Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2016, n.3858

1.      In tema di appalti, inquadrando la responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo nell'ambito del modello aquiliano, il privato può provare la colpa dell'amministrazione anche semplicemente dimostrando l'illegittimità del provvedimento lesivo, illegittimità la quale, pur non identificandosi nella colpa, costituisce, tuttavia, un indizio (grave, preciso e concordante) idoneo a fondare una presunzione (semplice) di colpa che l’amministrazione può vincere dimostrando elementi concreti da cui possa evincersi la scusabilità dell'errore compiuto.[1]

2.      il danno da mancata aggiudicazione, in assenza di allegazione probatoria deve essere liquidato in via equitativa (…nella misura del 5 per cento dell'offerta).[2]

 

[1] Cons. Stato, IV, 16 aprile 2016, n. 1347; id., VI, 4 settembre 2015, n. 4115 id., VI, 16 aprile 2015, n. 1944, Sez. V 31/7/2012 n. 4337, III, 10 luglio 2014, n. 3526, CGUE, 30.09.2012.

[2] Cons. Stato, IV, 23.05.2016, n.2111, IV, 9 febbraio 2015, n. 656, Sez. IV, sent. 16 maggio 2011, n. 2955, Sez. VI, 09 giugno 2008 n. 2751

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1521 del 2016, proposto dalla società Marchi Industriale S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Baldassarri C.F. BLDMRC61E28G148L e Michel Martone C.F. MRTMHL74A08Z110B, con domicilio eletto presso Michel Martone in Roma, Lungotevere Arnaldo Da Brescia 11

contro

Acqua Novara Vco S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Musenga C.F. MSNNDR53L31D086N e Davide Angelucci C.F. NGLDVD77B06H501B, con domicilio eletto presso Andrea Musenga in Roma, viale America, 11

nei confronti di

Hidrodepur S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabrizio Antonello C.F. NTNFRZ59C11L682I e Fabio Boni C.F. BNOFBA69S11A794X, con domicilio eletto presso Sebastiano Ribaudo in Roma, via Lucrezio Caro, 62

per la riforma della sentenza in forma semplificata del T.A.R del Piemonte, Sezione II, n. 1576/2015


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Acqua Novara Vco S.p.a. e della Hidrodepur S.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Marco Baldassarri e Andrea Musenga;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


 

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Piemonte e recante il n. 1015/2015 l’odierna appellante Marchi Industriale s.p.a. chiedeva l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione definitiva, in favore della Hidrodepur s.p.a., della gara di appalto per la fornitura di prodotti chimici e reagenti (per gli anni 2015-2016) bandita nel giugno 2016 dalla Acqua Novara VCO s.p.a., concessionaria dei servizi idrici per le Province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola (ATO1 Piemonte), limitatamente al lotto n. 5 (il lotto in questione aveva ad oggetto la fornitura di policloruro di alluminio);

In particolare, secondo l’odierna appellante, l’offerta dell’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa a causa del mendacio da questa compiuto nell’ambito dell’apposita “Dichiarazione di conformità” (prevista dalla lex specialis a pena di esclusione), laddove era stata indicata come produttrice del policloruro di alluminio (oggetto della sua fornitura) la ditta ‘Altair Chimica’ la quale invece, secondo la ricorrente, non produce affatto siffatta sostanza chimica;

L’odierna appellante impugnava altresì il contratto di appalto concluso “per fatti concludenti” tra la stazione appaltante e l’aggiudicataria, chiedendone la declaratoria di nullità per violazione dell’articolo 11, comma 13, del decreto legislativo n. 163 del 2006 il quale impone la forma scritta ad substantiam.

Venivano altresì domandati la dichiarazione di inefficacia del contratto e il subentro della ricorrente nel rapporto contrattuale.

