Consiglio di Stato, Sez. V, 31 ottobre 2016, n. 4562

1.      La previa declaratoria di illegittimità degli atti impugnati assume valenza funzionale a coltivare la domanda di ristoro del danno patito in conseguenza della mancata aggiudicazione.

2.      In materia di appalti pubblici, la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno non richiede la prova della colpa, conformemente alle acquisizioni della giurisprudenza comunitaria. (1)

3.      Il giudizio positivo di congruità dell'offerta può legittimamente fondarsi anche su un utile esiguo, purché all'esito dell'analisi delle voci di costo il margine rimanga comunque positivo. (2)

4.      Spetta al danneggiato offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto per la mancata aggiudicazione di gara d’appalto. (3)

5.      Qualora sia estremamente difficile operare un’esatta quantificazione delle voci costitutive dei danni, il Giudice si può avvalere del criterio di valutazione equitativa del danno di cui all’articolo 1226 cod. civ..

(1) Conformi CGUE, sent. 30 settembre 2010 in causa C-314/09; Cons. Stato, V, 25 febbraio 2016, n. 772; 8 novembre 2012, n. 5686.

(2) Conforme Cons. Stato, V, 20 luglio 2016, n. 3271.

(3) Conformi Consiglio di Stato, sentenza n. 2111 del 23 maggio 2016; Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6453; sez. V, 21 luglio 2015, n. 3605; sez. IV, 21 marzo 2016, n. 1130; Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3; Cons. Stato, IV, 23 giugno 2015, n. 3147; id., VI, 11 gennaio 2016, n. 39.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta))

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1589 del 2016, proposto dalla Arcobaleno Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Mormandi - C.F. MRMGPP69P05C002V, con domicilio eletto presso Studio G. Grez & Associati Srl in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18

contro

Comune di Sannicola, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefania Leuci - C.F. LCESFN64S48E506P, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24

nei confronti di

Impresa Lega S.r.l., non costituita in giudizio

per la riforma della sentenza del T.A.R. della Puglia – Sezione staccata di lecce, Sezione I, n. 3334/2015;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sannicola;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Giuseppe Mormandi e l’avvocato Roberto G. Marra, su delega dell'avvocato Leuci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Puglia – Sezione staccata di Lecce, recante il n. 1589/2016, la Arcobaleno Costruzioni s.r.l., premesso di aver partecipato alla gara di appalto indetta dal Comune di Sannicola per lavori di collettamento delle acque meteoriche e di essere inizialmente risultata aggiudicataria, chiedeva l’annullamento degli atti con cui il predetto ente, all’esito della verifica – facoltativa – di anomalia di cui al comma 3 dell’articolo 86 del decreto legislativo n. 163 del 2006, aveva disposto la sua esclusione dalla gara.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla Arcobaleno s.r.l. la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

I) Con riferimento al capo della sentenza contraddistinto con il numero III, e relativo alla valutazione delle censure proposte in primo grado in ordine al giudizio negativo di congruità dell’offerta, effettuato dalla stazione appaltante con riferimento alle spese generali ed all’utile di impresa – Errore in iudicando;

II) In relazione al capo della sentenza contraddistinto dal numero II.3, all’interno del quale il Giudice territoriale si esprime in relazione al merito delle contestazioni sollevate con il secondo motivo (sub 1) del ricorso di primo grado. Error in iudicando – Travisamento dei presupposti di fatto;

III) In relazione al capo della sentenza contraddistinto dal numero II.2. Errore in giudicando;

IV) Con riferimento ai capi II e II.1 della sentenza (ovvero con riferimento alle mancate valutazioni espresse);

V) Con riferimento al capo della sentenza contraddistinto dal numero IV.

La società appellante ha inoltre riproposto la domanda risarcitoria già spiegata in primo grado e non accolta dal T.A.R.

Si è costituito in giudizio il Comune di Sannicola il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 6 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione della Sezione il ricorso in appello proposto da una società attiva nel settore dei lavori (la quale aveva partecipato alla gara indetta dal Comune di Sannicola per il collettamento di acque meteoriche ed era rimasta inizialmente aggiudicataria, salvo poi essere esclusa per anomalia dell’offerta) avverso la sentenza del T.A.R. della Puglia – Sezione staccata di Lecce con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con cui il predetto comune l’ha esclusa dalla procedura, stipulando il contratto con l’impresa che la seguiva in graduatoria.

