Testo della relazione svolta al Convegno di studi dell’8 luglio 2016 “Il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici”, organizzato a Cortina dall’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti

Sommario.

1.        Il sistema della tutela giurisdizionale e il nuovo “pre-contenzioso” in materia di contratti pubblici. Dalle direttive al codice, attraverso la legge delega n. 11/2016.

2.          La tutela giurisdizionale e la soluzione precontenziosa delle controversie nelle tre direttive del 2014. La salvezza delle procedure di ricorso di cui alla direttiva n. 865/665/CEE. La protezione dell’interesse legittimo del cittadino-contribuente al corretto svolgimento della procedura.

3.          I criteri della legge delega: rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale (ADR); razionalizzazione del processo di cui all’art. 120 CPA.

4.          Gli ADR nella fase di affidamento: dal sistema classico dei ricorsi amministrativi e del ricorso straordinario all’informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso. Le incertezze del legislatore.

5.          L’autotutela richiesta alla stessa stazione appaltante e la parabola (poco felice) dell’art. 243-bis del vecchio codice degli appalti.

6.          Il nuovo ruolo dell’ANAC nel sistema. Il controllo concreto sulle patologie delle procedure di affidamento. La concentrazione dei poteri. Il rischio di inflazione del pre-contenzioso.

7.          L’ambito temporale di applicazione della nuova disciplina e il regime transitorio “graduale” riferito alle sole procedure avviate a partire dal 20 aprile 2016.

8.          Il nuovo sistema dei “pareri di precontenzioso” e delle “raccomandazioni vincolanti” dell’ANAC (art. 211 del d.lgs. n. 50/2016). Il difficile raccordo con la tutela giurisdizionale.

9.          Due ipotesi distinte accomunate nell’art. 211: il concetto ampio di “precontenzioso”.

10.         La criticabile assimilazione fra le due ipotesi e la necessità di esaminare autonomamente l’ipotesi del precontenzioso in senso stretto (la risoluzione delle “questioni” affidata all’ANAC).

11.         Il “vecchio” precontenzioso facoltativo nel codice degli appalti n. 163/2006 e nel regolamento ANAC del 2 settembre 2014.

12.         Le novità della disciplina di rango legislativo.

13.         L’iniziativa delle parti – anche disgiunta – di avvio del procedimento precontenzioso.

14.         La legittimazione alla richiesta e la titolarità dell’iniziativa.

15.         Il coordinamento con la tutela giurisdizionale e i termini per la proposizione del ricorso.

16.         La decisione. La natura giuridica e il contenuto del “parere” di precontenzioso dell’ANAC.

17.         L’obbligo di attenersi alla decisione dell’ANAC e il carattere “vincolante” del parere.

18.         La struttura decisoria del “parere motivato”. Il dovere della stazione appaltante di attuare la pronuncia dell’ANAC. Assenza di discrezionalità e contenuti conformativi del parere.

19.         Il significato della nuova efficacia vincolante del parere dell’ANAC. La dimensione oggettiva dell’efficacia e il suo perimetro soggettivo.

20.         Nel nuovo ordinamento esiste ancora spazio per il parere “totalmente non vincolante” dell’ANAC?

21.         Il termine per la pronuncia del parere ANAC e il suo inutile decorso. Il problema del raccordo con la tutela giurisdizionale.

22.         Gli strumenti giuridici per l’attuazione del parere vincolante dell’ANAC. La necessaria mediazione di un provvedimento attuativo della stazione appaltante. La problematica applicabilità del giudizio di ottemperanza

23.         Il problema dello stand still processuale e della tutela cautelare. L’applicabilità delle regole flessibili del regolamento ANAC.

24.         L’impugnabilità in sede giurisdizionale del parere vincolante dell’ANAC.

25.         La compatibilità degli istituti di ADR con la Costituzione. La natura indisponibile delle posizioni di interesse legittimo. La necessaria previsione del sindacato giurisdizionale sulla pronuncia precontenziosa.

26.         La condanna alle spese della parte soccombente dinanzi all’ANAC, in caso di ulteriore rigetto del ricorso giurisdizionale.

27.         Il regolamento dell’ANAC sul precontenzioso non vincolante e i dubbi sulla sua base normativa. Il potere di disciplinare il procedimento nel nuovo quadro sistematico del decreto n. 50/2016. L’applicazione “residuale” del CPA.

28.         La sorte del regolamento di autorganizzazione dell’ANAC. La perdurante vigenza delle disposizioni non incompatibili con il nuovo assetto normativo.

29.         I problemi del raccordo con la tutela giurisdizionale. L’impugnazione del parere di rigetto, dell’originario provvedimento contestato e dell’eventuale atto di adeguamento adottato dalla stazione appaltante.

30.         Le nuovissime “raccomandazioni vincolanti” di cui al comma 2 dell’art. 211. Contenuto della disciplina e aspetti problematici.

31.         I presupposti sostanziali per l’esercizio del potere di intervento dell’ANAC. Il nodo dell’ambito delle scelte discrezionali riservate all’Autorità.

32.         La natura e il fondamento del potere esercitato dall’ANAC: le conseguenze sulla disciplina applicabile al procedimento.

33.         L’impugnazione giurisdizionale della “raccomandazione vincolante” positiva. La portata del rinvio all’art. 120: termini della notificazione del ricorso e decorrenza. Ulteriori criticità dei pareri di precontenzioso e delle raccomandazioni vincolanti dell’ANAC.

34.         È possibile impugnare dinanzi al TAR la determinazione “negativa”, con cui l’ANAC, dopo l’avvio formale del procedimento, esclude la sussistenza di vizi della procedura?

35.         La sollecitazione all’intervento sanzionatorio proposta dai soggetti “interessati” e il silenzio dell’ANAC. Vi è un obbligo di provvedere dell’Autorità?

36.         Il problema della tutela precontenziosa dei cittadini titolari di un “interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto”. Un dovere di pronuncia dell’ANAC? La legittimazione all’esposto degli operatori economici decaduti dal potere di proporre ricorso.

37.         Il mancato adeguamento delle stazioni appaltanti alla raccomandazione vincolante dell’ANAC: gli strumenti di tutela dei terzi interessati.

38.         La tutela procedimentale personale del dirigente responsabile della violazione.

39.         La raccomandazione dell’ANAC e il provvedimento della stazione appaltante: il problema del coordinamento con la disciplina generale del procedimento; i limiti sostanziali dell’annullamento di ufficio.

40.         La segnalazione di illegittimità della procedura formulata dall’operatore economico decaduto dal ricorso giurisdizionale (e dalla richiesta di parere di cui all’art. 211, comma 1).

41.         Il potere di intervento dell’ANAC sulle situazioni consolidate: il caso della cristallizzazione del provvedimento definitivo di esclusione e di ammissione e la ratio del rito “superspeciale”.

42.         Le segnalazioni qualificate provenienti dal giudice amministrativo ai sensi della “Legge Severino”. Un dovere puntuale di pronuncia dell’ANAC.

43.         Il rapporto tra il procedimento di precontenzioso e il contestuale giudizio. La “litispendenza impropria” tra i due procedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 2.

44.         Il rapporto (problematico) tra le due ipotesi dell’art. 211. Il doppio volto dell’ANAC: giudice imparziale delle controversie e Pubblico Ministero persecutore delle illegittimità delle stazioni appaltanti.

45.         Una possibile ipotesi di coordinamento: l’alternatività assoluta tra i rimedi precontenziosi disciplinati, rispettivamente, dal comma 1 e dal comma 2 dell’art. 211. La prevalenza dei procedimenti officiosi dell’ANAC.

 

 

 

1.                           Il sistema della tutela giurisdizionale e il nuovo “pre-contenzioso” in materia di contratti pubblici. Dalle direttive al codice, attraverso la legge delega n. 11/2016.

Il nuovo codice dei contratti pubblici (d. lgs. 18 aprile 2016 n. 50) ridisegna in modo radicale la funzione “precontenziosa” dell’ANAC, diretta alla composizione e alla prevenzione delle controversie in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici.

In particolare, l’art. 211 regola i due distinti procedimenti genericamente qualificati come “precontenziosi”, svolti davanti all’Autorità di vigilanza. La stessa disposizione, poi, statuisce la proponibilità del ricorso giurisdizionale avverso le determinazioni conclusive del precontenzioso (i pareri e le “raccomandazioni” vincolanti dell’Autorità), “ai sensi dell’art. 120 del C.P.A.

In termini più generali, del resto, l’art. 213, comma 2, terzo periodo, nel delineare l’ampio spettro delle attribuzioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, dispone che resta sempre ferma l'impugnabilità delle “decisioni” e degli altri atti assunti dall'ANAC, “innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa”, quasi a compensare, con questa insistenza sulla tutela giurisdizionale, l’amplissima latitudine del potere regolatorio e di intervento attribuito a tale Autorità. Non solo ma la statuizione della impugnabilità delle decisioni dell’ANAC smentisce, in limine, la certezza della ricostruzione in chiave di effettiva alternatività alla tutela giurisdizionale dei rimedi previsti dall’art. 211.

Altre numerose innovazioni portate dal d.lgs. 50/2016 influenzano, direttamente o indirettamente l’attività di definizione non giurisdizionale e di prevenzione delle controversie.

Tra queste (a parte la profonda rivisitazione dell’art. 120 del CPA e l’introduzione del rito superspeciale in materia di controversie riguardanti le ammissioni ed esclusioni), la più evidente, in relazione al tema specifico del precontenzioso, è costituita dalla definitiva eliminazione dell’istituto tipico dell’informativa preventiva dell’intento di proporre il ricorso e del connesso procedimento di autotutela decisoria svolto dalla stazione appaltante (art. 243-bis del codice n. 163/2006, introdotto dal d.lgs. n. 53/2010). Al riguardo, tuttavia, il parere del Consiglio di Stato sullo schema del d.lgs. (p. 213) aveva suggerito al Governo l’opportunità di svolgere “una riflessione finale sull'utilità dell'eliminazione di un istituto animato da chiari fini deflattivi”. Il testo conclusivo del codice, senza particolari spiegazioni espresse, conferma l’opzione definitiva di abbandonare l’istituto dell’art. 243-bis, caratterizzato dalla sua funzione di eventuale rimedio preventivo alle possibili liti in materia di affidamento dei contratti pubblici.

La disciplina innovativa posta dal codice n. 50/2016 costituisce, in ogni caso, l’esito di una difficile elaborazione, che muove dalla complessa attuazione delle tre direttive del 2014, passando attraverso la ricca legge delega n. 11/2016 e i pareri consultivi (in particolare quello del Consiglio di Stato), che hanno determinato alcune importanti modifiche dello schema approvato dal Consiglio dei Ministri in via preliminare, proprio con riguardo alla formulazione definitiva dell’art. 211.

 

2.                           La tutela giurisdizionale e la soluzione precontenziosa delle controversie nelle tre direttive del 2014. la salvezza delle procedure di ricorso di cui alla direttiva n. 865/665/cee. La protezione dell’interesse legittimo del cittadino-contribuente al corretto svolgimento della procedura.

Le tre direttive “sostanziali” del 2014, nel loro puntuale articolato, non regolano esplicitamente né il tema del contenzioso e della composizione delle controversie, né quello della tutela preventiva – o alternativa - dinanzi alle Autorità indipendenti.

Ma questa circostanza non implica affatto disinteresse per un aspetto cruciale della disciplina europea degli appalti pubblici.

In primo luogo, infatti, nel considerando n. 122 della direttiva n. 24, si compie un fondamentale rinvio, “di salvezza”, alla “direttiva ricorsi” n. 89/665/CEE (come profondamente modificata dalla direttiva n. 66/2007): “La direttiva prevede che determinate procedure di ricorso siano accessibili per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscono tale diritto. La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare tali procedure di ricorso.

Il dato non è marginale, perché impone agli Stati membri di attuare le tre direttive “sostanziali” del 2014 senza frapporre ostacoli al diritto alla tutela giurisdizionale (e agli analoghi mezzi di tutela attivabili dinanzi alle Autorità indipendenti), presidiato da una giurisprudenza UE molto ampia e rigorosa, per tanti aspetti “creativa”, rispetto alla trama del diritto espresso puntualmente dalla direttiva ricorsi.

In secondo luogo, poi, lo stesso considerando n. 122, riconosce un altro principio di estrema importanza, suscettibile di incidere profondamente anche nel campo delle funzioni precontenziose delle Autorità di vigilanza: la necessità di assicurare adeguata tutela, quanto meno attraverso il potere di ricorso ad autorità di controllo generale, all’interesse legittimo del cittadino-contribuente al regolare svolgimento dell’intera procedura di appalto.

In tal senso, si precisa che “i cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone o organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla direttiva 89/665/CEE hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto.

Si afferma, quindi, l’attribuzione di una posizione giuridica sostanziale al semplice cittadino, ancorché attraverso il riferimento ad una categoria concettuale (“interesse legittimo”) non pienamente consolidata nel linguaggio normativo europeo (e certamente non sovrapponibile alla nozione di interesse legittimo affermatasi nell’ordinamento nazionale italiano), con l’evidente finalità di ampliare gli strumenti di controllo obiettivo della legittimità delle procedure. Al di là dei delicati problemi di inquadramento teorico, deve essere rimarcato che, per la direttiva, questa “situazione giuridica”, sostanziale o strumentale, deve essere comunque tutelata in modo efficace.

I cittadini “dovrebbero pertanto avere la possibilità, con modalità diverse dal sistema di ricorso di cui alla direttiva 89/665/CEE e senza che ciò comporti necessariamente una loro azione dinanzi a corti e tribunali, di segnalare le eventuali violazioni della presente direttiva all’autorità o alla struttura competente.

La “presa di distanza” dalle garanzie piene e speciali della direttiva ricorsi è palese: ma il rinvio “minimo” alla tutela dinanzi ad Autorità è indice di un’attenzione particolare. E lo strumento, immediatamente operativo, consiste nell’estendere alle Autorità di controllo esistenti il potere-dovere di agire, su impulso dei soggetti che forniscono la segnalazione di possibili violazioni delle regole, allo scopo di verificare l’eventuale sussistenza delle illegittimità denunciate.

Al fine di non creare duplicazioni di autorità o strutture esistenti, gli Stati membri dovrebbero essere in grado di prevedere il ricorso ad autorità o strutture di controllo generali, organi di vigilanza settoriali, autorità di vigilanza comunali, autorità competenti in materia di concorrenza, al Mediatore o ad autorità nazionali competenti in materia di audit.

Questa indicazione, seppure non risulta tradotta in una puntuale disposizione dell’articolato della direttiva n. 24/2014, dovrebbe essere attentamente considerata, perché pare destinata ad incidere sensibilmente sul tema della legittimazione al ricorso giurisdizionale, sui vincoli all’autotutela delle stazioni appaltanti e sulla valutazione della tenuta complessiva del nostro sistema di giustizia amministrativa e di precontenzioso.

Per il legislatore europeo, insomma, anche in mancanza di una disposizione puntuale e specifica, deve ritenersi già immanente, nel tessuto del diritto dell’Unione, il pieno diritto del cittadino di rivolgersi ad una struttura competente a realizzare il ripristino della legalità violata.

Né la legge delega, né il decreto n. 50 (e nemmeno la relazione governativa di accompagnamento al codice) sembrano riconoscere l’innegabile valore di questa indicazione. Ma è evidente che una corretta lettura e applicazione delle regole contenute nell’art. 211, con particolare riguardo al ruolo delle “denunce” di illegittimità e al compito assegnato all’ANAC nell’esercizio delle funzioni riconducibili al precontenzioso, dovrà vagliare attentamente il peso dell’indirizzo prescelto dal legislatore europeo.

