commento a Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 21 dicembre 2016, causa 355/2015

L’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che a un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico con una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice divenuta definitiva sia negato l’accesso ad un ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi e la conclusione del contratto, allorché a presentare offerte siano stati unicamente l’offerente escluso e l’aggiudicatario e detto offerente sostenga che anche l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa.

In altre parole, all’offerente pretermesso dalla stazione appaltante e la cui esclusione sia stata dichiarata legittima in via definitiva è preclusa l’azione di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva dell’appalto e della conclusione del contratto, dovendo essere considerato definitivamente escluso e pertanto “offerente non interessato”.

 

 

 

            La sentenza resa il 21 dicembre 2016 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa 355/2015 Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung GesmbH und Caverion Österreich GmbH, contro Universität für Bodenkultur Wien) offre l’occasione di fare il punto su un tema molto dibattuto e attuale, ossia l’interesse a proporre ricorso da parte del concorrente escluso da una procedura ad evidenza pubblica. Prima di entrare nel merito dell’ultima pronuncia pubblicata, è opportuno soffermarsi sui precedenti giurisprudenziali pertinenti e sui contributi dottrinali in tema di interesse a ricorrere del concorrente escluso.

            Anche se la sentenza qui annotata prende le mosse dal ricorso proposto in via principale da un concorrente pretermesso, la più ampia questione si è posta all’attenzione degli interpreti nel vasto orizzonte del ricorso incidentale: quest’ultimo, disciplinato dall’art 42 c.p.a., è proponibile dalle parti resistenti e dai controinteressati, quando abbiano interesse a tutelare le proprie posizioni giuridiche di vantaggio, nascenti dal provvedimento oggetto d’impugnazione da parte del ricorrente principale. Infatti, in caso di accoglimento delle doglianze, la posizione privilegiata dei beneficiari verrebbe automaticamente meno: donde l’interesse a ricorrere in via incidentale. Secondo l’orientamento prevalente, l’interesse a proporre un mezzo d’impugnazione siffatto sorge solo a seguito della proposizione del ricorso principale e, soprattutto, si fonda su un interesse diverso e contrapposto rispetto a quello fatto valere con l’azione principale.

            In particolare, detta funzione difensiva può essere perseguita in diversi modi, tra cui introducendo un nuovo thema decidendum, per provocare la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale per difetto d’interesse: “si pensi al caso (di frequente ricorrenza nella prassi) in cui il ricorrente principale abbia impugnato i risultati di un concorso deducendo che, se fossero stati valutati correttamente alcuni titoli, sarebbe risultato vincitore in luogo dell’ultimo dei concorrenti favorevolmente graduati, e quest’ultimo ricorra in via incidentale contro la graduatoria del concorso rilevando che, se fossero stati correttamente valutati altri titoli a suo favore, avrebbe conseguito un punteggio più elevato tale da anteporlo, comunque, rispetto al ricorrente principale”[1].

            Se ne ricava che il ricorso incidentale è ancillare rispetto a quello principale e, pertanto, il primo sarà dichiarato inefficace a seguito di rinuncia o di pronuncia di inammissibilità del secondo; nei casi in cui viene adottata una pronunzia processuale che preclude l’adozione di una pronuncia sul merito dell’impugnativa principale (si pensi all’irricevibilità, alla cessazione della materia del contendere, alla perenzione), il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile o improcedibile, a seconda che l’evento che preclude l’adozione di una pronuncia sul merito dell’impugnativa principale sia, rispettivamente, precedente o successiva alla notificazione del ricorso principale; se, invece, viene riconosciuto infondato il ricorso principale, il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile per difetto d’interesse.

            In materia di ricorsi soggetti al cd. “rito appalti”, si è posto prepotentemente all’attenzione degli interpreti la questione relativa all’ordine di esame delle questioni proposte. Sulla base di quanto si è detto finora, il ricorso incidentale, accessorio rispetto al principale, andrebbe sempre esaminato dopo quest’ultimo e a patto che questi sia riconosciuto fondato, fatto salvo un caso eccezionale, di creazione giurisprudenziale: qualora il ricorso incidentale tenda a paralizzare l’azione principale per ragioni di ordine processuale, il giudice è tenuto a dare precedenza a queste ultime nella misura in cui abbiano priorità logica rispetto a quelle del ricorrente principale.

