due interessi sottesi alla procedura di evidenza pubblica.

Vengono, infatti, ipotizzate delle fattispecie tipiche che avrebbero potuto ritenersi compatibili con la disciplina allora vigente, quali, ad esempio, l’adozione di specifiche tecniche espressive di valori ecologici, l’introduzione di criteri ambientali tra i criteri di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nonché l’esclusione di soggetti colpevoli di reati di natura ambientale. Strumenti che, come vedremo, costituiscono le pietre miliari anche dell’attuale disciplina legislativa.

All’alba degli anni 2000, poi, l’attività della Commissione ha assunto tratti particolarmente vivaci, tramite l’adozione di numerosi ulteriori documenti che recependo e sviluppando quanto fin qui brevemente riportato, hanno creato la base per l’adozione di provvedimenti di natura legislativa, ormai da ritenersi indifferibili.

Tra di essi, particolarmente degni di nota[17] appaiono il Sesto programma di azione per l'ambiente della Comunità europea, Ambiente 2010: «il nostro futuro, la nostra scelta»[18], la Comunicazione «Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell'Unione Europea per lo sviluppo sostenibile»[19], e la Comunicazione: «Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici»[20].

I documenti citati, si inserivano nel solco delle esigenze sorte in applicazione del principio dello sviluppo sostenibile, in risposta alla necessità di garantire un progresso sociale ed economico rispettoso dell’ambiente[21].

Come premesso, anche il settore dei contratti pubblici fu individuato come uno dei settori cardine ove declinare il principio dello sviluppo sostenibile.

La Commissione, infatti, riconoscendo che la disciplina comunitaria degli appalti deve primariamente contribuire alla realizzazione del mercato unico, creando le condizioni di concorrenza che consentono 1'aggiudicazione non discriminatoria degli appalti pubblici e un migliore utilizzo del denaro pubblico, ha contestualmente ribadito la neutralità delle Direttive rispetto alla introduzione di fattori ambientali nell'oggetto dell'appalto. Da tale conclusione la Commissione ha fatto discendere la conseguenza che a fronte di libere scelte discrezionali da parte degli enti aggiudicatori, questi avrebbero ben potuto «definire l'oggetto dell'appalto nel modo che essi ritengono meglio corrispondente ai requisiti ambientali», purché ciò fosse avvenuto nel rispetto dei limiti, quali l’assenza di restrizioni illecite della concorrenza o di discriminazioni per nazionalità di alcuni concorrenti.

In altri termini, la Commissione, muovendosi tra le maglie delle disposizioni allora vigenti, ha compiuto un’ulteriore sforzo interpretativo al fine di proporre opzioni ecologicamente efficienti[22], pur tenendo ben presente di non potere, in documenti di carattere interpretativo, proporre soluzioni che esulassero dal regime degli appalti pubblici allora vigente. Sottolineando allo stesso tempo come l’interpretazione del diritto comunitario restasse di esclusiva competenza della Corte di giustizia.

In effetti, parallelamente, anche la giurisprudenza della Corte di giustizia cominciava a muovere i primi passi sul tema, trovandosi ad affrontare ipotesi di ricorso agli appalti verdi, e cominciando a limarne il perimetro tramite pronunce che hanno poi costituito la base per i successivi interventi normativi.

La prima pronuncia che “storicamente” ha avuto ad oggetto il tema degli appalti verdi è la Sentenza C-318/94[23] ove la Corte ha affermato per la prima volta come fosse annoverabile tra le facoltà dell’amministrazione aggiudicatrice la possibilità di tenere conto di criteri legati alla tutela ambientale all’interno del procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico.

Ma è con la nota sentenza “Concordia Bus” del 2002[24], che è stato compiuto il passo decisivo verso il riconoscimento dell’ammissibilità di condizioni ambientali nella scelta del contraente, anche in relazione al perimetro di applicabilità dell’istituto. In particolare, la Corte, pronunciandosi in ordine all’ammissibilità di prevedere criteri ecologici nell’ambito della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ha affermato esplicitamente che la disciplina doveva essere interpretata in termini tali da ammettere la possibilità di introdurre criteri ecologici. Tuttavia, la Corte ha altresì precisato come l’adozione dei criteri ambientali fosse subordinata all’esistenza di un collegamento con l’oggetto dell’appalto, nonché al rispetto dei principi comunitari (in particolare il principio di non discriminazione). A tal fine, inoltre, gli eventuali criteri ambientali non avrebbero dovuto attribuire all’amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, e avrebbero dovuto essere espressamente menzionati nel capitolato d'appalto o nel bando di gara.

Sono queste le caratteristiche che accompagneranno l’evoluzione degli appalti verdi e che ne costituiranno per lungo tempo il parametro di legittimità.

Esemplare sul punto è la successiva pronuncia ENV AG[25], ove la Corte, ripercorrendo e richiamando quanto statuito nella sentenza Concordia Bus, ha confermato la piena facoltà dell'amministrazione di adottare criteri ecologici, tra i criteri qualitativi di valutazione dell’offerta. Precisando, inoltre, l’assenza di vincoli di ponderazione rispetto agli altri criteri. La Corte afferma, infatti, a tal proposito che «le amministrazioni aggiudicatrici possono non solo scegliere liberamente i criteri d'aggiudicazione dell'appalto, ma anche stabilire la ponderazione di questi ultimi, purché tale ponderazione consenta una valutazione sintetica dei criteri adottati per individuare l'offerta economicamente più vantaggiosa».

 

 2.2. La prima normativa europea in materia di appalti verdi: le Direttive 2014/17 e 18;

 

I tempi erano, dunque, pronti per l’adozione di disposizioni a contenuto normativo che potessero recepire le ormai mature conquiste in materia di appalti verdi.

Occasione ideale, è stata l’adozione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, che hanno disciplinato in termini unitari le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, trattando in un unico testo i tre tipi di appalti prima disciplinati separatamente: lavori, forniture e servizi.

In tali direttive, infatti, è stata introdotta per la prima volta in forma esplicita a livello normativo, la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di attribuire rilevanza a criteri non economici all’interno delle diverse fasi delle procedure di gara.

Tra i criteri adottabili sono stati espressamente annoverati i criteri ambientali, nelle forme e con i limiti definiti dalle pronunce giurisprudenziali della Corte di Giustizia e dai documenti della Commissione. Con tali direttive, infatti, il legislatore europeo ha ammesso che «le amministrazioni aggiudicatrici possono contribuire alla tutela dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile garantendo loro al tempo stesso di poter ottenere per i loro appalti il miglior rapporto qualità/prezzo all'oggetto dell'appalto», e allo stesso tempo ha delimitato l’applicazione dei criteri ambientali alla necessaria connessione con l’oggetto dell’appalto, al rispetto dei principi fondamentali e al divieto di far derivare dalla relativa apposizione un libertà incondizionata di scelta in capo all’amministrazione aggiudicatrice.

Le disposizioni rilevanti in materia sono varie, anche a fronte della natura eterogenea dell’istituto degli appalti verdi.

E così, tra gli strumenti recepiti è possibile individuare i principali esempi formulati nei documenti della Commissione, nonché le relative definizioni pratiche più volte oggetto di pronuncia da parte della Corte di Giustizia.

In primo luogo, vengono introdotti alcuni strumenti legati alla fase definizione dell’oggetto dell’appalto e dei requisiti di partecipazione. In questa sede è riconosciuta la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di definire legittimamente determinati requisiti minimi di partecipazione connotati da criteri ecologici, con il limite, più volte ribadito, dell’effettivo collegamento con l’oggetto dell’appalto. A questo insieme appartengono strumenti quali l’imposizione di determinate specifiche tecniche o capacità tecniche a contenuto ambientale, come condizione di partecipazione alla gara. A tal fine è la stessa direttiva ad ammettere, come criterio oggettivo, la possibilità di far riferimento alle cd. certificazioni ambientali, sia in materia di qualità del prodotto, e dunque, tramite il ricorso ai criteri utilizzati per le eco-etichettature[26], sia in relazione al sistema di gestione, e dunque tramite la prova dell'iscrizione ad un sistema di gestione ambientale[27]. Allo stesso modo le direttive ammettono la possibilità di escludere dalla gara concorrenti giudicati colpevoli, con sentenza passata in giudicato, di violazione di norme ambientali[28].

In secondo luogo, vengono introdotti criteri ambientali relativi alle modalità di valutazione dell’offerta. Si tratta, dunque, dell’ipotesi più spesso affrontata in giurisprudenza, e dunque della possibilità di utilizzare criteri di aggiudicazione a contenuto ambientale in sede di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa[29]. In questa ipotesi ricorrono tutte le precisazioni ripetutamente compiute in sede giurisprudenziali, e dunque si ribadisce la necessità di un concreto collegamento con l’oggetto dell’appalto, del rispetto dei principi comunitari di non discriminazione e concorrenza, nonché della non arbitrarietà di tali criteri, al fine di non comportare una libertà incondizionata in capo all’amministrazione.

