Tar Sicilia Palermo, Sez. III, 26/ ottobre 2016, n. 2531

1. Sulla base della costante giurisprudenza formatasi sul punto controverso, è illegittimo il provvedimento con il quale un Comune revochi in autotutela, nei confronti di una a.t.i., l’aggiudicazione di una gara di appalto, motivato con riferimento al fatto che la mandante è stata destinataria di una informativa interdittiva antimafia, nel caso in cui l’impresa mandataria della medesima a.t.i. abbia tempestivamente e formalmente comunicato alla stazione appaltante di volersi avvalere della facoltà che consente alla mandataria, nei casi previsti dalla normativa antimafia, di eseguire i lavori facenti capo alla mandante estromessa anche indicando altra impresa.

2. Tenuto conto che l’opera è stata interamente eseguita dal diverso aggiudicatario, non risulta più possibile il risarcimento in forma specifica attraverso la dichiarazione di inefficacia del contratto, dovendosi procedere all’accertamento del risarcimento per equivalente facendo ricorso alla valutazione equitativa del danno subito, ai sensi degli artt. 1226 e 2056, comma 2, del codice civile.

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

La sentenza in rassegna ribadisce a chiare lettere un dato pacifico in giurisprudenza: nello specifico caso in cui l’informativa antimafia colpisca imprese, diverse dalla mandataria, che operino in associazione o raggruppamento temporaneo di imprese di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 252/1998 (oggi trasfuso nell’art. 95 del Codice antimafia, con estensione a tutte le ipotesi di contratti pubblici), la misura interdittiva non si estende all’intero raggruppamento allorquando si dia luogo all’estromissione o sostituzione dell’impresa interdetta con le modalità indicate dalla norma regolamentare[1]

Nel caso sottoposto all’esame del Tar Sicilia, una associazione di imprese partecipava ad una gara avente ad oggetto lavori di ristrutturazione di un cine teatro allorquando, a seguito di interdittiva antimafia adottata nei confronti della mandante, la mandataria chiedeva alla stazione appaltante di poter individuare altra impresa con le medesime caratteristiche di quella ritenuta infiltrata.

Il Comune rigettava le richieste avanzate dalla mandataria e con determina dirigenziale revocava l’aggiudicazione precedentemente adottata in favore dell’ATI assumendo che, ai sensi dell’art. 12 del d.P.R. n. 252/1998, la stazione appaltante non è obbligata a invitare le imprese diverse da quelle colpite da interdittiva a estromettere o sostituire queste ultime e che l’accertamento a carico del concorrente partecipante alla gara in forma singola o associata e/o consorziata di tentativi di infiltrazione mafiosa comporta l’esclusione dalla gara o il recesso dal contratto.

La mandataria impugnava così il provvedimento di revoca nonché l’aggiudicazione adottata in favore della seconda classificata per violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 252/1998 instando per il risarcimento dei danni.

La sentenza in commento, nel richiamare la costante giurisprudenza formatasi sul punto, osserva in primo luogo che è ormai pacifica “l’illegittimità del provvedimento con il quale un Comune revochi in autotutela, nei confronti di una a.t.i., l’aggiudicazione di una gara di appalto, motivato con riferimento al fatto che la mandante è stata destinataria di una informativa interdittiva antimafia, nel caso in cui l’impresa mandataria della medesima a.t.i. abbia tempestivamente e formalmente comunicato alla stazione appaltante di volersi avvalere della facoltà che consente alla mandataria, nei casi previsti dalla normativa antimafia, di eseguire i lavori facenti capo alla mandante estromessa anche indicando altra impresa”.

La pronuncia, muovendo dall’insegnamento del massimo giudice amministrativo intervenuto sul previgente art. 12 del d.P.R. n. 252/1998 (oggi trasfuso nell’art. 95 del codice antimafia), precisa che la norma in parola attiene alla specifica ipotesi in cui la perdita di capacità ad assumere la qualità di contraente con la pubblica amministrazione ricada su imprese, diverse dalla mandataria, che operino in associazione, raggruppamento temporaneo o facciano parte di consorzio non obbligatorio; nel caso descritto, laddove si provveda all’estromissione o alla sostituzione dell’impresa interdetta con le modalità indicate dalla norma regolamentare, la misura interdittiva non si estende all’intero raggruppamento.