Con la sentenza n. 1576/2015 (oggetto del presente appello) il Tribunale amministrativo adito ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla Marchi Industriale s.p.a. la quale ne ha chiesto la riforma articolando un unico motivo di appello (‘Errata valutazione da parte del T.A.R. Piemonte delle circostanze di fatto rilevanti per la decisione. Travisamento totale dei presupposti di fatto e di diritto. Di conseguenza, domanda di integrale riforma della sentenza di primo grado’).

Si è costituita in giudizio la Acqua Novara VCO s.p.a. la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Si è altresì costituita in giudizio la Hidrodepur s.p.a. la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Con ordinanza n. 1194/2016 (resa all’esito della camera di consiglio del 7 aprile 2016 questo Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata rilevando la mancata allegazione di un pregiudizio grave e irreparabile connesso alla sua esecuzione.

Alla pubblica udienza del 7 giugno 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una da una società attiva nel settore della fornitura di materie chimiche (la quale aveva partecipato all’appalto integrato indetto dalla Acqua Novara VCO s.p.a. per la fornitura di policloruro di alluminio e si era classificata al secondo posto) avverso la sentenza del T.A.R. del Piemonte con cui è stato respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso gli atti con cui il Comune ha aggiudicato la gara ad altra concorrente.

2. Il Collegio deve in primo luogo rilevare che, nelle more del giudizio, la Acqua Novara VCO s.p.a. ha stipulato il contratto di appalto con la prima classificata Hidrodepur s.p.a. e che la fornitura costituente oggetto del contratto è stata integralmente effettuata.

Pertanto, non sussiste più uno specifico interesse per l’appellante ad ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione e il subentro nel contratto.

2.1. In base al comma 3 dell’articolo 34 del cod. proc. amm., “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

L’appellante ha in effetti articolato domanda di risarcimento per equivalente pecuniario per l’ipotesi (che in effetti qui ricorre) di impossibilità di subentro nell’appalto.

Pertanto, qui di seguito si esamineranno i presupposti di carattere oggettivo e soggettivo perché sia riconosciuto all’odierna appellante il ristoro del danno patito in ragione della mancata aggiudicazione dell’appalto per cui è causa.

3. Venendo al merito della res controversa il Collegio osserva in primo luogo che l’appello è meritevole di accoglimento per la parte in cui la Marchi Industriale ha lamentato la mancata esclusione dell’aggiudicataria e ha rilevato che, in caso di (doverosa) esclusione della stessa, l’appalto in questione le sarebbe stato certamente aggiudicato.

3.1. Per quanto riguarda questo aspetto della vicenda, il thema decidendum consiste nello stabilire se l’aggiudicataria Hidrodepur producesse in concreto il policloruro di alluminio offerto in gara (si tratta di un requisito che era richiesto in via necessaria ai fini partecipativi dalla lex specialis di gara).

Ad avviso del Collegio dagli atti di gara emerge che al quesito fosse da rispondere in senso negativo.

Si osservi al riguardo:

- che l’aggiudicataria Hidrodepur non ha fornito alcuna prova in positivo circa il fatto che essa stessa avrebbe prodotto il policloruro di alluminio;

- che, con nota in data 24 luglio 2015 (successiva all’aggiudicazione) la Hidrodepur si limitava a dichiarare che “il prodotto policloruro di alluminio che vi forniremo per la gara a Voi aggiudicata da Acqua Novara VCO SpA è prodotto presso lo stabilimento di Livorno di Feralco Italia Srl”;

- che, a seguito di richiesta di chiarimenti, la stessa Hidrodepur ha specificato che la sostanza in questione sarebbe stata acquistata da Altair Chimica “[la quale] produce policloruro di alluminio da diversi anni”. Soggiungeva al riguardo che “la produzione viene fatta sia utilizzando impianti propri sia presso l’impianto di Livorno di Feralco Italia srl in conto lavorazione, dove vengono mandate le materie prime fra cui l’acido cloridrico, di produzione Altair, per la trasformazione”;