 

3.                           I criteri della legge delega: rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale; razionalizzazione del processo di cui all’art. 120 CPA.

La legge delega n. 11/2016, in coerenza con il suo carattere “lungo”, contiene, comunque, espressi e articolati criteri in materia di tutela giurisdizionale e – sia pure in modo più sintetico – di funzione “precontenziosa”, racchiusi nelle lettere aaa) e bbb) dell’articolo 1. Risulta manifesta la consapevolezza che il settore degli appalti pubblici, per acquistare efficienza, deve essere riformato anche sul versante della soluzione e prevenzione delle controversie, pure al di là di quanto espressamente imposto dalle direttive del 2014.

In questa logica, si prevede, fra l’altro, la “razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto”.

L’inciso finale del criterio di delega (“anche in materia di esecuzione del contratto”) lascia chiaramente intendere che i previsti rimedi alternativi, seppure non analiticamente indicati nella loro fisionomia, potrebbero (e dovrebbero) riguardare in prima battuta proprio il contenzioso relativo alla fase precedente l’esecuzione del contratto (in particolare, le procedure di affidamento), ricadenti nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo (in sede di giurisdizione esclusiva o di legittimità).

A stretto rigore, la formula “razionalizzazione” potrebbe fare pensare alla mera revisione di una disciplina già esistente (il vigente “precontenzioso” dinanzi all’ANAC). Ma la disciplina attuativa recata dal codice consiste nella introduzione di istituti profondamente nuovi, che vanno ben oltre il mero riordino delle regole già in vigore.

Sembra “invertito” il rapporto logico (e storico) tra questi due momenti della procedura, considerando che, tradizionalmente, l’arbitrato prima e l’accordo bonario poi hanno costituito oggetto di ADR ante litteram, riguardanti la sola fase di esecuzione del rapporto contrattuale (e le controversie astrattamente rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario) mentre, al contrario, gli strumenti di prevenzione e soluzione non giurisdizionale per le controversie in fase di affidamento si sono affacciati molto tardi (e con insolita fatica) nel panorama normativo.

Dalla lettura della delega, tuttavia, si ricava la sensazione che il legislatore abbia abbastanza chiara la prospettiva di revisione del processo speciale in materia di appalti, almeno con riguardo al tema della tutela cautelare e del rito accelerato concernente le controversie in materia di ammissioni ed esclusioni.

Il riferimento a forme di tutela diverse da quella giurisdizionale (ADR), invece, resta ancora consegnato ad una dizione della delega estremamente ampia e generica, tanto più opinabile in considerazione della complessità dei punti critici da affrontare in relazione alla praticabilità di un sistema davvero “alternativo” alla tutela giurisdizionale in senso stretto (indisponibilità delle situazioni giuridiche connesse all’esercizio dei poteri amministrativi, raccordo con la tutela giurisdizionale, posizione istituzionale dell’ANAC, evoluzione dell’autotutela). Manca, invero, l’indicazione degli strumenti idonei a realizzare l’obiettivo di assicurare la definizione delle controversie senza gravare la giurisdizione amministrativa.

Si può anticipare sin d’ora, tuttavia, che, nelle ampie maglie della delega, il codice n. 50/2016 abbia compiuto 3 scelte fondamentali, riferite al settore del precontenzioso:

a)                           la già citata soppressione dell’istituto dell’informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso e del correlato procedimento di autotutela svolto dalla stazione appaltante, di cui all’art. 243-bis del codice n. 163/2006 (opzione che, come si è detto, potrebbe apparire in contrasto con la finalità di implementare i mezzi di risoluzione e composizione non giurisdizionale delle liti);

b)                          la profonda trasformazione del vecchio “precontenzioso” facoltativo e non vincolante dinanzi all’ANAC, diretto al componimento delle liti pertinenti alle procedure di affidamento, valorizzando l’efficacia obbligatoria della decisione finale dell’Autorità;

c)                           la previsione di un generale potere – officioso - di intervento dell’Autorità, volto alla riparazione delle illegittimità riscontrate, idoneo – indirettamente - anche a prevenire l’insorgere di controversie, benché non necessariamente e non prioritariamente finalizzato a tale scopo.

 

4.                 Gli ADR nella fase di affidamento: dal sistema classico dei ricorsi amministrativi al ricorso straordinario e alla informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso. Le incertezze del legislatore.

Nella legge n. 11/2016, il riferimento agli ADR in fase “non esecutiva” è rimasto comunque molto cauto, considerando la delicatezza del problema generale della tutela non giurisdizionale relativa alle controversie affidate alla cognizione del giudice amministrativo.

Infatti, l’ordinamento delle tutele non giurisdizionali è stato tradizionalmente caratterizzato dalla evoluzione di istituti “classici”, caratterizzanti il collaudato sistema dei ricorsi amministrativi, ossia di strumenti dotati certamente di efficacia deflattiva del giudizio amministrativo, ma privi del connotato tipico della alternatività al processo.

Al tempo stesso, poi, si è ripetutamente osservato come la tutela materialmente “arbitrale” in materia di interessi legittimi (affidata ad organi non giurisdizionali) sarebbe inconciliabile con la indisponibilità di tali situazioni giuridiche soggettive, almeno da parte di soggetti pubblici titolari dei poteri amministrativi.

Con riferimento al settore specifico degli appalti pubblici sono emersi ulteriori interrogativi.

Il primo riguarda lo spazio astrattamente assegnabile al ricorso straordinario, inteso come possibile alternativa al comune giudizio dinanzi al TAR (suscettibile di determinare una riduzione del carico complessivo della giustizia amministrativa, quanto meno con riferimento alla unicità del grado di giudizio). Nel codice del 2006, come è noto, si era inteso valorizzare notevolmente tale strumento, considerato idoneo ad accelerare la soluzione delle controversie e si era statuita espressamente la sua praticabilità come strumento alternativo al ricorso giurisdizionale, prevedendo altresì la piena eseguibilità della decisione attraverso il giudizio di ottemperanza.

Nel 2010, con il decreto legislativo n. 53/2010 e con codice del processo amministrativo invece, si è capovolta l’impostazione, nonostante l’affermata giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario, e questo strumento è stato eliminato nelle controversie in materia di appalti. La spiegazione più ragionevole della scelta, che appare in netto contrasto con l’idea di aumentare gli strumenti di tutela delle parti e alleggerire il carico complessivo del giudice amministrativo (quanto meno attraverso la possibile riduzione del contenzioso in primo grado dinanzi al TAR), è costituita dalla assoluta specialità ed “esclusività” del nuovo rito, considerato inconciliabile con il complesso delle regole acceleratorie e con il meccanismo dello stand still “processuale”, incentrato sulla breve sospensione del termine per la stipula del contratto, in dipendenza della proposizione di una domanda cautelare.

Tale opzione è stata confermata nel codice e, al momento, non sembra più seriamente posta in discussione.

 

5.                 L’autotutela richiesta alla stessa stazione appaltante e la parabola (poco felice) dell’art. 243-bis del vecchio codice degli appalti.

La seconda questione generale riguarda la collocazione sistematica delle disposizioni riguardanti le iniziative volte a sollecitare l’esercizio dell’autotutela della stazione appaltante, in chiave di risposta preventiva alla richiesta di riparazione delle accertate illegittimità.

Si tratta, in particolare, dell’istituto dell’art. 243-bis del codice n. 163/2006 (informativa dell’intento di proporre ricorso), introdotto dal decreto legislativo n. 53/2010 e ora abrogato dal nuovo codice. La disciplina prendeva spunto dalla previsione facoltativa della direttiva n. 66/2007, contenuta nell’art. 1, par. 4 e 5, che consentiva agli Stati membri di imporre ai soggetti interessati l’obbligo di avvisare preventivamente la stazione appaltante della possibile contestazione della procedura di affidamento[2].

Nella impostazione della direttiva, probabilmente, lo scopo della regola era solo quello – relativamente circoscritto - di permettere alla stazione appaltante di assumere tempestivamente le opportune iniziative derivanti dalla imminente attivazione del contenzioso (prudenziale sospensione della stipula del contratto; predisposizione delle difese; verifica preventiva della legittimità degli atti), senza imporre l’attivazione di un procedimento di autotutela.

La regola nazionale attuativa della direttiva, tuttavia, aveva complicato notevolmente il quadro, stabilendo non soltanto un preciso obbligo di informativa preventiva, ma stabilendo anche il doveroso avvio di un rapido procedimento di autotutela. Il limite più evidente della disciplina era costituito dall’imperfetto coordinamento con la tutela giurisdizionale: i termini per la proposizione del ricorso al TAR non erano in alcun modo sospesi o modificati per effetto della richiesta di autotutela.

In sostanza, si era ritenuto che la previsione della regola europea, secondo cui l’informativa non può incidere sul termine sospensivo per la stipulazione del contratto, assumesse carattere rigido e inderogabile, nella dimensione massima del termine di stand-still. Era invece plausibile la tesi secondo cui la regola di derivazione comunitaria intendesse garantire soltanto il rispetto del termine minimo di sospensione, ma non impedisse la sua eventuale estensione in caso di informativa. Del resto, il secondo paragrafo della disposizione della direttiva risulta molto chiaro nello stabilire che il ricorso in opposizione (rivolto ad autorità non giurisdizionali) debba determinare, normalmente, un effetto di stand still.

Né, nel vecchio sistema, era chiaro se occorresse anche l’impugnativa della decisione motivata di diniego di autotutela. Sicché, il meccanismo previsto dalla normativa, a conti fatti, finiva per provocare maggiori inconvenienti che vantaggi, alimentando le incertezze e moltiplicando il contenzioso, in virtù della doppia impugnazione del provvedimento lesivo e della decisione in autotutela.

La stessa Autorità, poi, aveva rilevato, sin dai lavori preparatori per il recepimento della direttiva n. 66/2007, che la regola nazionale non si sarebbe innestata in modo coordinato ed armonico nel sistema della tutela precontenziosa (sia pure facoltativa) dinanzi alla (allora) AVCP.

Non vi è dubbio, pertanto, che la disciplina dell’art. 243-bis, così come concretamente attuata nel sistema, determinasse notevoli incertezze operative e richiedesse una radicale revisione.

Da qui, intuibilmente, la scelta “semplificatrice” del nuovo legislatore del 2016 di eliminare completamente l’istituto della informativa preventiva. L’innovazione, peraltro, non viene in alcun modo spiegata nella relazione governativa (né risultano disponibili indicazioni, ancorché approssimative, sull’effettivo funzionamento dell’istituto nel periodo considerato e sulle concrete ricadute sul contenzioso giurisdizionale). Pertanto, il parere del Consiglio di Stato aveva suggerito l’opportunità di valutare con maggiore attenzione le ricadute della modifica.

In questo senso, resta ancora attuale la necessità di verificare accuratamente se non sia opportuno conservare l’informativa nella sua connotazione “minima”, vale a dire come dovere della parte interessata di “avvertire” tempestivamente la stazione appaltante circa la propria intenzione di contestare la procedura di gara, eliminando solo la complessa e macchinosa procedura di riesame obbligatorio stabilita dalla disciplina previgente.

 

6.                 Il ruolo dell’Anac nel sistema. Il controllo concreto sulle patologie delle procedure di affidamento. La concentrazione dei poteri. Il rischio di inflazione del pre-contenzioso.

Evidentemente, però, la normativa racchiusa nell’art. 211 trova la propria base giustificativa non tanto nella discussa logica espansiva degli ADR, ma, piuttosto, nell’impostazione di fondo dell’intero impianto scaturito dal nuovo codice, che assegna all’ANAC vastissimi poteri di intervento e di controllo nel sistema dei contratti pubblici, riconducibili al compito di effettiva garanzia del corretto svolgimento delle procedure e del ripristino della legalità violata da specifici atti delle stazioni appaltanti.

La possibilità di “entrare” incisivamente nelle singole controversie, di analizzare le eventuali patologie delle gare, di comprendere le ragioni e la fisionomia delle controversie offre all’ANAC uno strumentario formidabile per il monitoraggio delle criticità del sistema e del suo funzionamento. Questo risultato, poi, potrebbe essere ancora più significativo se accompagnato da un’analisi approfondita del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo (ad esempio: tipologia dei vizi denunciati; litigiosità di determinati operatori economici o di stazioni appaltanti; esiti delle controversie).

I riconosciuti poteri paragiurisdizionali dell’ANAC, tuttavia, non sono privi di controindicazioni e inducono a svolgere una riflessione più estesa sulla complessiva “tenuta” del sistema.

I)                  La concentrazione di poteri normativi, sanzionatori, amministrativi, contenziosi in un unico soggetto non sembra particolarmente efficace sotto il profilo per così dire “logico”, incentrato sulla plurisecolare separazione delle funzioni di posizione della regola e della sua interpretazione e applicazione. Senza dimenticare che, in prospettiva, molte controversie in materia di contratti pubblici potrebbero essere originate proprio dalla contestazione, diretta o indiretta, di atti dell’Autorità.

II)               Ci si deve chiedere se sovraccaricare l’ANAC di un potere di risoluzione delle controversie non possa determinare un pesante – ulteriore - aggravio delle sue molteplici funzioni, spostando il baricentro del suo compito dalla regolazione generale del settore, alla soluzione episodica di vicende concrete.

III)             De iure condendo si potrebbe pensare, allora, ad un sistema non dissimile dall’arbitro bancario: l’individuazione cioè di organi tecnicamente qualificati, incaricati di definire il contenzioso in materia di procedure di affidamento, vigilati dall’Autorità e muniti di supporto tecnico e amministrativo adeguato, ma con garanzie di professionalità e indipendenza.

 

7.                           L’ambito temporale di applicazione della nuova disciplina e il regime transitorio “graduale” riferito alle sole procedure avviate a partire dal 20 aprile 2016.

Tutte le innovazioni processuali e quelle incidenti sul precontenzioso, comprese le variazioni dell’art. 120 C.P.A., e le norme racchiuse nell’art. 211, sono soggette al regime transitorio generale stabilito dall’art. 216, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016.

Ne deriva che, pertanto, le nuove norme si applicheranno soltanto al contenzioso relativo alle gare bandite a partire dal 20 aprile 2016 (1. Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo ovvero nelle singole disposizioni di cui al presente codice, lo stesso si applica alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.).

La natura processuale, o “para-processuale” delle norme in esame avrebbe potuto giustificare, astrattamente, un diverso regime transitorio, incentrato sulla immediata applicabilità delle nuove regole, in sintonia con il principio tempus regit actum, fatta salva l’inapplicabilità delle nuove norme sui termini a quelli già in corso alla data in vigore del codice. Ma la scelta compiuta dal legislatore delegato è stata di segno opposto.

Ne deriva che l’operatività concreta delle nuove norme, riferite al contenzioso e al precontenzioso, è destinata ad attuarsi con cadenze temporali relativamente graduali.

Va poi ricordato, poi, che nessuna delle norme in esame risulta assoggettata al complesso meccanismo di entrata in vigore di numerose disposizioni del codice, la cui efficacia è subordinata all’adozione di atti regolamentari o amministrativi generali (ancorché, come si vedrà, entrambi i procedimenti di cui all’art. 211 meriterebbero, per il loro più chiaro e fluido funzionamento, una disciplina di carattere attuativo).

 

8.                           IL nuovo sistema dei “pareri di precontenzioso” e delle “raccomandazioni vincolanti” dell’ANAC (art. 211 del d. lgs. n. 50/2016). il raccordo con la tutela giurisdizionale.

La disciplina del precontenzioso dinanzi all’ANAC, racchiusa nell’art. 211, presenta numerosi elementi di novità e di interesse, che si accompagnano, inevitabilmente, a molteplici dubbi interpretativi.