In terzo luogo, infine, le amministrazioni aggiudicatrici vengono abilitate ad apporre criteri ambientali nella fase di esecuzione dell’appalto. In questo caso, la normativa europea in esame ha ammesso la possibilità di esigere specifiche condizioni di esecuzione dell'appalto a contenuto ambientale, purché compatibili con il diritto comunitario ed espressamente indicate nel bando di gara o nel capitolato d'oneri[30].

Nonostante le evidenti conquiste sul tema, tra cui, in primis, il riconoscimento esplicito in forma normativa degli strumenti legati agli appalti verdi, non vi è stata un’adeguata risposta in ordine al relativo utilizzo. La natura meramente facoltativa di tali strumenti, infatti, ha comportato che in molti Stati dell’Unione europea l’istituto abbia ricevuto rare applicazioni[31].

 

2.3. Gli ulteriori impulsi evolutivi: le Comunicazioni della Commissione e le strategie per una crescita sostenibile;

 

Sia le difficoltà di attuazione a livello pratico dell’istituto, che i cambiamenti macroeconomici che hanno caratterizzato gli anni subito successivi all’approvazione delle direttive, come la crisi economica del 2008, hanno spinto la Commissione a proseguire la propria prolifica produzione di documenti volti a potenziare e diffondere l’utilizzo dello strumento degli appalti verdi.

Tra i numerosi documenti prodotti appaiono particolarmente rilevanti la Comunicazione del 3 marzo 2010, «Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva»[32] e soprattutto il Libro Verde «sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici — Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti»[33].

Nella Comunicazione del 3 marzo 2010 la Commissione riconoscendo il mutato contesto economico, in un Europa colpita da una crisi che «ha vanificato anni di progressi economici e sociali e messo in luce le carenze strutturali dell'economia europea» ha individuato una linea strategica (cd. Strategia Europa 2020) in grado di «trasformare l'UE in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale». Nella nuova strategia, la Commissione ha individuato tra gli elementi principali al fine di raggiungere nuovi obiettivi di crescita “inclusiva”, l’adozione di misure in grado di favorire un sinergico progresso economico ed ecologico[34].

Questi obiettivi sono stati poi declinati nella materia dei contratti pubblici tramite il Libro Verde sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici, con l’esplicito intento di perseguire l'obiettivo della maggiore efficienza della spesa pubblica, tramite una maggiore semplificazione e flessibilità delle procedure di aggiudicazione, in grado di snellire le procedure e favorire la concorrenza.

Al tema degli appalti verdi, e più in generale, all’«uso strategico degli appalti pubblici in risposta alle nuove sfide», è dedicato un intero capitolo[35], ove si afferma a chiare lettere che «le amministrazioni pubbliche possono offrire un importante contributo alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, sfruttando il proprio potere di acquisto per appaltare beni e servizi a maggiore valenza “sociale” per favorire l’innovazione, rispettare l’ambiente e lottare contro i cambiamenti climatici, riducendo il consumo energetico, aumentando l’occupazione, migliorando la salute pubblica e le condizioni sociali, e promuovendo l’uguaglianza e l’inclusione dei gruppi svantaggiati. La sensibile domanda di beni e servizi “più verdi”, a basse emissioni di carbonio, più innovativi e socialmente responsabili potrà anche orientare la produzione e le tendenze di consumo negli anni a venire».

Si osserva, poi, come ci siano due metodi possibili per utilizzare gli appalti pubblici in conformità a tali obiettivi strategici, riguardanti il «come acquistare» e il «che cosa acquistare».

Il primo metodo consiste nel «fornire alle amministrazioni aggiudicatrici gli strumenti necessari per tener conto di tali obiettivi in conformità delle norme procedurali in materia di appalti pubblici».

Il secondo metodo per introdurre considerazioni ambientali nella disciplina degli appalti è quello di «imporre requisiti obbligatori alle amministrazioni aggiudicatrici o prevedere incentivi capaci di orientare le loro decisioni in merito al tipo di beni e servizi da appaltare», ovvero concernenti il «che cosa acquistare», in termini di ecocompatibilità.

Al fine del miglioramento di tali strumenti, nel Libro verde sono posti dei quesiti sulla possibilità che le direttive siano rivisitate in senso di maggiore flessibilità dei modelli di gara, con ampliamento della discrezionalità dell'amministrazione.

 

2.4. Le nuove Direttive 2014 e l’ottimizzazione degli strumenti “verdi” negli appalti pubblici

 

Frutto dell’evoluzione fin qui descritta, sono le recenti Direttive 2014/23/UE[36], 2014/24/UE[37] e 2014/25/UE[38].

Le direttive sopra citate, ponendosi in linea di continuità con i traguardi raggiunti durante la vigenza delle direttive del 2004, ma altresì cercando di far tesoro degli aspetti più critici, si propongono di offrire un nuovo approccio alle procedure di evidenza pubblica, anche sotto il profilo ambientale.

Occupandoci in questa sede principalmente della Direttiva 24/2014/UE, in quanto disciplina specifica rivolta agli appalti, sarà il relativo testo ad essere preso come riferimento, ma è opportuno precisare come anche in relazione alle concessioni, per la prima volta disciplinate a livello europeo, non mancano previsioni ambientalmente rilevanti.

È, tuttavia, la direttiva “appalti” a farsi portatrice delle istanze ambientali nelle forme dettate dall’evoluzione che ha caratterizzato l’istituto. Fin dalla lettura dei “considerando” è possibile rinvenire l’evidente ruolo prioritario attribuito alla tutela dell’ambiente, spesso declinata nella forma del principio dello sviluppo sostenibile e dell’efficienza energetica.

In primo luogo, a prescindere dalle previsioni puntuali, il legislatore europeo, a livello sistematico, si premura di ribadire l’operatività del principio di integrazione delle politiche ambientali, introdotto dal Trattato di Maastricht[39], e già affrontato pienamente supra.

In particolare, il principio è declinato sia come obbligo in positivo, tramite il considerando 91[40], ove si afferma che le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente debbano essere integrate «nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile». Sia come limite in negativo, al Considerando 41, nel quale si precisa che: «Nessuna disposizione della presente direttiva dovrebbe vietare di imporre o di applicare misure necessarie alla tutela dell’ordine, della moralità e della sicurezza pubblici, della salute, della vita umana e animale o alla preservazione dei vegetali o altre misure ambientali in particolare nell’ottica dello sviluppo sostenibile, a condizione che dette misure siano conformi al TFUE».

Nel dettaglio, poi le previsioni normative contenute nella direttiva dimostrano un significativo salto in avanti rispetto alla disciplina precedente. Anche in questo caso, le istanze ambientali permeano tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica. A partire dalle specifiche tecniche, per le quali è confermata e meglio specificata la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di poter far riferimento a particolari etichettature[41], fino alla fase di esecuzione dell’appalto per la quale è possibile richiedere l’applicazione di determinati sistemi di gestione ambientale[42], nonché porre precise condizioni di esecuzione ecologicamente sostenibili.

La novità, che, tuttavia, caratterizza maggiormente la nuova disciplina legislativa, riguarda la fase di aggiudicazione dell’appalto, e nello specifico la modalità di valutazione dell’offerta del contraente secondo la formula dell’offerta economicamente più vantaggiosa. A tal proposito, infatti, muta radicalmente il principale criterio a sostegno dell’economicità della prestazione, il “prezzo”, pur ancora presente può essere sostituito dal criterio del “costo del ciclo di vita”.

Al “ciclo di vita” viene, infatti, dedicata una descrizione approfondita all’art. 2, comma 1, n. 20) che lo definisce: «tutte le fasi consecutive e/o interconnesse, compresi la ricerca e lo sviluppo da realizzare, la produzione, gli scambi e le relative condizioni, il trasporto, l’utilizzazione e la manutenzione, della vita del prodotto o del lavoro o della prestazione del servizio, dall’acquisizione della materia prima o dalla generazione delle risorse fino allo smaltimento, allo smantellamento e alla fine del servizio o all’utilizzazione».

Al “costo”, invece, che può caratterizzare il criterio economico dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la nuova direttiva attribuisce una nozione significativamente più ampia di quella di mero prezzo, fino ad estendersi e ricomprendere all’intero ciclo di vita del prodotto o servizio oggetto dell’appalto. Tale importante elemento innovativo è introdotto dal considerando 96 e poi declinato all’art. 67 della direttiva, ove si afferma che il “costo del ciclo di vita” «comprende tutti i costi che emergono durante il ciclo di vita dei lavori, delle forniture o dei servizi. Il concetto abbraccia i costi interni, come le ricerche da realizzare, lo sviluppo, la produzione, il trasporto, l’uso e la manutenzione e i costi di smaltimento finale ma può anche abbracciare costi imputabili a esternalità ambientali». Più nello specifico, poi, in relazione all’offerta economicamente più vantaggiosa si afferma nell’articolato che questa è determinata «sulla base del prezzo o del costo, seguendo un approccio costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita […] e può includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto pubblico in questione».

