Relazione resa al convegno sul tema “L’interdittiva antimafia”, organizzato a Vibo Valentia, dall’Associazione forense vibonese, il 15 dicembre 2016

L’informazione antimafia è disciplinata nel libro II del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice delle leggi antimafia) e rappresenta la forma di tutela forse più avanzata, che lo Stato appresta nei confronti del pervasivo fenomeno della penetrazione della mafia nell’economia legale[1].

Essa consiste nella valutazione, ad opera dal prefetto, della sussistenza di «tentativi di infiltrazione mafiosa», tesi a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa e dà luogo all’estromissione di un’impresa stessa dal mercato degli appalti e dei finanziamenti pubblici[2].

Detta verifica, in base al principio tempus regit actum, va effettuata sulla scorta del dato di fatto esistente al momento dell’adozione del provvedimento, senza che possa venire in rilievo, anche in sede giurisdizionale, il compimento di azioni successive, intraprese per eliminare il pericolo di condizionamento mafioso[3].

Per la sua natura giuridica, l’istituto si colloca tra gli atti di indagine amministrativa, integrando una tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia giurisdizionali e prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso[4].

A seconda del contenuto, l’informazione antimafia si distingue in liberatoria (o negativa) ed interdittiva (o positiva).

Se è interdittiva, determina una condizione di incapacità legale di contrarre di tipo speciale, in quanto limitata esclusivamente ai rapporti con la pubblica amministrazione e con i soggetti di cui all’articolo 83 del codice antimafia[5], ma non ha valore nei rapporti tra privati, in quanto l’informazione interdittiva non implica alcuna presunzione di pericolosità, atta a transitare verso i terzi[6].

Tale incapacità di contrarre con la P.A. ha validità temporale illimitata, fino a quando non intervenga un contrarius actus del prefetto, consistente nell’accertamento di fatti od elementi sopravvenuti, che dimostrino il superamento dalla situazione di pericolo già accertata, a nulla comunque rilevando il mero trascorrere del tempo[7].

Minoritaria è rimasta la tesi per cui la persistenza dell’efficacia dell’informativa prefettizia sfavorevole, dopo l’anno di efficacia previsto dall’articolo 86, comma 2, consegue solamente all’accertamento che la situazione già esaminata non è successivamente mutata[8].

L’art. 91, comma, 7-bis, prescrive che l’informazione interdittiva sia comunicata all’Osservatorio dei contratti pubblici istituito presso l’Autorità nazionale anticorruzione. Da quel momento, quindi, tutte le stazioni appaltanti operanti sul territorio nazionale ricevono pubblicità-notizia dell’esistenza di una causa ostativa permanente, e ciò anche ai fini della risoluzione dei contratti in essere[9].

Ai sensi dell’articolo 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in tema di commissariamento della commessa ad opera del prefetto nel caso di accertati fenomeni di corruzione negli appalti, l’autorità prefettizia può applicare il commissariamento anche contestualmente all’adozione di un’interdittiva antimafia, mentre, in ipotesi di interdittiva già in atto, questo è consentito, previa bonifica dell’assetto societario, solo nelle ipotesi eccezionali che giustificano la prosecuzione del rapporto contrattuale per preminenti ragioni di interesse generale, al punto che l’attività di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa è considerata di “pubblica utilità”, come chiarisce il comma 4 della norma[10].

Il termine annuo di efficacia, di cui al citato articolo 86, comma 2, vale, invece, per l’informativa antimafia negativa, attestante cioè l’insussistenza del pericolo di infiltrazione, la quale andrà nuovamente richiesta, scaduto il suddetto periodo di durata[11].

Gli elementi da porre a sostegno della valutazione prefettizia sono indicati all’articolo 84, comma 4, del codice e si riferiscono, essenzialmente, ad atti giudiziari[12] o di polizia[13], ovvero a vicende imprenditoriali particolarmente sintomatiche di un intento elusivo della normativa sulla documentazione antimafia[14].

Pertanto, ai fini dell’identificazione del pericolo di infiltrazione mafiosa, rilevano quelle operazioni societarie, come la scissione o la fusione tra società, nonché la cessione o l’affitto di ramo d’azienda, che, apparentemente lecite, siano compiute allo scopo di eludere gli stringenti limiti della normativa antimafia[15].