2. Deve in primo luogo essere esaminata l’eccezione del Comune di Sannicola secondo cui l’appello sarebbe inammissibile per omessa impugnazione dell’intero capo II della sentenza in epigrafe, il quale ha richiamato l’orientamento secondo cui nelle gare pubbliche il giudizio che conclude il subprocedimento di verifica dell’anomalia costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione sindacabile solo in caso di scelte abnormi o manifestamente illogiche.

2.1. L’eccezione è infondata.

Al riguardo ci si limita ad osservare che, in relazione alle peculiarità della vicenda di causa, l’appellante non avrebbe dovuto (né potuto) chiedere la riforma del richiamato passaggio motivazionale (il quale, oltretutto, si limitava a ribadire un orientamento giurisprudenziale consolidato).

Al contrario, l’appellante ha puntualmente censurato le ragioni per le quali il T.A.R. ha ritenuto che il (negativo) giudizio espresso dalla Commissione restasse esente dai rubricati profili di illegittimità.

E, per le ragioni che fra breve si esporranno, i motivi in tal modo articolati sono meritevoli di favorevole scrutinio.

In definitiva, l’appellante non ha articolato puntuali motivi di censura avverso il capo della sentenza che sottolineava il carattere ampiamente discrezionale delle valutazioni svolte dalla Commissione di gara, ma ha puntualmente argomentato in ordine al fatto che le valutazioni in tal modo espresse risultassero effettivamente viziate per evidenti e gravi profili di incongruità valutativa.

3. La Sezione ritiene di poter prescindere dall’esame del motivo con cui il Comune appellato ha eccepito l’inammissibilità della perizia di parte a firma dell’Ing. Toriello con cui si è puntualmente argomentato in ordine ai risparmi che sarebbero conseguiti all’adozione delle particolari soluzioni proposte dall’appellante.

Ed infatti, come fra breve si esporrà, alla fondatezza dell’appello in epigrafe si può giungere anche a prescindere dall’esame puntuale della richiamata perizia e, in particolare, sulla scorta della dimostrata presenza di evidenti profili di incongruità che viziavano le negative determinazioni assunte dalla Commissione.

4. E’ ora possibile passare all’esame del merito di causa.

5. Va premesso che, come è pacifico fra le parti in causa, nelle more del presente giudizio il contratto di appalto per cui è causa sia stato eseguito pressoché per intero.

Ne consegue che non residua in capo all’appellante un effettivo interesse a coltivare la domanda di annullamento degli atti impugnati in primo grado, nell’ottica del subentro nelle lavorazioni, ormai non più possibile (e comunque non più utile).

La res controversa deve quindi essere esaminata alla luce dell’articolo 34, comma 3 del cod. proc. amm. secondo cui “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

Ebbene, ad avviso della Sezione, non solo permane in capo all’appellante uno specifico interesse a coltivare la domanda di ristoro del danno patito in conseguenza della mancata aggiudicazione (interesse in relazione al quale la previa declaratoria di illegittimità degli atti impugnati in primo grado assume valenza evidentemente funzionale), ma tale domanda deve trovare accoglimento per le ragioni che fra breve si esporranno.

6. Risulta agli atti che l’esclusione dell’appellante dalla gara sia stata disposta dalla stazione appaltante all’esito della verifica (facoltativa) di anomalia disposta ai sensi del comma 3 dell’articolo 86 del decreto legislativo 163 del 2006.

Il carattere ingiustificatamente anomalo dell’offerta formulata dall’appellante è stato affermato essenzialmente sulla base di tre considerazioni: i) la prima, relativa alla riduzione, ritenuta ingiustificata, dei costi della manodopera; ii) la seconda, relativa all’ammontare, ritenuto eccessivamente basso, delle spese generali; iii) la terza, relativa all’ammontare, ritenuto parimenti basso, dell’utile di impresa.

6.1. I tre aspetti della questione verranno qui di seguito esaminati in modo distinto.

6.1.1. In primo luogo deve essere esaminato il motivo di esclusione (sostanzialmente condiviso dai primi giudici) basato sull’ingiustificata riduzione che l’appellante avrebbe operato, in sede di offerta, dei costi della manodopera per come previsti in progetto.