Non a caso, il parere del Consiglio di Stato sullo schema del codice ammonisce che “Gli strumenti precontenziosi apprestati dal codice (parere vincolante dell'ANAC sull'accordo delle parti; raccomandazione dell'ANAC alle stazioni appaltanti a rimuovere atti in autotutela), se non ben definiti nei presupposti, procedimento, ed effetti, potrebbero sortire l'effetto di generare ulteriore contenzioso, con una eterogenesi dei fini che l'intervento legislativo si prefigge.

Inoltre, il testo definitivo contiene plurimi cambiamenti rispetto allo schema approvato in sede preliminare dal Consiglio dei Ministri. I singoli profili di differenza saranno evidenziati nel prosieguo in dettaglio[3].

Sin da ora, però, è utile evidenziare che, nel testo definitivo dell’art. 211, comma 1:

a)                           Si stabilisce il termine di trenta giorni dalla richiesta per la pronuncia del parere precontenzioso dell’ANAC;

b)                          Si ridefinisce la regola del perimetro soggettivo dell’efficacia vincolante del parere: ora “obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito”, mentre nel testo preliminare, il parere, obbliga le parti “qualora l’altra parte acconsenta preventivamente”;

c)                           scompare la curiosa e inafferrabile previsione secondo cui l’efficacia vincolante opererebbe solo se il parere sia “adeguatamente motivato”;

d)                          si prevede l’impugnabilità del parere dinanzi al giudice amministrativo, secondo il rito dell’art. 120 CPA, e si stabilisce che “in caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della, parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'articolo 26 del codice del processo amministrativo”.

 

9.                           Due ipotesi distinte accomunate nell’art. 211: il concetto ampio di “precontenzioso”.

In prima approssimazione, si può schematizzare il contenuto dell’articolo, osservando che esso riguarda due ipotesi distinte, considerate da altrettanti commi.

Queste sono accostate per la presenza di un dato comune, qualificante: la previsione del potere di intervento dell’ANAC, specifico e puntuale, su concrete procedure “di gara”, allo scopo di verificarne la legittimità e di porre rimedio ai vizi eventualmente accertati.

In ambedue le ipotesi, poi, è specificato che l’atto dell’Autorità (indipendentemente dalla sua possibile corretta qualificazione come decisione “alternativa” alla pronuncia del TAR) è sottoposto, a sua volta, al sindacato del giudice amministrativo.

A)                        Nel primo caso, la determinazione puntuale dell’Autorità scaturisce da una richiesta di parte e mira, in ultima analisi, a definire una possibile controversia (o una lite in atto).

La fattispecie riguarda, in senso stretto, la risoluzione di una questione tra le parti ed è costruita, anche sotto il profilo formale e lessicale, come sviluppo e modifica (peraltro radicale) del previgente sistema di “precontenzioso” facoltativo e non vincolante, già effettivamente attivato presso l’ANAC nel vigore dell’abrogato codice n. 163/2006.

Questo è ora tendenzialmente ricondotto alla ampia nozione di ADR (“Alternative Dispute Resolution” - metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale), nella prospettiva di alleggerire il carico di lavoro della giurisdizione amministrativa. Si tratta, peraltro, non di una vera “alternativa” alla tutela giurisdizionale, dal momento che la determinazione dell’ANAC è impugnabile dinanzi al giudice amministrativo anche per “vizi intrinseci”. La possibile funzione di “filtro” svolta dal precontenzioso è però indiscutibile: l’effetto deflattivo del contenzioso giurisdizionale appare, quindi, molto probabile, anche se è difficile prevederne la reale entità.

B)                         Nel secondo caso, invece, l’iniziativa diretta all’adozione dell’atto dell’ANAC non è necessariamente di parte, né si collega ad una “controversia” o alla esistenza di una “questione”; d’altro canto, però, non vi è nemmeno una riserva di impulso di ufficio ed è prevedibile che l’attenzione dell’Autorità su particolari procedure sarà originata proprio dalle sollecitazioni provenienti dai soggetti più direttamente coinvolti nella vicenda.

La fattispecie considerata dal comma 2, quindi, risulta del tutto nuova, concernendo il potere officioso dell’ANAC di rilevare le illegittimità compiute dalle stazioni appaltanti nel corso delle attività di affidamento dei contratti, attivando un inedito procedimento di “autotutela doverosa”, presidiato da una pesante sanzione pecuniaria ricadente, direttamente, sul competente dirigente responsabile della stazione appaltante.

Si introduce, pertanto, una peculiare forma di “controllo collaborativo” dell’Autorità, incentrato sul potere – anche officioso - di adottare atti di “raccomandazione vincolante”, finalizzati al ripristino della legalità violata, attraverso l’imposizione dell’esercizio doveroso di una particolare forma di autotutela obbligatoria delle stazioni appaltanti.

Il rapporto tra le due diverse fattispecie contemplate dall’art. 211, in ogni caso, non risulta delineato in modo esplicito dalla disposizione: questa lacuna fa sorgere più di un problema di coordinamento sistematico, con particolare riguardo alla possibile trasformazione del procedimento pre-contenzioso (vero e proprio, di cui al comma 1) originato dalla iniziativa di una parte interessata alla risoluzione o prevenzione di una controversia, in un’attività di controllo officioso dell’ANAC sulla correttezza e legittimità della procedura (ai sensi del comma 2): sul punto si rinvia alle considerazioni sviluppate infra.

 

10.                       La criticabile assimilazione fra le due ipotesi e la necessità di esaminare separatamente l’ipotesi del precontenzioso in senso stretto (la risoluzione delle controversie affidata all’ANAC).

L’art. 211, in conformità al criticabile stile “compattatore” dell’intero codice (che ha optato, troppo spesso, per lunghi articoli in cui sono disciplinati istituti diversi), accosta le due ipotesi, senza peraltro chiarirne il preciso rapporto.

La non perfetta nitidezza sistematica del testo si riflette sulla imprecisione della rubrica, la quale fa riferimento ai soli “pareri di precontenzioso”, riguardanti, a rigore, l’unica ipotesi del comma 1, mentre il comma 2 prevede i diversi atti di “raccomandazione vincolante”.

Questa approssimazione testuale, del resto, è ancora più marcata dalla tautologica relazione governativa di accompagnamento al testo che, con riferimento all’art. 211, si limita alla seguente – deludentissima - illustrazione: “l’articolo 211 (Pareri di precontenzioso dell’ANAC) prevede che, su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprima parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Qualora l’altra parte acconsenta preventivamente, il parere purché adeguatamente motivato, obbliga le parti ad attenersi a quanto in esso stabilito.

A parte l’eccessiva sinteticità della relazione, consistente nella mera parafrasi del comma 1, senza alcun utile elemento di comprensione, si può notare che nessun cenno è fatto alla nuova previsione del comma 2, che, evidentemente, proprio in considerazione della sua originalità, avrebbe meritato qualche spiegazione accurata.

È dunque necessario esaminare separatamente le due ipotesi, iniziando da quella formulata e regolata dal comma 1, che appare anche più vicina al contesto previgente, per poi verificarne il rapporto complesso con l’istituto della “raccomandazione vincolante”, previsto dal comma 2.

La disposizione in esame, infatti, sotto il profilo linguistico, ricalca perfettamente l’impostazione formale dell’articolo 6, comma 7, lettera n), del “vecchio” codice n. 163/2006.

Tale norma, nell’elencare il ventaglio delle funzioni dell’Autorità di vigilanza, stabiliva che essa, “su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione; si applica l'articolo 1, comma 67, terzo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266).

 

11.                       Il precontenzioso nel codice degli appalti n. 163/2006 e nel regolamento ANAC del 2 settembre 2014.

La precedente disciplina legislativa, peraltro, era stata ampiamente integrata (e per rilevanti aspetti innovata, sia pure con numerosi dubbi circa la legittimità e idoneità della fonte utilizzata) dal Regolamento adottato dall’ANAC il 2 settembre 2014 (Regolamento sull’esercizio della funzione di componimento delle controversie di cui all’art. 6, comma 7, lettera n) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, poi modificato dalla Deliberazione del 27 maggio 2015 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale, n. 147 del 27 giugno 2015).

Risulta molto utile, allora, per una piena comprensione della disciplina contenuta nell’art. 211, un primo confronto tra la vecchia e la nuova normativa di livello legislativo, tenendo conto pure dell’esperienza applicativa maturata in seno all’ANAC.

a)                           Si prevede, ora, un articolo autonomo dedicato al precontenzioso, sganciato dalla disposizione riferita alle generali funzioni dell’ANAC, opportunamente ricollocato nel Titolo del contenzioso del decreto n. 50/2016;

b)                          L’iniziativa diretta all’avvio del procedimento precontenzioso spetta, anche disgiuntamente, a ciascuna parte sostanziale del rapporto;

c)                           L’efficacia del parere è vincolante, ancorché solo per le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito;

d)                          Vi è un termine (30 gg.) per la pronuncia del parere dell’ANAC, ancorché non si indichino le conseguenze dell’inutile decorso del termine stesso;

e)                           Scompare il riferimento puntuale alla formulazione di una “ipotesi di soluzione” della controversia, quale possibile contenuto della determinazione dell’ANAC;

f)                           È soppresso il richiamo all'articolo 1, comma 67, terzo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266[4], secondo cui “L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici può, altresì, individuare quali servizi siano erogabili a titolo oneroso, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo dei servizi stessi”: in tal modo sembra volersi sancire, ora, la “gratuità” del “servizio” di precontenzioso (aspetto niente affatto marginale, alla luce dell’elevata misura attuale del contributo unificato);

g)                          Si prevede esplicitamente l’impugnabilità del parere dinanzi al giudice amministrativo e l’applicabilità dell’art. 26 del CPA in caso di rigetto del ricorso giurisdizionale.

 

12.                       Le novità della disciplina di rango legislativo.

In primo luogo, la scelta di un autonomo articolo e la nuova collocazione nel Titolo I della parte VI del codice ha il pregio innegabile di sottolineare l’importanza del compito dell’ANAC e la sua spiccata autonomia rispetto ad altre funzioni (ferme restando alcune specificazioni riferite all’ipotesi dell’art. 211, comma 2).

Meno scontata e appropriata è la scelta della rubrica (“pareri di precontenzioso”), che si connette al delicato tema della natura giuridica degli atti adottati dall’Autorità in questo particolare contesto.

Il codice del 2006 aveva anch’esso optato per la formula “parere”, ma non aveva adottato una specifica denominazione riferita al “precontenzioso”.

Quest’ultima locuzione, però, era stata utilizzata consapevolmente nei propri atti regolatori dall’Autorità, allo scopo di evidenziare l’attitudine dell’atto a definire un potenziale contenzioso tra le parti, senza assumere l’efficacia di una decisione arbitrale o paragiurisdizionale.

Nella sua conformazione “facoltativa” e non vincolante, poi, la struttura procedimentale era stata costruita come preordinata ad una definizione preventiva delle “questioni” litigiose: al punto che l’iniziativa era generalmente assunta dalla stessa amministrazione aggiudicatrice.

Insomma, più di un argomento appariva idoneo a sostenere la correttezza della formula “pre-contenzioso”, all’interno del particolare contesto ordinamentale delineato dal codice n. 163/2006.

Senza sopravvalutare la portata necessariamente “convenzionale” delle espressioni giuridiche utilizzate dal legislatore, si potrebbe dubitare, invece, della persistente esattezza della formula attuale: la pronuncia è destinata ad assumere portata vincolante tra le parti (sia pure nei limiti e alle condizioni indicate dalla norma) e si connette ad una controversia già in atto; dunque, il “parere” di cui all’art. 211, comma 1, non è affatto “pre”contenzioso, ma, a tutto concedere, “pre-giurisdizionale”.

Resta da considerare, tuttavia, che la norma primaria fa tuttora riferimento alla funzione di risoluzione di una “questione”: sicché, a rigore, l’intervento dell’Autorità potrebbe anche precedere l’insorgere di una controversia in senso stretto e la stessa adozione di provvedimenti della stazione appaltante, riferendosi anche alla ipotesi di incertezze operative riguardanti lo sviluppo della procedura di gara.

 

13.                       L’iniziativa – anche disgiunta – di avvio del procedimento pre contenzioso.

Passando all’esame dell’articolato, la disposizione conferma che l’intervento dell’ANAC –la quale assume un ruolo “materialmente” arbitrale - è subordinato alla iniziativa delle “parti” e, dunque, non può originare da una determinazione officiosa (ancorché questa affermazione potrebbe essere messa seriamente in dubbio dalla complessa disciplina del comma 2: vedi infra).

Rispetto al codice del 2006 emerge, tuttavia, una rilevante differenza lessicale. Nel testo legislativo previgente occorreva l’iniziativa (congiunta) della stazione appaltante “e” di una o più delle altre parti. Ora, invece, l’iniziativa spetta, anche disgiuntamente, a ciascuna delle “parti.”

La precedente criticabile dizione legislativa, peraltro, era stata superata – e contraddetta - dal citato regolamento di autoorganizzazione dell’ANAC, che aveva statuito, in ogni caso, la facoltà della iniziativa separata di ciascuno dei soggetti del rapporto.

Tale scelta poteva apparire, forse, in contrasto con la fonte legislativa. Ma si doveva replicare che, a fronte del carattere sicuramente “non vincolante” del parere, sembrava incongruo pretendere la richiesta congiunta di tutte le parti. Anche sul piano letterale, poi, la congiunzione “e” poteva essere interpretata ragionevolmente come indicativa del novero dei soggetti legittimati e non come impositiva di una istanza necessariamente collettiva.

Questa conclusione, peraltro, meriterebbe maggiore approfondimento. In effetti, proprio l’unilateralità della iniziativa volta a sollecitare l’intervento dell’Autorità poteva evidenziare l’intrinseca debolezza del successivo parere non vincolante adottato dall’ANAC, considerato che alcune delle parti avrebbero dimostrato preventivamente il loro disinteresse.

D’altro canto, la “non vincolatività” del parere era meno scontata di quanto poteva apparire e la giurisprudenza aveva individuato numerose ipotesi di efficacia, sia pure limitata, della determinazione dell’ANAC. In questo senso, allora, poteva trovare adeguata giustificazione la previsione regolamentare secondo cui la priorità della trattazione era assicurata solo alle richieste congiunte delle parti).

Ora, la nuova opzione legislativa è senz’altro orientata a codificare la disciplina dettata dall’ANAC in sede regolamentare. Senonché, nel nuovo contesto, proprio l’affermata efficacia vincolante del parere sembrerebbe imporre, al contrario, proprio la necessità di una richiesta congiunta di tutte le parti, o, quanto meno, la manifestazione della inequivoca volontà di assoggettamento all’efficacia vincolante del parere. Ciò del resto, pare coerente con la previsione secondo cui l’efficacia vincolante presuppone, a sua volta, il consenso preventivo di tutte le parti.

Probabilmente, si potrebbe ricomporre la scarsa chiarezza della disposizione, affermando che, per attivare il procedimento precontenzioso occorre lo svolgimento di due fasi, logiche e temporali:

A)               Tutte le parti devono aderire preventivamente alla scelta di sottoporsi al giudizio dell’ANAC (attraverso una sorta di compromesso arbitrale, ancorché realizzato con separati atti);

B)               Una volta perfezionato questo assenso, l’iniziativa diretta alla pronuncia dell’ANAC spetta anche a una sola delle parti (e le altre resteranno sottoposte all’efficacia vincolante del “parere”).

Questa possibile ricostruzione non scioglie tutti i dubbi interpretativi.

