TAR Lombardia – Milano, Sezione I, 11 novembre 2016, n. 2090

  1. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando la controversia coinvolge l’esercizio di poteri discrezionali previsti da una norma giuridica e inerenti alla determinazione del canone, dell’indennità o di altro corrispettivo, ovvero quando investe poteri discrezionali e valutativi nella determinazione del canone che incidono sull’economia dell’intero rapporto concessorio. Deve pertanto ritenersi devoluta al giudice ordinario la controversia volta a far accertare l’illegittimità della decisione del soggetto concedente di non procedere ad una revisione dei prezzi e delle condizioni contrattuali nell’ambito dei rapporti con il concessionario (1).
  2. Dall’esame della disposizione dell’articolo 143, comma 8 bis, D.lgs. 163/2006 non può ricavarsi un principio generale di obbligatorietà della revisione del piano di equilibrio economico – finanziario della concessione al verificarsi di un mero mutamento delle condizioni di mercato, in assenza di una specifica previsione in tal senso nella convenzione stipulata tra le parti (2).
  3. Ai sensi del D.lgs. 50/2016, nei contratti di concessione e di partenariato pubblico privato gravano sul concessionario il rischio operativo, da intendersi come il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi trasferiti al concessionario, il rischio di disponibilità, ossia quello concernente la capacità del concessionario di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, nonché il rischio di domanda, connesso ai diversi volumi di domanda del servizio ovvero inerente alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa.
  4. Non sfugge al concetto di “alea normale” (e dunque non comporta un obbligo di revisione del piano di equilibrio economico finanziario della concessione) tutto ciò che è collegato a fluttuazioni anche accentuate ma non per questo “straordinarie” del mercato.

(1) In senso conforme: Consiglio di Stato, Sezione V, 22 ottobre 2015, n. 4857.

(2) Per un caso in cui è stata riconosciuta la necessità di una revisione del piano economico finanziario con riferimento alla fase relativa alla realizzazione dei lavori, pur in assenza di un’espressa previsione: TAR Lombardia – Milano, Sezione III, 16 dicembre 2011, n. 3200.

 

 

 

 

 

Pubblicato il 11/11/2016

N. 02090/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00422/2016 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 422 del 2016, proposto da: 
Progetto Bazzini Srl, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Zoppolato e Sandor Del Fabro, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, via Dante, 16; 

contro

Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avvocati Anna Maria Pavin, Antonello Mandarano, Paola Cozzi, Maria Lodovica Bognetti, Alessandra Montagnani Amendola, ed Elena Maria Ferradini, domiciliato in Milano, via della Guastalla, 6; 

nei confronti di

Coface Assicurazioni Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Ruggero Barile, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Sottocorno, 52; 

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale n. 71 del 18.12.2015, emessa dalla Direzione centrale mobilità, trasporti, ambiente ed energia - settore parcheggi del Comune di Milano; della nota del 3.2.2016, con cui il Comune di Milano ha respinto le osservazioni e le richieste formulate dalla ricorrente con nota del 22.1.2016, nonché di ogni atto preordinato, presupposto, consequenziale e/o comunque connesso.


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e di Coface Assicurazioni Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2016 la dott.ssa Elena Quadri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

In considerazione della complessità della vicenda sottoposta all’esame del collegio, è necessaria una breve premessa in fatto.

Nell’anno 2010 la Società Bazzini S.r.l. è subentrata nel ruolo di concessionario per la progettazione e realizzazione di un parcheggio interrato, localizzato nell’area pubblica di via Bazzini a Milano, destinato ai residenti delle aree limitrofe, a fronte della concessione di un diritto di superficie novantennale sulla struttura.

Il parcheggio rientrava tra le 74 aree pubbliche cittadine individuate dal Sindaco di Milano nell’ambito del VI aggiornamento del “Programma Urbano Parcheggi”, ai sensi della legge n. 122/1989 (c.d. legge Tognoli), programma appositamente elaborato per far fronte alla c.d. emergenza traffico.

