Consiglio di Stato, sez. III, 19 giugno 2016, n. 3584

1. L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 106 cod. proc. amm., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

L’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (1).

 

(1) Conforme Consiglio di Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852; Adunanza Plenaria, 24 gennaio 2014, n. 5; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 10 gennaio 2013, n. 1 e 17 maggio 2010 n. 2; sez. III, 1 ottobre 2012, n. 5162; 24 maggio 2012, n. 3053; sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503, 23 settembre 2008, n. 4607; 16 settembre 2008, n. 4361; 20 luglio 2007, n. 4097; e meno recentemente, 25 agosto 2003, n. 4814; 25 luglio 2003, n. 4246; 21 giugno 2001, n. 3327; 15 luglio 1999 n. 1243; C.G.A., 29 dicembre 2000 n. 530; sez. VI, 9 febbraio 2009, n, 708; 17 dicembre 2008, n. 6279; C.G.A., 29 dicembre 2000, n. 530; Cassazione Civile, sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962; 5 marzo 2012, n. 3379; sez. III, 27 gennaio 2012, n. 1197). Si veda anche Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 27 luglio 2016, n. 21.

 

 

 

Il Consiglio di Stato

 

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 900 del 2016, proposto da:

S.r.l. SIRFIN-PA (d’ora in avanti, SIRFIN), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Marco Selvaggi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nomentana, n. 76;

contro

il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione Centrale dei Servizi tecnico - logistici e della gestione patrimoniale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

S.r.l. TBS IT Telematic & Biomedical Services (d’ora in avanti, TBS), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabrizio Cataldo e Luca Tufarelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Luca Tufarelli in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 20;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, n. 5255 del 17 novembre 2015.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e di TBS IT Telematic & Biomedical Services Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Marco Selvaggi, Luca Tufarelli e l'Avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. - Con ricorso al T.a.r. per il Lazio, la Società SIRFIN, seconda classificata nella gara indetta dal Ministero dell’interno per la “fornitura di servizi di assistenza applicativa e sistemistica per la gestione del sistema informativo MIPGWEB”, impugnava l’aggiudicazione alla società TBS, lamentando la carenza nell’offerta della controinteressata di elementi essenziali e l’attribuzione ad essa di un punteggio eccessivo.

2. - L’aggiudicataria proponeva ricorso incidentale, a sua volta prospettando l’inidoneità della documentazione prodotta dalla ricorrente principale a comprova del possesso del requisito di capacità economica e finanziaria, nonché carenze nell’offerta tecnica che ne avrebbero dovuto determinare l’esclusione.

3. - Il T.a.r. per il Lazio, Sezione I-ter, con la sentenza n. 6182 del 29 aprile 2015, rigettava il ricorso incidentale ed in parte accoglieva il ricorso principale, annullando l’aggiudicazione impugnata e disponendo l’aggiudicazione in favore della SIRFIN, previa verifica dei requisiti di partecipazione e della congruità dell’offerta.

3.1. - Il T.a.r. riteneva fondate le censure riguardanti il mancato possesso da parte della figura F3 (Sistemista Certificato di Prodotto) della certificazione VMware, e la mancata indicazione del valore percentuale del dimensionamento della MAC (manutenzione correttiva), che avrebbero dovuto condurre all’esclusione dell’aggiudicataria per difformità dal capitolato tecnico.

4. - La società TBS proponeva appello, lamentando che il TAR aveva diversamente valutato le censure del ricorso incidentale e quelle del ricorso principale, dando un’interpretazione sostanziale dei requisiti contestati a SIRFIN e giungendo a ritenerli integrati sulla base di altri elementi dell’offerta e del soccorso istruttorio, e viceversa applicando estensivamente le previsioni della lex specialis sui requisiti contestati a TBS, senza verificare l’esistenza della documentazione richiamata, ma non allegata.

La società TBS riproponeva quindi le quattro specifiche censure disattese in primo grado, incentrate sull’inidoneità delle referenze bancarie presentate, sulla mancanza nella figura professionale F1 (‘responsabile generale della fornitura’) di alcune delle conoscenze tecniche richieste dal capitolato, sulla mancata specificazione del numero di giornate dei singoli profili professionali riferibili ai vari team di MAC e MEV (manutenzione evolutiva/correttiva) e del valore complessivo riferito a ciascun team, e sulla mancata specificazione del valore percentuale del dimensionamento del numero di FP di MAC rispetto a quello della baseline dell’intero sistema, altresì in violazione del capitolato tecnico.

