Consiglio di Giustizia Amministrativa, sentenza 20 dicembre 2016, n. 474.

1) Secondo una pacifica giurisprudenza, chi sia insorto in giudizio avverso la propria esclusione da una gara è onerato di estendere il proprio gravane anche alla sopravvenuta aggiudicazione definitiva dello stesso appalto, giacché tale provvedimento statuirebbe in modo decisivo sulla spettanza della commessa a uno tra i concorrenti.

 

2) Una soluzione diversa s’impone quando il ricorso originariamente proposto abbia investito in radice proprio l’indizione della singola gara in ragione della sua impostazione, contestando proprio la scelta della stazione appaltante di bandire quella determinata procedura.

Ove il ricorrente non intenda contestare l'esito della gara, bensì, a monte, la possibilità stessa della relativa procedura, il rapporto tra gli atti che l’hanno indetta e la sua aggiudicazione definitiva si configura nel senso di una consequenzialità immediata, diretta e necessaria.

 

3) La circostanza che la base d’asta di una gara al ribasso sia manifestamente insufficiente alla copertura dei costi che le imprese affronteranno per assicurare la relativa commessa non costituisce, quando ricorra, una mera difficoltà attinente all’appropriata formulazione dell’offerta, bensì si traduce in un fattore, a rigore, de facto ostativo alla partecipazione, che mina in radice la serietà delle offerte di gara e perciò dell’intero procedimento contrattuale.

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 796 del 2016, proposto dalla IGM Rifiuti Industriali s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Bivona e Marianna Capizzi, con domicilio eletto presso l’avvocato Margot Bellomo in Palermo, via La Lumia 7;

contro

Kalat Ambiente S.R.R. s.c.p.a. – preposta al bacino ATO Catania Provincia Sud, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Scuderi, con domicilio eletto presso l’avvocato Daniela Macaluso in Palermo, via G. Ventura 1;

nei confronti di

Econord s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Riccardo Rotigliano, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Filippo Cordova 95;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SICILIA - SEZ. STACCATA DI CATANIA, Sez. III, n. 2042/2016, resa tra le parti, concernente appalto settennale del servizio di igiene pubblica e raccolta dei rifiuti all'interno dell'ATO Catania Provincia Sud.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Kalat Ambiente S.R.R. s.c.p.a. e della Econord s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2016 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati A. Bivona e R. Rotigliano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 La IGM Rifiuti Industriali s.r.l. con ricorso al T.A.R. per la Sicilia – Sezione di Catania impugnava la specifica disciplina, comprensiva di Bando, Disciplinare, Capitolato Speciale, Progetto Tecnico e Schemi di Contratto, connotante la gara indetta dalla Kalat Ambiente S.R.R. S.c.p.a. (di seguito, la KALAT) per l'affidamento settennale del “Servizio di spazzamento, raccolta e trasporto allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani differenziati e indifferenziati, compresi quelli assimilati, ed altri servizi di igiene pubblica all'interno dell’A.T.O. Catania Provincia Sud”, sul territorio dei quindici comuni facenti parte di tale Ambito e per l’importo di euro 84.782.090,82. Veniva altresì impugnata la presupposta deliberazione del Consiglio di Amministrazione della KALAT n. 30 del 27 gennaio 2015 recante l'approvazione dei suddetti atti di gara.

La ricorrente introduceva a sostegno del ricorso le seguenti censure:

-violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 86, 89 e 94 del Codice dei Contratti pubblici;

-violazione e falsa applicazione dell’art. 279 del Regolamento di cui al d.P.R. n. 207/2010;

-violazione del canone del buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione;

-eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento dell’atto dal fine di interesse pubblico.

La società IGM deduceva che sarebbero stati violati i principi individuati dall’art. 86 del Codice dei contratti pubblici al fine di determinare il valore da porre a base della gara; carente sarebbe stata altresì la progettazione del servizio, con specifico riferimento al calcolo della spesa occorrente per la sua acquisizione; sarebbe poi mancato il prospetto economico degli oneri complessivi necessari per tale acquisizione, come prescritto dall’art. 279 del d.P.R. n. 207/2010.