L’articolo 91, comma 6, consente di prendere in esame le condanne non definitive per reati strumentali alle attività mafiose e persino le reiterate violazioni agli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari[16].

Ne deriva che l’applicazione di una misura cautelare per il reato di traffico illecito di rifiuti giustifica l’adozione dell’informativa antimafia interdittiva ed il conseguente divieto di prosecuzione dell’attività, tenuto presente che il disvalore sociale e la portata del connesso danno ambientale rappresentano, già di per se stessi, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali nei quali essi sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al pericolo di infiltrazioni di malaffare[17].

Il comma 5 permette di estendere gli accertamenti «ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa».

Tale situazione di “influenza dominante” può riscontrarsi anzitutto in capo ai soci, tutte le volte in cui, a fronte di un impedimento prettamente formale e giuridico a partecipare alle attività di gestione, si realizzi da parte loro un ascendente atipico sul capitale umano (fornitori, clienti o personale dipendente)[18].

Tuttavia, quel che rileva maggiormente a tal fine è il fenomeno dell’amministratore occulto, cui è sottesa la necessità di individuare il reale assetto proprietario e gestionale delle imprese, attraverso mirate indagini negoziali e patrimoniali.

Nella verifica di sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, l’amministrazione compie una valutazione di discrezionalità tecnica[19], la cui motivazione è sindacabile in sede giudiziaria solo a fronte di evidenti vizi di valutazione[20].

E’ palese la delicatezza degli interessi in gioco – da un lato, la salvaguardia dell’ordine pubblico anche economico; dall’altro, la libertà d’impresa garantita dalla Costituzione –, che imporrebbe di definire con la massima “certezza” possibile la dimensione degli spazi di discrezionalità in capo all’autorità amministrativa.

Tuttavia, tale esigenza di certezza deve fare i conti con la labilità del presupposto applicativo della misura, che è costituito non dall’effettivo condizionamento dell’impresa, ma da semplici «tentativi di infiltrazione», e quindi da una fattore di mero pericolo[21].

Di questa criticità, si è mostrata consapevole la stessa amministrazione dell’interno che, con circolare del gabinetto del Ministro dell’8 febbraio 2013, n. 11001/119/20(6), ha segnalato ai prefetti la necessità – anche rispetto a situazioni indizianti dotate di un elevato grado di “certezza”, perché basate su determinazioni dell’autorità giudiziaria – di operare un esame (non atomistico, ma) complessivo degli elementi a disposizione, dovendosi verificare sia la riconducibilità dei fatti evocati a contesti di criminalità organizzata o comunque a contesti significativi di atteggiamenti di contiguità con questa, sia l’attualità delle situazioni di pericolo indicate.

Non di meno, occorre rilevare come, pur dopo l’emanazione del codice antimafia, nella prassi applicativa dei pubblici appalti, è rimasta in uso la c.d. informativa prefettizia supplementare (o atipica), di cui all’art. 1-septies del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, sui poteri già dell’Alto commissario antimafia, il cui effetto interdittivo non è diretto, ma passa attraverso una valutazione discrezionale dell’amministrazione destinataria, circa l’idoneità morale del partecipante alla gara[22].

Essa, dunque, non riveste carattere vincolante, ma lascia un margine, benché molto ridotto, alla discrezionalità dell’amministrazione aggiudicatrice, che è chiamata a valutarne l’incidenza, attraverso una motivazione particolarmente ampia, nel caso in cui decida di instaurare o proseguire il rapporto con l’impresa pur a seguito dell’informativa, ma che non può, comunque, mancare anche nel caso opposto, in cui la P.A. decida di non instaurare o non proseguire il rapporto[23].

Orbene, in caso di informativa atipica, il valore della “certezza” diventa ancor più recessivo, potendo essa, proprio per la sua caratteristica derogabilità, legittimamente fondarsi su elementi dotati di un ridotto grado di conducenza, purché indicativi di rapporti non chiari con la criminalità mafiosa, od anche su eventi risalenti nel tempo[24].

Tornando all’informativa tipica, la giurisprudenza formatasi nel corso degli anni ha chiarito come la valutazione dei tentativi di infiltrazione debba avvenire nella logica delle caratteristiche sociologiche del fenomeno, senza doversi concretizzare necessariamente in fatti univocamente illeciti od in accertate responsabilità penali, ma fermandosi sulla soglia dell’intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente.