A seguito di procedura ad evidenza pubblica il comune di Milano ha individuato nell’Impresa Vitali S.p.a. l’originaria concessionaria, con la quale ha stipulato in data 9 aprile 2004 un’apposita convenzione per “la costituzione del diritto di superficie di un’area pubblica in via Bazzini per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo residenziale”. In base a tale convenzione, tutte le opere realizzate dal concessionario sarebbero diventate de jure di proprietà del Comune al momento dell’estinzione del diritto di superficie e il concessionario si sarebbe altresì impegnato ad elaborare “un progetto di riqualificazione urbana di una o più aree pubbliche” individuate dal Comune.

Quanto al corrispettivo richiesto per la cessione del diritto di superficie, l’articolo 5 della convenzione stabiliva che il concessionario avrebbe versato al comune di Milano la somma di euro 2.599,63, in relazione a ciascuno dei 253 posti auto previsti, per complessivi euro 629.119,15 (importo dal quale scomputare alcune spese, tra cui il valore delle opere che il concessionario avrebbe dovuto porre in essere, in base alle indicazioni degli uffici comunali, ai fini della realizzazione del progetto di riqualificazione urbana di una o più aree individuate dal Comune).

Sin dalle prime fasi, la realizzazione dell’intervento è stata caratterizzata da notevoli imprevisti e difficoltà.

In primo luogo, in base alla progettazione definitiva, l’edificazione del parcheggio interrato presupponeva l’utilizzo di tiranti da fissare nel sottosuolo, al fine di garantire la stabilità dei pannelli impiegati per la costruzione delle opere. Le proteste dei residenti hanno, tuttavia, reso necessaria una prima revisione del progetto, in modo tale da renderlo maggiormente compatibile con le ridotte dimensioni dell’area di intervento.

Nel maggio 2006, nelle more delle verifiche di competenza degli uffici comunali sul progetto di variante, l’Impresa Vitali S.p.a. ha chiesto il subentro della Società Sibi S.r.l. nella posizione di concessionario.

È stato, pertanto, stipulato un atto modificativo dell’originaria convenzione, finalizzato a consentire il subentro di Sibi S.r.l. nel ruolo di soggetto esecutore dell’intervento.

Contestualmente, è stato rilasciato a Sibi S.r.l. il permesso di costruire n. 121/2006, con il quale le prescrizioni contenute nel precedente permesso n. 58/2004 sono state adeguate al nuovo progetto di variante, il quale prevedeva anche la riduzione del numero di piani interrati del parcheggio.

I lavori hanno avuto inizio in data 20 luglio 2006. Tuttavia, a causa della proposizione di azione possessoria da parte di un condominio confinante, a cui è seguito un provvedimento di inibizione al posizionamento di tiranti nel sottosuolo, la concessionaria Sibi S.r.l. si è vista costretta a prevedere una diversa tecnologia costruttiva (molto più onerosa e impegnativa) denominata “top-down”.

I lavori sono ripresi alla fine del 2007, ma sono stati sospesi più volte, a causa di difficoltà tecniche e dei costi legati all’utilizzo della nuova tecnica costruttiva, nonché per effetto della grave crisi economica del 2007-2008 che ha interessato anche il settore delle costruzioni.

Proprio a fronte di tali difficoltà, con atto del 22 giugno 2010 Sibi S.r.l. ha deciso di conferire il ramo d’azienda relativo alla costruzione del parcheggio alla Società Bazzini S.r.l., che ha riavviato i lavori in data 13 dicembre 2010.