Continua la sentenza in commento con l’affermare che l’art. 4 della legge n. 490/1998 assume a riferimento le posizioni e l’assetto organizzativo delle singole imprese agli effetti delle misure interdittive ivi previste e, dunque, l’art. 12 del d.P.R. n. 252/1998, lungi dal violare il reticolo della norma primaria, conferma piuttosto, per i raggruppamenti e i consorzi di imprese, la regola in essa contenuta ossia la rilevanza della responsabilità propria dell’impresa ritenuta infiltrata.

Tali precisazioni appaiono in linea con quanto disposto dall’art. 37, comma 19, del d.lgs. n. 163/2006, il quale prevede, per i contratti conclusi con imprese in associazione, la possibilità di sostituire l’impresa mandante oltre che nei casi di fallimento o, se imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione, fallimento anche nei casi previsti dalla normativa antimafia.

Proprio la norma di settore da ultimo citata confermerebbe la ratio già insita nell’art. 12 del d.P.R. n. 252/1998 consistente nell’armonizzare l’esigenza di proseguire l’iniziativa economica delle imprese in forma associata con quella afferente alla sicurezza e all’ordine pubblico connessa alla repressione dei fenomeni di stampo mafioso ogni qualvolta, a mezzo di pronte misure espulsive, si determini volontariamente l’allontanamento e la sterilizzazione delle imprese in periculum di condizionamento malavitoso[2].

Nella fattispecie sussistono, dunque, a parere del Collegio, tutte le condizioni per l’applicazione della norma oggi trasfusa nell’art. 95 del Codice antimafia posto che l’informativa ha riguardato l’impresa mandante e non la mandataria e quest’ultima ha comunicato alla stazione appaltante, prima della stipulazione del contratto, la volontà di estromettere dall’ATI la mandante ritenuta infiltrata.

Sulla scorta di tali motivazioni, la sentenza in rassegna ha ritenuto fondata la pretesa della ricorrente in relazione alla illegittimità dell’atto di autotutela adottato dall’amministrazione comunale che erroneamente non ha tenuto conto della volontà riparatrice espressa dalla società concorrente con la nota di controdeduzioni.

Da un punto di vista risarcitorio, la pronuncia in commento, muovendo dalla constatazione che l’opera è stata eseguita interamente dal diverso aggiudicatario, riconosce di dover accogliere la domanda in termini di risarcimento per equivalente facendo applicazione delle disposizioni civilistiche in tema di valutazione equitativa del danno subito.

Viene così riconosciuto il danno nella misura del 5% del prezzo a base d’asta a fronte del 10% richiesto dalla ricorrente. Al riguardo, il Collegio ritiene dovuto il mancato utile in misura integrale solo ove il concorrente dimostri effettivamente di non aver potuto altrimenti utilizzare mezzi e maestranze poiché ha tenuto ferme tali risorse a disposizione in vista dell'aggiudicazione; in assenza di siffatta prova, si deve ragionevolmente ritenere che il concorrente possa aver riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, con la conseguente decurtazione del risarcimento di una misura che va computata a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.

In aggiunta alla misura equitativamente determinata, nella quale deve ritenersi compresa anche la pretesa perdita di chance concernente la mancata aggiudicazione della gara nonché le spese per la partecipazione alla procedura, il Tar riconosce poi il c.d. danno curriculare, ossia la possibilità di utilizzare l’esperienza e la professionalità che la ricorrente avrebbe maturato attraverso l’esecuzione dell’appalto, quantificandolo nell’1% del prezzo a base d’asta.

La sentenza in rassegna, in conclusione, quantifica complessivamente il danno subito dalla ricorrente nel 6% della predetta cifra, ridotto della percentuale di ribasso contenuta nell’offerta della concorrente, ritenendo tale somma soggetta a rivalutazione e interessi legali.

 

[1] Tar Campania Napoli, Sez. I, 9 gennaio 2015, n. 94.

[2] Cons. Stato, Sez. VI, 7 ottobre 2010, n. 7345; Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 2010, n. 7407.