Pertanto, a sostegno del quadro indiziario del provvedimento, assumono un rilievo preponderante non tanto le prove, ma tutti quei fattori induttivi, che consentono di delineare un giudizio prognostico ragionevole e circostanziato, alla luce dell’ampio margine di accertamento e di apprezzamento delle emergenze fattuali[25].

Una frattura, tuttavia, sembra tuttora restare aperta tra il Consiglio di Stato ed il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana, riguardo al criterio metodologico da utilizzare per considerare raggiunta ed oltrepassata la soglia del pericolo.

Secondo il Consiglio di Stato[26], infatti, quel che importa è che gli elementi posti a base dell’informativa abbiano una consistenza storico-oggettiva, e non congetturale, e che siano «sintomatici del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa, anche al di là, e persino contro, la volontà del singolo».

Gli stessi, pertanto, non solo possono non avere rilevanza penale, o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali, ma, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

Ciò discende dal fatto che l’informativa antimafia, non avendo natura nemmeno latamente sanzionatoria, rifugge da qualsiasi meccanismo penalistico di certezza probatoria, da raggiugersi secondo il canone “dell’aldilà di ogni ragionevole dubbio”.

Una simile logica, infatti, ne vanificherebbe la finalità anticipatoria, che è quella di prevenire un grave pericolo, e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

Ne consegue che «l’autorità prefettizia deve valutare il rischio che l’attività di impresa possa essere oggetto di infiltrazione mafiosa, in modo concreto ed attuale, sulla base dei seguenti elementi:

a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;

b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione;

c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso decreto legislativo n. 159 del 2011;

d) i rapporti di parentela;

e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;

f) le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa;

g) le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa;

h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;

i) l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità»[27].

Sulla base di tali elementi, il rischio di inquinamento mafioso va verificato sulla base alla regola “del più probabile che non”, attingendo da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è anche quello mafioso.

A questa impostazione, fa da contraltare il Consiglio di giustizia amministrativa[28], il quale – rifacendosi ad un orientamento datato del Consiglio di Stato[29] – intende e qualifica l’interdittiva antimafia come «misura di prevenzione sui generis» che, paradossalmente, finisce per determinare un pregiudizio anche a carico di soggetti totalmente incolpevoli.

La sua applicazione dev’essere perciò “dosata” con particolare prudenza e con equilibrio ed avvolta da specifiche “cautele”, affinché sia scongiurato il rischio che la normativa subisca censure di incostituzionalità, o determini procedimenti di infrazione per violazione di diritti inviolabili garantiti dal diritto comunitario ed internazionale, o venga comunque censurata dagli organi della giustizia comunitaria.

Perché si abbia un tentativo di infiltrazione mafiosa, occorrono, dunque, essenzialmente tre circostanze:

a) che siano individuati e descritti gli atti idonei, diretti in modo non equivoco, a conseguire lo scopo di condizionare le decisioni dell’impresa che subisce l’infiltrazione;

b) che sia individuato almeno un autore o un mandante del tentativo di infiltrazione;

c) che tale soggetto sia qualificabile come “mafioso in senso tecnico” (si tratti, cioè: di soggetto attinto da provvedimenti giudiziari penali per mafia o per altri “reati-spia”, espressivi di contiguità all’ambiente mafioso, ovvero di soggetto con questi convivente, in ragione di una deliberata scelta di “contiguità”, che ne contraddistingua la condotta di vita).

Quanto, infine, alle ipotesi concrete, viene generalmente escluso che i rapporti di parentela, coniugio od affinità con soggetti malavitosi siano da soli sufficienti a suffragare l’ipotesi della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, dovendo accompagnarsi ad ulteriori elementi che inducano a sospettare che il vincolo familiare assuma particolare significatività sotto il profilo della contiguità, ed assicuri copertura ad operazioni commerciali di carattere fiduciario, volte a favorire il reinvestimento o l’occultamento di risorse provenienti da attività illecite[30].

Pure insufficiente è la mera frequentazione con malavitosi, in mancanza di una specifica significatività e pregnanza del dato emerso con la finalizzazione al condizionamento mafioso dell’attività imprenditoriale, risultando perciò necessari indizi aggiuntivi, quali il carattere plurimo e stabile delle frequentazioni e la loro connessione con vicende dell’impresa, che depongano nel senso di un’attività sintomaticamente connessa a logiche ed interessi criminali[31].