In particolare i primi giudici hanno condiviso l’opinamento della commissione secondo cui l’appellante non avrebbe adeguatamente giustificato (alla luce dei contratti con i propri fornitori) l’esclusione dai propri calcoli degli importi relativi alla manodopera per il trasporto e lo scarico a piè d’opera dei materiali relativi ad undici ‘schede di prezzo’ (costi che l’appellante afferma essere sostenuti dai suoi fornitori mentre la Commissione ha ritenuto a carico dell’appellante medesima).

In particolare i primi giudici, prendendo le mosse dall’esame delle richiamate (undici) schede di prezzo, hanno concluso nel senso di non rinvenire alcuna giustificazione per la scelta di non computare i costi per la manodopera relativi allo scarico e alla movimentazione dei materiali in questione.

Inoltre, i primi giudici hanno ritenuto dirimente ai fini del decidere la circostanza che l’appellante non avesse puntualmente indicato in sede di offerta i costi per la manodopera per la realizzazione delle migliorie e che, a fronte di una specifica contestazione formulata sul punto dalla Commissione, nulla avesse controdedotto.

6.1.1.1. Il motivo è fondato.

In sede di appello cautelare avverso ordinanza proposto nell’ambito della presente vicenda contenziosa, la Sezione ha già avuto modo di osservare che “le schede di analisi dei prezzi, depositati nel procedimento di verifica dell’anomalia facoltativa, asseverano che i costi di trasporto, scarico e movimentazione sono stati previsti dall’impresa che ha oltretutto presentato un’offerta economica più vantaggiosa per la stazione appaltante”.

Ed infatti, dall’esame della documentazione in atti emerge che, in sede di formulazione dell’offerta, l’impresa avesse effettivamente indicato (e in senso contrario a quanto ritenuto dai primi giudici) i costi relativi al trasporto, allo scarico e alla movimentazione del materiale sul cantiere.

In particolare, dall’esame congiunto delle tavole 1 e 4 (in atti) emerge che:

i) in alcuni preventivi fosse espressamente contemplato il costo per il trasporto e lo scarico da parte dell’impresa fornitrice (come nel caso del preventivo n. 3), mentre

ii) in altri casi il preventivo comprendeva unicamente il trasporto, ragione per cui le richiamate attività di scarico e movimentazione ricadevano in carico all’impresa, la quale – tuttavia – ha di volta in volta previsto i relativi costi, riferendoli, a seconda dei casi: a) all’uso di uno specifico mezzo d’opera, ovvero b) al costo connesso allo scarico manuale.

L’appellante ha correttamente richiamato al riguardo la scheda di analisi dei prezzi relativa alla voce n. 29 (relativa alla ‘Fornitura e posa in opera di un tubo prefabbricato in c.a.’). In tal caso, è vero che l’impresa fornitrice si era impegnata unicamente a prestare l’attività di trasporto, ma è pur vero che l’impresa interessata aveva previsto nell’ambito di una specifica sottovoce (la ‘C’ della voce n. 29) un costo aggiuntivo per l’utilizzo di due mezzi d’opera specificamente destinati all’attività di movimentazione a terra.

In senso analogo, nel caso dei preventivi che escludevano sia il trasporto che lo scarico, le schede di analisi dei prezzi predisposte dall’appellante avevano puntualmente contemplato i maggiori costi connessi all’esigenza di servirsi di appositi mezzi d’opera (e della connessa manodopera), operando un congruo aumento percentuale dell’onere complessivamente previsto.

In definitiva, non risulta suffragata dalla documentazione in atti l’affermazione dei primi giudici secondo cui alcune delle schede (e, in particolare, nn. 18, 42 e 45) non avrebbero in alcun modo contemplato i costi connessi allo scarico e alla movimentazione dei materiali.

Al contrario, l’appellante aveva indicato in apposite sottovoci il costo di impiego del personale adibito alle attività di scarico e movimentazione (e non anche delle attività connesse al trasporto che, nei casi in esame, erano sopportati dalle imprese fornitrici).

6.1.2. A conclusioni non dissimili deve giungersi per quanto riguarda il passaggio con cui il T.A.R. ha ritenuto che l’odierna appellante non avesse indicato in modo congruo i costi della manodopera per la realizzazione delle migliorie indicate in sede di offerta.