A rigore, si potrebbe ritenere che, comunque, anche in assenza del consenso preventivo delle parti, un soggetto possa chiedere comunque all’ANAC un parere non vincolante, o comunque vincolante solo per il richiedente. In tal modo si potrebbe ipotizzare la possibile coesistenza del “vecchio” precontenzioso facoltativo e del nuovo obbligatorio.

Resta poi da chiedersi in quale momento e con quali forme le parti possano vincolarsi preventivamente (e irrevocabilmente) alla efficacia del successivo parere.

L’indicata successione cronologica tra la sottoposizione preventiva all’efficacia vincolante del parere dell’ANAC e la formulazione della richiesta non è puntualmente indicata dalla legge. Si può ammettere forse l’adesione successiva di una parte alla iniziativa dell’altra. Ma si tratta di stabilire se esista un parallelismo con il meccanismo dell’arbitrato previsto dall’ordinamento civile, con tutti i corollari in tema di stipulazione del “compromesso” o della clausola arbitrale.

 

14.                       La legittimazione alla richiesta e la titolarità dell’iniziativa

La norma legislativa considera, espressamente, quali titolari del potere di iniziativa, solo la stazione appaltante e le altre “parti”.

Il regolamento ANAC del 2014 faceva riferimento, invece, testualmente, ad una nozione più ampia (art. 2, comma 2): “Sono legittimati a presentare istanza i soggetti portatori di interessi pubblici o privati nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati.”

In linea generale, si deve ritenere che, anche prescindendo dalla difficoltà di qualificare esattamente la nozione di “parte” (sostanziale e processuale) del rapporto controverso, la legittimazione alla richiesta di parere deve estendersi, quanto meno, a tutti i soggetti titolari del potere di ricorso giurisdizionale. Sembra difficile, invece, ammettere una legittimazione più estesa, riferita a soggetti privi di un interesse differenziato.

Resta poi da analizzare a fondo il problema della legittimazione del “cittadino-contribuente”, contemplato dal citato considerando della direttiva n. 24, il quale, come si è osservato, non assume necessariamente la titolarità di un potere di azione dinanzi al giudice amministrativo, ma deve avere l’effettiva possibilità di ottenere una risposta dalla competente Autorità di controllo.

Sembrerebbe corretto ritenere che tale soggetto debba essere tutelato attraverso la garanzia dello svolgimento di un procedimento di riesame efficace dinanzi all’Autorità indipendente e di regolazione degli appalti.

Appare però più convincente la tesi secondo cui la tutela dovrebbe essere realizzata non mediante il procedimento di pre-contenzioso di cui all’art. 211, comma 1, ma attraverso lo strumento più flessibile della segnalazione di violazioni, idonea ad attivare il procedimento di cui al comma 2.

 

15.             Il coordinamento con la tutela giurisdizionale e i termini per la proposizione del ricorso.

Nel sistema del pre-contenzioso facoltativo previsto dall’ordinamento previgente, non aveva particolare rilievo il problema dei termini per la proposizione della richiesta di intervento dell’ANAC: la decisione non era vincolante e quindi, le parti interessate erano libere di adeguarsi o meno alla valutazione espressa dall’Autorità, ancorché il provvedimento illegittimo fosse diventato inoppugnabile o fosse comunque trascorso un certo lasso di tempo dallo svolgimento della procedura selettiva.

Molto opportunamente, poi, si stabiliva (sia pure nella fonte regolamentare) che il procedimento amministrativo dinanzi all’ANAC si estinguesse in caso di proposizione del ricorso giurisdizionale.

Ora, a fronte del carattere vincolante del parere, sembra indispensabile risolvere con maggiore chiarezza (e in modo diverso) il problema pratico del raccordo con la tutela giurisdizionale. Sotto questo aspetto, l’art. 211 è obiettivamente carente e le lacune potrebbero essere risolte in sede interpretativa (o attraverso il regolamento ANAC) solo in modo approssimativo e insoddisfacente.

In linea di massima, si potrebbe anche ritenere che spetti all’Autorità definire i termini di proposizione della richiesta (e la loro decorrenza), in funzione della migliore razionalizzazione del procedimento.

Potrebbe essere più semplice, allora, prevedere una perfetta coincidenza con i termini del ricorso giurisdizionale, nell’interesse di tutte le parti.

Ma non sarebbe astrattamente irragionevole né la previsione di termini brevissimi, né la previsione di termini più lunghi.

Nel primo caso si favorirebbe la definizione delle cause presumibilmente più “liquide”, operando anche un certo filtro delle richieste. Questa impostazione, poi, potrebbe essere coerente con l’idea “letterale” del precontenzioso, inteso come procedimento volto a sfocare in una decisione anteriore all’avvio del contenzioso giurisdizionale.

Nel secondo caso, invece, si valorizzerebbe il ruolo di garanzia della legalità affidato all’ANAC. Né tale ipotesi comporterebbe il “recupero” postumo di decadenze già maturate, dal momento che l’efficacia vincolante sarebbe sempre subordinata al consenso delle parti interessate.

In assenza di norme primarie o secondarie, si potrebbe ritenere che, ora, non vi sia alcun termine e che, quindi, la parte interessata possa formulare la richiesta in qualsiasi tempo (a condizione, però, di ottenere il consenso preventivo delle parti soggette all’efficacia vincolante del parere).

L’altra possibile opzione ermeneutica – la quale appare decisamente preferibile - è che si debba applicare analogicamente la disciplina dei termini del ricorso amministrativo, oppure quella del processo amministrativo e, segnatamente, quella contenuta negli artt. 120 e ss. In entrambi i casi, la richiesta andrebbe proposta nel termine di trenta giorni.

 

16.                       La “decisione”. Natura giuridica e il contenuto del “parere” di precontenzioso dell’ANAC.

L’art. 211 conferma la formula del codice abrogato secondo cui l’Autorità “esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”.

L’espressione utilizzata presenta alcune criticità, legate alla persistente utilizzazione della formula “parere”, in luogo di quella di “decisione”, che apparirebbe più appropriata, considerando i nuovi contenuti dell’atto (anche alla luce della locuzione presente nel citato art. 213, comma 2, del codice), obiettivamente destinato a risolvere una controversia, sia pure con la necessaria (e problematica) mediazione dell’adeguamento doveroso imposto alla stazione appaltante, in caso di accoglimento della richiesta. Il punto dovrà essere approfondito insieme all’analisi della “efficacia vincolante” dell’atto, affermata dal periodo successivo dell’art. 211, comma 1.

In questo punto, infatti, si coglie l’aspetto letteralmente “rivoluzionario” della norma. Mentre nel codice del 2006 il parere è espressamente qualificato come non vincolante[5], nell’art. 211 è statuita l’efficacia giuridica dell’atto (obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito), sia pure circoscritta ai soli soggetti che vi abbiano preventivamente acconsentito

Resta, poi, meritevole di approfondimento il significato della formula “questioni insorte durante la procedura”, che non corrisponde alla espressione “domande” o “azioni”, utilizzata nel CPA.

Sotto il profilo testuale, l’espressione potrebbe far pensare non già a una controversia in senso tecnico, già “attuale” (benché il regolamento ANAC esprimesse una prescrizione di opposto avviso, subordinando l’intervento dell’Autorità alla esistenza di un’effettiva controversia), ma ad una sorta di mera divergenza interpretativa o applicativa in ordine al procedimento in itinere. È plausibile l’interpretazione più larga, in coerenza con la funzione “pre-contenziosa” dell’intervento dell’ANAC, che mira a prevenire la stessa insorgenza di liti, attraverso la soluzione di dubbi operativi proposti dalle parti e segnatamente dalla stazione appaltante.

Per altro verso, il “complemento temporale” utilizzato dalla disposizione legislativa (“durante la procedura di gara”) potrebbe indurre a ritenere che il dissenso tra le parti debba riguardare una procedura ancora in atto, con la conseguenza che l’intervento dell’ANAC avrebbe sempre carattere preventivo.

Anche in questo caso, per interpretare correttamente la disciplina, può essere utile porre a raffronto il vecchio e il nuovo sistema di precontenzioso.

Effettivamente, nel disegno del codice n. 163/2006, l’idea di un “parere” non vincolante, espresso in una sede che “precede” il contenzioso, avrebbe potuto giustificare bene un intervento dell’ANAC diretto ad orientare preventivamente il corretto svolgimento della procedura di gara. Questa tesi avrebbe potuto essere rafforzata anche dalla considerazione dei poteri “sospensivi” della procedura di affidamento previsti dal vecchio regolamento ANAC.

Ora, invece, nel nuovo quadro del decreto n. 50/2016, la decisione dell’ANAC non è più riferita ad una procedura ancora allo stato embrionale e, pertanto, la locuzione “precontenzioso” deve assumere valenza meramente convenzionale, senza restringere l’ambito applicativo dell’intervento dell’Autorità.

Sembra allora preferibile ritenere che la formula legislativa debba intendersi correttamente riferita non tanto alla fase temporale in cui sorge la questione, ma all’ambito oggettivo delle controversie. Si potrebbe dunque riscrivere parzialmente la disposizione nel seguente modo: “questioni relative allo svolgimento della gara”, comprensive, peraltro, delle contestazioni riguardanti tutti gli atti della procedura.

 

17.                       L’obbligo di attenersi alla decisione dell’ANAC e il carattere vincolante del parere.

L’aspetto di maggior rilievo della nuova disciplina riguarda l’esplicita affermazione del carattere “vincolante” del parere pronunciato dall’ANAC, all’esito del procedimento pre-contenzioso.

Il “capovolgimento” della precedente formula legislativa è, sotto il profilo testuale, palese. Ma, nonostante l’apparente perentorietà della dizione legislativa, i problemi interpretativi ancora aperti sono numerosi.

Intanto, nel precedente assetto, la indicata natura esplicitamente “non vincolante” del parere non aveva affatto impedito agli interpreti di assegnare comunque all’atto un valore decisamente superiore rispetto alla semplice “raccomandazione” dell’Autorità, consistente nella formulazione di una ipotesi di componimento della lite, basata sulla sola capacità persuasiva dell’organo autore della decisione (moral suasion).

In particolare, si era ritenuto che, in ogni caso, l’amministrazione appaltante, la quale avesse inteso discostarsi dal parere (quanto meno nei casi in cui avesse sollecitato essa stessa l’intervento dell’Autorità), avrebbe dovuto svolgere un’approfondita motivazione, diretta a confutare le tesi dell’ANAC.

In secondo luogo, in caso di contenzioso giurisdizionale poi concluso con una pronuncia conforme sostanzialmente al decisum dell’ANAC, la parte soccombente avrebbe dovuto sopportare le conseguenze sfavorevoli previste dall’art. 26 del CPA. Non a caso, questa regola è ora meglio esplicitata nel nuovo art. 211.

Infine, il parere dell’ANAC avrebbe potuto incidere in modo significativo sull’eventuale giudizio di responsabilità risarcitoria della PA (e del dirigente cui imputare la scelta) che avesse deciso di discostarsi immotivatamente da tale determinazione.

 

18.                       La struttura decisoria del “parere motivato”. Il dovere della stazione appaltante di attuare la pronuncia dell’ANAC. Assenza di discrezionalità e contenuti conformativi del parere.

La locuzione “parere”, comunque, non è in astratto incompatibile con la portata sostanzialmente decisoria dell’atto, come avviene, esemplarmente nel procedimento del ricorso straordinario. Si può richiamare, al proposito, la collaudata categoria del “parere vincolante”, il quale assume la struttura logica e la funzione materiale di una “decisione”, intesa come soluzione coercitiva di una controversia, basata su un procedimento logico di valutazione delle contrapposte opinioni.

La stazione appaltante è soggetta all’efficacia vincolante del parere e ad assumere tutte le statuizioni consequenziali, senza alcun margine di discrezionalità. Qualora vi sia un dissenso rispetto alla decisione dell’ANAC, la stazione appaltante ha l’onere di proporre un tempestivo ricorso al TAR.

Ci si dovrebbe aspettare, dunque, che ora l’ANAC, conformemente alle richieste delle parti, possa assumere tutte le determinazioni contenutisticamente corrispondenti a quelle della decisione del giudice amministrativo, stabilendo gli atti da annullare, adottando le statuizioni in materia di efficacia del contratto, gli obblighi risarcitori, la “spettanza” dell’appalto, ecc.

Le possibili difficoltà operative connesse a questa soluzione non sono trascurabili, ma non vi è ragione sistematica per circoscrivere le potenzialità delle decisioni precontenziose dell’ANAC.

 

19.                       Il significato della nuova efficacia vincolante del parere dell’ANAC. La dimensione oggettiva dell’efficacia e il suo perimetro soggettivo.

La nuova formula legislativa, riferita all’ambito soggettivo di efficacia del parere, potrebbe essere intesa, astrattamente, in un duplice modo.

Secondo una prima tesi, in mancanza di adesione di tutte le parti, il parere resterebbe comunque, e in assoluto, non vincolante per tutti i soggetti interessati, compresa la stessa parte che abbia assunto l’iniziativa di adire l’ANAC.

Per una seconda tesi, invece, la parte cha abbia acconsentito alla efficacia vincolante, sarebbe comunque assoggettata unilateralmente alla decisione, mentre, per le altre parti il parere resterebbe inutiliter datum (o, comunque, dotato della stessa efficacia del parere non vincolante).

Questa opinione potrebbe essere maggiormente aderente alla lettera della legge. Sul piano pratico, è ipotizzabile che la stazione appaltante stabilisca di auto vincolarsi preventivamente alle decisioni dell’ANAC, ancorché sfavorevoli. Di conseguenza, ogni successivo atto incidente sulla procedura resterebbe comunque condizionato al rispetto del parere adottato dall’ANAC.

Il quadro che ne deriva non sarebbe, comunque, di facile decifrazione, considerando che il rapporto giuridico controverso riguardante la procedura di gara coinvolge, di norma, almeno un’altra parte privata e un controinteressato.

Si può indicare un esempio.

L’amministrazione e il richiedente (concorrente non aggiudicatario) accettano preventivamente l’efficacia vincolante del parere. La decisione finale dell’ANAC accoglie, poi, la prospettazione del richiedente.

A questo punto, la stazione appaltante che non impugni il parere è tenuta ad eseguire la decisione dell’Autorità. Un suo provvedimento contrastante con la pronuncia dell’ANAC potrebbe essere allora ritenuto viziato per violazione di legge (mediata dall’art. 211) e impugnato dall’originario richiedente.

Ma, a sua volta, il contro interessato (aggiudicatario originario), non essendo vincolato dal parere, potrebbe difendersi, semplicemente, deducendo che il parere dell’ANAC non incide sulla sua sfera giuridica, che resta protetta dalla consolidazione dell’aggiudicazione a suo tempo non impugnata in sede giurisdizionale.

Non vi sarebbe onere di proporre ricorso incidentale, e non vi sarebbe nemmeno un problema di “disapplicazione” del parere: semplicemente, tale decisione non avrebbe sostanzialmente alcuna efficacia nei suoi confronti, senza alcuna necessità di sindacarne, nemmeno incidentalmente, la legittimità.

Diverso è invece il caso in cui la decisione dell’ANAC sia sfavorevole alla parte richiedente che abbia accettato preventivamente di assoggettarsi alla sua efficacia vincolante.

In tal caso, la parte, per rimuovere gli effetti preclusivi del parere per lei sfavorevole avrebbe l’onere di proporre ricorso al TAR. E, in tal caso, il potenziale “controinteressato” potrebbe far valere questo vincolo nei suoi confronti.

Ne deriva, insomma, un disegno piuttosto complesso, caratterizzato da una geometria troppo flessibile dell’efficacia vincolante del parere, sotto l’aspetto soggettivo. A seconda dei casi potrebbe essere vincolante per tutte le parti, per alcune soltanto, o addirittura per nessuna, ove si ammettesse la perdurante vigenza di tale categoria di pareri.