- che dalle dichiarazioni in questione emerge con chiarezza che il policloruro di alluminio non sarebbe stato prodotto dalla Hidrodepur e neppure dalla Altair. Al contrario, la Altair lo avrebbe acquistato da una terza impresa (la Feralco di Livorno) e solo successivamente lo avrebbe rivenduto alla Hidrodepur perché questa lo fornisse alla Acqua Novara. Il che si pone in evidente contrasto con le prescrizioni della lex specialis di gara;

- che non può giungersi a conclusioni diverse da quelle appena delineate sulla base delle dichiarazioni rese in gara dalla Hidrodepur, la quale ha affermato che il policloruro di alluminio sarebbe stato effettivamente prodotto dalla Altair, la quale ne avrebbe demandato la realizzazione in conto lavorazione alla Feralco (peraltro, ponendo a disposizione di quest’ultima parte delle materie prime necessarie). Si osserva in contrario che l’asserita produzione ‘in conto lavorazione’ da parte di terzi soggetti, in se del tutto legittima, non sembra tuttavia soddisfare le prescrizioni dellalex specialis, restando comunque demandata a un’impresa (la Feralco) del tutto distinta sia dalla Altair, sia dalla concorrente Hidrodepur. Né depone in senso diverso il fatto che la Feralco, incaricata della produzione del policloruro di alluminio, utilizzasse a tal fine – fra l’altro – materie prime fornite dalla stessa Altair: neppure tale circostanza, infatti, risulta di per sé idonea ad escludere il dato per cui il prodotto chimico offerto in gara fosse riferibile all’apparato produttivo della Feralco e non a quello della Altarir o della Hidrodepur;

- che non trova alcun conforto in atti l’affermazione resa dai primi Giudici, secondo cui la documentazione in atti sarebbe stata “chiara nel ricondurre la paternità del prodotto oggetto di offerta” alla Altair “salvo indicare quale luogo di produzione lo stabilimento di una diversa azienda, fermo tuttavia che è la prima a sovrintendere all’intero processo produttivo”. Il punto è che la documentazione in atti depone in senso affatto diverso: la Altair non produceva il policloruro di alluminio e non sovrintendeva in alcun modo al processo produttivo, limitandosi piuttosto ad acquistare tale sostanza da una terza impresa, del tutto autonoma nell’ambito dell’intero processo produttivo;

- che, allo stesso modo, non trova alcun conforto in atti la tesi (condivisa dai primi Giudici) secondo cui la Altair avrebbe operato per il tramite della Feralco nell’ambito di un processo di delocalizzazione produttiva nel cui ambito essa avrebbe tuttavia mantenuto un ruolo di sovrintendenza. Al contrario, gli atti di causa non testimoniano in alcun modo il richiamato processo di delocalizzazione, né confortano lo svolgimento di alcun effettivo ruolo di sovrintendenza da parte della Altair. A tacer d’altro, si tratta di imprese del tutto distinte che operano in modo affatto autonomo;

- che non depone in senso diverso il fatto che la Altair sia registrata presso l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) ai sensi del regolamento 1907/2006/CE. E’ evidente al riguardo che tale circostanza non dimostri affatto che, nel caso in esame, la Altair avrebbe prodotto la sostanza oggetto di fornitura

3.2. Deve a questo punto essere esaminata la questione se la non veritiera dichiarazione resa dalla Hidrodepur ai fini dalla partecipazione alla gara comportasse l’esclusione dalla stessa (come ritenuto dall’appellante) ovvero se tale circostanza fosse comunque emendabile attraverso il ricorso al c.d. ‘soccorso istruttorio’, non legittimando comunque l’esclusione dalla gara (come ritenuto dalla Hidrodepur).

Ad avviso del Collegio al quesito deve essere fornita risposta nel primo dei sensi indicati.