            La prima decisione che ha tentato di dirimere i dubbi sorti sul punto risale al 2008, quando l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 10 novembre 2008, n. 11) si è occupata del caso di impugnazione dell’aggiudicazione da parte di un’impresa pretermessa ed ha stabilito che si hanno due diverse soluzione a seconda che alla gara siano ammesse due o più offerenti. Se i partecipanti ammessi alla gara sono più di due, il giudice deve prioritariamente esaminare il ricorso incidentale: infatti, in caso di suo accoglimento, andrà dichiarata illegittima la sua non esclusione da parte della stazione appaltante e pertanto non potrebbe trarre alcun beneficio né dall’accoglimento delle proprie doglianze né dalla ripetizione della procedura, dato che dovrebbe da questa essere (legittimamente) escluso.

            In caso, invece, di gara a cui sono stati ammessi solo due concorrenti, il ricorso incidentale ha natura impugnatoria dell’atto di ammissione alla gara del ricorrente principale e pertanto la sua fondatezza non farebbe venir meno l’interesse al ricorso principale, in quanto il ricorrente principale non agisce solo a tutela dell’interesse ad ottenere l’aggiudicazione della gara, ma anche di quello minore e strumentale, contenuto nel primo, di ripetizione della gara.

            Il massimo consesso della Giustizia amministrativa però non è rimasto a lungo convinto di questa impostazione e, nel 2011, l’Adunanza Plenaria ha mutato il proprio orientamento: con sentenza 7 aprile 2011, n. 4, ha affermato che il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura, sulla base della convinzione che la fondatezza del ricorso incidentale mette in luce l’assenza di una posizione differenziata del ricorrente principale e, quindi, dimostra l’insussistenza della sua legittimazione a ricorrere.

            Nonostante il fatto che la maggior parte della giurisprudenza abbia seguito la novellata impostazione[2], il tema è rimasto ancora molto dibattuto e la questione è stata rimessa alla Corte di Giustizia dal T.A.R. Piemonte. Questo, con ordinanza del 9 febbraio 2012, n. 208, ha sollevato questione pregiudiziale circa la compatibilità con il diritto dell’Unione (e, in particolare, con la direttiva n. 1989/665/CEE, come modifica dalla direttiva n. 2007/66/CE) degli arresti raggiunti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011.

            Il rinvio è sfociato nella nota sentenza Fastweb (4 luglio 2013, C-100/12), con la quale il giudice eurounitario ha censurato le conclusioni del Consiglio di Stato ritenendo che “in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni”: il diritto dell’Unione Europea “osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale”.

            La Corte europea si è trovata nuovamente nella posizione di doversi esprimere sul tema, a seguito di domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con ordinanza del 17 ottobre 2013: il riferimento è alla sentenza del 5 aprile 2016 (caso Puligienica c. Airgest). La Corte ha chiarito quanto stabilito con la sentenza Fastweb, riaffermando il principio secondo cui la direttiva ricorsi “osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l’esame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente”.

            In altre parole, la Grande Camera ha affermato che – visto l’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989[3] – non è compatibile con il diritto eurounitario la regola affermata dai giudizi di Palazzo Spada per cui il ricorso incidentale va esaminato preliminarmente rispetto a quello principale e conseguentemente quest’ultimo vada dichiarato inammissibile se il primo risulta fondato: l’interpretazione delle norme processuali italiane che impone al giudice nazionale di esaminare prioritariamente il ricorso incidentale proposto da un partecipante ad una gara pubblica e di dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale - proposto da un altro offerente - laddove il collegio valuti fondato il ricorso incidentale è incompatibile con la disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici. Infatti, le norme europee in materia di ricorsi impongono il rispetto della par condicio tra le parti e perciò ostano a qualsiasi soluzione nazionale che conduca ad affermare l’inammissibilità del ricorso principale da un giudizio di fondatezza del ricorso incidentale[4].