Senza dire, poi, che, occorrerebbe distinguere, analiticamente, le mille sfumature verificabili in concreto, in funzione dei soggetti che preventivamente aderiscano (o meno) all’efficacia del parere e in relazione al suo contenuto di accoglimento o di rigetto.

Va osservato, però, che la tesi secondo cui l’efficacia pienamente vincolante del parere potrebbe essere circoscritta ad alcune parti soltanto risulta incidentalmente espressa dal  Consiglio di Stato, sia pure con forti riserve.

Il parere, secondo l'art. 211 comma 1, vincola le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito: resta fermo che il vincolo non riguarda altri concorrenti, che potrebbero avere interesse a opporsi alla soluzione precontenziosa tra la stazione appaltante e un solo concorrente (c.d. controinteressati). La norma, infine, difetta di una disciplina dei termini. Ciò potrebbe non rendere agevole conciliare il procedimento finalizzato all'emissione del parere con le esigenze di speditezza della procedura di gara”.

 

20.                       Nel nuovo ordinamento Esiste ancora spazio per il parere “totalmente non vincolante” dell’ANAC?

Il punto richiede ulteriori approfondimenti.

In effetti, non è affatto chiaro se le parti (congiuntamente o meno) abbiano ancora il potere di richiedere e ottenere un parere totalmente non vincolante, da utilizzare, in modo del tutto spontaneo, solo se ritenuto effettivamente convincente.

A ben vedere, poi, il problema diventerebbe ulteriormente complicato se si provasse ad immaginare il ventaglio delle diverse ipotesi concretizzabili, in funzione dell’esito del parere, dei soggetti che hanno acconsentito all’efficacia vincolante, alla presenza, o meno di impugnative dinanzi al giudice amministrativo.

La soluzione più convincente e semplificatrice dovrebbe essere nel senso di ipotizzare la esistenza, ora, di un’unica categoria di parere, necessariamente vincolante per tutte le parti interessate o contro interessate, purché esse abbiano aderito a tale vincolo.

A tutto concedere, in mancanza dell’adesione congiunta di tutte le parti, si dovrebbe ritenere che il parere resti (sempre per tutte) privo di efficacia vincolante.

Potrebbe comportare eccessive complicazioni, invece, l’ipotesi di un parere obbligatorio solo per taluni soggetti.

 

21.                       Il Termine per la pronuncia del parere ANAC e il suo inutile decorso. Il problema del raccordo con la tutela giurisdizionale.

L’art. 211, comma 1, prevede il termine di trenta giorni per la pronuncia del parere dell’ANAC, introducendo una novità rispetto alla precedente disciplina del codice n. 163/2006.

È opportuno, infatti, assicurare la celerità massima dell’intervento dell’Autorità, secondo regole tendenzialmente simmetriche a quelle del processo amministrativo (art. 120).

Non è chiaro, però, quali siano le conseguenze del suo inutile decorso.

Al riguardo, se si muove dalla premessa di fondo secondo cui il procedimento si inquadra, almeno, analogicamente, nel sistema dei ricorsi amministrativi, potrebbe richiamarsi il complesso dibattito sorto intorno alla classica questione della decisione gerarchica tardiva, a conferma della necessità di un chiarimento normativo sulla questione.

In tale prospettiva, è ora consolidato l’orientamento, (si veda, ad es., Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3397 del 2010), secondo il quale il decorso del termine di novanta giorni previsto dall’art. 6 del d.P.R. n. 1199 del 1971, entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso dall’autorità amministrativa, “non ha effetti sostanziali ma processuali giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento nei termini di decadenza, una volta formatosi il silenzio-rigetto, ovvero la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa, con la conseguenza che, anche se si è formato il silenzio-rigetto, l’Amministrazione non viene privata della potestà di decidere il ricorso gerarchico né il privato della legittimazione ad insorgere contro il provvedimento di rigetto dello stesso”.L’ipotesi ricostruttiva più convincente, allora, è che il decorso del termine previsto dall’art. 211, comma 1, non renda il parere tardivo illegittimo e che, in caso di inutile decorso del termine, la parte interessata è legittimata ad attivare gli strumenti di reazione giurisdizionale avverso il silenzio.

La questione più delicata, però, consiste nello stabilire quale sia il raccordo con la tutela giurisdizionale, nel caso in cui si ritenga che la richiesta di parere vincolante sia idonea ad impedire la decadenza anche dal ricorso giurisdizionale.

In via analogica sembrerebbe praticabile, anche in questo caso, l’applicazione dei principi di cui al D.P,R. n. 1199/1971, quali espressioni di principi generali in materia di raccordo tra la tutela “amministrativa” in senso ampio e quella giurisdizionale.

 

22.                       Gli strumenti giuridici per l’attuazione del parere vincolante dell’Anac. La necessaria mediazione di un provvedimento attuativo della stazione appaltante. La problematica applicabilità del giudizio di ottemperanza.

L’art. 211, comma 1, peraltro, non prevede alcuna disposizione specificamente diretta a garantire l’attuazione del parere del precontenzioso e l’adempimento del dovere di attenersi alle sue statuizioni: non vi sono termini, né sanzioni, né poteri sostitutivi.

La rilevanza del problema potrebbe essere acuita dalla circostanza secondo cui nessuna delle statuizioni delle decisioni ANAC avrebbe portata “auto esecutiva”, nemmeno nella parte in cui si accerti l’annullabilità degli atti della procedura. Infatti, secondo l’art. 211, la stazione appaltante dovrebbe adottare le necessarie determinazioni di adeguamento al parere di precontenzioso.

Come si è detto, però, sembra preferibile ritenere che la decisione possa assumere, senz’altro, i connotati e i contenuti materiali di una sentenza di accoglimento (analoghi a quelli della decisione del ricorso amministrativo.

Sembrerebbe praticabile, allora, l’operatività del rimedio dell’ottemperanza di cui all’art. 114, comma 2, lettera d), del CPA, il quale fa riferimento alla esecuzione “delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;”.

Si deve accennare, peraltro, ad un problema particolare.

Il comma 2 dell’art. 211 stabilisce che, in caso di mancato adeguamento alla raccomandazione vincolante, disciplinata da tale disposizione, il dirigente responsabile della stazione appaltante è soggetto a una sanzione pecuniaria.

La sanzione non è prevista, invece, per il caso del mancato adeguamento al parere vincolante previsto dal comma 1.

La differenza di disciplina non è razionalmente giustificata. A ben vedere, l’inattuazione della decisione contenziosa, adottata all’esito di un procedimento ad armi pari tra le parti interessate, sembra più grave della mancata adesione alla raccomandazione vincolante.

Una possibile spiegazione è che la previsione di sanzioni potrebbe scoraggiare le stazioni appaltanti dall’adesione preventiva alla procedura precontenziosa.

Resta da chiedersi, però, se la decisione di accoglimento della richiesta di parere precontenzioso, di cui all’art. 211, comma 1, non debba essere correttamente qualificata, in ultima analisi, proprio come “accertamento” di una violazione, ai sensi dell’art. 211, comma 2, con l’ovvia conseguenza che anche il parere vincolante debba ritenersi implicitamente corrispondente ad una raccomandazione vincolante, assistita – di diritto - dalla sanzione di cui al comma 2.

È auspicabile che, in sede di correttivo al codice, il Governo valuti attentamente i diversi aspetti problematici della questione.

 

23.             Il problema dello stand still processuale e della tutela cautelare. L’applicabilità delle regole flessibili del regolamento ANAC.

La disciplina legislativa del precontenzioso nulla dice in ordine alla tutela cautelare e al meccanismo dello stand still “processuale”.

È ragionevole ritenere che, nella pratica, il problema potrebbe avere una rilevanza limitata, considerando che il ricorso facoltativo all’ANAC presuppone un consenso unanime delle parti (pur con le criticità sopra evidenziate), certamente interessate alla definizione della lite prima dell’avvio dell’esecuzione delle prestazioni contrattuali e della stessa stipulazione.

Sembra allora applicabile tuttora il meccanismo descritto dal “vecchio” regolamento ANAC (articolo 4, comma 1), secondo cui “1. L’istanza presentata dalla stazione appaltante, congiuntamente o singolarmente, deve contenere l’impegno a non porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione, fino al rilascio del parere2. Quando l’istanza è presentata da una parte diversa dalla stazione appaltante, con la comunicazione di avvio dell’istruttoria, l’Autorità formula alla stazione appaltante l’invito a non porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione, fino al rilascio del parere.

In sostanza, vi sarebbe uno spontaneo, legittimo “stand still” precontenzioso, idoneo a sostituire qualsiasi forma di tutela cautelare.

Sembra al momento preferibile conservare questa soluzione “flessibile”, anche considerando che, in caso di dissenso tra le parti su questo punto fondamentale, il giudizio sarà radicato verosimilmente dinanzi al giudice togato.

 

24.                       L’impugnabilità del parere vincolante dell’ANAC.

Ulteriore novità testuale recata dall’art. 211, comma 1, collegata alla affermata natura obbligatoria del parere, riguarda la previsione esplicita della sua impugnabilità, secondo le regole procedurali speciali dell’art. 120.

In precedenza, pur mancando una norma espressa, si affermava costantemente la tesi della non impugnabilità del parere: Cons. Stato, Sez. V, 27 aprile 2011, n. 2479, § I; Cons. giust. amm. Reg. Sic., 13 dicembre 2010, n. 1461, § 2.3: «Si tratta, di un ‘servizio’ che l’Autorità è abilitata a prestare, e non anche di ‘potere’, attribuito all’Autorità, in funzione di ‘organo consultivo’ delle stazioni appaltanti (o dei concorrenti), nella materia contrattuale».

Sul punto, tuttavia, non si era registrato un approfondimento particolare: qualche dubbio avrebbe potuto sorgere considerando che, in ogni caso, il parere dell’ANAC non era del tutto privo di effetti e, in concreto, si sarebbero potuti ipotizzare casi di effettivo interesse all’annullamento di un atto destinato ad incidere, quanto meno sul piano motivazionale, sulle decisioni adottate dalla stazione appaltante.

 

25.                       La problematica compatibilità degli istituti di ADR con la Costituzione. La natura indisponibile delle posizioni di interesse legittimo. La necessaria previsione del sindacato giurisdizionale sulla pronuncia precontenziosa.

La previsione della impugnabilità del parere dell’ANAC deriva dal puntuale suggerimento del Consiglio di Stato.

Questo metodo alternativo di risoluzione delle controversie pone problemi e merita approfondimenti sul piano della compatibilità con la delega e sul versante dell'armonizzabilità con il principio di indisponibilità dell'interesse legittimo, da ultimo confermato dall'art. 12 del codice del processo (che limita alle posizioni aventi la consistenza di diritto soggettivo la compromettibilità in arbitri delle controversie devolute al giudice amministrativo).Per assicurare la compatibilità con la Costituzione e con la delega è necessario evitare la trasformazione di questa procedura in un rimedio alternativo alla giurisdizione amministrativa. E' quindi opportuna la precisazione dell'impugnabilità del parere vincolante, che in realtà è una decisione a dispetto del nomen, innanzi agli organi della giustizia amministrativa.”

Evidentemente, in questo modo, si conferma una netta presa di distanza dal meccanismo arbitrale previsto dal codice di procedura civile: il parere va impugnato dinanzi al TAR (e non dinanzi al giudice di secondo grado), per tutti i motivi di legittimità (e non per le spòe cause di nullità del lodo).

 

26.                       La condanna alle spese della parte soccombente dinanzi all’ANAC, in caso di ulteriore rigetto del ricorso giurisdizionale.

Il quadro delle novità testuali è completato dalla regola secondo cui, in caso di rigetto del ricorso, il giudice valuta la condotta del ricorrente ai fini della ripartizione delle spese di lite, richiamando l’intero art. 26 del CPA.

La norma chiarisce che, anche ai fini della “temerarietà” della lite, per il caso di responsabilità aggravata, occorre tenere conto dei comportamenti serbati pure nella fase di precontenzioso.

Si recepisce, in tal modo, il suggerimento formulato dal Consiglio di Stato: “Per rafforzare l'impegno delle parti al rispetto del parere a cui esse stesse abbiano preventivamente acconsentito e scongiurare liti temerarie, potrà prevedersi che in caso di rigetto del ricorso contro il parere dell'ANAC, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'art. 26 del codice del processo amministrativo.”

 

27.                       Il regolamento dell’ANAC sul precontenzioso non vincolante e i dubbi sulla sua base normativa. Il potere di disciplinare il procedimento nel nuovo quadro sistematico del decreto n. 50/2016. L’applicazione “residuale” del CPA.

Va evidenziato che, nel contesto dell’ordinamento previgente, l’Autorità aveva completato la scarna disciplina legislativa del “precontenzioso”, adottando un apposito regolamento, caratterizzato da una riscrittura piuttosto profonda dell’intera disciplina.

Ora, il decreto n. 50/2016, che pure adotta con larghezza la tecnica del rinvio ad atti integrativi della disciplina primaria, nell’art. 211 non prevede alcun provvedimento destinato a completare la disciplina legislativa, la quale resta piuttosto esile e contraddittoria. Proprio la trasformazione del precontenzioso in una sorta di ADR avrebbe dovuto determinare un maggiore dettaglio di regolamentazione.

È quindi evidente che, in questo ambito, sarà necessario dettare alcune regole, quanto meno di carattere formale e procedimentale, ancorché esse non abbiano alcun effetto condizionante sulla entrata in vigore della disciplina di livello primario.

Il precedente regolamento dell’Autorità era stato adottato, presumibilmente a norma dell’art. 8, 2° comma, cod. (disposizione peraltro non menzionata nel preambolo), ove figurano, quali oggetti della potestà regolamentare dell’Autorità, «la propria organizzazione e il proprio funzionamento», e quindi, si deve ritenere, i profili organizzativi e procedimentali della funzione in parola, ma non quelli sostanziali. Questi ultimi profili nemmeno possono essere disciplinati, sempre a norma dell’art. 8, 2° comma, quali «modalità di esercizio della vigilanza» per la stessa ragione e perché la funzione consultiva è cosa diversa dalla funzione di vigilanza.

Si tratta di stabilire, allora, nel nuovo quadro legislativo disegnato dal decreto n. 50/2016, quale possa essere la base normativa di un potere regolamentare dell’Autorità in questa materia.

Anche nel sistema attuale l’ANAC conserva il potere di regolare la propria organizzazione. Non pare che in tale ambito, tuttavia, in assenza di adeguate indicazioni legislative, possano annoverarsi anche disposizioni suscettibili di incidere sugli aspetti sostanziali del procedimento pre contenzioso (legittimazione, termini, contenuti della decisione, filtri di ammissibilità).

Questa soluzione rigorosa, ma rispettosa del fondamentale canone del principio di legalità, lascia aperto, comunque, il problema della necessità di integrare alcuni aspetti poco chiari della disciplina legislativa.

È quindi ragionevole ipotizzare che, in attesa di un auspicabile intervento correttivo sul codice in subiecta materia, l’Autorità adotterà comunque alcune disposizioni attuative e di complemento, indispensabili per assicurare il più efficace svolgimento della procedura.

 

28.                       La sorte del regolamento di autorganizzazione dell’ANAC. La perdurante vigenza delle disposizioni non incompatibili con il nuovo assetto normativo.

La disciplina sub primaria si era preoccupata di definire le fasi del procedimento, sia per quanto riguarda i profili organizzativi interni degli Uffici, sia per quanto attiene agli aspetti sostanziali del sistema (legittimazione, sorte della procedura di affidamento, ecc.).