Queste lacune avrebbero reso inintellegibili le modalità con cui la Stazione appaltante era pervenuta alla determinazione del prezzo a base d’asta. Né sarebbe stata chiarificatrice, sul punto, la risposta data dal R.U.P. alla specifica richiesta di chiarimenti rivoltagli dalla stessa società ricorrente, risposta secondo la quale le modalità di determinazione del prezzo sarebbero state rinvenibili nel Progetto Tecnico (pagine 14-29), giacché questo avrebbe invece contenuto solo la descrizione tecnica dei servizi e delle loro modalità di svolgimento, senza offrire indicazioni di natura economica.

La società IGM affermava, inoltre, che la base d’asta determinata dalla KALAT sarebbe stata insufficiente a coprire i costi della produzione e a garantire un pur minimo utile d’impresa (la tabella da essa predisposta avrebbe evidenziato che il costo del personale, dei mezzi e delle attrezzature richieste e il costo per la provvista di un’area deputata al ricovero dei mezzi avrebbero assorbito, superandolo, il canone annuale previsto nel bando).

Sulla scorta di tali censure veniva quindi richiesto l’annullamento degli atti di gara e il risarcimento del danno a carico dell’Ente appaltante.

Resisteva all’impugnativa la KALAT.

La Stazione appaltante eccepiva in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, tra l’altro, per la mancata partecipazione della società IGM alla gara pur in assenza di clausole escludenti nel bando.

Nel merito la KALAT opponeva l’infondatezza delle censure avversarie, allegando la piena conformità degli atti di gara alla pianificazione strategica dei servizi d’igiene urbana da espletare: tanto sulla scorta di schede d’individuazione dei servizi e di quantificazione dei costi approvate dai Comuni interessati sia con riferimento al personale che ai mezzi occorrenti, nonché alla luce dei conseguenti criteri fissati dal progetto tecnico (corredato di tabelle e schede di pianificazione dei servizi nei Comuni dell’A.T.O.).

La Stazione appaltante difendeva, inoltre, la congruità dell’importo a base d’asta respingendo le critiche avversarie concernenti il costo della mano d’opera. Questa sarebbe stata infatti erroneamente individuata dalla soc. IGM in 245 unità di personale a fronte della consistenza prevista dalla lex specialis di sole 220 unità.

Interveniva in giudizio ad opponendum la Econord s.p.a., mandataria del raggruppamento con la AGESP s.p.a. che aveva partecipato alla gara quale unico concorrente, la quale allegava il proprio interesse all’espletamento dell’appalto.

La domanda cautelare proposta con il ricorso veniva respinta con ordinanza n. 527/2015, riformata in appello ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito.

2 All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale adìto, con la sentenza n. 2609/2015 in epigrafe, in accoglimento dell’eccezione sollevata dalla Stazione appaltante dichiarava il ricorso inammissibile.

3 Seguiva avverso tale decisione la proposizione del presente appello da parte della soccombente, che contestava analiticamente le argomentazioni a base della declaratoria emessa dal T.A.R. e riproponeva le proprie censure avverso gli atti di gara.

Anche nel nuovo grado di giudizio resistevano all’impugnativa la Stazione appaltante e la soc. Econord, resasi frattanto aggiudicataria definitiva della commessa. Entrambe deducevano l’inammissibilità dell’appello, la sua improcedibilità per omessa impugnativa della sopraggiunta aggiudicazione, e comunque la sua infondatezza nel merito.

Questo Consiglio con ordinanza del 13 settembre 2016 accoglieva la domanda cautelare proposta dall’appellante.

Le parti contrapposte approfondivano e sviluppavano ulteriormente le rispettive tesi con memorie e conclusivi scritti di replica.

Alla pubblica udienza del 17 novembre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

4 L’appello merita scrutinio favorevole nella parte avversante la declaratoria d’inammissibilità emessa dal Tribunale, ma il ricorso di primo grado, pur se ammissibile, nel merito è tuttavia infondato.

5a Il Collegio deve preliminarmente esaminare l’eccezione d’improcedibilità del ricorso sollevata dalle parti appellate sul rilievo della mancata impugnativa dell’aggiudicazione definitiva conseguita nelle more del giudizio dal RTI guidato dalla soc. Econord.

5b L’eccezione è infondata.

Secondo una pacifica giurisprudenza, chi sia insorto in giudizio avverso la propria esclusione da una gara, o contro un’aggiudicazione solo provvisoria a terzi, è onerato di estendere il proprio gravane anche alla sopravvenuta aggiudicazione definitiva dello stesso appalto, giacché tale provvedimento statuirebbe in modo decisivo sulla spettanza della commessa a uno tra i concorrenti.