Appare subito evidente la portata innovativa della disposizione, che offre un nuovo ruolo alla valutazione delle istanze ambientali, non più unicamente tra gli specifici criteri di valutazione diversi dal prezzo, bensì anche all’interno del nuovo concetto di “costo”. È altrettanto chiaro come, l’attuazione della disciplina qui riportata dipende in gran parte dall’azione definitoria in relazione al “costo del ciclo di vita” nonché alle modalità della relativa misurazione.

Sotto il primo profilo, è l’art. 68 della Direttiva ad individuare gli elementi che concorrono a formare i costi del “ciclo di vita”, inserendo numerose componenti di natura ambientale, tra cui «i) costi relativi all’acquisizione; ii) costi connessi all’utilizzo, quali consumo di energia e altre risorse; iii) costi di manutenzione; iv) costi relativi al fine vita, come i costi di raccolta e di riciclaggio; b) esternalità ambientali legate ai prodotti, servizi o lavori nel corso del ciclo di vita, a condizione che il loro valore monetario possa essere determinato e verificato».

Sotto il secondo profilo, e cioè la misurazione del costo del ciclo di vita, è lo stesso art. 68, in applicazione del considerando n. 96, a stabilirne i criteri. In primo luogo affermando che è onere delle amministrazioni rendere conoscibile ex ante il metodo che sarà da loro utilizzato. In secondo luogo, precisando i requisiti che devono caratterizzare il metodo utilizzato per la valutazione dei costi delle esternalità ambientali, prevedendo una serie di condizioni cumulative. Il metodo, infatti, deve essere in primis «basato su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori», e di conseguenza «accessibile a tutte le parti interessate», infine, deve riguardare dati che «possono essere forniti con ragionevole sforzo da operatori economici normalmente diligenti».

Nell’ottica di una razionalizzazione del metodo di calcolo si prospetta l’elaborazione di una serie di metodologie comuni a livello di Unione per il calcolo dei costi del ciclo di vita per specifiche categorie di forniture o servizi, che una volta pubblicate diverrebbero obbligatorie.

Le istanze innovative introdotte dalla direttiva sul tema, appaiono molto rilevanti ed incisive, è, tuttavia, opportuno precisare come, nonostante ciò, anche nel testo qui descritto tali istanze rimangano comunque di natura facoltativa. Allo stesso modo, sembrano emergere criticità in ordine alla loro concreta portata applicativa.

 

3.     Gli appalti verdi nel panorama italiano, l’iniziale arretratezza nell’elaborazione di istanze ambientali in materia di appalti.

 

La presa di coscienza delle urgenze ambientali anche in relazione agli appalti, in Italia non è stata caratterizzata dalla stessa vivacità descritta fin qui in ambito europeo, soprattutto nei primi tempi.

Negli anni 90’, mentre in Europa si costruivano le basi per un futuro diritto dei contratti pubblici sensibile alle istanze ambientali, l’attenzione al tema era pressoché nulla nel nostro paese.

Le previsioni ambientali in materia di contratti della Pubblica amministrazione erano, oltretutto, estremamente frammentate e non riconducibili ad una politica ambientale unitaria, a segnale dell’assenza di una vera presa d’atto della rilevanza del tema.

Tra le poche previsioni[43] riconducibili alla materia appalti verdi può citarsi, ad esempio, l'articolo 19, comma 4, del cd. Decreto Ronchi[44], che ha introdotto alcuni obblighi in capo alla Pubblica Amministrazione in relazione a modalità di acquisto e consumo di determinati beni (carta riciclata e pneumatici ricostruiti)[45]. O ancora, l’articolo 5, comma 1, del D.M. 27 marzo 1998, avente ad oggetto il tema della “mobilità sostenibile nelle aree urbane”, e che ha imposto alle pubbliche amministrazioni di utilizzare mezzi a bassa emissione per una quota via via crescente sino a raggiungere il 50 % nel 2003, per le future sostituzioni dei veicoli in propria dotazione. L’unica disposizione di più ampio respiro, anche a livello sistematico e di programmazione era la deliberazione del CIPE n. 57 del 2002: Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia[46] che per la prima volta ha affermato la centralità, ai fini della realizzazione di una politica ambientale nazionale, del concetto di sviluppo sostenibile, al quale viene attributi altresì un ancoraggio costituzionale tramite gli artt. 2, 9 e 32 Cost.

È interessante notare come da un lato la disciplina ambientale in materia di acquisti della pubblica amministrazione fosse scarna, e dall’altro come nelle scarse previsioni normative sul tema non vi fosse l’attribuzione di una facoltà in relazione all’integrazione di esigenze ambientali, bensì sussistesse in capo alla pubblica amministrazione un vero e proprio obbligo. Ciò ha portato alcuni commentatori ad avanzare addirittura sospetti di incompatibilità con il diritto comunitario, vista la sostanziale divergenza sul punto e la potenziale compromissione della libera concorrenza che avrebbe potuto astrattamente derivarne[47].

 

3.1. Il codice dei contratti pubblici, D.lgs. 163/2006, e il recepimento delle Direttive europee e dei relativi criteri ambientali nell’ordinamento italiano

 

Il dibattito, appena iniziato in Italia, sul tema degli appalti verdi ha vissuto immediatamente un punto di svolta a fronte dell’obbligo di recepimento delle Direttive CE 2008/17 e 18, attuato con l’adozione del D.Lgs. 163/2006 (vecchio codice dei contratti pubblici).

L’innovazione sul punto è stata senza dubbio estremamente rilevante, quanto meno sulla carta.

Le istanze ambientali contenute nella disciplina europea sono state in buona parte recepite, e il recepimento ha comportato un formale allineamento alle conquiste raggiunte in sede europea, fino a quel momento molto distanti.

Anche in Italia, con l’approvazione del codice dei contratti del 2006 è divenuta facoltà delle amministrazioni tener conto delle esigenze ambientali nella determinazione dei criteri che ispirano le procedure ad evidenza pubblica[48]. Ciò è stato consentito, alla stregua della disciplina europea, in tutte le fasi della procedura, dunque, dalla definizione dell’oggetto, dei requisiti e delle specifiche tecniche[49], alla valutazione dell’offerta tramite l’adozione di criteri ambientali[50], fino alle condizioni di esecuzione[51].

Di conseguenza, anche le amministrazioni pubbliche italiane hanno potuto, da quel momento, disporre di una serie di strumenti idonei a rendere “verdi” i propri appalti. Come si evince, tuttavia, dalla formulazione delle disposizioni in merito, il ricorso a tali strumenti era, anche in questo caso, meramente facoltativo, lasciando alla sensibilità delle singole amministrazioni l’opportunità di scegliere o meno soluzioni ecologicamente orientate per la scelta dei propri contraenti.

L’arretratezza del dibattito in materia, nel nostro paese, non ha contribuito ad un ricorso massiccio a tali strumenti, rimanendo le ipotesi di utilizzo di criteri verdi nelle procedure di evidenza pubblica piuttosto marginali.

 

3.2 Il Piano di azione per la sostenibilità ambientale (PAN GPP) e i criteri ambientali minimi

 

L’opera di allineamento agli obiettivi europei compiuta nel nostro ordinamento, tuttavia, non si è limitata al recepimento delle Direttive in materia di appalti pubblici.

In attuazione di quanto già disposto in tal sede, infatti, il legislatore ha compiuto un ulteriore sforzo stabilendo l’adozione di un Decreto interministeriale che avrebbe dovuto svolgere una funzione di coordinamento e di guida dell’applicazione dei criteri “verdi” agli appalti pubblici. Ai sensi della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (cd. Legge Finanziaria 2007), infatti, è prevista: «l’attuazione e il monitoraggio di un “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione”, predisposto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con i Ministri dell’Economia e Finanze e dello Sviluppo Economico»[52].

Ciò trae origine da quanto suggerito dalla Commissione Europea, nella Comunicazione 2003/302[53], ove si invitano gli Stati membri «ad elaborare e rendere accessibili al pubblico appositi piani di azione per l'integrazione delle esigenze ambientali negli appalti pubblici»[54].

Su tali basi, dunque, è stato adottato con Decreto interministeriale 135/2008 e poi aggiornato con D.M. 10 aprile 2013, il Piano d’Azione Nazionale GPP (PAN GPP)[55].

Il ruolo del PAN GPP è quello di favorire la diffusione degli appalti verdi, definendone strategia, obiettivi ambientali in termini qualitativi e quantitativi, aspetti metodologici generali e categorie merceologiche di riferimento[56].