Al riguardo l’appellante ha obiettato (in modo persuasivo e adeguatamente supportato dalla documentazione in atti): i) che i costi per le migliorie risultavano effettivamente ricompresi nell’ambito dell’importo contrattuale complessivo (non emergendo alcun elemento che inducesse a ritenerne l’omessa indicazione); ii) che, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’appellante aveva analizzato singolarmente le singole opere di miglioria nell’ambito della Tavola 01, indicando puntualmente gli oneri connessi alle migliorie e la relativa percentuale di incidenza della manodopera.

6.1.3. Per quanto riguarda la questione dell’utile di impresa indicato dall’appellante in sede di formulazione dell’offerta nella misura del 3 per cento, i primi giudici muovono da una premessa corretta (quella secondo cui non può determinarsi in astratto una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta del concorrente debba considerarsi necessariamente incongrua), ma perviene a conclusioni non condivisibili (in termini di conferma del carattere incongruo dell’offerta anche sotto questo profilo)

Di fatto, la decisione risulta in parte qua motivata unicamente in ragione della “estrema esiguità dell’utile preventivato” (pagina 11 della sentenza appellata).

Ebbene, la questione può essere in parte qua definita richiamando l’orientamento secondo cui il giudizio positivo di congruità dell'offerta può legittimamente fondarsi anche su un utile esiguo, purché all'esito dell'analisi delle voci di costo il margine rimanga comunque positivo - articolo 86 del previgente ‘Codice dei contratti’ (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, V, 20 luglio 2016, n. 3271).

Ad avviso della Sezione, infatti, l’esiguità dell’utile (comunque positivo) non può essere ex se assunta quale ragione dirimente per affermare il carattere incongruo dell’offerta laddove non si alleghino circostanze puntuali – nel caso di specie, mancanti – atte a dimostrare che il ridotto margine di utile costituisca comunque, e in base a specifici elementi, un indice univoco del carattere inattendibile dell’offerta.

6.1.4. A conclusioni non dissimili deve giungersi anche in relazione al motivo di esclusione fondato sulla ritenuta incongruità delle spese generali (indicate dall’appellante nella misura del 6 per cento dell’offerta formulata).

Anche in questo caso i primi giudici hanno preso le mosse da una premessa corretta (quella secondo cui le spese generali devono essere indicate e quantificate in modo congruo rispetto alla tipologia della prestazione offerta), ma sono poi pervenuti a conclusioni non condivisibili.

In estrema sintesi il T.A.R. (anche riportando de extenso le motivazioni poste a fondamento dell’esclusione dell’appellante) ha ritenuto che la richiamata misura delle spese generali risultasse ex se incongrua in ragione del fatto che la scelta dell’appellante di ‘compattare’ le lavorazioni in un numero minore di giorni (e quindi, la scelta organizzativa di prevede un maggiore numero giornaliero di addetti in cantiere) comportasse al contrario l’esigenza di incrementare le spese generali (in particolare, per ciò che riguarda il lavoro di controllo e di direzione degli assistenti di cantiere).

6.1.4.1. L’argomento non può essere condiviso.

Si osserva in primo luogo al riguardo che l’argomento su cui si è basata la stazione appaltante in sede di formulazione del giudizio di anomalia (e, in sede di sostanziale rinvio, il T.A.R.) prende le mosse da un dato comunque indimostrato: quello secondo cui l’indicazione di quel determinato ammontare di spese generali risultasse incongruo in relazione alle peculiarità delle lavorazioni offerte.

Si intende con ciò affermare che può essere condiviso in via astratta l’argomento secondo cui la presenza giornaliera più massiccia di addetti comporti un tendenziale incremento delle spese generali pro/die.

Tuttavia, prima di rendere un giudizio di definitiva incongruità dell’offerta, la stazione appaltante avrebbe dovuto dimostrare in concreto, adeguatamente motivando, che le modalità concrete dell’offerta risultassero incongrue rispetto a quanto ragionevolmente richiesto in relazione a quella determinata tipologia di lavorazione.

Si osserva in secondo luogo che, pur dandosi per acquisito che la presenza di un maggior numero di addetti in cantiere avrebbe comportato un incremento dei costi giornalieri connessi alle spese generali, la stazione appaltante ha comunque mancato di allegare le ragioni per cui si riteneva che tale incremento non fosse compensato dalla contestuale riduzione del numero di giorni su cui si sarebbero concentrate le lavorazioni stesse.