Deve però convenirsi con la difesa della soc. IGM che una soluzione diversa s’impone quando il ricorso originariamente proposto abbia investito in radice proprio l’indizione della singola gara in ragione della sua impostazione, contestando proprio la scelta della Stazione appaltante di bandire quella determinata procedura.

Ove il ricorrente non intenda contestare l'esito della gara, bensì, a monte, la possibilità stessa della relativa procedura, il rapporto tra gli atti che l’hanno indetta e la sua aggiudicazione definitiva si configura nel senso di una consequenzialità immediata, diretta e necessaria.

L'atto conclusivo si pone, cioè, come inevitabile conseguenza di quelli iniziali. Sul punto di cui si duole la ricorrente non vi è nuovo esercizio di discrezionalità amministrativa in senso proprio, ma l'aggiudicazione definitiva si atteggia come una mera conferma della scelta operata con gli atti che hanno indetto la gara: sicché in questi casi l'annullamento del bando travolge quindi automaticamente anche il provvedimento di aggiudicazione (cfr. C.d.S., Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1828; 8 marzo 2011, n. 1463, resa proprio in una fattispecie di appalto da affidare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui la ricorrente aveva dedotto che le condizioni di gara non le avrebbero consentito di presentare un’offerta economicamente sostenibile; 28 ottobre 2008, n. 5384, con ulteriori richiami giurisprudenziali).

Per quanto detto, dunque, poiché nell’ipotesi di un accoglimento del ricorso proposto dalla IGM contro l’indizione della procedura in esame sarebbe venuta meno anche la relativa aggiudicazione finale al RTI della Econord, non sussisteva l’onere d’impugnare anche quest’ultimo atto.

Da qui il rigetto dell’eccezione.

6a La sentenza oggetto del presente appello, pur riconoscendo che la ricorrente non aveva l’onere di presentare una domanda di partecipazione alla gara in controversia (capo di decisione sul quale non è stato interposto gravame), ha dichiarato inammissibile il ricorso di prime cure, in sintesi, sulla scorta dei seguenti argomenti:

- l’immediata impugnabilità di un bando sussiste dinanzi a clausole sui requisiti di partecipazione che siano ex se ostative all´ammissione alla gara, oppure nelle ipotesi in cui vengano imposti ai fini della partecipazione degli oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati rispetto ai contenuti della procedura, mentre va invece esclusa nei casi di clausole dotate di una lesività solo astratta e potenziale;

- nel caso di specie, di contro, il bando non conteneva clausole escludenti, né limitazioni di sorta alla partecipazione delle imprese;

- la ricorrente, infine, non ha fornito un principio di prova in ordine al possesso da parte sua dei requisiti richiesti per partecipare alla gara, essendosi limitata a dedurre di operare nel settore con 333 addetti, di avere un capitale sociale di quattrocentomila euro e di avere interesse all’aggiudicazione dell’appalto.

6b Le contestazioni dell’appellante alla declaratoria d’inammissibilità così motivata meritano adesione.

6c La critica di fondo mossa all’impianto della gara in esame è quella per cui la Stazione appaltante, omettendo un’adeguata istruttoria sui costi inerenti al servizio da affidare, sarebbe pervenuta a fissare un valore a base d’asta del tutto insufficiente a coprire tali costi e garantire un utile d’impresa.

Ora, una simile censura rientrava effettivamente nel ristretto novero delle critiche di legittimità giustificanti una pronta impugnativa degli atti d’indizione delle gare, in deroga al principio generale che esclude la loro impugnabilità immediata e non permette quindi, di regola, la valutabilità ex ante della legittimità dell’assetto impresso alle corrispondenti procedure.

6d Come questo Consiglio ha recentemente osservato (C.G.A.R.S., 8 agosto 2016, n. 258, e 23 agosto 2016, n. 275), invero, l’ambito d’immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella che la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta.

Secondo l’impostazione corrente in giurisprudenza, infatti, nelle gare pubbliche è necessario procedere alla pronta impugnazione dei relativi atti d’indizione quando si lamenti che le loro clausole impediscano, indistintamente per tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione delle proposte individuali, pregiudicando così il corretto esplicarsi della gara.