Il documento, di sicuro interesse, appare caratterizzato da obiettivi molto ambiziosi, volti a colmare la distanza ancora evidente rispetto ai più virtuosi esempi europei[57].

Nella sua prima formulazione, infatti, il PAN GPP aveva individuato come “obiettivo nazionale” quello di portare, entro il 2009, il livello degli acquisti “ambientalmente preferibili” in linea con i più elevati livelli europei.

Tali obiettivi sono stati aggiornati (senza in realtà rendere conto circa l’effettivo raggiungimento di quelli precedenti) nella nuova versione del 2013, ove il Piano pone l’obiettivo di «raggiungere entro il 2014 un livello di appalti verdi non inferiore al 50% sul totale degli appalti stipulati per ciascuna categoria di affidamenti e forniture»[58].

Nelle proprie linee strategiche il PAN GPP prevede l’adozione di specifici decreti da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ove definire per ciascuna categoria merceologica i cd. criteri ambientali minimi, ai quali dovrebbero attenersi le amministrazioni per qualificare come “verdi” i propri appalti.

Sono stati, di conseguenza, adottati 11 decreti CAM, uno per ciascuna categoria merceologica tra quelle individuate dal PAN GPP.

I criteri ambientali minimi possono qualificarsi come le “indicazioni tecniche” del PAN GPP, e rappresentano le «misure volte all’integrazione delle esigenze di sostenibilità ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni competenti»[59]. Questi, dunque, individuano gli strumenti specifici in materia ambientale da integrare all’interno degli appalti pubblici. Si definiscono come minimi, poiché costituiscono le indicazioni di base in materia ambientale, in grado di resistere agli impatti del mercato e con esso certamente compatibili. Sono dunque passibili di integrazione da parte delle stazioni appaltanti, financo tramite la previsione di requisiti ambientali più stringenti[60]. È, tuttavia, espressamente specificato che, perché gli appalti possano qualificarsi come verdi, è necessario il recepimento almeno «delle indicazioni contenute nelle sezioni specifiche tecniche, clausole contrattuali/condizioni di esecuzione, selezione dei candidati»[61].

Ovviamente, fino alle recenti riforme normative di cui si dirà a breve, il ricorso a questi strumenti nonostante l’evidente favor manifestato dalle istituzioni era assolutamente facoltativo, e nonostante l’adozione dei decreti CAM da parte del Ministero dell’Ambiente, il ricorso agli stessi è stato, fino a poco tempo fa, piuttosto ridotto.

Il valore dei CAM adottati nel corso degli anni passati è, tuttavia, mutato radicalmente a seguito delle nuove riforme. Quelli che erano degli strumenti meramente discrezionali, e redatti in forma piuttosto discorsiva anche alla luce della propria non vincolatività, sono oggi divenuti cogenti e obbligatoriamente applicabili. Se prima era opportuno strutturare le procedure di evidenza pubblica in modo da tenere conto dei criteri di ambientali «ogniqualvolta sia possibile», ora i margini di discrezionalità sono decisamente più limitati.

 

3.3 Il c.d. “Collegato Ambientale” e le importanti novità in materia di appalti pubblici “verdi”

 

Un primo forte segnale circa la volontà legislativa di apportare un determinato cambio di direzione alla disciplina nazionale è rappresentato dal c.d. “Collegato Ambientale” (legge n. 221/2015 recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali”) il quale ha introdotto rilevanti novità anche in materia di appalti pubblici “verdi”. A fronte dell’inefficacia applicativa della pur ambiziosa disciplina fin qui descritta, la riforma introdotta dal Collegato ambientale si è posta in un’ottica di innovazione e integrazione della disciplina, spingendosi fino a rendere vincolanti numerose previsioni circa l’adozione dei criteri ambientali negli appalti pubblici. Le innovazioni sono state molteplici, a partire dall’introduzione di una serie di agevolazioni e misure premiali per i soggetti in possesso di una certificazione ambientale[62], fino all’inserimento di nuovi parametri “ambientali” tra i criteri di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

L’esame di dettaglio della relativa disciplina, inizialmente estremamente significativo, ha perso nel periodo odierno la propria rilevanza specifica, essendo intervenuto medio tempore il nuovo codice dei contratti pubblici, che ha recepito le direttive europee in materia, e che ha inglobato le disposizioni innovative introdotte dal Collegato ambientale[63].

 

4.     Il nuovo codice dei contratti pubblici: oltre il mero recepimento delle direttive dell’Unione europea;

 

L’avvento del nuovo codice dei contratti pubblici, nonostante le anticipazioni già contenute nel collegato ambientale, può costituire il vero e proprio spartiacque tra un sistema appalti attraversato solo incidentalmente da istanze ambientali, ad un nuovo sistema destinato ad esserne stabilmente permeato.

L’opera di recepimento del legislatore in relazione alla disciplina degli appalti verdi pur muovendosi nel solco tracciato dalle direttive europee (e raggiunto in tal sede con una costante evoluzione) sembra presentare aspetti ancor più ambiziosi e innovativi, attribuendo al nostro paese, a fronte dell’arretratezza sul tema finora registrata, un ruolo di avanguardia in materia di appalti pubblici verdi.

Se questo sembra l’impianto fondamentale della normativa, più complessa appare l’analisi concreta delle disposizioni, nonché la previsione dell’effettivo impatto che queste potranno produrre a livello sostanziale.

In primo luogo, le disposizioni a carattere generale riprendono quanto già statuito nel D.Lgs. 163/2006[64], in ordine alle possibili deroghe al principio di economicità a vantaggio di criteri ambientali (tra gli altri).

Già all’art. 30 rubricato «Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni», pur affermandosi al primo comma che «L'affidamento e l'esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza», viene immediatamente precisato che «il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico».

La riproposizione di tale precisazione appare quanto mai opportuna, a fronte del sempre vivo dibattito in ordine al delicato bilanciamento tra economicità e criteri ambientali, che spesso ha creato incertezza nelle stesse stazioni appaltanti, e che può senza dubbio ritenersi uno dei motivi per cui gli appalti verdi non hanno avuto, ad oggi, grande diffusione nel panorama italiano.

L’aspetto innovativo del nuovo codice sta proprio nella definizione di un nuovo perimetro per i limiti alla mitigazione del principio di economicità e al conseguente ingresso di istanze extra-economiche, ed è sotto questo profilo che è possibile individuarne gli effetti ampliativi.

L’elemento paradigmatico dell’evoluzione della disciplina sotto il profilo ambientale è rappresentato, in linea con le direttive europee, dall’introduzione del nuovo concetto di “ciclo di vita” e del relativo “costo”, che incide in termini determinanti ed estensivi su tutte le fasi della procedura.

Allo stesso tempo, vi è un altro elemento di estrema novità, che costituisce una peculiarità unicamente italiana: gli appalti verdi diventano, per alcuni aspetti, obbligatori per le stazioni appaltanti.

 

4.1 Il ciclo di vita e la sua declinazione nelle diverse fasi della procedura di evidenza pubblica. La connessione con l’oggetto dell’appalto e le specifiche tecniche;

 

Il concetto di ciclo di vita, così come definito ed affrontato nell’esegesi delle direttive europee compiuta supra, è l’elemento caratterizzante del nuovo assetto normativo. La relativa definizione, contenuta all’art. 3[65], e all’art. 69 è fedelmente mutuata da quella dell’art. 2 della Direttiva.

Se sull’aspetto definitorio è sufficiente, dunque, rimandare a quanto già argomentato supra, appare invece interessante, in questa sede, affrontare come tale istituto, declinato nelle fasi della procedura, possa incidere in termini rilevanti sotto il profilo ambientale.

In primo luogo incide in relazione alla definizione della connessione con l’oggetto dell’appalto, che, come noto, costituisce la condizione principale che ha fin dalle origini caratterizzato il limite all’introduzione di variabili ambientali.

L’intero impianto normativo della nuova disciplina, infatti, riconosce un nuovo criterio di individuazione di tale connessione: non più limitata al mero contenuto sostanziale della prestazione oggetto dell’appalto, bensì estesa altresì alle diverse fasi del suo ciclo di vita.

Emblematico, sul punto, appare l’art. 68, che disciplina le specifiche tecniche. Queste ultime, sono state, infatti, spesso un importante veicolo per l’introduzione di «caratteristiche ambientali», ma ciò è stato fino ad oggi ammissibile solo in presenza di una connessione con l’oggetto sostanziale dell’appalto.