Dopo aver completato le opere strutturali relative al parcheggio interrato, con nota del 15 giugno 2012 la Società Bazzini S.r.l. ha segnalato al comune di Milano che il 90% dei potenziali acquirenti aveva vincolato la conclusione delle trattative alla trasformazione dei posti auto in box chiusi. Pertanto, nella medesima nota è stato chiesto al Comune di autorizzare la trasformazione dei posti auto in box chiusi, senza alcuna variazione del prezzo medio di cessione indicato nel secondo atto modificativo. A seguito dell’autorizzazione del Comune, i relativi lavori sono stati ultimati entro il termine del 31 gennaio 2014.

La conclusione dei lavori non ha implicato, tuttavia, la fine dei rapporti tra la Società e il Comune. Infatti, nel periodo immediatamente successivo, a fronte della grave carenza di domanda, Bazzini S.r.l. ha chiesto all’Amministrazione l’estensione dell’ambito di influenza del parcheggio all’intero territorio comunale e l’adeguamento della durata della concessione con decorrenza del termine di 90 anni dalla data di ultimazione dei lavori e non della stipula della convenzione.

Con note del 23 luglio e del 3 agosto 2014 il Comune ha autorizzato l’ampliamento dell’ambito di influenza del parcheggio all’intero territorio comunale ma ha respinto la richiesta di far decorrere la durata del diritto di superficie sui box auto dalla data di ultimazione dei lavori.

A fronte della richiesta dell’Amministrazione di esplicitare i maggiori costi da scomputare dal corrispettivo relativo al diritto di superficie, la società ha evidenziato innanzitutto come il comune di Milano non avesse ancora provveduto a fornire le indicazioni necessarie all’elaborazione del progetto di riqualificazione urbana. Ha osservato, altresì, come nelle aree limitrofe al parcheggio la sosta dei veicoli fosse consentita anche su marciapiedi e viali pedonali e tale circostanza, a parere della Società Bazzini S.r.l., avrebbe disincentivato i residenti dall’acquistare parcheggi a pagamento interrati.

Con l’impugnata determinazione n. 7/2015 del 18 dicembre 2015, il comune di Milano, omettendo riferimenti agli obblighi contrattuali relativi al progetto di riqualificazione, ha quantificato il corrispettivo complessivo per il diritto di superficie in complessivi euro 657.462,09, intimando la Società al pagamento di tale importo, oltre euro 8.110,80 ad integrazione dell’onorario per l’attività svolta dal Comitato di Vigilanza, entro il termine del 31 gennaio 2016.

Con nota del 26 gennaio 2016 la società ha evidenziato la propria impossibilità di reperire le risorse finanziarie necessarie per il pagamento del corrispettivo, soprattutto in virtù della già evidenziata paralisi delle vendite ed ha quindi chiesto al Comune la sostituzione del pagamento del diritto di superficie con la cessione di un congruo numero di box realizzati, ovvero il frazionamento del pagamento del corrispettivo in funzione delle prossime vendite, ovvero, in caso di rinuncia del Comune alla realizzazione del progetto di riqualificazione, un nuovo quadro economico finanziario.

Il comune di Milano ha respinto tutte le richieste, evidenziando in particolare come spettasse a Bazzini S.r.l. l’elaborazione del progetto di riqualificazione e ritenendo non dovuto un adeguamento delle condizioni contrattuali, nell’assunto che non potrebbe qui applicarsi il meccanismo, sancito per le concessioni di lavori dall’art. 143 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui vi sarebbe un obbligo di revisione del piano economico finanziario, in presenza di circostanze non imputabili al concessionario che incidano sull’equilibrio della commessa. Tra l’altro, tale obbligo non sarebbe stato in alcun modo previsto in convenzione.

Con il presente ricorso, la Società ricorrente ha impugnato la sopra citata determinazione n. 7/2015 del 18 dicembre 2015, contestando la decisione del Comune intimato di non concedere una revisione dei prezzi e delle condizioni contrattuali di fronte al sopra descritto mutamento del quadro economico-finanziario.