Più in dettaglio, una situazione siffatta è riscontrabile di fronte a clausole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile, o impongano obblighi contrari alla legge, o prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta, ma è ammessa altresì in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, o davanti a condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente, o infine al cospetto di gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (C.d.S., III, 23 gennaio 2015, n. 293; in termini, V, 18 giugno 2015, n. 3104; analogamente, nel senso dell’immediata impugnabilità dell’atto indittivo la cui genericità impedisca la formulazione delle offerte e l'individuazione dei parametri del giudizio della Commissione, v. sez. III, 19 febbraio 2016, n. 697; nel senso che l'onere di un ricorso immediato sorge anche in relazione alle clausole che impongano oneri incomprensibili o manifestamente sproporzionati, come tali immediatamente ostativi alla partecipazione alla gara, oppure, ancora, rechino criteri selettivi inapplicabili o criteri di valutazione incongrui e fonti d'incertezza e di imprevedibili effetti distorsivi sull'offerta, v. sez. IV, 26 febbraio 2014, n. 936, e infine 13 marzo 2014, n. 1243).

6e Tra le ipotesi derogatorie appena illustrate rientra, pertanto, anche quella integrata dalla presenza di condizioni negoziali tali da rendere il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente.

La giurisprudenza riconosce, in altre parole, carattere lato sensu escludente non solo alle clausole che concernono i requisiti di partecipazione in senso stretto, ma anche a quelle che prevedono condizioni negoziali eccessivamente onerose od oggettivamente non convenienti (fra le più recenti, in termini, C.d.S., III, 2 febbraio 2015, n. 491; VI, 8 febbraio 2016, n. 510; V, 16 novembre 2015, n. 5218, e 18 giugno 2015, n. 3104).

E anche da ultimo è stato confermato che l'illegittimità di regole inidonee a consentire una corretta e concorrenziale offerta economica incide direttamente sulla formulazione della medesima, con la conseguenza che la lesività di una simile disciplina va immediatamente contestata, senza attendere l'esito della gara (C.d.S., IV, 11 ottobre 2016, n. 4180).

La circostanza, del resto, che la base d’asta di una gara al ribasso sia manifestamente insufficiente alla copertura dei costi che le imprese affronteranno per assicurare la relativa commessa non costituisce, quando ricorra, una mera difficoltà attinente all’appropriata formulazione dell’offerta, bensì si traduce in un fattore, a rigore, de facto ostativo alla partecipazione, che mina in radice la serietà delle offerte di gara e perciò dell’intero procedimento contrattuale.

6f Da quanto esposto già emerge, dunque, l’ammissibilità del nucleo centrale del ricorso di primo grado.

6g Né la sua inammissibilità poteva essere fatta risalire, come pure è stato ritenuto dal T.A.R., alla mancata dimostrazione, da parte della IGM, del possesso dei requisiti per l’ammissione alla gara.

Proprio perché la ricorrente contestava l’impostazione della specifica procedura, non intendendo quindi prendervi parte, e lo stesso T.A.R. ha escluso, correttamente, che essa fosse onerata di presentarvi una domanda di ammissione, si rivela priva di base logica la pretesa che la IGM dimostrasse il possesso da parte sua dei relativi requisiti particolari di partecipazione.

La ricorrente aveva documentato che la propria attività prevalente era proprio quella della raccolta dei rifiuti, nonché fornito i dati riflettenti il proprio capitale sociale e numero degli addetti. E tanto poteva essere ritenuto sufficiente alla dimostrazione della sua appartenenza alla platea degli operatori potenzialmente interessati a una rinnovata messa a gara del servizio in questione.

7 Il ricorso introduttivo, benché nel suo nucleo centrale ammissibile (in linea con quanto sostenuto dall’IGM con il primo motivo d’appello), è tuttavia infondato nel merito.

8a Il Collegio nella propria disamina ritiene doveroso dare la precedenza al più pregnante dei rilievi sui quali è incentrata l’impugnativa, ossia quello per cui il prezzo a base d’asta sarebbe manifestamente insufficiente alla copertura dei costi dell’appalto.

Secondo i conteggi proposti dalla IGM, “a fronte di euro 12.111.727 quale canone annuo d’appalto fissato dall’art. 4 del Disciplinare di gara …, i costi per manodopera, mezzi e attrezzature ammontano alla superiore cifra di euro 12.257.966” (appello, pag. 33). Sicché a maggior ragione nella base d’asta non troverebbero copertura né le spese generali, né l’utile d’impresa.