Ebbene è proprio qui che si inserisce la funzione ampliativa del concetto del ciclo di vita, in quanto oggi, ai sensi dell’art. 68 del codice, le specifiche tecniche possono riguardare anche gli aspetti legati al ciclo di vita dell’appalto e non solo il suo contenuto sostanziale. Utilizzando, la terminologia scelta dal legislatore, le specifiche tecniche[66] possono riguardare, altresì, i processi «per un’altra fase del loro ciclo di vita anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale, purché siano collegati all’oggetto dell’appalto e proporzionati al suo valore e ai suoi obiettivi».

Il limite all’introduzione di specifiche tecniche, dunque, viene ridefinito: rimane il vincolo di collegamento all’oggetto dell’appalto, ma è l’oggetto stesso ad essere esteso anche alle differenti fasi del proprio ciclo di vita, ancorché non identificabili con il contenuto sostanziale dell’appalto. Viene previsto, inoltre, un limite anche all’intensità del ruolo delle specifiche tecniche, tramite l’espressa applicabilità del principio di proporzionalità (che, tuttavia, in quanto principio generale dell’attività amministrativa, avrebbe comunque dovuto essere osservato), la cui riproposizione formale sembra dettata al fine di evitare l’adozione di specifiche tecniche “esorbitanti” visto il maggiore margine di azione riconosciuto.

Soffermandoci brevemente sulla disciplina di dettaglio, può evidenziarsi come sia riconosciuto un ampio margine discrezionale alle amministrazioni aggiudicatrici, le quali, in tutti i casi in cui non vi siano «regole tecniche nazionali obbligatorie» possono definire liberamente le specifiche tecniche[67], o, in alternativa, affidarsi a norme tecniche, o valutazioni tecniche elaborate in sede internazionale o europea[68]. Sotto il profilo ambientale, inoltre, tali norme tecniche possono corrispondere alle cd. Eco-etichettature[69]. Altra importante novità sul punto è che viene concesso alle stazioni appaltanti di richiedere eco-etichettature specifiche, purché tale indicazione sia accompagnata dall’espressione «o equivalente».

 

4.2. (segue) Il costo del ciclo di vita e il nuovo criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa

 

Iil costo del ciclo di vita incide in termini rilevanti, altresì, sui criteri di aggiudicazione dell’appalto.

Come noto, è proprio nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa che si è sviluppato il primo dibattito in ordine all’ammissibilità di criteri ecologicamente orientati, di natura extra-economica.

Ebbene, la disciplina dei criteri di aggiudicazione[70], nel nuovo codice appare profondamente innovata nei suoi aspetti fondamentali. Senza pretese di scendere nel dettaglio, può brevemente descriversi come questa sia mutata da una disciplina che prevedeva una scelta alternativa tra criterio del prezzo più basso e criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ad un sistema che manifesta un deciso favor verso quest’ultima opzione.

In termini ancor più netti, l’offerta economicamente più vantaggiosa costituisce, a tutti gli effetti, il criterio di aggiudicazione generale, mentre quello del “minor prezzo” assume un ruolo marginale.

L’art. 95 del codice statuisce, come regola generale, che le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dell’appalto «sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualtà/prezzo o sulla base dell'elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, conformemente all'articolo 96».

Da un tentativo esegetico di una siffatta formulazione normativa, sembrano emergere, nell’ambito dell’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tre differenti sub-criteri di aggiudicazione dell’offerta.

Il primo sub-criterio si pone in continuità con la disciplina precedente, e prevede la valutazione del miglior rapporto qualità/prezzo, ove tra gli aspetti qualitativi possono (ma era possibile anche prima) inserirsi criteri ambientali, che sono oltretutto oggetto di un elenco esemplificativo al comma 6 dello stesso articolo[71].

Il secondo sub-criterio, sembra, invece, riconducibile al “vecchio” criterio del prezzo più basso, e assume valore meramente residuale, essendo nominalmente individuate le ipotesi ove è ammesso ricorrervi, scelta eventuale che dovrà essere appositamente motivata dalla stazione appaltante.

Infine, il terzo sub-criterio, offre uno spunto estremamente innovativo, poiché in tal caso la selezione dell’offerta avviene tramite una vera e propria valutazione del costo del ciclo di vita dell’appalto ai sensi dell’art. 96, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia.

In altre parole, è nel terzo sub-criterio che si apprezza l’evidente profilo evolutivo della disciplina, che introduce una valutazione che non si limita a stimare le conseguenze, economiche e qualitative, dirette della prestazione oggetto dell’appalto, bensì altresì dei costi ad essa collegati nel suo intero “ciclo di vita”. In tale valutazione, la stazione appaltante deve tener conto del costo del ciclo di vita come descritto all’art. 96, e in particolare deve tenere in considerazione due voci principali: i costi sostenuti da essa stessa o da altri utenti, e i «costi imputati ad esternalità ambientali legate ai prodotti, servizi o lavori nel corso del ciclo di vita, purché il loro valore monetario possa essere determinato e verificato».

Ciò che balza immediatamente all’occhio è la rilevante funzione attribuita alla tutela ambientale nella definizione dei costi nei termini sopra menzionati. Non solo vi è un’apposita “voce di costo” destinata alle “esternalità ambientali”, ma è altresì agevole rilevare come anche nell’elenco degli altri costi sia possibile individuarne alcuni legati all’ambiente, quali ad esempio i costi relativi al «consumo di energia e altre risorse», nonché quelli relativi «al fine vita, come i costi di raccolta, di smaltimento e di riciclaggio».

Tale criterio di valutazione, qualora applicato, può di conseguenza avere l’effetto di tenere in considerazione gli aspetti ambientali in termini addirittura preponderanti rispetto agli altri elementi valutativi, ai fini dell’aggiudicazione della gara.

Se da un lato non può che apprezzarsi l’evidente intento ambientalmente virtuoso del legislatore, dall’altro non pochi dubbi sembrano sorgere in ordine alle concrete modalità applicative della disciplina appena descritta.

Ancorché sia il legislatore stesso, riprendendo quanto disposto nella direttiva, a specificare alcuni aspetti sulle metodologie di valutazione dei costi imputati ad esternalità ambientali (le quali devono essere basate su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori; accessibili a tutte le parti interessate; e devono richiedere i dati dimostrabili con un ragionevole sforzo da operatori economici normalmente diligenti) molte perplessità rimangono circa la percorribilità pratica di questa soluzione, dato l’alto livello di tecnicismo richiesto alle Stazioni appaltanti e alle imprese interessate[72].

 

4.3. I sistemi di eco-etichettatura e di eco-audit nella duplice veste di mezzi di prova e di criteri premiali

 

Appare opportuno, inoltre, fare cenno alla disciplina appositamente dedicata alle certificazioni ambientali, sia in termini di ecoetichettatura, sia in termini di sistemi di gestione ambientale, che svolgono un duplice ruolo in termini ambientali, sia quale mezzo di prova del possesso di «caratteristiche ambientali», sia quale elemento tramite il quale attribuire «criteri premiali» ai concorrenti che ne dispongano.

Andando con ordine, in riferimento alle ecoetichettature[73] è possibile assistere ad un sostanziale ampiamento del relativo ambito di applicazione, in qualità di mezzo di prova, tramite l’espressa previsione della possibilità, per le stazioni appaltanti, di imporne il ricorso tanto nelle specifiche tecniche, quanto, ed è questa la novità principale, «nei criteri di aggiudicazione o nelle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto».

Non solo, come già accennato supra, il legislatore specifica come sia possibile richiedere, come mezzo di prova che le prestazioni siano corrispondenti alle caratteristiche richieste «un’etichettatura specifica» o parti di essa. Anche in questo caso, a tutela della concorrenza è posta la clausola di equivalenza: «le amministrazioni aggiudicatrici che esigono un’etichettatura specifica accettano tutte le etichettature che confermano che i lavori, le forniture o i servizi soddisfino i requisiti equivalenti».

Allo stesso modo, altrettanto rilevante appare la possibilità di ricorrere, al fine di dimostrare la conformità con i requisiti o criteri definiti nelle specifiche tecniche a valutazioni di conformità in relazione al sistema di gestione ambientale, il cd. Ecoaudit.

Ai sensi dell’art. 87, infatti, le stazioni appaltanti possono richiedere la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare il rispetto da parte dell'operatore economico di determinati sistemi o di norme di gestione ambientale. A questo proposito la norma fa esplicito riferimento al sistema dell'Unione di ecogestione e audit (EMAS), ammettendo tuttavia anche altri sistemi di gestione ambientale. Anche in questo caso, inoltre, è introdotta la “clausola di equivalenza” ogniqualvolta i concorrenti pur essendo sprovvisti dei richiesti certificati (per cause ad essi non imputabili) dimostrino che tali misure sono equivalenti a quelle richieste nel quadro del sistema o della norma di gestione ambientale applicabile [74].

Come premesso, tuttavia, al possesso di certificazioni ambientali sono altresì legate specifiche agevolazioni e misure premiali.