A sostegno del proprio gravame, l’istante ha dedotto, essenzialmente, la violazione dell’art. 143 del d.lgs. n. 163/2006 e dei principi generali vigenti in tema di partenariato pubblico privato, che imporrebbero, nell’ambito degli obblighi corrispettivi di leale collaborazione nei rapporti contrattuali, la revisione del piano economico-finanziario posto alla base della convenzione in presenza di mutamenti nelle condizioni di mercato, nonché l’attivazione dei poteri sanzionatori per la repressione delle condotte poste in violazione del codice della strada.

Si è costituito in giudizio il Comune intimato, che ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito, in quanto la controversia in esame, attenendo alla determinazione del corrispettivo per la costituzione di un diritto di superficie, rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario, chiedendone, comunque, il rigetto per infondatezza nel merito.

Si è costituita la Coface Assicurazioni S.p,a., svolgendo, essenzialmente, difese in adesione delle conclusioni di parte ricorrente.

La Società istante ha, altresì, proposto un ricorso ai sensi degli artt. 25 della legge n. 241/1990 e 116 del c.p.a., per la declaratoria del silenzio formatosi sull’istanza di accesso presentata dalla società ricorrente al comune di Milano il 10 maggio 2016, nonché per l’accertamento del diritto di accesso ai relativi atti, concernenti i dati sul numero di contravvenzioni elevate per divieto di sosta dall’amministrazione comunale sulle vie Bazzini, Vallazze e Pacini negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015.

Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica del 12 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Deve, in via preliminare, darsi atto della cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso instaurato dalla Società istante ai sensi degli artt. 25 della legge n. 241/1990 e 116 c.p.a., in considerazione della piena soddisfazione della pretesa dell’istante mediante l’ostensione degli atti richiesti.

Deve esaminarsi, a questo punto, la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito sollevata dall’Amministrazione resistente.

Secondo l’opinione del Comune intimato, la controversia in esame, attenendo alla determinazione del corrispettivo per la costituzione di un diritto di superficie nell’ambito dell’esercizio dell’attività paritetica dell’Amministrazione, rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario, non avendo contenuto provvedimentale e non implicando l’esercizio di poteri autoritativi.

La pretesa fatta valere in giudizio dalla ricorrente di ottenere una modifica a proprio favore dell’obbligazione convenzionale di pagamento del corrispettivo sarebbe, infatti, di carattere meramente patrimoniale e sarebbe soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a.

Il Collegio ritiene che l’eccezione vada disattesa, aderendo, sul punto, alla tesi espressa dalla società ricorrente.

Ed invero, la pretesa dell’istante non attiene ad un mero diritto di riduzione del corrispettivo patrimoniale dovuto al Comune, bensì alla richiesta di revisione di tale corrispettivo in relazione alla doverosità dell’esercizio di poteri discrezionali di valutazione dell’equilibrio economico-finanziario del contratto stipulato.

E’ stato, in proposito, affermato che “Le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi che rientrano nella giurisdizione del g.o. (art. 133, comma 1, lett. b) e c), c. proc. amm.) sono quelle concernenti pretese di carattere meramente patrimoniale, che derivano dall'attuazione del rapporto instauratosi tra il privato e la pubblica Amministrazione e rispetto alle quali non è stato esercitato un potere autoritativo a tutela di interessi generali; va, invece, riconosciuta la sussistenza della giurisdizione del g.a. quando la controversia coinvolga l'esercizio di poteri discrezionali previsti da una norma giuridica e inerenti alla determinazione del canone, dell'indennità o di altro corrispettivo, ovvero investa l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone che incidono sull'economia dell'intero rapporto concessorio, e non semplicemente la verificazione dei presupposti fattuali dello stesso e la quantificazione delle somme” (Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4857).

Ne consegue la giurisdizione del giudice adito sulla presente controversia.

Nel merito, il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato.