            La Corte ribadisce il principio generale ricavabile dalla sentenza Fastweb, secondo cui "ciascuno dei due offerenti ha interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto. Da un lato, infatti, l'esclusione di un offerente può far sì che l'altro ottenga l'appalto direttamente nell'ambito della stessa procedura. D'altro lato, nell'ipotesi di un'esclusione di entrambi gli offerenti e dell'indizione di una nuova procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi e, quindi, ottenere indirettamente l’appalto". Perde quindi di rilevanza il numero di concorrenti che hanno presentato ricorso (due o più di due) e il principio del precedente di cui sopra assume portata generale.

            Così la Corte lussemburghese: "non è escluso che una delle irregolarità che giustificano l'esclusione tanto dell'offerta dell'aggiudicatario quanto di quella dell'offerente che contesta il provvedimento di aggiudicazione dell'amministrazione aggiudicatrice vizi parimenti le altre offerte presentate nell'ambito della gara d'appalto, circostanza che potrebbe comportare la necessità per tale amministrazione di avviare una nuova procedura". Pertanto "il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell'appalto pubblico di cui trattasi, così come il numero di partecipanti che hanno presentato ricorsi e la divergenza dei motivi dai medesimi dedotti, sono privi di rilevanza ai fini dell'applicazione del principio giurisprudenziale che risulta dalla sentenza Fastweb”.

            La questione ha avuto un riverbero notevole nelle successive pronunce nazionali: tra queste si segnala, da ultimo, T.A.R. Veneto, Sez. I, 21 dicembre 2016, n. 1416, che ha il pregio di aver proposto una ricostruzione della questione, anche se anteriormente alla sentenza qui annotata, che sarebbe stata pubblicata lo stesso giorno (comunque, preme precisarlo, inconferente al caso esaminato dal Collegio veneto).

            Anche se, come ribadito da più pronunce dell’Adunanza Plenaria, “il ricorso incidentale escludente ha priorità logico-giuridica rispetto all'esame del ricorso principale, ponendo esso la questione della legittimazione al ricorso del ricorrente principale” e, per l'effetto, “ove il medesimo ricorso incidentale risulti fondato, il suo accoglimento condurrà alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale per carenza di legittimazione attiva”, è noto che, tuttavia, “nella materia in esame è intervenuta la recente sentenza della Corte di giustizia U.E. del 5 aprile 2016”, con l’affermazione dei principi di cui già si è detto.

            Una prima applicazione è rintracciabile nella sentenza resa dal T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 28 giugno 2016, n. 437, nella quale si può leggere che “il Collegio ritiene di seguire alla lettera la pronuncia della Corte di Giustizia che ha affermato senza distinzioni o condizioni o riserve il dovere del giudice di esaminare entrambi i ricorsi, nonostante la singolarità della situazione che si verifica allorché risultino fondati entrambi e i concorrenti siano più di due, dato che, in tale ipotesi e salvo il caso che la conseguenza dell'accoglimento sia la integrale caducazione della gara e la sua integrale rinnovazione, l'accoglimento di entrambi i ricorsi avrebbe come normale conseguenza che né il ricorrente principale né il ricorrente incidentale riescano a ottenere un'utilità concreta dalla pronuncia a loro favorevole e che il beneficiario di tale doppia pronuncia risulti un altro concorrente (il più delle volte si tratterà del terzo classificato)”, magari neppure parte del giudizio.