8b Va allora subito evidenziato che il differenziale riscontrato dall’IGM tra il prezzo a base d’asta e il complesso dei costi implicati dall’appalto si presenta oggettivamente contenuto.

8c Tanto premesso, il Collegio deve senza indugio dar conto della fondatezza dell’obiezione della Stazione appaltante per cui la ricorrente ha erroneamente quantificato il costo della manodopera, ossia la voce di costo di gran lunga prevalente (assommante mediamente all’80 % della remunerazione prevista: cfr. la pag. 31 dell’atto di appello): l’errore dell’IGM è consistito nel computare per l’espletamento del servizio ben 245 unità di personale in luogo delle 220 unità previste invece dagli atti di gara, cosa che ha fatto considerevolmente lievitare l’entità dei costi esposti in ricorso.

8d La IGM, se per un verso ha ammesso essere “certamente vero che il Progetto Tecnico posto a base di gara indichi in n. 220 unità equivalenti il numero minimo degli addetti alla commessa” (memoria 5 novembre 2016, pag. 12), con analoga chiarezza ha riconosciuto, però, di avere impostato la propria perizia riguardante il costo del personale sul diverso dato di 245 addetti (memoria cit., pag. 13).

8e La ricorrente ha motivato la sua modalità di conteggio con l’osservazione che proprio in numero di 245, giusta indicazione del R.U.P., erano gli addetti complessivamente occupati presso i Comuni facenti parte dell’A.T.O., e come tali interessati a transitare alle dipendenze dell’aggiudicataria della gara in forza della clausola sociale recata dalla lex specialis.

La IGM ha fatto notare, infatti, che il dato di 220 unità stabilito dalla disciplina di gara sarebbe stato disallineato sia rispetto alle “risultanze effettive del serbatoio di manodopera in forza ai Comuni interessati”, sia rispetto all’osservanza dovuta alla suddetta clausola sociale, elementi che avrebbero imposto appunto di commisurare il costo del personale al superiore dato di 245 unità.

8f La posizione della ricorrente è però smentita dalla lex specialis.

L’art. 18 del capitolato speciale stabiliva che la ditta appaltatrice avrebbe dovuto disporre di personale, “nelle quantità non inferiori a quelle indicate nella tabella “Personale” prevista nel progetto tecnico, con l’obbligo ad assumere prioritariamente gli stessi addetti che operano alle dipendenze degli appaltatori uscenti”. E ribadiva che il relativo obbligo di assunzione avrebbe operato “nei limiti numerici, non inferiori a quelle indicate nella tabella “Personale” prevista nel progetto tecnico” (precisazione riproposta dal disciplinare nel paragr. 16.10 sub b)).

Correttamente, pertanto, la Stazione appaltante ha osservato che la clausola sociale invocata exadverso non prevedeva affatto un obbligo di integrale assorbimento di tutta la manodopera in servizio presso gli appaltatori uscenti (obbligo che sarebbe stato anche in contrasto con gli obiettivi di razionalizzazione ed efficientamento perseguiti dal progetto d’Ambito), ma contemplava unicamente una priorità di assunzione contenuta entro il limite delle 220 unità stabilito dal progetto tecnico a base di gara.

8g Ne consegue che i conteggi che hanno condotto la ricorrente ad affermare l’insufficienza della base d’asta alla copertura dei costi d’appalto si dimostrano inattendibili, siccome inficiati da una indebita e cospicua maggiorazione del costo del lavoro; senza dire degli addizionali costi per equipaggiamento e attrezzature indotti dal maggior numero di unità indebitamente incluse nel computo.

Ne discende, inoltre, che il ripristino di un corretto computo dei costi corrispondenti alle effettive unità da considerare vale ad assorbire la modesta incapienza che la IGM aveva riscontrato nella base d’asta nei termini esposti nel precedente paragr. 8a, con il risultato che l’ammontare di quest’ultima risulta riconducibile a una soglia immune da vizi di manifesta inadeguatezza.

9 Resta da dire, a questo punto, delle residue censure formulate dalla IGM, che riguardano l’incompletezza formale della documentazione di gara riflettente le modalità con cui la Stazione appaltante è pervenuta alla determinazione del prezzo a base d’asta, e la carenza d’istruttoria che da tale incompletezza viene desunta.