Per contro, sono state ritenute rilevanti: la circostanza che un numero congruo di dipendenti di un’impresa sia direttamente ricollegato o ricollegabile a sodalizi criminali operanti nel territorio e che tali sodalizi siano essenzialmente omogenei tra loro[32]; il fatto che l’imprenditore abbia rivolto plurime offerte di lavoro a soggetti controindicati[33]; una stratificata situazione di parentele dirette tra gli amministratori della società e partecipanti di organizzazione mafiosa tratti in arresto[34]; compartecipazioni sociali o societarie[35] ed anche più situazioni tra quelle descritte concorrenti tra loro[36].

Per concludere, va precisato che i tentativi di infiltrazione possono evincersi pure dal fatto che l’impresa sia stata vittima di delitti da parte di un’organizzazione criminale, subendone la pressione estorsiva fino al punto di risultare fortemente compromessa, se non addirittura persa, la capacità di autodeterminazione.

E’ questa la fattispecie sintomatica della “contiguità soggiacente” che, sebbene ontologicamente distinguibile da quella più grave della volontaria sottomissione, indicata come “contiguità compiacente”, non è meno ragguardevole, al fine dell’adozione di un’informazione interdittiva tipica[37].

La fattispecie si trova oggi inquadrata all’articolo 84, comma 4, lettera c), del codice, che consente di desumere i tentativi di infiltrazione dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di concussione od estorsione aggravati dalla finalità mafiosa, salvo il ricorrere dell’esimente dello stato di necessità. L’omessa denuncia deve risultare da una richiesta di rinvio a giudizio e dev’essere comunicata alla prefettura dal procuratore della Repubblica procedente (comma 4-bis).

La disposizione in parola fa il paio con l’articolo 80, comma 5, lettera l), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. nuovo codice dei contratti pubblici), che commina l’esclusione automatica dalle gare dell’operatore economico che, essendo stato vittima di particolari reati[38], «non risulti aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. La circostanza di cui al primo periodo deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’ANAC, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell’Osservatorio»[39].

A tal riguardo, non va sottaciuto come la tipizzazione di questa ipotesi abbia fatto molto discutere, essendosi messo in luce il rischio di penalizzare due volte la vittima di un reato[40].

 

[1] Per gli aspetti generali, cfr. CARINGELLA, La normativa antimafia, in Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Milano, 2007, 2315 e segg.; MUTTONI, Informazioni prefettizie antimafia e appalti. Testi, contesti e Costituzione, in Contratti dello Stato e degli enti pubblici, 2008, 161 e segg.; MEZZOTERO, Le informative prefettizie antimafia: natura, tipologie ed effetti interdittivi, in Giur. merito, 2009, 4, 1073 e segg.; DE VITA, Tutela penale dei pubblici incanti, in Commentario al codice dei contratti pubblici, Torino, 2010, 1117 e segg.; FRATTASI-GAMBACURTA, Il rilascio dell’informazione antimafia e La documentazione antimafia: tipologia e contenuto, in Commento al codice antimafia, Rimini, 2011; CARBONE, Normativa antimafia e contratti pubblici, in Riv. trim. appalti, 2012, 173 e segg.; BUSCEMA, L’informativa prefettizia antimafia tra esigenze di prevenzione e libertà d’iniziativa economica privata, 2012, in www.giustamm.it.; D’ANGELO, La documentazione antimafia nel decreto legislativo 6 settembre 2011, n, 159: profili critici, in Urbanistica e appalti, 2013, 257 e segg.; GULLO, Commento all’articolo 247 (normativa antimafia), in Il codice dei contratti pubblici commentato, Assago, 2013, 2569 e segg.; DURANTE, Ambiti di discrezionalità in materia di documentazione antimafia per le imprese, in Giurisdizione amministrativa, 2013, 4, IV, 151 e segg. e in www.giustizia-amministrativa.it.

[2] Per le infrastrutture strategiche, cfr. la delibera C.I.P.E. 3 agosto 2011, n. 58, recante «approvazione linee guida per la stipula di accordi in materia di sicurezza e lotta antimafia ex articolo 176, comma 3, lettera e), del decreto legislativo n. 163/2006 e s.m.i.», pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 2012, n. 3.