 

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 196 del 2009, proposto da: 
-OMISSIS-rappresentati e difesi dall'avvocato Fabio Lo Presti C.F. LPRFBA68L03C351C, con domicilio eletto presso l’avv. Carmelo La Fauci Belponer in Palermo, viale Regina Margherita N.42; 

contro

Comune di Gela, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Mario Michele Giarrusso C.F. GRRMMC65B25C351R, con domicilio eletto presso l’avv. Luca Di Carlo in Palermo, via N. Morello N.40; 

nei confronti di

-OMISSIS-; 

per l'annullamento

della determinazione n. 1015 del 2 dicembre 2008 con la quale il dirigente del Settore Sviluppo Economico del Comune di Gela, dopo aver rigettato le memorie presentate, ha escluso le imprese dalla partecipazione alla gara per i lavori di ristrutturazione del cine teatro Eschilo;

della del. G.M. n. 442 del 1° dic. 2008 di esclusione;

del provvedimento di aggiudicazione alla seconda classificata;

e per la condanna

dell’Amministrazione al risarcimento danni in seguito ad esclusione affidamento lavori predetti;


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Gela;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2016 la dott.ssa Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

I – -OMISSIS-


 

. 442 del 2008 gravata e la determinazione dirigenziale conseguente n. 1015 del 2008, il Comune rigettava le controdeduzioni e disponeva la revoca dell’aggiudicazione, assumendo che il richiamato art. 12 non conterrebbe alcun obbligo per la stazione appaltante di invitare ditte diverse da quelle interessate da infiltrazioni mafiose ad estrometter o sostituire queste ultime e che in forza del richiamo espressamente contenuto nel bando e nel disciplinare alle clausole del protocollo di legalità pubblicato sul GURS n. 8 del 31 agosto 2006 e delle disposizioni sindacali prot. 1080 dell’8 agosto 2003, l’accertamento a carico del concorrente partecipante alla gara in forma singola o associata e/o consorziata di tentativi di infiltrazione mafiosa comporterebbe l’esclusione dalla gara o il recesso dal contratto.

Deducevano, dunque, la violazione dell’art. 12, d.P.R. n. 252 del 1998, nonché dell’art. 37, co. 19, d.lgs. n. 163 del 2006, come introdotto dal d.lgs. n. 113 del 2007 e sviamento di potere.

Le ricorrenti, pertanto, svolgevano anche domanda di risarcimento del danno per il comportamento colposo dell’amministrazione, nella misura del 10% della base d’asta ridotta di una percentuale pari al ribasso offerto ed ulteriore somma per perdita di chances per un importo pari al 5% dell’offerta formulata in sede di gara e del danno da interesse contrattuale negativo; sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno chiedevano ancora la rivalutazione monetaria dalla data di stipula del contratto e gli interessi nella misura legale secondo il tasso vigente all’epoca della stipulazione del contratto per una somma complessiva di euro 606.199,91 oltre accessori.

Si costituiva il Comune chiedendo l’integrale rigetto del ricorso.

Con ulteriore memoria per l’udienza di discussione la parte istante ribadiva che le imprese ricorrenti avevano chiesto di poter individuare altra impresa con le medesime caratteristiche di quella ritenuta infiltrata.

All’udienza di discussione la causa era trattenuta indecisione.

II – Osserva il Collegio che la causa può essere decisa sulla base della costante giurisprudenza formatasi sul punto controverso, con cui si è affermata l’illegittimità del provvedimento con il quale un Comune revochi in autotutela, nei confronti di una a.t.i., ’aggiudicazione di una gara di appalto, motivato con riferimento al fatto che la mandante è stata destinataria di una informativa interdittiva antimafia, nel caso in cui l’impresa mandataria della medesima a.t.i. abbia tempestivamente e formalmente comunicato alla stazione appaltante di volersi avvalere della facoltà che consente alla mandataria, nei casi previsti dalla normativa antimafia, di eseguire i lavori facenti capo alla mandante estromessa anche indicando altra impresa (TAR CAMPANIA - NAPOLI, SEZ. I - sentenza 9 gennaio 2015 n. 94).

Con riguardo alla disciplina vigente all’epoca, soccorre l’orientamento della giurisprudenza che intervenendo sull’art. 12 del d.P.R. n. 252/1998 (oggi trasfuso nell’art. 95 del codice

antimafia), ha avuto modo di precisare che tale norma si occupa della specifica ipotesi in cui la perdita di capacità ad assumere la qualità di contraente con la pubblica amministrazione ricada su imprese, diverse dalla mandataria, che operino in associazione, raggruppamento temporaneo o facciano parte di consorzio non obbligatorio. In tal caso la misura interdittiva non si estende all’intero raggruppamento ove si dia luogo, all’estromissione o sostituzione dell’impresa interdetta con le modalità indicate dalla norma regolamentare. Posto che l’art. 4 della legge n. 490 del 1998 assume a riferimento le posizioni e l’assetto organizzativo delle singole imprese agli effetti delle misure interdittive ivi previste, l’art. 12 del d.P.R. n. 252 del 1998 non viola il reticolo della norma primaria, ma è confermativo, per i raggruppamenti ed i consorzi di imprese, della regola in essa dettata che si incentra sulla responsabilità propria dell’impresa che sia incorsa nel pericolo di condizionamento mafioso. Peraltro, l’intervenuto l’art. 37 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che al comma 19, nel testo integrato dal d.lgs. 31 luglio 2007 dispone che “In caso di fallimento di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, e' tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purche' questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.