In proposito è agevole però osservare che, una volta esclusa la censurabilità sostanziale dell’adeguatezza del valore economico assunto a base della gara, si deve giocoforza concludere che le lacune segnalate dalla IGM, avendo natura solo meramente formale, non potrebbero integrare una lesione tale da giustificare ex se un’immediata impugnativa del bando.

Rilievi di questo genere non rientrano, infatti, in alcuna delle ipotesi segnalate nel precedente paragr. 6d, dal momento che non può addebitarsi alla Stazione appaltante, in particolare, di avere imposto condizioni negoziali atte a rendere l’appalto eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente, né di essersi dotata di una lex specialis che non permetteva la formulazione di offerte serie e ponderate.

Le censure residue non sono perciò suscettibili di disamina.

10 In conclusione, in riforma della sentenza impugnata il ricorso di primo grado, pur risultato ammissibile, deve nel suo insieme essere respinto nel merito in quanto infondato.

Le spese processuali sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,

pronunciando sull'appello in epigrafe, in riforma per quanto di ragione della sentenza impugnata respinge il ricorso di primo grado.

Condanna la società appellante al rimborso alle parti appellate delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida nella complessiva misura di euro tremila, oltre gli accessori di legge, in favore di ciascuna delle aventi diritto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella Camera di consiglio del giorno 17 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente FF

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

Carlo Modica de Mohac, Consigliere

Alessandro Corbino, Consigliere

Giuseppe Barone, Consigliere

 

Guida alla lettura.

   

La sentenza in esame si sofferma su due interessanti profili processuali:

i) la necessità o meno che la proposizione di un ricorso avverso gli atti di gara imponga, ai fini della procedibilità, anche la contestazione della successiva aggiudicazione;

ii) la delimitazione delle circostanze che richiedono l’immediata impugnazione del bando.

 

i) Circa il primo degli aspetti segnalati, la giurisprudenza è costante nello statuire che l’interesse ad agire del ricorrente deve sussistere dal momento in cui il giudizio si incardina, fino alla sua conclusione.

Diversamente, qualora l’interesse venga meno in corso di causa, l’organo giudicante pronuncerà la declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., salvo che l’esame del provvedimento avversato sia imposto ai fini dello scrutinio di una domanda risarcitoria.

Pertanto, ove un’impresa contesti la propria esclusione dalla procedura selettiva e, al contempo, ambisca a conseguire la commessa pubblica, essa è altresì onerata di gravare tempestivamente la statuizione di aggiudicazione.

Qualora ciò non avvenga, il ricorso diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Il menzionato principio è il diretto riflesso del passaggio da una giurisdizione oggettiva, il cui precipuo scopo è garantire la conformità dell’azione amministrativa al paradigma legale, ad una giurisdizione soggettiva, che ha invece il fine di perseguire il soddisfacimento della pretesa dedotta in giudizio dal ricorrente.

La riportata regola ermeneutica è però derogata laddove la parte processuale deduca l’illegittimità dell’intera procedura selettiva.

In detta evenienza, per vero, se … il ricorrente non intenda contestare l'esito della gara, bensì, a monte, la possibilità stessa della relativa procedura, il rapporto tra gli atti che l’hanno indetta e la sua aggiudicazione definitiva si configura nel senso di una consequenzialità immediata, diretta e necessaria. L'atto conclusivo si pone, cioè, come inevitabile conseguenza di quelli iniziali.

Sul punto … non vi è nuovo esercizio di discrezionalità amministrativa in senso proprio, ma l'aggiudicazione definitiva si atteggia come una mera conferma della scelta operata con gli atti che hanno indetto la gara: sicché in questi casi l'annullamento del bando travolge quindi automaticamente anche il provvedimento di aggiudicazione.

Nell’ipotesi richiamata viene quindi a configurarsi un’invalidità caducante, che sussiste qualora l’acclarata illegittimità di un atto presupposto comporti anche la conseguenziale ed automatica caducazione degli atti a valle, legati da un nesso di stretta e necessaria dipendenza con l’atto a monte.

Alla luce delle argomentazioni esposte, il Giudice di secondo grado rigetta un’eccezione di improcedibilità avanzata dagli appellati.

 

ii) In ordine al secondo dei profili cennati, occorre osservare che, come noto, il bando di gara è atto amministrativo generale, le cui prescrizioni -tese a disciplinare la procedura selettiva- sono di per sé inidonee a ledere la sfera giuridica dei partecipanti, se non quando trovino puntuale attuazione con un successivo provvedimento.