Nello specifico, l’art. 93, recante “Garanzie per la partecipazione alla procedura” prevede una diminuzione degli importi delle garanzie da prestare a corredo dell’offerta, da riconoscere agli operatori in possesso di certificazioni ambientali.

In particolare, per gli operatori registrati EMAS è prevista una riduzione del 30%, mentre per gli operatori in possesso della certificazione UNI EN ISO 14001 la riduzione è del 20%, inoltre accedono ad una riduzione del 15% anche gli operatori che sviluppano un inventario di gas a effetto serra (ai sensi della norma UNI EN ISO 14064-1) o impronta climatica (carbon footprint) di prodotto (ai sensi della norma UNI ISO/TS 14067).

In relazione alle ecoetichettarure, invece, è poi prevista un’ulteriore ipotesi di riduzione del 20% dei contratti relativi a servizi o forniture, anche cumulabile le riduzioni sopra citate, di cui possono usufruire gli operatori economici in possesso del marchio di qualità ecologica dell'Unione europea (Ecolabel UE) in relazione ai beni o servizi che costituiscano almeno il 50 per cento del valore dell’appalto.

 

4.4. L’art. 34 e l’obbligatorio ricorso agli appalti verdi. La nuova funzione vincolante dei Criteri Ambientali Minimi: una peculiarità italiana

 

Altra importante novità, peculiare della disciplina italiana, è costituita dal nuovo art. 34 del codice, e dalla sua assoluta portata innovativa, anche rispetto alle direttive europee.

Se, infatti, nelle direttive europee il ricorso agli appalti verdi rimane, in ogni caso, meramente facoltativo, tramite l’art. 34, rubricato “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale”, il legislatore sembra introdurre in Italia delle forme obbligatorie generalizzate di ricorso a criteri “verdi” negli appalti pubblici.

Ciò si evince già dalla lettura del primo comma, ove il legislatore nazionale dispone che «le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l'inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare».

A tale affermazione segue una parziale mitigazione per l’acquisto di prodotti e servizi nei servizi della ristorazione collettiva, ma ciò non mitiga il tenore generale della disposizione. Dalla lettera della norma appena citata, infatti, sembra possibile rinvenire l’imposizione di un obbligo di contribuzione al conseguimento degli obiettivi ambientali, nelle forme individuate dal PAN GPP, da realizzarsi tramite l’applicazione dei CAM, che diventano così improvvisamente vincolanti, “almeno” riguardo le specifiche tecniche e le clausole contrattuali.

In altre parole, le amministrazioni aggiudicatrici, in ossequio dell’art. 34 del codice, dovranno necessariamente richiamare le specifiche tecniche e le clausole contrattuali individuate nei decreti CAM che disciplinano il settore merceologico dell’appalto (ove lo disciplinino). L’utilizzo del termine “almeno” potrebbe lasciar presupporre che, fermo l’obbligo di adottare tali criteri, ben potranno le stazioni appaltanti prevedere un surplus di tutela ambientale, nelle forme e nei limiti definiti dal codice.

La disciplina dell’art. 34, tuttavia, non si limita all’introduzione di tali “obblighi di contribuzione”, andando oltre ed occupandosi anche di altre fasi della procedura di gara.

In particolare, al secondo comma dispone che i criteri ambientali minimi «sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 95, comma 6». Si tratta dell’ipotesi di applicazione del “primo sub-criterio”, come definito supra, e cioè della valutazione del “miglior rapporto qualità/prezzo”, nell’ambito del quale è specificata anche all’art. 95, comma 6 la possibilità di introdurre criteri qualitativi di natura ambientale.

Nel caso del secondo comma dell’art. 34, la più mite scelta terminologica “sono tenuti in considerazione” sembra rappresentare l’introduzione di una mera facoltà da parte della stazione appaltante, con conseguenze sostanziali simili alla situazione antecedente. In ogni caso, si può ipotizzarsi la presenza, quantomeno, di un obbligo di motivazione in ordine all’eventuale scelta di non ricorrere all’utilizzo criteri qualitativi ambientali.

 Allo stesso modo si potrebbe ipotizzare, inoltre, ferma la possibilità di ricorrere o meno a criteri ambientali nella valutazione dell’offerta, l’insorgenza di un vero e proprio obbligo, in capo alle stazioni appaltanti, nell’ipotesi in cui compiano a tutti gli effetti la scelta di ricorrere a dei criteri ambientali. In quel caso, nell’ipotesi in cui vi siano criteri ambientali minimi per quella categoria merceologica, potrebbe interpretarsi la norma di cui al secondo comma dell’art. 34, come vincolante per la scelta dei criteri ambientali (minimi) da adottare.

Il legislatore poi, si premura di prevedere alcune disposizioni limitative, chiarendo che l’obbligo sopra esposto si applica per gli affidamenti di qualsiasi importo[75], per almeno il 50 per cento[76] del valore a base d’asta, ed ovviamente solo nel caso in cui la categoria merceologica dell’appalto sia oggetto di criteri ambientali minimi. Tale previsione, seppur comprensibile dal punto di vista teorico, sembra particolarmente complessa da realizzare sul piano pratico, in particolare in relazione agli appalti di servizi.

Se questa è la regola generale, vigente per tutti i contratti pubblici, sono poi previste delle ulteriori mitigazioni per alcuni tipi di contratti legati a servizi di ristorazione[77], per i quali è possibile stabilire con decreto l’applicazione dei CAM per una quota inferiore al 50%.

Sono, tuttavia, previste anche delle ipotesi opposte, di rafforzamento dell’operatività dei CAM. Ciò in particolare accade relativamente alle categorie di appalto «connesse agli usi finali di energia»[78], in relazione alle quali, invece, non sussiste alcuna mitigazione in ordine all’applicazione dei criteri ambientali minimi, i quali devono essere impiegati obbligatoriamente per il 100% dell’appalto.

 

5.     Considerazioni conclusive.

 

Il lungo percorso che ha caratterizzato l’evoluzione degli appalti verdi sembra, in conclusione, caratterizzato da una imponente attività di promozione a livello istituzionale, alla quale tuttavia non ha corrisposto, finora, una parallela intensa applicazione nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica.

Il sistema è, paradossalmente, estremamente maturo dal punto di vista dell’elaborazione normativa, ma ancora acerbo sotto il profilo dell’applicazione pratica.

Lo strumento adottato nel nostro paese, al fine di uscire dall’impasse e imporre la necessaria impennata al ricorso agli “appalti verdi”, è costituito dalla scelta coraggiosa di prevederne alcune forme vincolanti.

Nonostante le probabili difficoltà applicative, nonché le necessarie revisioni che dovrebbero investire i decreti sui criteri ambientali minimi, alla luce della nuova consapevolezza del ruolo centrale ad essi attribuito nella materia degli appalti pubblici, le opportunità di raggiungere livelli di efficienza ambientale finora ritenuti poco realistici sembra concreta.

Gli strumenti giuridici per realizzare tali obiettivi sono numerosi e potenzialmente efficaci. La lunga evoluzione ha prodotto un modello integrato che permette di conciliare e far convergere gli interessi alla tutela dell’ambiente e alla libera concorrenza creando un mercato ambientalmente orientato già a monte, e dunque potenzialmente privo di rischi di restrizioni concorrenziali.

Perché ciò si realizzi, tuttavia, occorrerà andare oltre la mera imposizione normativa, e costruire un mercato ecologicamente consapevole e orientato non solo sulla carta, nelle regole, bensì anche in concreto, da parte di tutti i soggetti coinvolti, dalle Stazioni appaltanti fino agli operatori economici.

 

[1] In giurisprudenza sono ormai numerose le sentenze della Corte di giustizia secondo cui nel conflitto tra libera concorrenza e libera circolazione delle merci, da un lato, e tutela ambientale, dall’altro, si debba accordare tendenziale preferenza a quest’ultimo valore (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 23 ottobre 2011, C-510/99; sentenza del 14 luglio 1998, C-389/96; sentenza del 7 febbraio 1985, C-240/83). Riguardo, invece, l’emersione dell’interesse ambientale nei Trattati, si veda infra, in dottrina si veda: G. Rossi, Diritto dell’Ambiente, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 30 ss.

[2] Gli appalti verdi sono infatti annoverabili tra gli “strumenti di mercato a tutela dell’ambiente” per un approfondimento sui quali si veda: M. Cafagno, Strumenti di mercato a tutela dell’ambiente, in G. Rossi, Diritto dell’Ambiente, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 181 ss. M. Cafagno, F. Fonderico, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa a tutela dell’ambiente, in P. Dell’anno – E. Picozza (a cura di), Trattato di Diritto dell’Ambiente, Volume II, CEDAM, Padova, 2012, pp. 487 ss. Più in generale, invece, riguardo il rapporto tra concorrenza e diritto amministrativo si veda: A. Lalli, Disciplina della concorrenza e Diritto Amministrativo, Napoli, 2008, passim.