Il comune di Milano, nel contestare la fondatezza delle pretese della Società istante, ha posto in evidenza principalmente la natura privata e non pubblicistica della concessione, che discenderebbe direttamente dal fatto che la proprietà del suolo è del Comune medesimo, mentre il diritto di superficie sui box auto e sulla struttura del parcheggio sono rispettivamente dei privati acquirenti e dei concessionari. Di conseguenza, il comune di Milano si sarebbe limitato solo ad individuare l’area per la localizzazione del parcheggio, mentre sarebbe stato, poi, l’operatore economico privato che, dopo aver valutato i costi, i ricavi e le condizioni del mercato, avrebbe presentato l’offerta nella gara e avrebbe progettato e realizzato il parcheggio, dopo avere ottenuto il permesso di costruire dal Comune medesimo.

Il Collegio ritiene invece che, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del contratto all’esame, l’infondatezza della pretesa dell’istante si ricavi dalla mancata previsione, nella convenzione originariamente stipulata e negli atti di modifica successivi, della possibilità della revisione dell’equilibrio economico-finanziario in base al mutamento delle condizioni del mercato.

Pur volendo aderire alla tesi della ricorrente, per la quale si tratta di concessione di opera pubblica o, comunque, di contratto di partenariato pubblico-privato soggetto, anche in via analogica, all’applicazione dell’art. 143, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006 relativo al perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti del concessionario, deve osservarsi che, ai sensi del comma successivo della succitata disposizione normativa: “Ai fini della applicazione delle disposizioni di cui al comma 8 del presente articolo, la convenzione definisce i presupposti e le condizioni di base del piano economico-finanziario le cui variazioni non imputabili al concessionario, qualora determinino una modifica dell'equilibrio del piano, comportano la sua revisione. La convenzione contiene inoltre una definizione di equilibrio economico finanziario che fa riferimento ad indicatori di redditività e di capacità di rimborso del debito, nonché la procedura di verifica e la cadenza temporale degli adempimenti connessi” (cfr. art. 143, comma 8-bis, d.lgs. n. 163/2006).

Ne consegue, a giudizio del Collegio, che dall’esame della suddetta disposizione non può ricavarsi un principio generale di obbligatorietà della revisione del piano di equilibrio economico-finanziario della concessione (che non pare, tra l’altro, essere stato allegato alla convenzione di cui si discute) al mero mutamento delle condizioni del mercato.

Sebbene, invero, la riuscita di un contratto di partenariato pubblico-privato, del quale la concessione costituisce il più rilevante schema negoziale, si basi anche sul principio della cosiddetta “bancabilità”, ovvero della possibilità di riuscita finanziaria dell’operazione, non deve dimenticarsi che il pilastro principale che caratterizza tali meccanismi contrattuali è costituito dal rischio operativo, che ha natura economica ed implica la possibilità che non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione, rischio che deve permanere in capo al privato che contrae con l’Amministrazione, dovendo quest’ultima rispondere della sola omissione nel monitoraggio dell’operazione (ad esempio nell’effettuazione dei controlli relativi alla qualità o ai ritardi della prestazione del concessionario), ma non delle componenti del rischio cosiddette di disponibilità, di offerta o di domanda, legate, cioè, le prime due rispettivamente nelle opere fredde e nelle opere calde alla performance del concessionario in relazione allo standard di qualità e di volume della prestazione rispetto a quello predeterminato nel contratto, e, la terza, alla domanda del mercato, soggetta, ad esempio, ad un calo di consumi.