            Sulla questione si è espresso anche il Consiglio di Stato (Sez. III, 26 agosto 2016, n. 3708), che ha affermato la doverosità, nel processo amministrativo, dell’esame del ricorso principale, a fronte della proposizione di un ricorso incidentale "escludente" ed a prescindere dal numero delle imprese che hanno partecipato alla gara, quando l'accoglimento dello stesso produca, come effetto conformativo, un vantaggio, anche mediato e strumentale, per il ricorrente principale: un simile genere di vantaggio – aggiungono i giudici – è rinvenibile anche in quello al successivo riesame, in autotutela, delle offerte affette dal medesimo vizio riscontrato con la sentenza di accoglimento. Rimane, invece, compatibile con il diritto europeo sull'effettività della tutela in subiecta materia una regola nazionale, che impedisce l'esame del ricorso principale nelle ipotesi in cui dal suo accoglimento il ricorrente principale non ricavi, con assoluta certezza, alcuna utilità, neanche in via mediata e strumentale.

            Nel caso sottoposto all’attenzione del T.A.R. per il Veneto, le partecipanti alla gara erano solo due, quindi il ricorso incidentale "escludente" non elideva, anche ove fondato, l'interesse della ricorrente principale all'esame del gravame da essa proposto, potendo la stessa ricavare dal suo eventuale accoglimento una chiara utilità strumentale. Per di più, “i vizi lamentati dalla ricorrente principale e dalle ricorrenti incidentali attengono alla stessa fase procedimentale, cioè a quella dell'ammissione delle (rispettive) offerte alla gara. Ne deriva che nel caso di specie l'inidoneità del ricorso incidentale "escludente" a paralizzare l'esame del ricorso principale si ricava anche dalla giurisprudenza interna formatasi prima della decisione della Corte di Giustizia U.E. del 5 aprile 2016, sopra ricordata”.

            Come si vede, la questione è tanto risalente quanto dibattuta, non solo per l’oggettiva difficoltà di bilanciare principi di matrice eurounitaria con le regole del diritto processuale (ma anche sostanziale) nazionale ma anche per la diversità di fattispecie con cui ci si deve confrontare. Lo dimostra l’ultimo arresto giurisprudenziale intervenuto, ossia la pronuncia della Corte di Giustzia  del 21 dicembre 2016, Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung GesmbH und Caverion Österreich GmbH, contro Universität für Bodenkultur Wien, VAMED Management und Service GmbH & Co. KG in Wien.

            In breve, alcuni cenni in punto di fatto per inquadrare la controversia. Nel 2012 l’Università viennese suddetta avviava una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per la conclusione, con un aggiudicatario unico, di un accordo quadro relativo alla gestione, manutenzione, riparazione e assistenza tecnica degli impianti tecnici dei propri edifici e delle apparecchiature di laboratorio.

            Due sole erano le offerte presentate, anche se una di queste (quella di Bietergemeinschaft) veniva poi esclusa dalla stazione appaltante, non avendo il concorrente fornito tempestivamente in originale la prova della costituzione di una garanzia bancaria. Il pretermesso proponeva ricorso avverso tale decisione della stazione appaltante, gravame che veniva respinto dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Austria); stessa sorte toccava al ricorso straordinario per Revision (ricorso per cassazione) avverso la pronuncia del giudice di prime cure.

            Interveniva quindi l’aggiudicazione definitiva a favore dell’unica rimasta in gara, che sottoscriveva il contratto: contro tali provvedimenti insorgeva Bietergemeinschaft con ricorso, che veniva respinto in base al motivo che i diritti di un offerente la cui offerta sia stata legittimamente esclusa non sono suscettibili di essere lesi da illegittimità riguardanti la selezione di un’altra offerta ai fini dell’aggiudicazione.

            Seguiva un nuovo ricorso per Revision (ricorso per cassazione): in questa sede il ricorrente faceva valere la similitudine tra il proprio caso e quello esaminato dalla sentenza Fastweb. In entrambi i casi, infatti – sosteneva la parte – erano presenti solamente due offerenti e, benché in effetti escluso, il gruppo ricorrente sosteneva che l’offerta dell’aggiudicataria avrebbe dovuto essere a sua volta esclusa, in quanto i calcoli relativi a voci essenziali di tale offerta sarebbero inspiegabili e incomprensibili sul piano economico. Pertanto, come nell’ambito della citata sentenza, vi sarebbero due offerenti, ciascuno dei quali presenterebbe analogo interesse economico all’esclusione dell’altrui offerta e potrebbe far valere tale interesse anche in caso di esclusione della propria offerta.