[3] C. De Rose, Gli appalti verdi nel diritto dell'Unione Europea: regole preesistenti e regole recentissime, in Il Consiglio di Stato, 2004, 9, 2, 1825; F. Schizzerotto, I principali provvedimenti europei ed italiani in materia di Green Public Procurement, in Rivista Giuridica dell'Ambiente, 2004, 6, 967; G.F. Fidone, Gli appalti verdi all'alba delle nuove direttive: verso modelli più flessibili orientati a scelte eco-efficienti, Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc.5, 2012, 819.

[4] Cfr. in ultimo, il Piano di azione per la sostenibilità ambientale (PAN GPP), punto 1.1., Decreto interministeriale 135/2008, versione aggiornata con D.M. 10 aprile 2013.

[5] Le stime più recenti sono rinvenibili nel documento della Commissione europea (2015), indicatori degli appalti pubblici 2013. Questi dati escludono la spesa delle imprese di pubblici servizi; le stime precedenti (2011) che includevano gli appalti di servizi di pubblica utilità erano pari a circa il 19% del PIL dell’UE, corrispondente a più di 2 300 miliardi di EUR.

[6] Ma erano state introdotte previsioni simili già con il cd. Collegato ambientale, di poco precedente.

[7] In particolare si trattava della Direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che disciplinava gli appalti di Servizi; della Direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che disciplinava gli appalti di Forniture; e della Direttiva del Consiglio 1993, 93/37/CEE, che disciplinava gli appalti di Lavori.

[8] In origine, la materia era disciplinata dalla direttiva del Consiglio 26 luglio 1971 n. 71/305/CEE, che coordinava le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici; dalla Direttiva 21 dicembre 1976 n. 77/62/CEE, che coordinava le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture. Più in generale, per un’analisi completa circa la disciplina degli appalti pubblici di derivazione comunitaria precedente alle Direttive del 2004, si vedano: F. Lauria, I pubblici appalti: disciplina comunitaria e giurisprudenza italiana, Milano, 1998, passim; G. Morbidelli, M. Zoppolato, Appalti pubblici, in M.P. Chiti, G. Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 1998, 213 ss.;

[9] A titolo esemplificativo, la disciplina di cui all’art. 26, Direttiva del Consiglio 1993, 93/37/CEE, in ordine all’offerta economicamente più vantaggiosa, recitava: «qualora l’appalto sia aggiudicato all’offerta più vantaggiosa sotto il profilo economico, vari criteri relativi all’appalto quali, ad esempio: prezzo, termine di consegna, costo d’utilizzazione, rendimento, qualità, caratteristiche esteti- che e funzionali, merito tecnico, servizio post vendita e assistenza tecnica».

[10] G.F. Fidone, Op. cit., 2012, p. 819, A. Farì, F. Lombardo, I criteri ambientali nel diritto comunitario degli appalti pubblici, in Diritto e Pratica Amministrativa, 2013, 9.

[11] Principio di integrazione che oggi costituisce uno degli strumenti più efficaci di applicazione della tutela dell’ambiente, cristallizzato all'art. 11 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) che afferma che «le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile».

[12] In particolare ai sensi dell’art. 3, co. 3 del Trattato sull'Unione Europea: «L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico»

[13] Per una ricostruzione dettagliata si veda: G. Rossi, Op. cit., p. 30 ss.

[14] Comunicazione COM (1996) 583 def., del 27 novembre 1996; Libro Verde. Gli appalti pubblici nell'Unione europea: spunti di riflessione per il futuro. Il Libro verde costituisce il primo documento comunitario che espressamente riconosce la possibilità di conciliare la tutela del libero mercato con una politica ambientale e sociale. In particolare, gli appalti pubblici se dotati di criteri ambientali avrebbero potuto essere uno strumento particolarmente valido ai fini del perseguimento della tutela ambientale (cfr. pp. 44 ­ 46 del Libro Verde). Inoltre, questo documento testimonia l’acquisita consapevolezza della rilevanza del settore degli appalti pubblici, anche in considerazione della sua grande dimensione, al fine del perseguimento degli obiettivi della tutela dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.

[15] Comunicazione COM (1998) 143 def, dell'11 marzo 1998; Libro Bianco. Gli appalti pubblici nell'Unione europea.

[16] Si veda, in particolare, il par. 4 del Libro Bianco.

[17] Ma si vedano, altresì, tra gli altri: Comunicazione della Commissione, 20 settembre 2000, COM (2000) 576, Conciliare bisogni e responsabilità. L'integrazione delle questioni ambientali nella politica economica; Comunicazione della Commissione, 7 febbraio 2001, COM (2001) 68: Libro verde sulla politica integrata dei prodotti. Sul punto si veda A. Farì, F. Lombardo, Op cit., 2013, p. 3, ove si afferma che: «Il Libro verde, a tale fine, propone una combinazione di strumenti che considerano tanto la produzione del bene, favorendo l'approccio tecnologico, quanto quella del consumo, al fine di favorire l'informazione e l'introduzione di incentivi per l'uso di prodotti ecocompatibili».

[18] Comunicazione COM (2001) 31, del 24 gennaio 2001; Sesto programma di azione per l'ambiente della Comunità europea, Ambiente 2010: «il nostro futuro, la nostra scelta»

[19] Comunicazione COM (2001) 264, del 15 maggio 2001; «Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell'Unione Europea per lo sviluppo sostenibile».

[20] Comunicazione COM (2001) 274, del 4 luglio 2001: «Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici».

[21] Il cambiamento che tali Comunicazioni si ponevano l’obiettivo di introdurre era molto ambizioso, e non riguardava solo la disciplina degli appalti pubblici. Si muoveva in varie direzioni, dalle ipotesi di eco-progettazione dei prodotti, tramite l’utilizzo di un minor numero di risorse e la produzione di un minor numero di rifiuti, all’adozione di modelli di consumo più sostenibili, fino ad «indurre il mercato a lavorare per l'ambiente», elaborando dei “marchi ecologici” in grado di consentire una comparazione tra le prestazioni ambientali tra prodotti simili.

[22] Cfr. Comunicazione COM (2001) 274, del 4 luglio 2001: il documento si propone «di analizzare e di mettere in luce le possibilità che la legislazione comunitaria vigente offre alle pubbliche autorità di integrare le considerazioni di carattere ambientale nella loro politica degli appalti, e di contribuire in tal modo a uno sviluppo sostenibile».

[23] Sentenza Corte di Giustizia delle Comunità Europee Commissione c. Germania (C-318/94, 28.03.1996).

[24] Sentenza Corte di Giustizia delle Comunità Europee Concordia Bus Finland Oy Ab (C-513/99, 17.09.2002).

[25] Sentenza a Corte di Giustizia delle Comunità Europee EVN AG (C-448/01, 04.12.2003).

[26] "purché i requisiti per l'etichettatura siano elaborati ed adottati in base a informazioni scientifiche mediante un processo cui possano partecipare le parti interessate, quali gli organi governativi, i consumatori, i produttori, i distributori o le organizzazioni ambientali e purché l'etichettatura sia accessibile e disponibile per tutte le parti interessate" cfr. considerando 29, art. 23 ed Allegato VI Direttiva 2004/18/CE.

[27] cfr. considerando 44, art. 48, par. 2, lett. f, e art. 50 Direttiva 2004/18/CE. Le certificazioni legate al Sistema di gestione ambientale principali sono la certificazione EMAS, o la certificazione ISO 14001, con la precisazione della possibilità per i concorrenti di dimostrare anche tramite altri mezzi il possesso delle relative capacità.

[28] Cfr. Considerando 43 Direttiva 2004/18/CE.

[29] cfr. art. 53, considerando 1 Direttiva 2004/18/CE.

[30] Cfr. art. 26 Direttiva 2004/18/CE.

[31] In ultimo si veda il documento della Commissione Acquistare Verde! Manuale sugli appalti pubblici verdi, ed. 3, 2016.

[32] Commissione Europea, Comunicazione del 3 marzo 2010, Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM (2010) 2020 def.

[33] Comunicazione COM (2011), 15, del 27 gennaio 2011; Libro Verde «sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici — Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti».

[34] «per contribuire a scindere la crescita economica dall'uso delle risorse, favorire il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio, incrementare l'uso delle fonti di energia rinnovabile, modernizzare il nostro settore dei trasporti e promuovere l'efficienza energetica».

[35] Cfr. Comunicazione, libro verde, capitolo 4.

[36] Direttiva 26 febbraio 2014/23/UE – Concessioni.

[37] Direttiva 26 febbraio 2014/24/UE – Appalti.

[38] Direttiva 26 febbraio 2014/25/UE – Settori esclusi.

[39] Cfr. art. 11 TFUE.