Stabilire l’attuale destino di tale regolamento, quindi, è piuttosto importante sul piano pratico e, in mancanza di norme di coordinamento e transitorie, non è affatto scontata la sua persistente vigenza, quanto meno parziale, anche in funzione della effettiva operatività della nuova disciplina del precontenzioso vincolante: sarebbe quindi molto opportuno un rapido chiarimento dell’Autorità sul punto. La maggior parte delle regole previste non appare incompatibile con la nuova disciplina dell’art. 211. Pertanto, sembra ragionevole ritenere che esso continui ad applicarsi, fatta eccezione per quelle previsioni assolutamente non conciliabili con l’assetto delineato dal decreto 50.

Come si è detto, l’articolo 211 non spiega quale sia la sorte della disciplina di dettaglio prevista dal regolamento del 2015.

Tale atto contiene delle disposizioni particolarmente significative, concernenti, fra l’altro:

I)                          il riferimento testuale alla “soluzione delle controversie” e al “componimento delle controversie”; [le due formule appaiono nella sostanza equivalenti, anche se l’espressione “componimento” enfatizza l’aspetto arbitrale e conciliativo della definizione della lite];

II)                        la legittimazione dei portatori di interessi pubblici, privati, diffusi;

III)                     le ipotesi di inammissibilità, improcedibilità;

IV)                     i contenuti delle istanze;

V)                       la procedura;

VI)                     la sospensione della gara.

Sembra ragionevole ritenere che l’entrata in vigore dell’art. 211 non abbia determinato un effetto di “caducazione automatica” del regolamento e che, al contrario, in linea generale, tutte le disposizioni contemplate dovrebbero conservare la loro efficacia, salve alcune limitate eccezioni.

In particolare, non dovrebbero esservi difficoltà a ritenere ancora pienamente operanti le disposizioni strettamente procedurali.

Maggiori difficoltà riguardano il destino delle seguenti norme:

a)                           la previsione dell’art. 2, comma 2, in base alla quale “sono legittimati a presentare istanza i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati.”

b)                          la previsione dell’art. 3, comma 1, lettera g), secondo cui non sono ammissibili le istanze volte ad un controllo generalizzato dei procedimenti di gara delle amministrazioni aggiudicatrici;

c)                           la previsione dell’art. 3, comma 1, lettera a), secondo cui non sono ammissibili le istanze relative a gare di importo inferiore alla soglia di 40.000 euro;

d)                          la previsione dell’art. 3, comma 4, secondo cui “le istanze divengono improcedibili in caso di esistenza o sopravvenienza di un ricorso giurisdizionale avente contenuto analogo, di sopravvenuta carenza di interesse delle parti, di rinuncia al parere”.

Infatti, nei punti sopra indicati, emergono i più ampi interrogativi riguardanti la doverosità dell’intervento sollecitato all’ANAC (e quindi della impossibilità di limitare l’ambito del precontenzioso in funzione del valore della controversia), il tema della legittimazione al ricorso; il problema del rapporto con la tutela giurisdizionale.

Si possono indicare, intanto, le possibili soluzioni.

Le disposizioni relative alla legittimazione all’istanza non sembrano più compatibili con l’assetto delineato dall’art. 211.

Infatti, nel nuovo contesto normativo, l’intervento “precontenzioso” dell’ANAC è sostanzialmente equivalente all’ambito del processo giurisdizionale. Sicché, le disposizioni regolamentari in materia non possono né allargare né restringere la sfera dei soggetti legittimati.

D’altro canto, le citate disposizioni regolamentari non sono affatto chiare, dal momento che per un verso sembrano ampliare la legittimazione degli istanti, per altro verso tendono a circoscrivere la possibilità di ricorrere all’ANAC.

Si tratta di stabilire se possa ammettersi la legittimazione al ricorso del cittadino contribuente.

La risposta più convincete è che, per la protezione di tale situazione giuridica soggettiva sia più idoneo lo strumento dell’art. 211, comma 2, attivato mediante il potere di segnalazione del cittadino,

La norma “filtro” che circoscrive il potere dell’ANAC ai soli appalti di maggiore importo non ha alcuna base giustificativa nell’art. 211, che sembra incentrato sul potere-dovere dell’ANAC di intervenire in seguito alla rituale istanza della parte interessata.

Resta aperto il problema di politica legislativa riguardante l’opportunità di “filtrare” l’intervento dell’ANAC.

Si consideri che, fra l’altro, il ricorso all’ANAC risulta idoneo ad abbattere notevolmente il costo della tutela. E sarebbe allora incongruo escludere tale rimedio proprio per gli appalti di minor valore.

Resta poi da interrogarsi sulla logicità di una disciplina che impedisse l’ADR proprio nelle controversie di minor valore, quando l’ordinamento dovrebbe orientarsi, semmai, a favorire i rimedi alternativi proprio per le cause “minori”.

Da ultimo, anche la previsione riguardante l’improcedibilità dell’istanza derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale potrebbe risultare compatibile con il nuovo sistema, ma si riannoda al più complesso e delicato tema del rapporto fra tutela giurisdizionale e tutela dinanzi all’ANAC.

La soluzione data dal regolamento potrebbe essere un’opzione astrattamente ancora praticabile. Ma forse è preferibile il contrario: è semmai il giudizio che “recede” davanti alla decisione precontenziosa.

 

29.             I problemi del raccordo con la tutela giurisdizionale. L’impugnazione del parere di rigetto, dell’originario provvedimento contestato e dell’eventuale atto di adeguamento adottato dalla stazione appaltante.

Appare incerta è la soluzione del problema concernente il rapporto con la successiva tutela giurisdizionale nel caso in cui il parere dell’ANAC respinga, in tutto o in parte, la richiesta formulata dall’interessato.

Si tratta di stabilire se il parere di precontenzioso, in caso di rigetto della richiesta formulata dalla parte, assorba totalmente (con l’effetto tipico dell’atto di conferma propria, adottato all’esito di istruttoria rinnovata e sorretto da adeguata nuova motivazione) il provvedimento contestato.

Se così fosse, la parte interessata ad accertare l’illegittimità della determinazione dell’ANAC e del presupposto provvedimento, non sarebbe tenuta ad impugnare, separatamente e tempestivamente, dinanzi al giudice amministrativo, il provvedimento originario della stazione appaltante, ma potrebbe ritualmente impugnare il solo parere di precontenzioso.

Ovviamente, però, in sede giurisdizionale non potrebbero essere fatte valere censure ulteriori e diverse da quelle proposte nell’ambito del procedimento di precontenzioso.

Questa soluzione appare la più ragionevole e coerente con il nuovo sistema.

Un primo argomento in tal senso è offerto dal confronto con la dettagliata disciplina riguardante l’autotutela originata dalla informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso, di cui all’art. 243 bis dell’abrogato codice degli appalti.

In tal caso, la necessità della immediata impugnazione dell’atto lesivo era fuori discussione e, semmai era dubbia la necessità di impugnare anche il successivo diniego di autotutela.

Un secondo argomento deriva dalla circostanza che l’ANAC ha solo trenta giorni per decidere sulla richiesta della parte interessata: anche ipotizzando che l’istanza sia presentata lo stesso giorno di adozione dell’atto contestato, vi è il fondato rischio che la pronuncia dell’ANAC intervenga quando sono già scaduti i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale.

Infine, l’espressa previsione della impugnabilità del parere dell’ANAC, indipendentemente dal suo contenuto di accoglimento o di rigetto, sembra avere senso solo nella prospettiva della sua autonoma lesività.

È comunque palese che il punto dovrebbe richiedere un equilibrato intervento legislativo, perché su questi aspetti poco o nulla potranno fare le determinazioni generali dell’ANAC.

 

30.                       Le nuovissime “raccomandazioni vincolanti” di cui al comma 2 dell’art. 211. Contenuto della disciplina e aspetti problematici.

Come si è anticipato, la previsione dell’art. 211, comma 2, costituisce un’assoluta novità nel sistema, di difficile inquadramento sistematico e di disagevole interpretazione applicativa.

Già l’espressione utilizzata dal legislatore (“raccomandazioni vincolanti”), appare intrinsecamente contraddittoria, evidenziando la criticità del corretto punto di equilibrio tra il fine di massima tutela della legalità e il rispetto della autonomia organizzativa di ciascuna stazione appaltante.

Il testo definitivo della disposizione, la quale costituisce l’esito di una complessa elaborazione preparatoria, stabilisce che:

2. Qualora l'ANAC, nell'esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni.Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell'Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del dirigente responsabile.La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all'articolo 36 del presente decreto. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo.

Rispetto al testo originario approvato dal CDM in sede preliminare, emergono numerose, differenze, molte delle quali derivanti dalle sollecitazioni contenute nel parere (fortemente critico) del Consiglio di Stato.

In termini più generali, l’organo consultivo aveva affermato che: “È da preferire allora una riformulazione in chiave di controllo collaborativo, ispirata alla disciplina dettata dall'art. 21-bis della legge n. 287 /1990, compatibile con i principi costituzionali e con i limiti della legge delega, che parla di "controllo" al fine di giustificare il potere dell'ANAC, usando una locuzione coincidente con la qualificazione usata dalla Consulta con riguardo alla legittimazione processale conferita dall'art. 21 bis cit. all'Autorità garante della concorrenza e del mercato [Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 20]”.[6]

A giudizio dell’organo consultivo, infatti, “la formulazione attuale presenta significative criticità: a) sul piano della compatibilità con il sistema delle autonomie, in quanto introduce un potere di sospensione immediata e uno di annullamento mascherato che esorbitano dai meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta con la sentenza 14 febbraio 2013, 20, pronunciatasi sull'art. 21 bis della legge n. 287/1990; b) sul crinale della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, in quanto la sanzione colpisce il rifiuto di autotutela, 222 ossia un provvedimento amministrativo di cui è da presumere la legittimità fino a prova contraria. Si crea in questo modo una sorta di responsabilità da atto legittimo.

Queste le differenze principali tra il testo preliminare e quello definitivo:

a)                           Il presupposto sostanziale dell’intervento dell’Autorità è ora costituito, in senso decisamente ampliativo, da “un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara” e non più da “violazioni che determinerebbero l’annullabilità d’ufficio di uno dei provvedimenti ricompresi nella procedura ai sensi degli articoli 21-opties e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n.241,”;

b)                          Si elimina la previsione dell’originario secondo periodo, in forza della quale “La raccomandazione ha effetto sospensivo sul procedimento di gara in corso per il medesimo termine di sessanta giorni, qualora dal provvedimento possa derivare danno grave”;

c)                           Si prevede espressamente che “La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo”.

Non è stata recepita, quindi, la proposta estrema, formulata dal parere del Consiglio di Stato, di calibrare l’intervento dell’ANAC in un potere di azione giurisdizionale, modellato su quello assegnato all’Antitrust. In tal modo restano aperti, tuttora, i dubbi sulla compatibilità della nuova disciplina con il sistema generale del potere sanzionatorio attribuito all’Autorità per il caso di inadempimento del parere motivato.

 

31.                       I presupposti sostanziali per l’esercizio del potere di intervento dell’ANAC. Il nodo dell’ambito delle scelte discrezionali riservate all’Autorità.

Si tratta di stabilire, in primo luogo, quali siano i presupposti sostanziali in presenza dei quali l’intervento dell’ANAC è ammesso (o addirittura imposto), verificando anche se si tratta di un potere a carattere ampiamente discrezionale, oppure di una funzione contrassegnata anche da elementi di doverosità, quanto meno nelle ipotesi in cui siano stati compiuti atti di segnalazione “qualificati”.

L’isolata lettura dell’art. 211, comma 2, non offre elementi univoci.

Sotto il profilo lessicale, l’espressione neutra “qualora ritenga sussistente un vizio di legittimità” non è tra le più cristalline. Di sicuro, “in negativo”, si evidenzia la scelta di non adoperare altre formule più coerenti con la natura discrezionale del potere (quali, per esempio: “può invitare”).

Peraltro, risulta plausibile l’interpretazione secondo cui la locuzione “qualora ritenga”, isolatamente considerata, postula, in ogni caso, la conclusione di un procedimento decisionale complesso, basato sulla cura degli interessi pubblici istituzionali affidati all’Autorità.

Anche sotto il profilo empirico, imporre all’ANAC di scandagliare tutte le possibili illegittimità annidate nelle procedure di gara comporterebbe conseguenze insostenibili sul piano dell’efficienza.

Tuttavia, altri elementi sistematici potrebbero indurre a conclusioni diverse.

A)                        L’attivazione del procedimento di autotutela descritto dalla disposizione non richiama la disciplina tipica dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, indiscutibilmente riferita ad un tipico atto discrezionale. In questo senso la differenza dal testo preliminare è netta.

B)                         La nozione generale di “pre-contenzioso”, utilizzata dalla rubrica dell’art. 211 per descrivere il contenuto della disciplina, può far pensare all’esercizio di una funzione tipica orientata alla definizione corretta della legittimità della procedura, anche al fine di risolvere o prevenire il possibile contenzioso giudiziario.

C)                         Lo stesso “interesse pubblico” primario dell’ANAC è proprio quello della garanzia di legittimità delle procedura di gara, in perfetta sintonia con gli obiettivi di politica generale perseguiti dal legislatore comunitario.

 

32.                       La natura e il fondamento del potere esercitato dall’ANAC: le conseguenze sulla disciplina applicabile al procedimento.

La formula introduttiva del comma (nell'esercizio delle proprie funzioni) potrebbe apparire pleonastica, se intesa come semplice ricognizione od esplicazione dei compiti generalmente attribuiti all’ANAC. Al contrario, la locuzione potrebbe essere intesa come affermazione di un nuovo potere di intervento sui provvedimenti di altri soggetti;

Senza enfatizzare troppo questo profilo, si deve evidenziare che le ricadute della corretta qualificazione della locuzione potrebbero avere alcune conseguenze meritevoli di attenzione:

-                              il rispetto della delega: l’amplissimo ventaglio delle funzioni assegnate all’ANAC dalla legge n. 11 non comprende testualmente questo tipo di potere; si tratta, allora, di verificare a quale “categoria” dell’elenco normativo esso possa essere ricondotto;

-                              la compatibilità con le direttive, con particolare riguardo all’importantissimo elemento dei considerando che impone agli Stati membri di assicurare la tutela della correttezza delle procedure di affidamento;

-                              l’individuazione delle regole e dei principi applicabili al procedimento;

-                              l’affermazione del carattere “autonomo”, o meno, del procedimento stesso.

Quest’ultimo aspetto merita di essere accuratamente focalizzato.

Potrebbe essere possibile ritenere che, nell’intenzione del legislatore delegato, si sia voluto evidenziare il carattere del tutto “incidentale” dell’accertamento delle illegittimità: l’ANAC interverrebbe solo in relazione alle procedure esaminate nel corso di diversi procedimenti.

In altri termini, non vi sarebbe un autonomo procedimento di riesame, avviato di ufficio o su sollecitazione dei soggetti a vario titolo interessati.

È scontato che questo aspetto formerà oggetto di un chiarimento da parte dell’Autorità, la quale dovrà meglio indicare i presupposti di avvio del procedimento e i margini di discrezionalità riservatile.

 

33.                       L’impugnazione giurisdizionale della “raccomandazione vincolante” positiva. La portata del rinvio all’art. 120: termini della notificazione del ricorso e decorrenza. Ulteriori criticità dei pareri di precontenzioso e delle raccomandazioni vincolanti dell’ANAC.

In assenza di precise disposizioni in materia, tuttavia, occorre interrogarsi sul termine di proposizione del ricorso e sulla sua decorrenza.

Dovrebbe applicarsi la regola di cui al comma 6 dell’art. 120: per l'impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale, e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni e la disposizione di chiusura secondo la quale la decorrenza del termine è quella della piena conoscenza dell’atto.