Successivamente, peraltro, è entrato in vigore il codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011) che all’art. 95, comma 1, dispone – confermando la precedente lettura delle disposizioni sin qui esaminate . che: “Se taluna delle situazioni da cui emerge un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4, ed all’articolo 91, comma 6, interessa un’impresa diversa da quella mandataria che partecipa ad un’associazione o raggruppamento temporaneo di imprese, le cause di divieto o di sospensione di cui all’articolo 67 non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto. La sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto”.

Nella specie rileva che prima della stipula del contratto, la parte ricorrente aveva offerto la sostituzione dell’impresa colpita da interdittiva.

La pretesa di parte ricorrente risulta, dunque, fondata con riferimento all’illegittimità dell’atto di autotutela adottato. Orbene, tuttavia, come affermato nella stessa memoria per la discussione, va tenuto conto nella decisione che l’opera è stata interamente eseguita, dal diverso aggiudicatario, sicchè la domanda di annullamento non può che essere convertita in una domanda di accertamento dell’occorsa illegittimità ai fini dell’ulteriore pretesa risarcitoria. Altresì, non risulta più possibile il risarcimento in forma specifica attraverso la dichiarazione di inefficacia del contratto, dovendosi, dunque, procedere all’accertamento del risarcimento per equivalente.

III – Ciò posto, nella presente vicenda deve farsi ricorso alla valutazione equitativa del danno subito dalla ricorrente, ai sensi degli artt. 1226 e 2056, co. II, del codice civile.

Ritiene il collegio equo commisurare tale danno nel 5% del prezzo a base d’asta. Essendo esclusa la possibilità di riconoscere forfettariamente a titolo di risarcimento la somma corrispondente al 10% dell’importo a base d’asta, come richiesta, perché da tale somma deve essere comunque detratto quanto aliunde percipiendum. Il mancato utile spetta in misura integrale solo se il concorrente dimostri effettivamente di non aver potuto altrimenti utilizzare mezzi e maestranze poiché ha tenuto ferme tali risorse a disposizione in vista dell'aggiudicazione: in assenza di tale dimostrazione, occorre invece ritenere che il concorrente possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, con la conseguente decurtazione del risarcimento di una misura che va computata a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.

Ne consegue, dunque, che è possibile giungere ad una valutazione equitativa del danno, ridotto della percentuale di ribasso contenuta nell’offerta della ricorrente.

Altresì, va precisato che nella misura equitativamente sopra determinata va ricondotta anche da un lato la pretesa perdita di chance (che riguarda – contrariamente da quanto affermato da parte ricorrente – non le future aggiudicazioni, ma quella per cui è causa) e le spese per la partecipazione alla gara.

Spetta poi, il così detto danno curriculare, ovvero la possibilità di utilizzare l’esperienza e la professionalità che avrebbe maturato attraverso l’esecuzione dell’appalto per cui è causa, espressamente richiesto dalla ricorrente, che può essere invece quantificato nell’1% della predetta cifra.

In conclusione ritiene il collegio che debba essere dichiarata fondata la pretesa risarcitoria azionala nel presente giudizio e che il danno subito dalla ricorrente debba essere quantificato nel 6% (5+1) del prezzo a base d’asta, ridotto della percentuale di ribasso contenuta nell’offerta della ricorrente.

Su tale somma dovranno essere ulteriormente calcolati rivalutazione ed interessi legali, con decorrenza dalla data in cui i lavori oggetto di appalto, non eseguiti dalla ricorrente, sarebbero dovuti essere pagati, sulla base delle disposizioni contrattuali (cfr. in terminis, TAR Palermo, III, n. 1575/2016).

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, conseguentemente condanna il Comune di Gela al risarcimento dei danni nella misura sopra indicata.

Condanna il Comune di Gela al pagamento delle spese di lite a favore delle ricorrenti, che sono determinate complessivamente in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’impresa colpita da interdittiva.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Solveig Cogliani, Presidente, Estensore

Nicola Maisano, Consigliere

Aurora Lento, Consigliere