Tali assunti sono alla base della disciplina dei contratti di concessione e di partenariato pubblico privato rispettivamente contenuta nella parte terza (artt. 164-178) e nella parte quarta, titolo primo (artt. 180-191) del codice dei contratti pubblici di recente introduzione nel nostro ordinamento (d.lgs. n. 50/2016), come risulta evidente dall’analisi dell’art. 3 del medesimo Codice, che contiene l’esatto significato delle definizioni di “concessione di lavori” (lett. uu: “un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano l'esecuzione di lavori ad uno o più operatori economici riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire le opere oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione delle opere”), “concessione di servizi” (lett. vv: “un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”), “rischio operativo” (lett. zz: “il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, trasferito al concessionario. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile”), “rischio di disponibilità” (lett. bbb: “il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti”), “rischio di domanda” (lett. ccc: “il rischio legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa”), disciplina che, sebbene non applicabile in via diretta alla presente controversia per il principio tempus regit actum, contiene principi che rispecchiano identici postulati di diritto europeo (cfr. la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, di cui la parte terza del Codice costituisce attuazione, nonché, in precedenza, la Comunicazione interpretativa della Commissione europea sulle concessioni nel diritto comunitario del 2000 e il Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, emanato dalla Commissione europea nel 2004, nonché la decisione Eurostat del 2004 relativa a Treatment of public-private partnerships).

Nella fattispecie all’esame del Collegio, invero, il concessionario deve sostenere il rischio di domanda, legato, cioè, all’andamento del mercato, che non gli permette, secondo il proprio assunto, di recuperare integralmente il capitale investito nella costruzione del parcheggio interrato dalla vendita dei box, in considerazione della carenza di domanda dei box medesimi. E tale rischio ricade sullo stesso, a maggior ragione, perché le parti non hanno previsto nella convenzione stipulata alcuna revisione del piano economico-finanziario dell’operazione in relazione al mutamento delle condizioni del mercato, che, dunque, è stato dalle stesse valutato come un’ordinaria contingibilità non idonea a mutare le condizioni della convenzione medesima.

Deve, in proposito, darsi atto di una recente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3653), con la quale è stato statuito che: “Nella concessione di lavori pubblici, dalla parte dell’amministrazione, si configura un’obbligazione ad un mezzo perché si possa conseguire un equilibrio economico dell’operazione regolata dal contratto, non l’assunzione di una obbligazione con prestazione diretta e quantificata: in altre parole, l’amministrazione non definisce, con il consenso del privato, la propria prestazione patrimonialmente valutabile, ma solo il modo di conseguirla.

Ne discende che il tipo di obbligazione e di (contro)prestazione assunta dall’amministrazione ed accettata dal privato influisce inevitabilmente sulla ricostruzione della cd. “alea normale”, e dunque sul rischio, accettato dal privato, in quanto naturalmente connesso al rapporto contrattuale.

Mentre nei casi normalmente considerati dall’art. 1467 cod. civ. l’avvenimento esterno al rapporto contrattuale incide sulla corrispettività delle prestazioni così come originariamente pattuite, determinando o meno la possibilità di risoluzione a seconda che esso sia o meno “straordinario e imprevedibile”, nel caso della concessione di lavori pubblici, l’avvenimento esterno incide non già direttamente sulla corrispettività della prestazione della Pubblica Amministrazione, bensì sull’andamento dell’attività dalla quale il privato stesso ha stimato di trarre il corrispettivo di quanto da lui già realizzato.

Se, dunque, l’avvenimento esterno al rapporto contrattuale influisce sul mezzo per conseguire l’equilibrio tra le prestazioni e non già direttamente sulla prestazione, ciò comporta che non sfugge al concetto di “alea normale” tutto ciò che, essendo collegato a fluttuazioni, anche accentuate ma non per questo “straordinarie” del mercato e alle sue dinamiche, incide sull’utile di gestione del privato e, pertanto, non può comportare una sopravvenuta sproporzione tra le prestazioni.

Solo nel caso in cui il mezzo (cioè la gestione per il tempo contrattualmente definito) si dimostri, in virtù di un avvenimento “straordinario ed imprevedibile”, essere divenuto strutturalmente inidoneo a far conseguire, anche solo potenzialmente, un possibile equilibrio tra le attribuzioni patrimoniali, solo in questo caso potrà escludersi l’alea normale del contratto”, vale a dire “il rischio (collegato all’andamento della gestione) accettato dal privato e tanto più immanente (come ipotesi “normale” e/o prevedibile) quanto più ampio è il tempo di gestione contrattualmente previsto”.