Quanto alla fase precedente la proposizione del ricorso, occorre considerare, distintamente, le due ipotesi disciplinate, rispettivamente, nel primo e nel secondo comma.

 

34.                       È possibile impugnare dinanzi al TAR la determinazione “negativa”, con cui l’ANAC, dopo l’avvio formale del procedimento, esclude la sussistenza di vizi della procedura?

La previsione in esame solleva, sin d’ora, diversi interrogativi. Di seguito si indicano le principali questioni emerse nei primi commenti.

Il primo riguarda la possibilità di contestare (e con quale rito) l’eventuale determinazione con cui l’ANAC, dopo avere avviato il procedimento di verifica della legittimità degli atti, ritenga, all’esito, insussistente il vizio denunciato, procedendo alla “archiviazione” della pratica.

In tale eventualità si dovrebbe ammettere la possibilità di impugnazione da parte del soggetto interessato. Ma non è chiaro se trovi applicazione il rito di cui all’art. 120, o, piuttosto, il rito – più generale -di cui all’art. 119.

Sembra preferibile ritenere operante, anche in questa eventualità, la previsione dell’art. 120, essendo evidente il collegamento stretto con la procedura di affidamento.

 

35.                       La sollecitazione all’intervento sanzionatorio proposta dai soggetti “interessati” e il silenzio dell’ANAC. Vi è un obbligo di provvedere dell’Autorità?

Altra ipotesi da considerare, ancora, è quella in cui, a fronte della sollecitazione svolta da un soggetto terzo, l’ANAC rimanga totalmente inerte, o, comunque, non concluda il procedimento nel termine eventualmente prescritto.

Ci si dovrebbe chiedere se possa ipotizzarsi una inerzia censurabile con lo specifico procedimento in materia di silenzio.

Anche in questo caso si tratta di stabilire se l’ANAC abbia un dovere di attivarsi per il ripristino della legalità violata, o se non sia piuttosto titolare di un mero potere discrezionale.

È possibile ritenere che l’Autorità debba definire preventivamente le linee di condotta del suo incisivo potere di intervento, tenendo conto della obiettiva difficoltà di contemperare i diversi valori della efficienza, della stabilità delle procedure già avanzate, della gravità dei vizi e della rilevanza degli appalti, della omogeneità dell’intervento, della protezione della concorrenza e della tutela delle posizioni giuridiche coinvolte nella vicenda.

In questo senso si pone, del resto, il parere del Consiglio di Stato.

“Nell'attuale formulazione del codice, il meccanismo opera per qualsivoglia atto di gara. Valuterà il Governo se non sia preferibile limitarne l'operatività ai soli atti più importanti, quali i bandi, gli altri atti generali, nonché atti di gara per appalti di particolare rilevanza. Da un lato, si potrebbe ritenere che solo con riferimento ad atti di portata generale, o in caso di appalti di importi particolarmente elevati, la lesione dei valori concorrenziali e delle regole di evidenza pubblica giustifichi la "discesa in campo" dell'Autorità di settore con una impugnativa ~ giurisdizionale.Tanto, anche in considerazione dei problemi organizzativi che può determinare un generalizzato potere di sollecito all'autotutela e la conseguente sistematica presenza dell'Autorità in giudizio.Per contro, si potrebbe rilevare che la mission dell'ANAC è la generale vigilanza sui contratti pubblici (come confermato dalla lett. t) della delega), per cui si giustificherebbe la previsione di un generalizzato potere di sollecito dell'autotutela in caso di atti di gara illegittimi, secondo il modello "generalista" già ora seguito dallo schema. In caso di opzione per un potere di impugnazione generalizzato, va comunque considerata la facoltà dell'ANAC di selezionare le procedure su cui intervenire. Tale potere selettivo potrebbe essere, se del caso, ulteriormente definito in apposite linee guida dell'ANAC di individuazione ex ante, in via di autolimitazione, delle tipologie di casi in cui il potere di raccomandazione viene esercitato.”

36.                       Il problema della tutela precontenziosa dei cittadini titolari di un “interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto”. Un dovere di pronuncia dell’anac? La legittimazione all’esposto degli operatori economici decaduti dal potere di proporre ricorso.

Al riguardo, occorre considerare che le direttive, nel considerando n. 122 contempla espressamente la necessità di offrire adeguata protezione ai soggetti terzi, anche nella loro qualità di semplici cittadini contribuenti, tutelando il loro interesse alla legalità, (almeno) mediante la possibilità di rivolgersi ad una Autorità indipendente.

La previsione del considerando non si è tradotta in una esplicita previsione legislativa, ma è chiaro che il sistema nazionale deve garantire una tutela adeguata di queste situazioni.

E, proprio per evitare il rischio di possibili contestazioni di illegittimità comunitaria, si potrebbe ritenere che la previsione dell’art. 211, comma 2, insieme agli eventuali atti regolamentari attuativi adottati dall’ANAC, costituisca sostanzialmente il veicolo attraverso cui realizzare la finalità del legislatore europeo.

 

37.                       Il mancato adeguamento delle stazioni appaltanti alla raccomandazione vincolante dell’ANAC: gli strumenti di tutela dei terzi interessati.

Una ulteriore ipotesi da valutare criticamente riguarda l’individuazione delle azioni che potrebbe esercitare il terzo (l’autore della segnalazione, oppure il beneficiario sostanziale della raccomandazione) a fronte del persistente inadempimento della stazione appaltante che non si adegui al parere vincolante dell’ANAC, divenuto inoppugnabile, restando inerte, o, addirittura, adottando atti contrastanti con il parere.

In tal caso, la raccomandazione dell’ANAC non sembra equiparabile a un provvedimento giurisdizionale e, pertanto, non sembra poter trovare applicazione la disciplina del giudizio di ottemperanza (diversamente da quanto sostenibile con riferimento alla ipotesi del comma 1).

All’interessato, quindi, non resta che attivare i meccanismi ordinari di impugnazione della determinazione esplicita contrastante con la raccomandazione o di contestazione del silenzio serbato dall’amministrazione.

 

38.                       La tutela procedimentale del responsabile della violazione.

La circostanza che la sanzione sia applicata direttamente al dirigente responsabile della violazione pone un ulteriore problema pratico e sostanziale non indifferente.

Infatti, sembra opportuno garantire a tale soggetto il pieno diritto di partecipazione al procedimento di accertamento della violazione addebitata alla stazione appaltante. In tal caso, sarà necessario consentire una piena distinzione tra la soggettività impersonale della stazione appaltante e quella del responsabile.

Pertanto, dovrà essere cura dell’ANAC individuare preventivamente, con la collaborazione della stazione appaltante, i soggetti cui imputare l’adozione degli atti oggetto di verifica.

 

39.                       La raccomandazione ANAC e il provvedimento della stazione appaltante: il problema del coordinamento con la disciplina generale del procedimento; i limiti sostanziali dell’annullamento di ufficio.

Sotto il profilo sostanziale, sussistono numerosi dubbi in ordine ai presupposti della determinazione adottata dall’ANAC: al riguardo riemergono molte delle questioni già poste in riferimento al ricorso proposto dall’Antitrust.

Non è chiaro, infatti, che tipo di autotutela debba esercitare l’amministrazione destinataria della raccomandazione, in rapporto agli articoli 21-septies, 21-octies e 21-nonies della legge n. 241/1990.

Come si è detto, la versione finale del codice ha soppresso questo puntuale riferimento: ne deriva, quindi, che dovremmo essere in presenza, ora, di una forma di autotutela “doverosa”, non riconducibile, in toto, alla disciplina generale della legge n. 241/1990, ma collegata alle finalità generali di garantire la piena legalità delle procedure di affidamento.

Stando alla lettera della norma, pertanto, l’ANAC non potrebbe limitarsi a segnalare l’illegittimità riscontrata, affidando alla stazione appaltante il compito di verificare le ragioni di opportunità “discrezionali” che giustificano l’annullamento degli atti.

D’altro canto, però, l’istruttoria dell’ANAC, se coinvolge anche i profili riguardanti l’esecuzione del rapporto, potrebbe risultare complessa e defatigante. Emergerebbe, poi, la sovrapposizione con le prerogative sostanziali della stazione appaltante.

In questa prospettiva, quindi, la determinazione dell’amministrazione dovrebbe configurarsi come meramente riproduttiva del parere dell’ANAC e impugnabile essenzialmente per vizi di illegittimità derivata, se conforme, appunto, al parere.

Nulla impedisce, peraltro, di ipotizzare l’esistenza di vizi propri dell’atto di autotutela.

Si applicheranno anche in questa vicenda i principi generali dell’interesse al ricorso.

Per cui, la parte interessata avrà l’onere di impugnare tempestivamente la raccomandazione vincolante dell’ANAC e anche il successivo atto applicativo della stazione appaltante, pena l’improcedibilità del ricorso.

 

40.                       La segnalazione di illegittimità della procedura formulata dall’operatore economico decaduto dal ricorso giurisdizionale (e dalla richiesta di parere di cui all’art. 211, comma 1).

Altro delicato interrogativo riguarda le conseguenze della richiesta di intervento dell’ANAC proposta dall’operatore economico direttamente interessato, che intenda contestare la procedura di gara e abbia lasciato trascorrere inutilmente il termine per la proposizione del ricorso principale o incidentale (né abbia formulato, nei termini prescritti, la richiesta di cui all’art. 211, comma 1).

In assenza di puntuali indicazioni legislative, potrebbe essere l’ANAC a definire, con proprie linee guida una condotta omogenea di azione, che possa valorizzare il principio di autoresponsabilità delle parti e di stabilità delle operazioni di gara, adeguatamente equilibrato con l’esigenza di assicurare il rispetto della legalità della procedura.

 

41.                       Il potere di intervento dell’ANAC sulle situazioni consolidate: il caso della cristallizzazione del provvedimento definitivo di esclusione e di ammissione e la ratio del rito superspeciale.

Si interseca con questa problematica la questione, ancora più complessa concernente il potere di intervento dell’ANAC sulla valutazione di legittimità delle esclusioni e ammissioni alla procedura di gara.

Come è noto, il sistema nuovo della tutela giurisdizionale introdotto dall’art. 211 si caratterizza per il tentativo di isolare il contenzioso relativo a questa fase della procedura, al dichiarato scopo di consolidare definitivamente la platea dei concorrenti, prima dell’avvio della fase valutativa delle offerte.

Tuttavia, la previsione dell’art. 211, comma 2, considerando la sua ampiezza, potrebbe vanificare, in parte, il complesso impianto sostanziale e processuale disegnato dal legislatore.

In effetti, non sembra precluso all’ANAC un intervento successivo al consolidamento delle posizioni dei concorrenti esclusi o ammessi, volto a riscontrare la sussistenza di illegittimità concernenti tale fase di gara.

Resta da chiedersi se, in tali eventualità, l’Autorità possa “autovincolarsi”, decidendo di non intervenire qualora sia evidente che la parte interessata al conseguimento dell’appalto o alla ripetizione della gara si sia attivata tardivamente.

E, anche in queste situazioni, riemerge il tema generale del coordinamento con i principi dell’autotutela discrezionale, in relazione alla tutela degli interessi pubblici connessi alla realizzazione delle prestazioni contrattuali.

D’altro canto, un analogo problema si pone per l’autotutela dell’amministrazione- stazione appaltante.

Una soluzione plausibile potrebbe essere quella secondo cui l’onere di motivazione è “semplificato”: per le illegittimità verificate in quella particolare fase prevale comunque – di regola - l’interesse alla prosecuzione rapida delle operazioni valutative, anche tenendo conto della inerzia dei soggetti interessati.

Solo nei casi di illegittimità più gravi, l’ANAC potrebbe motivatamente ritenere prevalente l’interesse pubblico al ripristino della legalità.

 

42.                       Le segnalazioni qualificate provenienti dal giudice amministrativo ai sensi della “Legge Severino”. Un dovere puntuale di pronunciarsi dell’ANAC.

Da ultimo, occorre considerare attentamente il problema delle segnalazioni qualificate provenienti dal giudice amministrativo di cui all’art. 8, comma 3, della legge 2015 n. 69.

La norma prevede che all'articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190 (“legge Severino”), dopo il comma 32 è inserito il seguente:

«32-bis. Nelle controversie concernenti le materie di cui al comma 1, lettera e), dell'articolo 133 del codice di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il giudice amministrativo trasmette alla commissione ogni informazione o notizia rilevante emersa nel corso del giudizio che, anche in esito a una sommaria valutazione, ponga in evidenza condotte o atti contrastanti con le regole della trasparenza».

La disposizione in esame, che pure presenta numerosi profili di criticità (ma è stata già applicata, sia pure sporadicamente, dai giudici amministrativi), non risulta coordinata in modo nitido con la nuova disciplina del codice.

Sembra difficile ammettere che, a fronte della segnalazione proveniente dal giudice amministrativo, l’ANAC possa omettere l’avvio di un procedimento, suscettibile di sfociare in una determinazione ai sensi dell’art. 211, comma 2.

Sembra infatti che l’intervento sanzionatorio dell’ANAC debba svolgersi necessariamente attraverso il canale dell’art. 211.

 

43.                       Il rapporto tra il procedimento di precontenzioso e il contestuale giudizio. La “litispendenza impropria” tra i due procedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 2.

Andrebbe attentamente esplorato anche il tema del rapporto tra il procedimento sostanziale di cui all’art. 211, comma 2, e il contenzioso pendente (o avviato) davanti al giudice amministrativo, riguardante gli stessi vizi, o riferito, comunque, alla stessa procedura di gara.

In linea di massima, è evidente la necessità di assicurare il più attento coordinamento tra i due procedimenti.

Si potrebbe ritenere, però, che tutto il rito dell’art. 120 risulta caratterizzato dalla massima rapidità: sicché un eventuale differimento della decisione, in attesa delle determinazioni dell’ANAC potrebbe tradire lo spirito acceleratore del processo.

In senso contrario, tuttavia, si potrebbe ritenere che il procedimento dinanzi all’ANAC comprende una valutazione “a tutto tondo” della legittimità della procedura e degli effetti di una possibile illegittimità.

In assenza di una precisa regola legislativa, sembra quindi difficile indicare una soluzione omogenea: ANAC e GA valuteranno di volta in volta l’opportunità o necessità di sospendere i successivi procedimenti e trarranno le debite conseguenza dal sopravvenire di una nuova determinazione dell’ANAC nel corso del giudizio e di una decisione del GA durante il procedimento precontenzioso.

 

44.                       Il rapporto (problematico) tra le due ipotesi dell’art. 211.  Il doppio volto dell’ANAC: giudice imparziale delle controversie e Pubblico Ministero persecutore delle illegittimità delle stazioni appaltanti.

Come si è anticipato, la disposizione legislativa non definisce in modo puntuale il rapporto tra le due fattispecie descritte rispettivamente dai commi 1 e 2 dell’art. 211.

Il ventaglio delle concrete ipotesi di interferenza e sovrapposizione tra i due procedimenti, concretamente prospettabile, è probabilmente assai vario e, considerata la complessità e novità delle due discipline, sarebbe stato comunque molto difficile fornire indicazioni appaganti in sede di .

Si possono indicare le due situazioni critiche più rilevanti.

Anzitutto, è possibile che siano avviati, separatamente, ma contestualmente, tanto un giudizio precontenzioso, di cui al comma 1, quanto un procedimento officioso di cui al comma 2.

In tale eventualità sarà cura dell’ANAC stabilire il più corretto coordinamento tra i due procedimenti, assicurando il massimo contraddittorio tra le parti. Ciò sarà indispensabile in tutti i casi in cui vi sia una identità di parti o di illegittimità denunciate.