[40] Ma si veda altresì il considerando n. 37 ove si riconosce la necessità di un’adeguata integrazione dei requisiti in materia ambientale.

[41] Cfr. Considerando n. 75 e Art. 43 Direttiva 26 febbraio 2014/24/UE.

[42] Cfr. Considerando n. 88 Direttiva 26 febbraio 2014/24/UE.

[43] Anche in materia giurisprudenziale sono rinvenibili poche pronunce sul punto. Interessante è T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 17/11/2006, n. 5373, ove si afferma che «la stazione appaltante può esigere requisiti tecnici più severi rispetto a quelli indicati negli artt. 13 e 14, D. Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, che garantiscano una più intensa tutela dell'ambiente, a condizione che le clausole del bando non introducano elementi di illogicità, irragionevolezza e/o sproporzionalità rispetto alla specificità del servizio oggetto di gara ovvero di causare con le medesime ingiustificate distorsioni della concorrenza».

[44] D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

[45] Disciplina, oltretutto, modificata più volte nel giro di pochi anni 16 della L. 21 dicembre 2001, n. 443, dall'art. 1, comma 56, lett. a), della L. 448/2001 e dall'art. 23, lett. d), della L. 31 luglio 2002, n. 179. Cfr. F. Schizzerotto, Op. cit. p. 969. Sul tema degli acquisti di beni riciclati va segnalato altresì il D.M. n. 203/2003, che ha imposto alle amministrazioni pubbliche l’obbligo di approvvigionarsi con beni realizzati con materiale riciclato, iscritti al Repertorio del Riciclaggio, per almeno il 30% del proprio fabbisogno annuale.

[46] Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia; deliberazione CIPE n. 57 del 2002; pubblicata in G.U. n. 255 del 30 ottobre 2002, suppl. ord. n. 205

[47] Si veda, ad esempio, F. Schizzerotto, Op. cit., p. 967.

[48] Cfr. art. 2, D.Lgs. 163/2006. Per un approfondimento dettagliato sul punto si veda: M. Cafagno, Op. cit., in G. Rossi, Diritto dell’Ambiente, 2011, pp. 181 ss; F. Gaverini, Attività contrattuale della p.a. e protezione dell'ambiente: gli appalti verdi, in riv. giur. edilizia, fasc.5­6, 2009, pag. 153; G.F. Fidone, Op. cit., p. 819 ss.; F. Spagnuolo Op. cit., p. 397.

[49] Cfr. art. 42, 44 e 68 del D.Lgs. 163/2006.

[50] Cfr. art. 83, D.Lgs. 163/2006.

[51] Cfr. art. 69, D.lgs. 163/2006.

[52] Cfr. art. 1 comma 1126, legge 27 dicembre 2006, n. 296.

[53] Comunicazione (COM) 302, 2003 Politica Integrata dei Prodotti – Sviluppare il concetto di “ciclo di vita ambientale.

[54] Ivi, punto 5.3.

[55] Più precisamente: «Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione»

[56] cfr. PAN GPP, punto 2.

[57] Ancorché nel documento si afferma che l’Italia si posiziona all’ottava posizione tra i 25 Paesi europei, in base alla rilevazione condotta dallo Studio Take Five su diversi parametri di attuazione di GPP. Cfr. punto 3.4 del PAN GPP.

[58] Cfr., PAN GPP 2013, punto 4.5, ove si specifica altresì che «La percentuale è considerata sia sulla base del numero che del valore degli stessi. Obiettivi quantitativi più elevati per gli anni successivi o nelle categorie di settori ambientalmente più maturi, sono stabiliti nei decreti ministeriali di adozione».

[59] Cfr. PAN GPP 2013 punto 4.1.

[60] Purché, come ormai pacifico, in linea con i requisiti di connessione con l’oggetto dell’appalto e non eccessivamente lesivi della libera concorrenza.

[61] Cfr. PAN GPP 2013, punto 4.1.

[62] Cfr. art. 16 e 17 legge n. 221/2015.

[63] Per un’analisi della disciplina introdotta dal collegato ambientale, si veda: A. Farì, Collegato ambientale in Gazzetta: la legge sulla green economy accelera sugli appalti verdi, in Enti Locali & Pa - Il Sole 24 Ore, 2016, disponibile su www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com; M. Lucca, S. Usai, Gli appalti verdi nel collegato ambientale: "focus" sul "Green Public Procurement" nella pubblica amministrazione, in Appalti e contratti, 2016, fasc. 4, pp. 54-68.

 

[64] cfr. art. 2, D.lgs. 163/2006.

[65] Art. 2, lett. hhhh) «ciclo di vita», tutte le fasi consecutive o interconnesse, compresi la ricerca e lo sviluppo da realizzare, la produzione, gli scambi e le relative condizioni, il trasporto, l'utilizzazione e la manutenzione, della vita del prodotto o del lavoro o della prestazione del servizio, dall'acquisizione della materia prima o dalla generazione delle risorse fino allo smaltimento, allo smantellamento e alla fine del servizio o all'utilizzazione;

[66] Per un approfondimento sulle novità delle direttive in materia di specifiche tecniche si veda: G. Lucidi, Le specifiche tecniche dei nuovi bandi, in GiustAmm.it, 2016, fasc. 2, pp. 25.

[67] Purché tali specifiche tecniche siano redatte in termini «sufficientemente precisi da consentire agli offerenti di determinare l’oggetto dell’appalto e alle amministrazioni di aggiudicare l’appalto».

[68] È opportuno precisare, inoltre, che tale duplice possibilità di scelta si moltiplica, poiché è consentito altresì ricorrere ad entrambe le soluzioni tramite un’applicazione “combinata” Cfr. art. 68, comma 5, lett. c) e d).

[69] Sul punto si veda infra.

[70] Per un approfondimento specifico sul punto si vedano: C. Lacava, il nuovo codice dei contratti pubblici - i criteri di aggiudicazione, in Giornale Dir. Amm., 2016, 4, 436; L. Carbonara, Le nuove direttive sui contratti pubblici e la tutela dell'ambiente. I criteri di aggiudicazione, in GiustAmm.it, 2016, fasc. 2.

[71] Oltretutto più ampio rispetto al corrispondente elenco contenuto nella direttiva par. 2 dell'art. 67 della Dir. 2014/24/UE.

[72] Sul punto C. Viviani, Appalti sostenibili, green public procurement e socially responsible public procurement, in Urbanistica e appalti, 2016, 8-9, 993, che sottolinea come a questo proposito risultino altrettanto complesse le linee guida realizzate dall’ANAC.

[73] Sugli strumenti Ecolabel e Ecoaudit, e più in generale sulle certificazioni ambientali si veda: A. Benedetti, Le certificazioni ambientali, in G. Rossi, Diritto dell’Ambiente, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 200 ss.

[74] Qualora gli operatori economici abbiano dimostrato di non avere accesso a tali certificati o di non avere la possibilità di ottenerli entro i termini richiesti per motivi loro non imputabili, la stazione appaltante accetta anche altre prove documentali delle misure di gestione ambientale, purché gli operatori economici dimostrino che tali misure sono equivalenti a quelle richieste nel quadro del sistema o della norma di gestione ambientale applicabile.

[75] La ratio di tale precisazione sembra individuarsi nell’intenzione del legislatore di estendere l’applicazione di tale normativa anche agli appalti sotto soglia. Sembra possibile, tuttavia, nutrirsi qualche dubbio in ordine alla concreta efficacia di tale disposizione a fronte della disciplina generale che limita l’operatività della disciplina del codice dei contratti ai soli appalti al di sopra della cd. “soglia comunitaria”.

[76] Percentuale che, ai sensi del successivo comma 3 può essere oggetto di aumento progressivo con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il decreto in argomento è stato in effetti adottato con Decreto 24 maggio 2016 recante «Incremento progressivo dell'applicazione dei criteri minimi ambientali negli appalti pubblici per determinate categorie di servizi e forniture».

[77] servizi di ristorazione ospedaliera, assistenziale, scolastica e sociale di cui all'articolo 95, comma 3, lettera a), e dei contratti relativi ai servizi di ristorazione di cui all'articolo 144.

[78]le quali sono, oltretutto, individuate nominalmente, e ricorrono nelle seguenti ipotesi: «a) acquisto di lampade a scarica ad alta intensità, di alimentatori elettronici e di moduli a LED per illuminazione pubblica, acquisto di apparecchi di illuminazione per illuminazione pubblica e affidamento del servizio di progettazione di impianti di illuminazione pubblica; b) attrezzature elettriche ed elettroniche d'ufficio, quali personal computer, stampanti, apparecchi multifunzione e fotocopiatrici; c) servizi energetici per gli edifici, servizio di illuminazione e forza motrice, servizio di riscaldamento/raffrescamento di edifici; d) affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici e per la gestione dei cantieri della pubblica amministrazione».