Si osserva in terzo luogo che la stazione appaltante (con deduzione sostanzialmente confermata dai primi giudici) nulla ha controdedotto in relazione alle tesi difensive dell’appellante, la quale aveva rappresentato di essere in grado di contenere l’ammontare delle spese generali in ragione delle comprensibili economie di scala derivanti dell’esistenza di un altro cantiere aperto presso lo stesso Comune di Sannicola.

Si osserva in quarto luogo che, pur dandosi atto dell’indicazione resa dalla stazione appaltante (la quale aveva rappresentato che la misura congrua delle spese generali si attestasse nell’ordine del 15 per cento), non può certamente ritenersi che l’offerta dell’appellante risultasse in parte qua ‘simbolica’ ovvero ‘insignificante’ (e ciò, anche a tacere del carattere sostanzialmente immotivato della richiamata quantificazione della misura del 15 per cento).

6.2. Anche per questo motivo la sentenza in epigrafe deve essere riformata e deve essere confermata l’illegittimità della disposta esclusione dell’odierna appellante.

6.3. Le considerazioni appena svolte consentono di affermare l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado ed esimono la Sezione dall’esame puntuale del quarto motivo di appello, con cui si è nuovamente posta la questione della violazione dell’articolo 86, comma 3 del decreto legislativo n. 163 del 2006, nonché quella relativa alla mancata valutazione circa la complessiva e globale affidabilità e congruità dell’offerta.

7. Una volta chiarito, in base a quanto sin qui esposto, che l’esclusione dalla gara dell’appellante è illegittima, risulta evidente il nesso eziologico che lega l’indebita esclusione e il danno conseguentemente dedotto dall’appellante.

E’ infatti pacifico in atti che, in assenza della (illegittima) esclusione dell’appellante a causa della (illegittima) verifica negativa di anomalia esperita in suo danno, la stessa avrebbe stipulato ed eseguito il contratto.

8. E’ altresì noto che, in materia di appalti pubblici, la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno non richieda la prova della colpa, conformemente alle acquisizioni della giurisprudenza eurounitaria (in tal senso: CGUE, sent. 30 settembre 2010 in causa C-314/09).

L'articolo 124 del cod. proc. amm. introduce al riguardo (e conformemente agli acquis giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’UE) un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che deve essere applicata a tutto il campo degli appalti pubblici, in base al principio generale di diritto eurounitario di effettività della tutela (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, V, 25 febbraio 2016, n. 772; 8 novembre 2012, n. 5686).

9. Si deve quindi concludere nel senso che nel caso in esame sussistano i presupposti oggettivi per disporre in favore dell’appellante e a carico del Comune di Sannicola il ristoro del danno conseguito dall’appellante in conseguenza della mancata aggiudicazione.

10. Per quanto concerne la quantificazione del danno,

- non si può ammettere il ristoro delle voci di danno connesse alle spese e ai costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura (sul punto, Cons. Stato, V, 12 maggio 2016, n. 1904), avendo peraltro l’appellante omesso di operare sul punto una puntuale allegazione e quantificazione;

- allo stesso modo, non può essere riconosciuto il danno esistenziale per nocumento all’immagine, alla luce del condiviso orientamento secondo cui il risarcimento del danno esistenziale non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo, sulla natura e sulle caratteristiche del lamentato pregiudizio, affermandosi pure la necessità di una prova specifica che dimostri i concreti cambiamenti che l'illecito ha comportato, in senso peggiorativo, nella complessiva sfera giuridica del danneggiato (in tal senso: Cons. Stato, IV, 23 giugno 2015, n. 3147; id., VI, 11 gennaio 2016, n. 39).

Al contrario, l’istanza risarcitoria deve essere accolta

- sia per quanto riguarda il profilo del lucro cessante (da commisurare in relazione alla quota d’utile effettivamente ritraibile dell’esecuzione dell’appalto);

- sia per quanto riguarda il danno c.d. ‘curricolare’ connesso all’impossibilità di far valere in futuro il requisito economico relativo al valore dell’appalto non eseguito;

- sia per quanto riguarda il danno da mancato ammortamento di attrezzature e macchinari.

Al riguardo, stante l’estrema difficoltà di operare un’esatta quantificazione delle voci costitutive dei danni in parola, il Collegio ritiene di potersi avvalere del criterio di valutazione equitativa del danno di cui all’articolo 1226 cod. civ. e di determinare l’ammontare del danno risarcibile nella misura complessiva del tre per cento dell’offerta di gara, al netto del ribasso proposto.

L’importo in tal modo determinato, avente la natura di credito di valore, deve essere incrementato della rivalutazione monetaria a decorrere dal momento dell’illegittima esclusione e sino alla data di pubblicazione della presente sentenza.

Per il tratto successivo, e fino al soddisfo, la somma in tal modo determinata è produttiva di interessi nella misura del saggio legale sino alla data dell’effettivo soddisfo.

11. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello in epigrafe deve essere dichiarato improcedibile in relazione al richiesto annullamento degli atti impugnati in primo grado, ma accolto nei sensi di cui innanzi, quanto alla domanda risarcitoria.

La peculiarità delle questioni trattate consente di ritenere integrati i giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile in ordine alla domanda di annullamento ai sensi dell’articolo 34, comma 3 del cod. proc. amm. e lo accoglie per quanto riguarda la domanda risarcitoria, nei sensi di cui al punto 10 della motivazione, e, per l’effetto, negli stessi limiti in riforma della sentenza impugnata, accoglie la domanda risarcitoria.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

 

 

 

Guida alla lettura

La sentenza, dopo aver accertato l’illegittimità dell’aggiudicazione ai fini risarcitori, ai sensi dell’articolo 34, comma 3 del cod. proc. amm., ribadisce i presupposti per poter ottenere il risarcimento del danno patito e determina l’ammontare del danno risarcibile avvalendosi del criterio di valutazione equitativa di cui all’articolo 1226 cod. civ., in considerazione dell’estrema difficoltà di operare un’esatta quantificazione delle voci costitutive dei danni.

La vicenda trae origine dall’esclusione di una ditta da una gara di appalto, all’esito della verifica (facoltativa) di anomalia disposta ai sensi del comma 3 dell’articolo 86 del d. lgs. 163/ 2006, ora art. 97 del D. Lgs. 50/2016.

Il Consiglio di Stato non condivide le conclusioni a cui il Tar Lecce è giunto in merito al carattere ampiamente discrezionale delle valutazioni della Commissione di gara, con conseguente impossibilità per il giudice di sostituire il proprio giudizio a quello dell'Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, III, 13.3.2015, n.1337; IV, 26.2.2015, n. 963), ritenendole viziate per evidenti e gravi profili di incongruità.

Nella fattispecie, non essendo più possibile ottenere il subentro nei lavori da eseguire, il Consiglio di Stato accerta l’illegittimità ai fini risarcitori, ribadendo la sostanziale equiparazione tra la struttura dell’illecito extracontrattuale della PA e il modello delineato nell’art. 2043 c.c., e conferma che non è necessario accertare la colpa della P.A., nel caso in cui la tutela per equivalente debba necessariamente sostituirsi alla non più possibile tutela in forma specifica, come da consolidato orientamento della giurisprudenza sul tema e in ossequio ai principi sanciti dalla Corte di giustizia UE.

Si conferma la necessità, in forza del principio generale sancito dall’art. 2697, primo comma, c.c., che la ditta danneggiata debba provare gli elementi costitutivi del danno, non solo la prova dell’an e del quantum del danno, ma anche dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto.

Il Consiglio conferma l’inammissibilità del ristoro delle voci di danno connesse alle spese e ai costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura (Cons. Stato, V, 12 maggio 2016, n. 1904) e non riconosce il danno esistenziale per nocumento all’immagine, in mancanza di una specifica allegazione, che dimostri le modifiche in senso peggiorativo derivanti dall’illecito nella sfera giuridica del danneggiato.

Viene, invece, accolta l’istanza risarcitoria sotto il profilo del lucro cessante da mancata esplicazione di un’attività d’impresa, pari al mancato utile ritraibile e determinato sulla base dell’offerta presentata dalla ditta e sotto il profilo del danno curriculare, perché ingiustamente privata dell’esecuzione di un appalto che avrebbe potuto incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare.

Il Collegio si avvale, quindi, del criterio di valutazione equitativa del danno di cui all’articolo 1226 cod. civ. per determinare l’ammontare del danno risarcibile, che, avente la natura di credito di valore, va incrementato della rivalutazione monetaria e dalla data di pubblicazione della sentenza fino al soddisfo degli interessi nella misura del saggio legale.