Si osserva al riguardo:

- che il disciplinare di gara (articolo 6, punto 5) imponeva che ciascun concorrente possedesse adeguati requisiti di capacità tecnica e professionale, da dichiarare conformemente all’articolo 42, comma 1, lettera a) del previgente ‘Codice dei contratti’;

- che il punto 8 del medesimo disciplinare imponeva che ciascun concorrente inserisse nella documentazione di gara – e a pena di esclusione – anche l’autocertificazione di conformità di cui all’allegato ‘B’;

- che nell’ambito dell’allegato ‘B’ ciascun concorrente avrebbe dovuto indicare – fra l’altro – l’impresa che avrebbe effettivamente prodotto il policloruro di alluminio;

- che la non veridicità in parte qua delle dichiarazioni rese dalla Hidrodepur non poteva che comportare l’esclusione dalla gara in quanto ineriva un aspetto centrale della capacità economica e professionale necessaria ai fini della gara;

- che neppure può ritenersi che la richiamata non veridicità potesse essere in qualche modo sanata attraverso il ricorso al c.d. ‘soccorso istruttorio’ di cui agli articoli 38, comma 2-bis e 46, comma 1-ter del decreto legislativo 163 del 2006. Al contrario, tale circostanza non può essere in alcun modo ricondotta alle ipotesi legali di “mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive” e non può dunque essere ammessa a godere del richiamato beneficio legale.

3.3. Resta quindi confermato che la Hidrodepur avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara, la quale avrebbe quindi dovuto essere aggiudicata all’odierna appellante.

3.4. E’ quindi evidente che sussistano nel caso in esame tutti i presupposti per la sussistenza dell’elemento oggettivo dell’illecito foriero di danno (il fatto illegittimo della P.A., il danno conseguente, nonché la sussistenza di un nesso eziologico fra il danno e il fatto dell’amministrazione).

3.5. Allo stesso modo risulta nel caso in esame sussistente l’elemento soggettivo idoneo a configurare un danno risarcibile (elemento che oltretutto, alla luce della giurisprudenza eurounitaria, non risulta neppure necessario ai fini della risarcibilità del danno da illegittima mancata aggiudicazione).

Al riguardo ci si limita comunque a richiamare il consolidato orientamento secondo cui, inquadrando la responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo nell'ambito del modello aquiliano, il privato può provare la colpa dell'amministrazione anche semplicemente dimostrando l'illegittimità del provvedimento lesivo, illegittimità la quale, pur non identificandosi nella colpa, costituisce, tuttavia, un indizio (grave, preciso e concordante) idoneo a fondare una presunzione (semplice) di colpa che l’amministrazione può vincere dimostrando elementi concreti da cui possa evincersi la scusabilità dell'errore compiuto (Sul punto –ex multis -: Cons. Stato, IV, 16 aprile 2016, n. 1347; id., VI, 4 settembre 2015, n. 4115 id., VI, 16 aprile 2015, n. 1944).

Al riguardo ci si limita ad osservare che, nel corso dell’intera vicenda, la Acqua Novara VCO non ha allegato alcun elemento o circostanza idonea a deporre nel senso della scusabilità dell’errore.

Resta quindi confermato che sussistono nel caso di specie tutti gli elementi perché si possa ammettere il ristoro del danno subito dall’appellante nell’ambito della complessiva vicenda.

4. Per quanto riguarda, infine, la determinazione del quantum risarcitorio da porre a carico dell’amministrazione aggiudicatice, si deve rilevare che l’appellante non ha soddisfatto l’onere di puntuale allegazione dell’utile ritraibile in caso di aggiudicazione dell’appalto.

Pertanto il Collegio ritiene di richiamare la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui il danno da mancata aggiudicazione, in assenza di allegazione probatoria debba essere liquidato nella misura del 5 per cento dell'offerta (nel caso di specie, pari ad euro 342.130,00), in quanto è ragionevole ritenere che essa abbia riutilizzato mezzi e manodopera impiegati per la gara da cui è stata esclusa illegittimamente per lo svolgimento di altri lavori analoghi o di servizi e forniture, vedendo così ridotta la propria perdita di utilità (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, IV, 9 febbraio 2015, n. 656).