È anche ipotizzabile che un soggetto presenti una richiesta di parere vincolato ai sensi dell’art. 211, comma 1, da “far valere”, in subordine, come “esposto” ai sensi del comma 2.

Ciò si potrebbe verificare in tutti i casi in cui vi siano dubbi sulla legittimazione o sulla ritualità della richiesta di parere vincolante.

In senso analogo, si potrebbe valutare il caso in cui sia l’ANAC a convertire d’ufficio una richiesta di parere inammissibile in una richiesta di intervento sanzionatorio ai sensi dell’art. 211, comma 2.

Una altra eventualità è costituita dalla circostanza che sia la stessa ANAC, nel corso del procedimento contenzioso di cui al comma 1, ad evidenziare la presenza di ulteriori vizi, ritenuti meritevoli di attenzione per la loro particolare gravità..

In tale situazione emerge una evidente criticità complessiva del sistema: l’ANAC, nell’ordinamento delineato dal codice, è non solo giudice imparziale delle liti tra le parti, ma anche potenziale parte di un procedimento diretto a contestare illegittimità alla stazione appaltante e a sanzionarla in caso di inadempimento.

Questa situazione potrebbe scoraggiare la stessa stazione appaltante ad accettare il giudizio di cui al comma 1, perché il suo operato sarebbe sempre potenzialmente sindacabile non solo per i motivi dedotti dalla parte ricorrente, ma anche per le ulteriori possibili illegittimità appurate officiosamente dall’ANAC.

Pure il ricorrente privato e il controinteressato, del resto, potrebbero essere “sospettosi” verso il sistema del precontenzioso, perché si troverebbe esposti potenzialmente ad una valutazione “inaspettata” di illegittimità degli atti della procedura.

In sintesi, dall’art. 211, nel suo complesso, emergerebbe la presenza di un giudizio amministrativo para-giurisdizionale, in cui non opererebbe il divieto della “reformatio in peius”.

D’altro canto, però, anche il giudice amministrativo, in base alla citata disposizione della legge Severino, avrebbe il potere-dovere di trasmettere all’ANAC determinate segnalazioni di illegittimità della procedura di gara, ancorché rilevate di ufficio.

La nuova connotazione della soluzione delle controversie in materia di appalti come tendenziale giurisdizione di diritto oggettivo appare dunque molto accentuata.

Difficile individuare una soluzione equilibrata e convincente, anche alla luce dei diversi valori in gioco.

L’ANAC è sicuramente depositaria dell’interesse primario al ripristino della legalità (in quanto Autorità Anticorruzione) “senza se e senza ma”.

Ma è anche l’organismo regolatore del mercato dei contratti pubblici, che muove una fetta consistente del PIL nazionale e deve decidere in ordine agli interessi economici imprenditoriali.

In prospettiva di sistema, la proposta formulata dal parere del CDS risultava forse più razionale: se ravvisa l’illegittimità della procedura (al di fuori della sua funzione di componimento delle controversie), l’ANAC si dovrebbe comportare, coerentemente, come parte che attiva un nuovo giudizio dinanzi al TAR.

Tuttavia, anche in tale contesto, ipotizzare che lo stesso giudice-arbitro del contenzioso sia potenziale ricorrente contro la stessa stazione appaltante continuerebbe a suscitare più di un dubbio.

 

45.                       Una possibile ipotesi di coordinamento: l’alternatività assoluta tra i rimedi precontenziosi disciplinati, rispettivamente, dal comma 1 e dal comma 2 dell’art. 211.

Le soluzioni possibili sono allora le seguenti.

La prima è che l’ANAC, una volta investita della funzione para-giurisdizionale, secondo lo schema procedurale dell’art. 211, comma 1, non possa più intervenire, sulla stessa vicenda ai sensi dell’art. 211, comma 2.

La seconda, diametralmente opposta, ma sempre incentrata sull’idea della alternatività, è quella che l’ANAC, una volta ritenuto che, in seguito alla richiesta di parere, emergano ulteriori illegittimità, tali da avviare una seria istruttoria, debba declinare la pronuncia del parere pre-contenzioso in senso stretto e debba far confluire ogni deduzione di possibili illegittimità in tale procedimento.

Da ultimo, resta l’astratta possibilità di aprire comunque un separato procedimento officioso ex art. 211, comma 2, sospendendo l’emissione del parere precontenzioso, sino alla sua conclusione.

Si tratta della soluzione più flessibile, adattabile alle diverse concrete fattispecie (e che permetterebbe di soddisfare gli interessi delle parti ad ottenere una pronuncia diretta a realizzare concretamente la pretesa sostanziale fatta valere, quale l’attribuzione del contratto o il risarcimento del danno), la quale, tuttavia, non permette di risolvere in modo persuasivo il problema generale della sovrapposizione di ruoli dell’ANAC.

E forse, de iure condendo, varrebbe la pena di valutare l’opportunità di ipotizzare la costituzione di un sistema di arbitri-compositori vigilato e organizzato dall’ANAC, sulla falsariga dell’arbitro bancario (composto da persone di spiccato valore professionale e deontologico).

 

 

[1] Testo della relazione svolta al Convegno di studi dell’8 luglio 2016 “Il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici”, organizzato a Cortina dall’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti

[2] 4. Gli Stati membri possono esigere che il soggetto che desidera avvalersi di una procedura di ricorso abbia informato l’amministrazione aggiudicatrice della presunta violazione e della propria intenzione di proporre un ricorso, a condizione che ciò non influisca sul termine sospensivo a norma dell’articolo 2 bis, paragrafo 2, o su qualsiasi altro termine per la proposizione di un ricorso a norma dell’articolo 2 quater.

5.Gli Stati membri possono esigere che il soggetto interessato proponga in primo luogo un ricorso presso l’amministrazione aggiudicatrice. In questo caso gli Stati membri provvedono affinché la proposizione del suddetto ricorso comporti la sospensione immediata della possibilità di concludere il contratto.

 

[3] Il seguente specchietto pone a confronto le due versioni dell’articolo 211, commi 1 e 2.

 

Art. 211, comma 1

 TESTO DEFINITIVO

(Pareri di precontenzioso dell’ANAC)

 

1. Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l'ANAC esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta.

Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito.

Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della, parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'articolo 26 del codice del processo amministrativo.

 

Art. 211, comma 1

 TESTO PRELIMINARE

(Pareri di precontenzioso dell’ANAC)

 

1. Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara.

Qualora l’altra parte acconsenta preventivamente, il parere, purché adeguatamente motivato, obbliga le parti ad attenersi a quanto in esso stabilito.

 

 

Art. 211, comma 2

TESTO DEFINITIVO

(Pareri di precontenzioso dell’ANAC)

 

2. Qualora l'ANAC, nell'esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni

 

 

 

 

 

Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell'Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del dirigente responsabile La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all'articolo 36 del presente decreto.

La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo.

Art. 211, comma 2

TESTO PRELIMINARE

(Pareri di precontenzioso dell’ANAC)

 

2. Qualora l’Autorità, nell’esercizio delle proprie funzioni, accerti violazioni che determinerebbero l’annullabilità d’ufficio di uno dei provvedimenti ricompresi nella procedura ai sensi degli articoli 21-opties e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n.241, invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. La raccomandazione ha effetto sospensivo sul procedimento di gara in corso per il medesimo termine di sessanta giorni, qualora dal provvedimento possa derivare danno grave.

Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 36 del presente decreto.

 

 

[4] 67. L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, cui è riconosciuta autonomia organizzativa e finanziaria, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento di cui al comma 65 determina annualmente l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione, ivi compreso l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche.

In sede di prima applicazione, il totale dei contributi versati non deve, comunque, superare lo 0,25 per cento del valore complessivo del mercato di competenza.

L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici può, altresì, individuare quali servizi siano erogabili a titolo oneroso, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo dei servizi stessi.

I contributi e le tariffe previste dal presente comma sono predeterminati e pubblici.

Eventuali variazioni delle modalità e della misura della contribuzione e delle tariffe, comunque nel limite massimo dello 0,4 per cento del valore complessivo del mercato di competenza, possono essere adottate dall'Autorità ai sensi del comma 65. In via transitoria, per l'anno 2006, nelle more dell'attivazione delle modalità di finanziamento previste dal presente comma, le risorse per il funzionamento dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sono integrate, a titolo di anticipazione, con il contributo di 3,5 milioni di euro, che il predetto organismo provvederà a versare all'entrata del bilancio dello Stato entro il 31 dicembre 2006. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è disciplinata l'attribuzione alla medesima Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici delle competenze necessarie per lo svolgimento anche delle funzioni di sorveglianza sulla sicurezza ferroviaria, definendone i tempi di attuazione.

[5] Su tale natura non vincolante dei pareri dell’Autorità vi era stato un copioso dibattito durante i lavori preparatori per la stesura del Codice dei Contratti.

Infatti, nella prima versione, come approvato in sede preliminare dal Consiglio dei Ministri, era previsto che l’Autorità svolgesse, su iniziativa delle parti, attività «di composizione delle controversie» insorte tra stazioni appaltanti ed operatori economici durante le procedure di gara.

Il Consiglio di Stato, nel Parere del 6 febbraio 2006 n. 355, reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi sullo schema del Codice dei contratti, ha valutato che «pur comprendendo la ratio che giustifica una tale disposizione, tendente ad introdurre un meccanismo precontenzioso, del tutto facoltativo e finalizzato alla deflazione del contenzioso, si osserva che si tratta dell’attribuzione all’Autorità di una funzione paracontenziosa, non prevista nei criteri fissati dalla legge delega» e, peraltro, non prevista dalla direttiva ricorsi n. 89/665/CEE. Pertanto, era stato ritenuto che la norma dovesse essere eliminata, in quanto l’attribuzione di una funzione del tutto nuova e para- contenziosa ad una autorità indipendente richiede un espresso intervento del legislatore e non è consentita in questa sede dal descritto contenuto della legge delega.

In sede di approvazione del Codice, il Governo aveva, però, ritenuto di mantenere la disposizioni in esame, seppure con formulazione più sfumata: l’iniziale definizione dell’istituto in termini di «attività di composizione delle controversie», si è tramutato in «parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara».

Quindi, in conclusione, lo strumento in esame, non sembra potersi configurare come procedura alternativa in senso tecnico rispetto alla lite giudiziaria (o arbitrale), ma come una opportunità ulteriore alle parti coinvolte nella controversia. Per tale ragione l’istituto in questione è chiamato «precontenzioso », proprio in quanto non costituisce un’alternativa alla tutela giudiziaria ma, per l’appunto, una possibilità di risolvere preventivamente una controversia, attraverso una procedura che, senza oneri per le parti, potrà svolgere una funzione deflativa del contenzioso, fondandosi solo sulla indipendenza e sull’autorevolezza dell’Autorità, soggetto competente a rendere la pronuncia.

Nonostante la natura non cogente, infatti, l’emanazione di tali pareri, di per sé non creativi di obblighi giuridici, ha determinato una deflazione del contenzioso, attraverso lo spontaneo adeguamento agli stessi, peraltro non solo da parte dei soggetti coinvolti nel parere, ma anche da parte degli altri operatori del mercato che applicano il «precedente dell’Autorità» in casi simili.

 

[6] Articolo 2111 comma 2 Il secondo comma della disposizione in esame attribuisce all'ANAC un potere di invito nei confronti delle stazioni appaltanti ad agire in autotutela. Il potere di raccomandazione così introdotto è presidiato da una sanzione amministrativa pecuniaria (da 250 a 25.000 euro) nei confronti del dirigente responsabile e dalla previsione della sua incidenza sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti ex art. 36 dello schema di decreto. In questo caso la "copertura" della legge delega è rappresentata dal criterio direttivo contenuto nella citata lett. t), secondo il quale la vigilanza è esercitata attraverso "poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio" .

Tuttavia la formulazione attuale presenta significative criticità:

a) sul piano della compatibilità con il sistema delle autonomie, in quanto introduce un potere di sospensione immediata e uno di annullamento mascherato che esorbitano dai meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta con la sentenza 14 febbraio 2013, 20, pronunciatasi sull'art. 21 bis della legge n. 287/1990;

b) sul crinale della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, in quanto la sanzione colpisce il rifiuto di autotutela, 222 ossia un provvedimento amministrativo di cui è da presumere la legittimità fino a prova contraria. Si crea in questo modo una sorta di responsabilità da atto legittimo.

È da preferire allora una riformulazione in chiave di controllo collaborativo, ispirata alla disciplina dettata dall'art. 21-bis della legge n. 287 /1990, compatibile con i principi costituzionali e con i limiti della legge delega, che parla di "controllo" al fine di giustificare il potere dell'ANAC, usando una locuzione coincidente con la qualificazione usata dalla Consulta con riguardo alla legittimazione processale conferita dall'art. 21 bis cit. all'Autorità garante della concorrenza e del mercato [Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 20].

Nell'attuale formulazione del codice, il meccanismo opera per qualsivoglia atto di gara. Valuterà il Governo se non sia preferibile limitarne l'operatività ai soli atti più importanti, quali i bandi, gli altri atti generali, nonché atti di gara per appalti di particolare rilevanza. Da un lato, si potrebbe ritenere che solo con riferimento ad atti di portata generale, o in caso di appalti di importi particolarmente elevati, la lesione dei valori concorrenziali e delle regole di evidenza pubblica giustifichi la "discesa in campo" dell'Autorità di settore con una impugnativa ~ giurisdizionale.

Tanto, anche in considerazione dei problemi organizzativi che può determinare un generalizzato potere di sollecito all'autotutela e la conseguente sistematica presenza dell'Autorità in giudizio. Per contro, si potrebbe rilevare che la mission dell'ANAC è la generale vigilanza sui contratti pubblici (come confermato dalla lett. t) della delega), per cui si giustificherebbe la previsione di un generalizzato potere di sollecito dell'autotutela in caso di atti di gara illegittimi, secondo il modello "generalista" già ora seguito dallo schema. In caso di opzione per un potere di impugnazione generalizzato, va comunque considerata la facoltà dell'ANAC di selezionare le procedure su cui intervenire. Tale potere selettivo potrebbe essere, se del caso, ulteriormente definito in apposite linee guida dell'ANAC di individuazione ex ante, in via di autolimitazione, delle tipologie di casi in cui il potere di raccomandazione viene esercitato. Si suggerisce pertanto la seguente formulazione alternativa, la prima più restrittiva e la seconda più generale (il comma 3 della seconda formulazione è puramente facoltativo):

1) "1 . L'Anac è legittimata ad agire in giudizio contro i bandi, gli altri atti generali e i provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, di qualsiasi stazione appaltante che violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture.

2. L'Anac se ritiene che un atto del comma 1 sia affetto da un vizio di legittimità emette entro sessanta giorni} un parere motivato nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la stazione appaltante non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere l'Autorità può presentare ricorso entro i successivi trenta giorni innanzi al giudice amministrativo. Ai giudizi di cui al periodo precedente si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo".

2) "1 . L'Anac è legittimata ad agire in giudizio contro i bandi, gli altri atti generali e i provvedimenti di qualsiasi stazione appaltante che violino le nonne in materia di contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture.

2. L'Anac se ritiene che un atto del comma 1 sia affetto da un vizio di legittimità emette entro sessanta giorni un parere motivato nel quale indica gli specifici profili della violazioni riscontrate. Se la stazione appaltante non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere l'Autorità può presentare ricorso entro i successivi trenta giorni innanzi al giudice amministrativo. Ai giudizi di cui al periodo precedente si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo.

3. L'Anac con proprie linee guida può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti di cui al comma 1 in relazione ai quali esercitare i poteri di cui al comma 2 ".