Né, a parere del Collegio, possono costituire alcun motivo di esonero del privato dall’assunzione del rischio operativo la mancata realizzazione del progetto di riqualificazione urbana, imputabile ad entrambe le parti per mancanza di accordo sul punto, o la mancata elevazione di un ingente numero di contravvenzioni per divieto di sosta nell’area di localizzazione del parcheggio, circostanza, questa, connessa al numero di soggetti che violano il codice della strada e non quantificabile in assoluto.

Alla luce delle suesposte considerazioni, va dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso proposto ai sensi degli artt. 25 della legge n. 241/1990 e 116 del c.p.a., mentre il ricorso principale va respinto.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi, in considerazione della novità e della complessità delle questioni giuridiche sottese alla presente controversia, per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara la cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso proposto ai sensi degli artt. 25 della legge n. 241/1990 e 116 del c.p.a. e respinge il ricorso principale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Elena Quadri, Consigliere, Estensore

Oscar Marongiu, Referendario

 

 

Guida alla lettura

 

La sentenza in commento affronta il tema della revisione del piano economico finanziario del contratto che accede ad una concessione, in mancanza di una specifica previsione in tal senso nella convenzione stipulata tra le parti.

Il TAR Lombardia ha preliminarmente rilevato che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando la controversia coinvolge l’esercizio di poteri discrezionali previsti da una norma giuridica e inerenti alla determinazione del canone, dell’indennità o di altro corrispettivo, ovvero quando investe poteri discrezionali e valutativi che incidono sull’economia dell’intero rapporto concessorio. Viceversa sono devolute alla giurisdizione ordinaria le controversie concernenti questioni di carattere meramente patrimoniale che derivano dall’attuazione del rapporto instauratosi tra il privato e l’amministrazione.

Il Collegio ha poi statuito che, ai sensi del disposto del comma 8 bis dell’art. 143 del D.lgs. 143/2006, la possibilità di rideterminare l’equilibrio economico finanziario del contratto di concessione in base al mutamento delle condizioni del mercato sussiste solo in presenza di una specifica previsione in tal senso nella convenzione stipulata tra le parti.

Il TAR Lombardia ha rilevato che tali principi sono rinvenibili nella disciplina del contratto di partenariato pubblico privato del nuovo Codice dei contratti pubblici, che, sebbene non applicabile direttamente al caso di specie, “contiene principi che rispecchiano identici postulati di diritto europeo”.

In particolare, l’articolo 180, comma 3, del D.lgs. 50/2016 stabilisce che “nel contratto di partenariato pubblico privato il trasferimento del rischio in capo all'operatore economico comporta l'allocazione a quest'ultimo, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l'esterno, del rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell'opera come definiti, rispettivamente, dall'articolo 3, comma 1, lettere aaa), bbb) e ccc)”.

Il Collegio ha poi specificato che, diversamente dalle ipotesi regolate dall’articolo 1467 del codice civile in cui l’avvenimento esterno incide sulla corrispettività delle prestazioni originariamente pattuite determinando la possibilità o meno di risoluzione a seconda che esso sia o meno “straordinario e imprevedibile”, nel caso nella concessione di lavori pubblici “l’avvenimento esterno incide non già direttamente sulla corrispettività della prestazione della Pubblica Amministrazione, bensì sull’andamento dell’attività dalla quale il privato stesso ha stimato di trarre il corrispettivo di quanto da lui già realizzato”. Con la conseguenza che non sfugge al concetto di “alea normale” (e dunque non comporta un obbligo di revisione del piano di equilibrio economico e finanziario della concessione) tutto ciò che è collegato a fluttuazioni anche accentuate ma non per questo “straordinarie” del mercato.