La richiamata percentuale dell’offerta, in mancanza di ulteriori puntuali allegazioni e anche in applicazione dell’articolo 1226 del codice civile, deve ritenersi idonea a ristorare anche il c.d. danno curriculare patito dalla società appellante in conseguenza della illegittima mancata aggiudicazione.

Gli importi in tal modo determinati dovranno essere incrementati degli accessori di legge.

5. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, deve essere disposta la condanna della Acqua Novara VCO a corrispondere in favore dell’appellante il danno liquidato ai sensi del precedente punto 4.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e conseguentemente, in riforma della sentenza in epigrafe, condanna la Acqua Novara VCO al risarcimento in favore dell’appellante del danno patito, ai sensi dei punti 4 e 5 della motivazione.

Condanna la Acqua Novara VCO e la Hidrodepur in solido fra loro al ristoro delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.000 (cinquemila), oltre gli accessori di legge. Nei rapporti interni fra le due società il relativo onere resta suddiviso in parti eguali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

 

 

 

Guida alla lettura

L’oggetto specifico del contendere, afferente la mancata esclusione di una impresa concorrente ad una gara di appalto per la fornitura di prodotti chimici a seguito di una dichiarazione di conformità rivelatasi non verietera e non suscettibile di soccorso istruttorio, offre lo spunto per consentire ai Giudici di Palazzo Spada, innanzitutto, di ritornare sull’argomento, ormai multi-disciplina, della responsabilità della Stazione Appaltante per l’adozione di un provvedimento illegittimo.

Il principio di diritto che ne derivato richiede, però, una doverosa citazione dell’excursus che ne ha preceduto il consolidamento.

 Il campo d'indagine è, in particolare, quello della responsabilità extracontrattuale della p.a., il cui fondamento è rinvenibile nell'art. 2043 c.c..

L' iter evolutivo dell'istituto, che ha trovato una tappa importante nella sentenza n. 500/99, con la quale le Sezioni Unite hanno per la prima volta accordato tutela risarcitoria agli interessi legittimi, ha condotto ad un sistema, quello attualmente vigente, nel quale è garantita piena tutela avverso l'agire della Pubblica Amministrazione.

Orbene, osserva la giurisprudenza, al fine di accogliere la domanda risarcitoria il giudice deve, previamente, accertare che sussistano tutti gli elementi costitutivi dell'illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c.: danno, condotta illecita, nesso causale, dolo o colpa.

E, quindi, si impone al Collegio, in primo luogo, di verificare se ricorre una lesione contra ius, violando la stessa un interesse ritenuto meritevole di tutela secondo l'ordinamento giurdico, e non iure, espressione con cui si vuole significare che l'evento lesivo sia stato cagionato dall'agente a fronte di una condotta non giustificata dall'ordinamento.

In secondo luogo, occorre acclarare, altresì, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito civile ai sensi dell'art. 2043 c.c..

Nel seguito, occorre passare all'accertamento dei elementi costitutivi dell'illecito. In proposito, è opportuno precisare come la trasposizione, nel diritto amministrativo, del sistema della responsabilità civile importi, quale conseguenza, che gli stessi assumano connotati diversi.

Per quanto rileva ai fini della sentenza in commento, quindi soffermandosi sull’elemento della colpa, si consideri che l'impostazione tradizionale, considerava la culpa in re ipsa, in altri termini, considerava sussistente la colpa dell'amministrazione una volta che venisse accertata l'illegittimità del provvedimento amministrativo.

La tesi è parsa, tuttavia, incompatibile con i principi generali della natura personale della responsabilità civile e del carattere eccezionale di quella oggettiva, risolvendosi nell'ingiusta assegnazione all'amministrazione di un trattamento deteriore, rispetto a quello spettante agli altri soggetti dell'ordinamento, per il solo fatto che si ravvisasse l'illegittimità dell'atto amministrativo.