            Correttamente osserva il giudice del rinvio che nel caso trattato dalla sentenza Fastweb l’irregolarità dell’offerta del concorrente autore del ricorso giurisdizionale era stata accertata non dall’amministrazione aggiudicatrice nell’ambito della procedura di aggiudicazione dell’appalto considerato, bensì nell’ambito del procedimento giurisdizionale avviato da detto concorrente per contestare la decisione di aggiudicazione di tale appalto ad un diverso offerente. Il giudice del rinvio rileva che, al punto 33 di detta sentenza, la Corte ha considerato che, nell’ipotesi in cui la regolarità dell’offerta di entrambi gli offerenti venga contestata nell’ambito del medesimo procedimento e per motivi identici, ciascuno di essi può far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta dell’altro. Ne conseguirebbe che, in tale situazione, l’offerente la cui offerta non sia stata prescelta beneficia di tutela giurisdizionale nonostante non sia conforme alle specifiche tecniche dell’appalto in questione.

In sostanza, il giudice del rinvio dubita che l’insegnamento che discende dalla sentenza Fastweb sia applicabile anche quando due offerenti abbiano inizialmente presentato un’offerta e l’esclusione dell’offerente che intende contestare la decisione di aggiudicazione sia stata preliminarmente e definitivamente accertata. I suoi dubbi si fondano su diversi elementi individuati nella direttiva 89/665, tra i quali figura, al primo posto in ordine di importanza, la nozione di «offerente interessato» ai sensi dell’articolo 2 bis, paragrafo 2, di detta direttiva. Il giudice del rinvio si domanda quindi se il principio di parità di trattamento applicabile agli offerenti possa giustificare quantomeno la concessione, ad un tale offerente definitivamente escluso, di un diritto di ricorso avverso detta decisione quando quest’ultima sia favorevole all’unico altro offerente in lizza.

Alla luce di ciò, il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 1) se l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665, alla luce dei principi espressi nella sentenza Fastweb debba essere interpretato nel senso che l’esperibilità delle procedure di ricorso avverso la decisione di aggiudicazione (decisione sulla stipula di un accordo quadro) nonché avverso la conclusione del contratto (inclusa la concessione del risarcimento danni richiesto a termini dell’articolo 2, paragrafo 7, della stessa direttiva) può essere negata ad un offerente la cui offerta sia stata esclusa con provvedimento definitivo dall’ente aggiudicatore, e che pertanto non costituisca un offerente interessato ai sensi dell’articolo 2 bis della direttiva 89/665, anche nel caso in cui solo due offerenti abbiano presentato rispettivamente offerte e quella dell’aggiudicatario, in base agli argomenti dedotti dall’offerente non interessato che ha proposto ricorso, avrebbe dovuta essere parimenti esclusa; 2) in caso di risposta negativa alla prima questione, se l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665, alla luce dei principi enunciati nella sentenza Fastweb, debba essere interpretato nel senso che è necessario garantire all’offerente non interessato (ai sensi dell’articolo 2 bis della stessa direttiva) l’esperibilità delle procedure di ricorso esclusivamente nel caso in cui: a) dagli atti del ricorso risulti manifestamente l’irregolarità dell’offerta dell’aggiudicatario, e b) l’irregolarità dell’offerta dell’aggiudicatario emerga per motivi della stessa identica natura.

Gli elementi di fatto qui brevemente riassunti e le questioni poste dal giudice nazionale permettono di comprendere la peculiarità della fattispecie in esame: a differenza del caso Fastweb e del caso Puligienica, il ricorrente del caso Bietergemeinschaft non è stato escluso dalla procedura all’esito dell’accoglimento di censure mosse nei confronti della propria partecipazione bensì è stato pretermesso dalla procedura dalla stazione appaltante, quindi in una fase anteriore al contenzioso.