5. - Con sentenza n. 5255 del 17 novembre 2015, questa Sezione ha accolto l’appello di TBS, ritenendo fondata la censura con la quale veniva contestata la mancata indicazione nell’offerta di SIRFIN del possesso da parte della figura professionale F1 – ‘responsabile generale della fornitura’ (program manager) - di alcune conoscenze informatiche espressamente richieste dal capitolato a pena di esclusione.

6. - Col ricorso per revocazione in esame, la società SIRFIN lamenta un errore di fatto in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato per erronea percezione dei documenti versati in gara, che sarebbe frutto di una svista materiale.

Si deduce che il giudice d’appello – se avesse integrato la lettura del curriculum con il documento principale “Offerta Tecnica” (a pag. 176 al par. 5.3 “Quantità e qualità delle risorse professionali offerte” si riporta “una sintesi delle caratteristiche salienti dei curricula vitae delle figure professionali di Program Manager e Capo progetto) - avrebbe chiaramente percepito che per la figura del Program Manager la risorsa prescelta possiede i requisiti richiesti.

7. - Resistono in giudizio la controinteressata TBS e il Ministero intimato, che eccepiscono l’inammissibilità del ricorso per revocazione.

8. - All’udienza del 26 maggio 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. - Il ricorso è inammissibile.

2. - Con la sentenza in epigrafe, n. 5255 del 17 novembre 2015, questa Sezione ha accolto l’appello, ritenendo fondata la censura con la quale veniva contestata la mancata indicazione nell’offerta SIRFIN del possesso da parte della figura professionale F1 – ‘responsabile generale della fornitura (Program Manager) - di alcune conoscenze informatiche espressamente richieste dal capitolato a pena di esclusione.

2.1. - TBS aveva, infatti, contestato che la figura professionale F1 indicata dalla ricorrente principale fosse priva di conoscenze tecniche (in ordine alla suite MS Office, a MS Project, alla metodologia UML ed alle modalità di stima e di conteggio dei FP – punti funzione) richieste dall’art. 8 del capitolato tecnico quali requisiti minimi per l’ammissione a gara.

3. - Osservava la sentenza d’appello che il T.a.r. ha ritenuto che la formulazione del capitolato consentisse di provare il possesso del requisito anche attraverso l’indicazione delle esperienze lavorative, che dette conoscenze presuppongono ed implicano; ed ha ritenuto che ciò si verificasse nel caso in esame, posto che «nel contratto relativo al progetto del Sistema informativo della Cognizione Penale per il Ministero della Giustizia, riportato nel curriculum vitae, nel quale il Responsabile generale della Fornitura ha ricoperto il ruolo di Program Manager, si fa riferimento ai punti funzione, da cui discende la conoscenza, da parte dello stesso, delle modalità di stima e di conteggio dei FP, e nell’appendice 3 al Capitolato tecnico di Gara, si specifica che “le funzionalità dovranno essere modellate con metodologia UML”, da cui si evince la conoscenza di tale metodologia. Inoltre lo stesso ruolo e l’esperienza vantata in ambito ICT (Information and Communication Technology) per oltre 15 anni, di cui oltre 11 nel ruolo di Program Manager, comporterebbe, come peraltro ammette anche la ricorrente incidentale, che le altre due conoscenze contestate siano possedute dalla figura in questione».

Inoltre, secondo il TAR, in caso di dubbio la stazione appaltante avrebbe potuto far ricorso al soccorso istruttorio (sentenza appellata, lettera G. 2., pag. 12).

4. - Secondo il Giudice d’appello, invece, l’art. 8 del capitolato richiedeva il possesso di “requisiti minimali”, indicandoli analiticamente in una tabella (quelli oggetto della censura in esame, sotto la voce “conoscenze tecniche”) e precisava che «sarà cura del fornitore descrivere il dettaglio dei CV delle varie figure professionali impiegate» e che «I requisiti minimali devono essere completamente garantiti pena esclusione».

Pertanto, poiché il curriculum vitae della figura F1 si limita a menzionare, tra le esperienze professionali, l’espletamento del ruolo di Program Manager nel contratto relativo al Sistema informativo della Cognizione Penale del Ministero della Giustizia, fornendone una sintetica descrizione, dalla quale tuttavia non si evince il possesso delle conoscenze tecniche in questione, il Giudice d’appello ha ritenuto che SIRFIN-PA non avesse assolto all’onere di allegazione derivante dall’art. 8 del capitolato, né offerto gli elementi minimi affinché la stazione appaltante fosse tenuta ad esercitare il potere di soccorso.