E’ subentrato, così, il convincimento giurisprudenziale per cui si richiedeva la necessità di affidare al giudice il potere di svolgere una più penetrante indagine, estesa fino alla valutazione della colpa, che, in quanto elemento costitutivo della responsabilità, deve essere provata.

La suprema Corte, pertanto, ha ritenuto la necessità di provare la colpa della p.a., stabilendo che tale onere gravi sul privato, proprio sulla base del combinato disposto dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 2043 c.c..

La, giurisprudenza, peraltro, ha chiarito sul punto che il privato può servirsi delle c.d. presunzioni semplici ex artt. 2727 e 2729 c.c.

Tali presunzioni, congiuntamente alle caratteristiche del processo amministrativo ed al principio dispositivo con onere acquisitivo, fanno sì che gravi una prova limitata sul privato, il quale deve esclusivamente introdurre nel processo elementi di prova.

L'onere del privato di provare la colpa dell'amministrazione, può, infatti, essere assolto anche mediante la semplice prova dell'illegittimità dell'atto amministrativo, a tal fine ritenuta sufficiente.

Il giudice amministrativo, sul punto, ha precisato che: "non è comunque richiesto al privato, danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo, un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono, invece, operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata". (cfr.Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981; Consiglio di Stato, sentenza 10 gennaio 2012 n. 14).

La giurisprudenza amministrativa ha, così, ribadito che non è sufficiente che l'amministrazione emani un atto illegittimo perché possa ritenersi anche responsabile dei danni subiti dal privato destinatario dell'atto, dovendosi mantenere separate le regole di validità dell'atto dalle regole di responsabilità. (Consiglio Stato, sez. VI 27 giugno 2013, n. 3521).

Si può così affermare che costituisce oggetto dell'onere probatorio del privato l'illegittimità dell'atto amministrativo, la cui prova, tuttavia, non determina ancora colpa dell'amministrazione, ben potendo quest'ultima liberarsi da responsabilità mediante la dimostrazione di avere agito senza colpa.

Come chiarito, infatti, dalla giurisprudenza amministrativa:" in sede di accertamento della responsabilità della P.A. per danno a privati, il G.A., in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal Giudice comunitario, può affermare detta responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; può, invece, negarla quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto).

Pertanto, in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile (Consiglio Stato, sez. V 31 luglio 2012, n. 4337).

Sul punto, peraltro, la giurisprudenza amministrativa ha contribuito a tipizzare alcune situazioni la cui ricorrenza può indurre a ritenere che l'emanazione dell'atto illegittimo sia stata determinata da un errore scusabile.

In particolare, si ritiene costantemente (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452; Cons. Stato, Sez. V, 17 febbraio 2013, n. 798; Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114) che integri gli estremi dell'esimente da responsabilità l'esistenza di: a) contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma; b) una formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore; c) una rilevante complessità del fatto; d) una illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

La sentenza in esame ci offre anche lo spunto per ritornare sulla vicenda dei poteri del GA di valutare equitativamente il risarcimento del danno da mancato utile (quando nel frattempo, come nel caso specifico, è divenuta non più attuabile la declaratoria di annullamento dell’aggiudicazione e la domanda di subentro nell’esecuzione del contratto) nel caso dell’assenza di una specifica allegazione probatoria.

Premesso che spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.

La giurisprudenza amministrativa, pertanto, ammette una valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno.

In tale ipotesi, si precisa come la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’«id quod plerumque accidit » (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici.

Ecco quindi come, nel caso che ci occupa, il Collegio ritiene equitativo liquidare il danno nella misura del 5% dell’offerta in quanto è ragionevole ritenere che essa abbia riutilizzato mezzi e manodopera impiegati per la gara da cui è stata esclusa illegittimamente per lo svolgimento di altri lavori analoghi o di servizi e forniture, vedendo così ridotta la propria perdita di utilità”.