Si pone quindi il problema di comprendere se i principi della sentenza Fastweb e Puligienica siano applicabili anche al caso di specie e quindi se la direttiva ricorsi osti a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l’esame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente.

Donde il rinvio pregiudiziale che, giova ripeterlo, ha ad oggetto l’interpretazione dell’art. 1, par. 3, della direttiva 89/665 (così come successivamente modificata), il quale così recita: “Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione”.

Il punto dirimente la questione è uno e uno solo: stabilire se il concorrente escluso dalla stazione appaltante, che ha impugnato la propria pretermissione e ha ottenuto una sentenza definitiva che acclara l’illegittimità della stessa, possa essere considerato “offerente interessato” e pertanto sia legittimato ad impugnare l’aggiudicazione definitiva.

La Corte è inequivocabile sul punto: la risposta è negativa.

Preliminarmente, il Collegio ci tiene a chiarire che il caso di specie è diverso dalle situazioni di cui alle sentenza Fastweb e Puligienica. Infatti, “da un lato, le offerte dei soggetti interessati nelle cause che hanno dato origine alle citate sentenze non erano state oggetto di una decisione di esclusione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, a differenza dell’offerta presentata dal gruppo nel procedimento principale”. Dall’altro lato, si deve tener conto che nella fattispecie odierna “il gruppo ha depositato un ricorso, in primo luogo, avverso la decisione di esclusione adottata nei propri confronti e, in secondo luogo, avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto ed è nell’ambito del secondo ricorso che esso invoca l’irregolarità dell’offerta dell’aggiudicataria”: tale circostanza pone il caso su un piano completamente diverso rispetto ai due precedenti, nell’ambito dei quali “ciascuno degli offerenti contestava la regolarità dell’offerta dell’altro nell’ambito di un solo ed unico procedimento di ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto, ciascuno vantando un analogo legittimo interesse all’esclusione dell’altrui offerta e dette contestazioni potendo indurre l’amministrazione aggiudicatrice a constatare l’impossibilità di procedere alla selezione di un’offerta regolare”.

Ne deriva il seguente principio: “l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che a un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico con una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice divenuta definitiva sia negato l’accesso ad un ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi e la conclusione del contratto, allorché a presentare offerte siano stati unicamente l’offerente escluso e l’aggiudicatario e detto offerente sostenga che anche l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa”.

In altre parole, all’offerente pretermesso dalla stazione appaltante e la cui esclusione sia stata dichiarata legittima in via definitiva è preclusa l’azione di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva dell’appalto e della conclusione del contratto, dovendo essere considerato definitivamente escluso e pertanto “offerente non interessato”.

 

[1] Si veda sul punto F. Caringella, Diritto Amministrativo – X edizione, Roma, 2016, pp. 1848 ss.

[2] Cons. Stato, Sez. III, 27 settembre 2012, n. 511; Cons. Stato, Sez. III, 11 febbraio 2013, n. 738; Cons. Stato, Sez. V, 28 luglio 2011, n. 4524; Cons. Stato, Sez. III, 18 luglio 2011, n. 4354.

 

[3] La direttiva coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007.

[4] La sentenza della CGUE si esprime anche su un altro aspetto, ossia afferma il principio per cui non è compatibile con il diritto eurounitario e, specificamente, con l’art. 267 TFUE, l’obbligo per una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza (ci si riferisce, ovviamente, al Consiglio di Stato), qualora non condivida l’orientamento definito da una decisione dell’adunanza plenaria di tale organo, di rinviare necessariamente la questione all’adunanza plenaria e di non poter adire direttamente la Corte di Giustizia ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale. Con questa pronuncia la Corte ribadisce la propria primazia, anche rispetto al supremo organo della giustizia amministrativa, e implicitamente risponde ad una recente sentenza-ordinanza del Consiglio di Stato (17 marzo 2016, n. 1090) di rimessione all’Adunanza Plenaria, nella quale si chiedeva se “in costanza di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, in presenza (ovvero anche in assenza) di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell’Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell’Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell’Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia”.