5. - Col ricorso per revocazione in esame, in via rescindente, SIRFIN deduce l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato, poiché «il possesso del requisito come colto esattamente dall’Amministrazione appaltante discendeva dal CV letto integralmente con la dichiarazione cui esso accede».

5.1 - La ricorrente afferma, in sostanza, che il documento «offerta tecnica- allegato curriculum vitae» non sarebbe stato letto integralmente dal Giudice d’appello o, comunque, sarebbe stato oggetto di erronea percezione consistente in una svista materiale.

Il documento, secondo la tesi della ricorrente, si compone di due parti.

Un primo capitolo contiene:

a)- a pag. 3, la dichiarazione come prevista dal capitolato e cioè che «i requisiti minimali richiesti per tutte le figure professionali sono completamente garantiti»;

- b) sempre a pag. 3, una scheda specifica per il capo progetto nella quale al punto «RAZIONALI» è indicato che la risorsa prescelta è rispondente in termini di esperienze, certificazioni, conoscenza dei processi e best practice;

c) una scheda con il riepilogo delle caratteristiche di tutti gli altri CV.

I successivi capitoli con le schede di dettaglio dei CV sarebbero state la sola parte del documento esaminata dal collegio.

Inoltre, nel documento principale Offerta Tecnica (di cui il documento contenente i CV è un allegato) a pag. 176 al par. 5.3 sulla «Quantità e qualità delle risorse professionali offerte», si riporta una sintesi delle caratteristiche salienti dei curricula vitae delle figure professionali di Program Manager (PM) e Capo progetto (CP), dove è chiaramente indicato per la figura del Program Manager che la risorsa prescelta possiede i requisiti richiesti di esperienza, le certificazioni, la conoscenza dei processi e delle best practice.

Dunque, seppure la mera scheda CV esaminata singolarmente non riporti specificamente l’indicazione richiesta, la lettura dell’intera dichiarazione versata in sede di gara avrebbe dimostrato al Collegio l’assolvimento dell’onere nascente dal capitolato.

5.2. - La ricorrente sottolinea ancora come l’esperienza nel ruolo per la figura professionale offerta assicura le conoscenze tecniche richieste.

6. - In via rescissoria, la società ricorrente ritiene che vadano respinti i motivi di ricorso incidentale (ricorso di primo grado di TBS) e ne illustra le ragioni concludendo per il rigetto dell’appello proposto da TBS avverso la sentenza n. 6182 del 29 aprile 2015 della I sezione ter del T.a.r. del Lazio.

7. - Ritiene il Collegio che le censure non rappresentano l’errore di fatto revocatorio che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., consente di rimettere in discussione il contenuto di una sentenza.

7.1. - Va ricordato che, secondo giurisprudenza consolidata, da ultimo ribadita dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 24 gennaio 2014, l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 106 cod. proc. amm., deve essere caratterizzato:

a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;

b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

L’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

7.2. - Nella fattispecie, in particolare, non ricorre il requisito di cui alla lettera b).

La sentenza oggetto di revocazione ha espressamente pronunciato e motivato sul punto controverso, circa il possesso del requisito richiesto dal punto 8 del Capitolato, ritenendo che fosse indispensabile l’indicazione dei requisiti minimi analiticamente in una tabella («quelli oggetto della censura in esame, sotto la voce “conoscenze tecniche”») e il dettaglio dei CV delle varie figure professionali impiegate.

Si tratta di valutazione delle prove documentali compiuta dal giudice d’appello che non può censurarsi in questa sede.

Neppure è ammissibile, in sede di revocazione, accedere all’ipotesi, prospettata dalla ricorrente che tale valutazione avrebbe avuto diverso contenuto se l’iter logico seguito si fosse basato sulla lettura integrata del curriculum vitae col documento «Offerta Tecnica».

8. - In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

9. - Le spese di giudizio si compensano tra le parti, attesa la peculiarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione r.g.n. 900 del 2016, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016, con l'intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Manfredo Atzeni, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

Il Consiglio di Stato nella pronuncia in commento si confronta con il tema della natura dell’errore di fatto revocatorio. Più precisamente, è chiamato a esprimersi sui requisiti che devono connotare l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4 c.p.c.. Tema che sottende la ratio di evitare che l’utilizzo distorto di tale rimedio eccezionale che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice dia luogo a un ulteriore grado di giudizio di merito non previsto dall’ordinamento.