L’assunto interpretativo trova però un’eccezione nei casi in cui le disposizioni della lex specialis siano da sole in grado di pregiudicare l’interesse di un partecipante.

Si parla all’uopo di clausole c.d. escludenti, categoria dal contenuto ampio, che accomuna tutti i precetti in forza dei quali la stazione appaltante esige che i partecipanti posseggano specifici requisiti ovvero, ancora, le “… ipotesi in cui vengano imposti ai fini della partecipazione degli oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati rispetto ai contenuti della procedura”.

A fronte di tali clausole, l’onere di impugnazione è immediato, poiché il ricorrente subisce già in questa fase una compressione dell’interesse al conseguimento del bene della vita.

In argomento, giova altresì osservare come la giurisprudenza più risalente ritenga che l’immediata contestazione del bando imponga -ai fini del previo vaglio di ammissibilità- che l’impresa deducente abbia presentato domanda di partecipazione alla selezione.

L’adempimento di questo onere è quindi valutato alla stregua di una manifestazione dell’interesse dell’operatore economico al perseguimento dell’utilità cui ambisce.

Successive pronunce hanno tuttavia disatteso questo orientamento.

Si è rilevato, invero, come per la legittimazione ad impugnare una lex specialis contenente clausole escludenti non sia necessario che il ricorrente assuma la qualità di partecipante, essendo sufficiente che il medesimo dimostri di operare nel settore in cui si assegna la commessa pubblica.

Tanto chiarito, con la sentenza esaminata il Consiglio di Giustizia Amministrativa accoglie in parte l’appello e riforma la gravata pronuncia del T.a.r. Catania, nella parte in cui dispone la declaratoria di inammissibilità dell’originario ricorso.

Nello specifico, il giudice di prime cure pur riconoscendo che la società ricorrente non avesse l’onere di presentare una domanda di partecipazione alla gara -secondo il segnalato insegnamento della recente giurisprudenza- ha emanato la contestata pronuncia in rito, ritenendo che il bando non contenesse clausole escludenti, né limitazioni di sorta alla partecipazione delle imprese.

L’appellante ha quindi sottoposto a critica la statuizione del T.a.r., rilevando come la stazione appaltante, omettendo un’adeguata istruttoria sui costi inerenti al servizio da affidare, sarebbe pervenuta a fissare un valore a base d’asta del tutto insufficiente a coprire i costi e garantire un utile d’impresa.

L’adito Consiglio ha ritenuto fondata la doglianza.

Evidenzia, in particolare, come “l’ambito d’immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella che la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta.

Secondo l’impostazione corrente in giurisprudenza, infatti, nelle gare pubbliche è necessario procedere alla pronta impugnazione dei relativi atti d’indizione quando si lamenti che le loro clausole impediscano, indistintamente per tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione delle proposte individuali, pregiudicando così il corretto esplicarsi della gara.

Più in dettaglio, una situazione siffatta è riscontrabile di fronte a clausole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile, o impongano obblighi contrari alla legge, o prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta, ma è ammessa altresì in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, o davanti a condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente, o infine al cospetto di gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta”.

Ne consegue pertanto che “tra le ipotesi derogatorie appena illustrate rientra anche quella integrata dalla presenza di condizioni negoziali tali da rendere il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente”.

Parimenti, il Consiglio di Giustizia Amministrativa esclude che l’inammissibilità del gravame possa altresì ravvisarsi, come pure è stato ritenuto dal T.a.r., nella mancata dimostrazione, da parte dell’originaria ricorrente, del possesso dei requisiti per l’ammissione alla gara.

Nella fattispecie, invero, la ricorrente aveva contestato l’impostazione della specifica procedura, non intendendo quindi prendervi parte, ed il medesimo T.a.r. aveva escluso correttamente che essa fosse onerata a presentare domanda di ammissione, divenendo quindi illogica la successiva pretesa che la società dimostrasse il possesso dei requisiti particolari di partecipazione.

La società appellante, infatti, aveva documentato che la propria attività prevalente fosse conforme all’oggetto della procedura, cioè la raccolta dei rifiuti, e tanto poteva essere ritenuto sufficiente alla dimostrazione della sua appartenenza alla platea degli operatori potenzialmente interessati all’assegnazione del servizio in questione, così da legittimare l’impugnazione del bando.