[3] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 23 maggio 2013, n. 2798, laddove, successivamente all’adozione dell’informativa, era stata mutata la compagine sociale, allo scopo di renderla indenne dal pericolo di permeabilità mafiosa.

[4] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 4 novembre 2011, n. 5118; 29 gennaio 2009, n. 524; 8 novembre 2005, n. 18714.

[5] L’art. 86, comma 2-bis, del codice, prevede che l’informativa «è utilizzabile e produce i suoi effetti anche in altri procedimenti, diversi da quello per il quale è stata acquisita, riguardanti i medesimi soggetti».

[6] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247.

[7] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4121 e 22 gennaio 2014, n. 292; Sez. VI, 30 dicembre 2011, n. 7002; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 9 marzo 2016, n. 266.

[8] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5256 e T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 15 gennaio 2016, n. 123.

[9] Cfr. comunicato del Presidente ANAC del 27 maggio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 giugno 2015, n. 143.

[10] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653.

[11] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4121 e Sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4602.

[12] E cioè: «a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione; c) salvo che ricorra l’esimente di cui all’articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste».

[13] E cioè: «d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all’articolo 93 del presente decreto; e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d)».

[14] E cioè: «f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia».

[15] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 5 dicembre 2016, n. 1220, secondo cui, in presenza di fattori qualificanti (nella specie, operazione effettuata tra fratelli all’indomani della emissione di una interdittiva antimafia), la cessione del ramo d’azienda può costituire uno strumento per mezzo del quale una impresa divenuta incapace a contrarre con la pubblica amministrazione può continuare a lucrare indebitamente, insinuandosi nel contesto aziendale dell’impresa cessionaria e mantenendo il controllo della specifica attività.

[16] «Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall’articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689».

[17] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 28 aprile 2016, n. 1632.

[18] Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 28 aprile 2009, n. 793.

[19] Per gli aspetti generali, cfr. GRIBAUDI, L’informativa prefettizia relativa ai tentativi di infiltrazione mafiosa: caratteri ed effetti, in Corr. merito, 2010, 2, 211 e segg..; NERI, Informativa antimafia e contrasto alla criminalità organizzata, in Corr. merito, 2010, 8/9, 801 e segg.

[20] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 marzo 2007, n. 1056; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 12 febbraio 2007, n. 36; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 10 luglio 2003, n. 8138 e 12 giugno 2002, n. 3403.

[21] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 19 gennaio 2012, n. 254 e Sez. VI, 28 aprile 2010, n. 2441.

[22] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 28 novembre 2013, n. 5698.

[23] Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 dicembre 2014, n. 12437.

[24] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 5165.

[25] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012, n. 4708 e 30 gennaio 2012, n. 444; Sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3647.

[26] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 23 giugno 2016, n. 3505.

[27] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743, contenente il c.d. “catalogo” dei fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare ai fini dell’adozione della misura interdittiva.

[28] Cfr. C.G.A., 3 agosto 2016, n. 257.

[29] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2006, n. 4135 e Sez. IV, 4 maggio 2004, n. 2783.

[30] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 1 agosto 2007, n. 7188.

[31] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2009, n. 6380; T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 26 luglio 2011, n. 271.

[32] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 23 marzo 2011, n. 192, con riferimento ad una cooperativa sociale.

[33] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 7 aprile 2009, n. 224.

[34] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5753.

[35] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2005, n. 5952; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, n. 66 e 20 ottobre 2010, n. 943.

[36] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, n. 66, relativamente alla fattispecie in cui un socio accomandatario è gravato da più precedenti penali, due altri soci accomandatari versano in una serie di stretti legami parentali con pluripregiudicati, mentre la società è, a sua volta, socia accomandataria di altra impresa, attinta da certificazione antimafia.

[37] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7619.

[38] Sono quelli previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.

[39] La previsione era già presente nel previgente codice dei contratti pubblici, perché inserita dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, mediante aggiunta, all’articolo 38, della lettera m-ter).

[40] Cfr. NAPOLI, Imprese vittime della criminalità organizzata ed esclusione dalle pubbliche gare, in Urbanistica e appalti, 2009, 12, 1413 e segg., dove si illustrano i principali problemi applicativi ed i vari aspetti conflittuali della disposizione che determina l’esclusione dalle gare pubbliche in caso di omessa denuncia dei reati di estorsione e concussione aggravata, sia rispetto alle direttive comunitarie, sia nei confronti del dettato costituzionale.