La revocazione è disciplinata per la prima volta in modo organico dal codice di giustizia amministrativa nell’apposito Titolo III del libro sulle impugnazioni. Nonostante il codice abbia riordinato un panorama piuttosto disorganico all’interno di due articoli, il 106 e il 107, atteso che le norme esistenti in materia anteriormente all’opera di codificazione erano contenute in disposizioni “sparse”, resta ferma tuttavia la scelta di operare prevalentemente attraverso un rinvio alla normativa processualcivilistica per la disciplina dei casi e dei modi dell’impugnazione (artt. 395 e 396 c.p.c.) procedendo a dettare solo poche regole.

Il codice di giustizia amministrativa ha sciolto molti dubbi che la normativa previgente poneva sotto l’aspetto più strettamente processuale.

Restano tuttavia alcuni nodi irrisolti. Il profilo più controverso sembra rimanere la disciplina dei vizi revocatori ovverossia l’esegesi dei presupposti per l’accesso a tale mezzo di impugnazione e in specie la delimitazione corretta della nozione di errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa cui fa riferimento l’art. 395 n. 4 c.p.c..

Il Consiglio di Stato con la sentenza de qua è chiamato ad affrontare nuovamente proprio tale questione e offre una soluzione che si pone in armonia con l’interpretazione accolta pressochè univocamente dalla giurisprudenza amministrativa e civile.

Secondo la giurisprudenza consolidata ribadita da ultimo dall’Adunanza Plenaria 24 gennaio 2014, n. 5, l’errore di fatto idoneo a giustificare un ricorso per revocazione deve essere caratterizzato da tre distinti requisiti consistenti, anzitutto, nel derivare da una pura e semplice errata ovvero omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; in secondo luogo, nell’attenere a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia motivato espressamente; in terzo luogo, nell’essere stato un elemento determinante rispetto alla sorte del giudizio e quindi della decisione da revocare avendo esercitato un ruolo essenziale nella formazione del convincimento del giudice, necessitando perciò un nesso eziologico tra la presupposizione erronea e la pronuncia stessa. L’errore deve infine essere immediatamente e obiettivamente rilevabile

senza necessità di argomentazioni induttive ovvero indagini ermeneutiche dagli atti e documenti acquisiti in giudizio.

Il fatto su cui verte l’errore può essere anche di natura esclusivamente processuale. Non costituisce invece errore revocatorio l’erronea individuazione e applicazione delle norme di diritto regolanti una determinata fattispecie.

L’elaborazione della nozione di errore di fatto revocatorio appare di non facile soluzione perché impone l’esatta delimitazione dei confini tra errore di fatto revocatorio ed errore di diritto. Delimitazione che talora presenta profili di criticità non essendo sempre agevole discernere tra le ipotesi in cui l’errore verta sull’esistenza ovvero sull’inesistenza di un fatto e quelle in cui invece ricada sulla valutazione o sull’esegesi del medesimo.

La giurisprudenza a tale proposito è ferma nel ribadire che l’errore revocatorio è l’errore meramente percettivo che non coinvolga in alcun modo l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella propria oggettività e non è ravvisabile in linea di principio ove sia lamentata una presunta erronea valutazione degli atti e delle risultanze processuali ovvero una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio risolvendosi in tal caso in un errore di giudizio.

Al riguardo è opportuno rammentare come l’Adunanza Plenaria con la pronuncia 24 gennaio 2014, n. 5 abbia affrontato il tema precisando che l’errore di fatto revocatorio si sostanzia in una svista ovvero in un abbaglio dei sensi che ha determinato la percezione errata del contenuto degli atti del giudizio ritualmente acquisiti, provocando un contrasto tra due proiezioni differenti dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e dai documenti di causa. Esso non deve dunque confondersi con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice, costituendo il mezzo peculiare previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che il giudicante ha avuto di essa proprio in ragione della svista o abbaglio dei sensi.

Invero, mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla propria esistenza e al significato letterale senza coinvolgere l’attività successiva di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del proprio convincimento, così che rientrano nella nozione di errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c. i casi in cui il giudice per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo sia incorso in omissione di pronuncia ovvero abbia esteso la decisione a domande o a eccezioni non rinvenibili negli atti del processo, esso non ricorre nell’ipotesi di apprezzamento delle risultanze processuali erroneo, inesatto o incompleto ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero allorchè la questione controversa sia stata risolta sulla base di canoni ermeneutici specifici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita. Tali casi danno luogo al più a un errore di giudizio non censurabile tuttavia mediante la revocazione che altrimenti si trasformerebbe in un grado di giudizio ulteriore non contemplato dall’ordinamento.

Nel caso di specie il Consiglio di Stato confermando l’orientamento pacifico in tema di natura dell’errore revocatorio ha ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione proposto attesa la mancanza del presupposto consistente nell’attenere lo stesso a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato.