Relazione resa al convegno sul tema “I sistemi di realizzazione”, organizzato presso il T.A.R. del Lazio il 29 settembre 2016, nell’ambito dei “Workshop sul D.lgs. n. 50/2016”.

1.   L’inquadramento della società in house.

Il fenomeno della società in house rientra nella più vasta disciplina delle c.d. “imprese pubbliche”, che così sono definite dall’art. 3, comma 1, lett. t), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. “nuovo codice dei contratti pubblici”): «imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese. L’influenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente: 1) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; 2) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; 3) possono designare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa»[1].

L’art. 2 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) classifica le imprese pubbliche aventi forma societaria in:

«m) «società a controllo pubblico»: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b) [che, a sua volta, rinvia alla definizione di cui all’art. 2359 del codice civile, n.d.a.];

n) «società a partecipazione pubblica»: le società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico;

o) «società in house»: le società sulle quali un’amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto;

p) «società quotate»: le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati; le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati; le società partecipate dalle une o dalle altre, salvo che le stesse siano anche controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche».

In particolare, le società in house si caratterizzano per il fatto che tra queste ed il soggetto partecipante non è possibile configurare un rapporto di alterità, dimodoché l’assenza di una sostanziale distinzione soggettiva impedisce che, nei rapporti reciproci, controllante e controllata si possano considerare parti contrattuali distinte, restandosi nel campo della delegazione interorganica tra articolazioni interne della stessa pubblica amministrazione[2].

Detta peculiarietà rileva principalmente nel settore dei contratti pubblici, laddove il diritto sia europeo che interno, in deroga al canone generale della libera concorrenza, consente all’amministrazione pubblica l’affidamento diretto (cioè, senza una gara) di un contratto ad un operatore economico in house, giacché ciò non costituisce ipotesi di esternalizzazione o di ricorso al mercato, che al contrario imporrebbe il previo esperimento di una procedura competitiva.

 

2.   I presupposti dell’in house providing.

I presupposti per l’in house providing sono essenzialmente due, e si trovano definiti sin dalla nota sentenza Teckal della Corte di giustizia dell’Unione europea[3], la quale ha stabilito che una società può considerarsi in house se svolge la propria attività prevalente nell’interesse dell’ente affidante e se è sottoposta al controllo “analogo” di questo, ossia ad un controllo equivalente a quello che esso esercita sulle proprie strutture interne.

Con la sentenza Brixen Parking[4], è stato poi precisato che la presenza di un socio privato nella compagine è incompatibile con il requisito del controllo analogo, stante il rischio di interferenze tra le finalità lucrativo-privatistiche perseguite dal socio privato e le finalità pubblicistiche perseguite dalla società in house.

Ancora, con la sentenza Cabotermo[5], la Corte di giustizia ha esplicitato che il controllo analogo non può risolversi nei soli poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale, ma richiede prerogative speciali in termini di diritti di voto o di poteri di controllo, atte a ridurre i margini di gestione ordinaria e straordinaria normalmente attribuiti al consiglio di amministrazione.

Infine, in base alle sentenze Coditel Brabant[6] ed Econord[7], il controllo analogo può essere esercitato anche da più autorità pubbliche, tutte partecipanti alla società affidataria, a condizione che ciò avvenga in forma congiunta e non attraverso l’esercizio del potere da parte della sola autorità che detiene la partecipazione di maggioranza nel capitale (c.d. controllo “congiunto”, “frazionato”, o “pluripartecipato”).

Questi princìpi in materia di affidamento, ripetutamente ribaditi in sede europea[8], sono stati fatti propri dalla nostra giurisprudenza interna, sia costituzionale[9] che amministrativa[10], e sono rimasti inalterati fino all’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici che, in materia di in house providing, ha recepito l’art. 12, paragrafi 1, 2, 3 e 5, della direttiva 2014/24/UE.

Sicché, in questo contesto e su queste basi, l’affidamento in house – al pari dell’autoproduzione del bene o del servizio da parte della stessa P.A. – ha finito per rappresentare una delle possibili forme organizzative dell’attività pubblicistica di acquisizione di beni e servizi, alla stessa stregua dell’esternalizzazione verso il mercato, che si effettua tramite procedure di evidenza pubblica tese a ricercare un contraente episodico (per un singolo appalto o per una singola concessione) oppure un partner stabile (come nel caso del c.d. partenariato pubblico-privato e delle società miste).

In tal senso, è stato chiarito come l’affidamento diretto in house — lungi dal configurarsi come un’ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali — costituisce una delle (tre) normali forme organizzative degli stessi, frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano[11].

Di conseguenza, l’art. 7 dello schema di decreto legislativo recante il “Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale”, attuativo della legge di riforma n. 124/2015 (artt.16 e 19), ancora in discussione in Parlamento, prevede che il servizio d’interesse economico generale (SIEG) non direttamente preso in carico dalla stessa amministrazione, può alternativamente essere oggetto di:

- affidamento mediante procedura di evidenza pubblica secondo le disposizioni in materia di contratti pubblici;

- affidamento a società mista il cui socio sia stato scelto con procedura di evidenza pubblica;

- affidamento in house;

- gestione in economia o mediante azienda speciale, nel caso di servizi diversi da quelli a rete.

 

3.   L’art. 5 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Ai fini della qualificazione di una società come in house, l’art. 5 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in attuazione della menzionata direttiva europea, fissa tre requisiti:

a) l’amministrazione deve esercitare su di essa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

b) oltre l’80 per cento delle attività di questa dev’essere effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione controllante o da altre persone giuridiche da questa controllate;

c) nella società controllata non deve esserci alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati «previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei Trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata».

Poiché la norma, come anche la direttiva, riguarda tutti i tipi di appalto, deve ritenersi non più attuale l’esclusione della possibilità di affidare direttamente i contratti di fornitura, ravvisata dalla Corte di giustizia in ragione della mancanza di un fondamento normativo equivalente all’art. 13 della direttiva 93/38/CEE sui servizi, insuscettibile di applicazione analogica[12].

Così come dovrebbe considerarsi superato l’arresto giurisprudenziale secondo cui l’in house è consentito solo nel settore dei servizi pubblici e non in quello degli appalti strumentali, quando, cioè, la prestazione del soggetto controllato avviene nei confronti della pubblica amministrazione controllante, che ne beneficia direttamente[13].

Tale divisamento muove dalla circostanza per cui l’art. 4, comma 7, del decreto-legge n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012[14], «sembra univoco nell’individuare le procedure concorrenziali come modalità necessaria di acquisizione dei beni e servizi strumentali, mentre, alla stregua della stessa norma, l’affidamento diretto ha carattere spiccatamente derogatorio; d’altra parte, la volontà del legislatore è stata quella di limitare il ricorso alle società pubbliche, tra l’altro escludendolo nel settore dell’acquisizione di beni e servizi strumentali, che non è stato tipologicamente considerato tra le eccezioni».

Dunque, secondo il Consiglio di Stato, «l’in house providing, così come costruito dalla giurisprudenza comunitaria, sembra rappresentare, prima che un modello di organizzazione dell’amministrazione, un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono che l’affidamento degli appalti pubblici avvenga mediante la gara».

In ogni caso, va rilevato che la soluzione seguita dalla decisione in rassegna è stata autorevolmente avversata già prima dell’introduzione del nuovo codice degli appalti, vuoi perché ritenuta non coerente col significato vero del carattere eccezionale e derogatorio dell’in house, come individuato dalla giurisprudenza comunitaria, vuoi perché essa trascura la lettera del comma 8, primo periodo, dell’art. 4 del predetto decreto legge n. 95/2012, secondo cui «a decorrere dal 1° gennaio 2014 l’affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house»[15].

 

4.   Il controllo analogo e la partecipazione di soci privati.

Il comma 2 dell’art. 5 prescrive che si ha controllo analogo allorquando l’ente controllante «eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore».

In questo modo, viene legittimato il controllo analogo “indiretto” o “a catena”, che permette ad un soggetto pubblico di affidare in via diretta un servizio ad una società controllata in forma analoga da un altro ente, che il soggetto affidante controlla in forma analoga.

La legittimità dell’affidamento, con riferimento all’esistenza del controllo analogo, va ovviamente valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione del relativo provvedimento, non essendo rilevante la sopravvenienza in fatto del requisito, perché essa violerebbe, oltreché la regola tempus regit actum, anche i principi che presiedono al corretto affidamento degli appalti[16].

La riforma, come visto, in sintonia con la direttiva, apre a possibili partecipazioni di capitali privati, a patto che queste non esercitino un’influenza determinante sulla controllata e siano «previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei Trattati».

Il concetto è ripreso e sviluppato nell’art. 16 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), non senza però porre delicate problematiche interpretative ed applicative.

Difatti, il comma 1 dell’art. 16, nel ribadire l’eccezionalità della deroga al divieto di capitali privati, stabilisce che essa può avvenire a due condizioni: che sia «prescritta da norme di legge» e che non comporti forme di controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata.

E’ evidente come, tra la situazione in cui le deroghe debbano essere «previste» dalla legge (ex art. 5 del nuovo codice dei contratti) e quella in cui debbano essere «prescritte» dalla legge (ex art. 16 T.U.S.P.P.), intercorre una certa differenza, laddove «previste» individua l’esistenza di una facoltà di scelta in capo all’amministrazione, mentre «prescritte» individua un obbligo.

Del resto, l’introduzione della parola «prescritte», in luogo dell’iniziale «previste», nel testo definitivo del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, si deve al recepimento, da parte del legislatore, del parere del Consiglio di Stato[17], che ha richiamato in proposito il dato testuale dell’art. 12 della direttiva, cosa che viceversa non è avvenuta per il nuovo codice dei contratti.

In assenza di deroghe espresse, anche per il reperimento dell’eventuale socio privato di società in house deve ritenersi operante il comma 9 dell’art. 5 del nuovo codice dei contratti, che impone la procedura di evidenza pubblica ai fini della costituzione di società miste pubblico-private.

Il comma 2 dell’art. 16 si preoccupa poi di indicare l’ambito delle soluzioni giuridiche attraverso le quali è possibile introdurre nello schema societario tipo il requisito del controllo analogo.

La questione non è di poco conto, atteso che potrebbe opinarsi che il soggetto in house, in quanto privo di soggettività (quantomeno riguardo all’ente controllante), dia luogo, in definitiva, ad un modello nuovo di società, aggiuntivo rispetto a quelli codicisticamente definiti.

Tale interpretazione viene ricusata dal legislatore, il quale prevede invece che la configurazione di una società comune come società in house avvenga mediante l’adozione di taluni adattamenti che non incidono sulla forma giuridica dell’ente.

Pertanto, viene espressamente consentito che:

a) gli statuti delle società per azioni possano contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’art. 2380-bis (sui poteri degli amministratori) e dell’art. 2409-novies del codice civile (sui poteri del consiglio di gestione);

b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possano prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell’art. 2468, comma 3, del codice civile;

c) i requisiti del controllo analogo possano, in ogni caso, essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali di durata superiore a cinque anni, in deroga all’art. 2341-bis, comma 1, del codice civile.

 

5.   Il controllo “congiunto”, “capovolto” ed “orizzontale”.

I commi 4 e 5 dell’art. 5 codificano il fenomeno del controllo “congiunto”, sviluppato nelle sentenze della Corte di giustizia Coditel Brabant ed Econord e successivamente nelle direttiva del 2014.

Pertanto, affinché si abbia un controllo congiunto, idoneo a legittimare l’affidamento in house da parte di qualunque delle amministrazioni controllanti, è necessario, cumulativamente, che:

a) gli organi decisionali della controllata siano composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni partecipanti, tenuto conto che singoli rappresentanti possono rappresentare più o tutte le amministrazioni;

b) le amministrazioni controllanti siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;

c) la persona giuridica controllata non persegua interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti.

Con molta probabilità, il maggiore problema interpretativo che si porrà nella pratica avrà riferimento alla condizione di cui alla lettera b), in quanto, alla stregua della sentenza Econord, occorrerà sempre verificare che l’esercizio dell’influenza determinante sia congiunto e non appartenga invece, anche solo in via di fatto, all’autorità od alle autorità che detengono la partecipazione di maggioranza.

L’in house “verticale invertito”, previsto dal comma 3 dell’art. 5, si verifica quando il soggetto controllato, che è un’amministrazione aggiudicatrice, in tale qualità affida senza gara un contratto al soggetto controllante. In questa ipotesi, l’affidamento è “capovolto” e procede dal controllato verso il controllante.

Esiste, infine, l’in house “orizzontale”, quando il soggetto giuridico controllato, che è un’amministrazione aggiudicatrice, affida direttamente un contratto ad un soggetto giuridico diverso dall’ente controllante, ma a sua volta controllato in forma analoga da quest’ultimo. Qui i soggetti sono tre, e non due, e la relazione tra affidante ed affidatario sta nel fatto che sono entrambi controllati in forma analoga dallo stesso soggetto pubblico.

 

6.   La prevalenza dell’attività svolta nell’interesse dell’ente controllante.

La nuova normativa ha il pregio di individuare la soglia al di sotto della quale l’attività svolta dalla società controllata nell’interesse dell’ente affidante non può dirsi “prevalente”: «oltre l’80 per cento».

Il fatturato da considerare ai fini del calcolo della soglia è quello comunque realizzato in base alle decisioni di affidamento dell’ente controllante; e ciò a prescindere dal fatto che il destinatario dell’attività sia la stessa amministrazione affidataria ovvero terzi (es. gli utenti delle prestazioni), a prescindere dalla natura giuridica (di appalto o concessione) del rapporto giuridico instaurato ed a prescindere dalla provenienza territoriale della remunerazione delle prestazioni dell’impresa, essendo in ogni caso ininfluente il luogo sul quale l’attività viene svolta[18].

A sua volta, il T.U.S.P.P., nel prevedere che detto limite debba essere inserito nello statuto, contempla un’eccezione, aggiungendo che una «produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato» non resta nella libera determinazione della società, ma «è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società».

Il mancato rispetto del limite «costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 del codice civile e dell’art. 15 del presente decreto» (comma 4), comportando, di conseguenza, l’attivazione del controllo ispettivo in capo, rispettivamente, al Tribunale ordinario ed al Ministero dell’economia e delle finanze, nonché l’eventualità della nomina di un amministratore giudiziario da parte del Tribunale.

Nondimeno, in caso di mancato rispetto del limite, ossia di produzione “internalizzata” inferiore ad oltre l’80 per cento del fatturato, «la società può sanare l’irregolarità se, entro tre mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinunci a una parte dei rapporti di fornitura con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero rinunci agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti. In quest’ultimo caso, le attività precedentemente affidate alla società controllata devono essere riaffidate, dall’ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. Nelle more dello svolgimento delle procedure di gara, i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla stessa società controllata» (comma 5).

«Nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti, di cui al comma 5, la società può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all’art. 4. A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo» (comma 6).

Dunque, secondo tali disposizioni, la perdita dei requisiti soggettivi ed oggettivi da parte del soggetto in house, invece di costituire causa di scioglimento automatico del rapporto, come accadrebbe per un qualunque contraente della P.A.[19], attribuisce all’affidatario (e, quindi, all’affidante controllante) la possibilità di scegliere se rientrare nella soglia e continuare come se nulla fosse accaduto, ovvero recedere unilateralmente da tutti i rapporti in affidamento diretto, proseguendo però nella gestione temporanea degli stessi fino alla loro riassegnazione a terzi mediante gara (e non, ad es., mediante nuovo affidamento diretto ad altro soggetto in house).

Questo pare, francamente, eccessivo, posto che l’eccezione alla regola (nella specie, la possibilità di affidamenti diretti) dovrebbe essere trattata, in caso di inadempienza, in modo più severo – o, per lo meno, al pari – dell’inadempienza alla regola (l’affidamento con procedura di evidenza pubblica).

 

7.   Le regole di trasparenza e pubblicità.

L’art. 192 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, si occupa, ai commi 1 e 3, delle regole di trasparenza e pubblicità cui soggiace la materia dell’affidamento in house.

Al primo comma, viene istituito uno speciale elenco, curato da ANAC, al quale devono iscriversi, su domanda, le amministrazioni che operano mediante affidamenti diretti in house.

L’esistenza dei requisiti per l’iscrizione è riscontrata da ANAC, secondo modalità e criteri da essa stessa definiti.

All’iscrizione va attribuita efficacia non costitutiva, ma meramente dichiarativa[20].

Ciò ha portato ANAC a precisare che, nelle more dell’adozione dell’atto di regolazione e della successiva attività di verifica dei requisiti ed iscrizione, «l’affidamento diretto alle società in house può essere effettuato, sotto la propria responsabilità, dalle amministrazioni  aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori, in presenza dei presupposti  legittimanti definiti dall’art. 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nei  medesimi termini nell’art. 5 del d.lgs. n. 50 del 2016 e nel rispetto delle  prescrizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 192, a prescindere dall’inoltro della domanda di iscrizione»[21].

A valle dell’iscrizione al registro, le regole di trasparenza sono rafforzate dal comma 3, che prevede l’obbligo di pubblicazione sul profilo del committente, in formato open-data, di tutti gli atti connessi all’affidamento, ove non secretati.

Sotto altro aspetto, va ricordato che, in considerazione della peculiare configurazione del rapporto di controllo, ANAC ha ritenuto di far rientrare le società in house nell’ambito delle società controllate dalla P.A. cui si applicano le norme di prevenzione della corruzione ai sensi della legge n. 190/2012, previa nomina di un responsabile per la prevenzione della corruzione (RPC), al quale devono essere riconosciuti poteri di vigilanza sull’attuazione effettiva delle misure e di proposta delle integrazioni e modificazioni ritenute più opportune.

Le medesime società, inoltre, per il tipo di rapporto organizzativo con la P.A., sono tenute ad applicare gli obblighi di trasparenza previsti per quest’ultima, senza alcun adattamento. Infatti, pur non rientrando tra i soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, in quanto organizzate secondo il modello societario, dette società, essendo affidatarie in via diretta di servizi ed essendo sottoposte a un controllo particolarmente significativo da parte delle amministrazioni, costituiscono nei fatti parte integrante delle amministrazioni controllanti[22].

 

8.   La motivazione del provvedimento di affidamento in house.

Il comma 2 dell’art. 192 si occupa della motivazione dell’atto di affidamento in house.

Ivi è prescritto che, «ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche».

La norma pare cristallizzare un canone di congruità della giustificazione già invalso nella giurisprudenza ed in base alla quale la decisione di un ente pubblico di avvalersi dell’affidamento in house, pur se ampiamente discrezionale, deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano.

Va tuttavia precisato che, secondo il medesimo orientamento giurisprudenziale, la natura tecnico-discrezionale della valutazione effettuata dalla P.A. fa sì che essa sfugga all’ordinario sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che questa non si presenti manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità od arbitrarietà, ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti[23].

E’ quindi da salutare con interesse la posizione di chi intravvede, nella disposizione in esame, la volontà del legislatore di introdurre «un onere motivazionale rafforzato, che consente un penetrante controllo della scelta effettuata dall’amministrazione, anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche»[24].

 

9.   La questione dell’immediata applicabilità delle direttive del 2014 nell’ordinamento interno.

In conclusione, pare opportuno segnalare una problematica di diritto intertemporale verificatasi nella pratica.

Come detto, con l’adozione dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE, è stata superata, a determinate condizioni, l’impostazione tradizionale secondo cui la presenza di privati nella compagine societaria vale ad escludere la praticabilità dell’affidamento in house.

La questione postasi nel concreto è se, prima del formale recepimento di questo principio nell’ordinamento interno, avvenuto ad opera dell’art. 5 del decreto legislativo n. 50/2016, la direttiva in argomento, in quanto self executing, fosse immediatamente applicabile, almeno quanto alla possibilità di una compartecipazione privata al capitale della società in house.

In un primo momento, il Consiglio di Stato, in sede consultiva, riconoscendo alla direttiva il carattere self executing, ha ammesso l’esistenza del controllo analogo, anche nel caso in cui il soggetto operante risulti partecipato da soggetti privati, purché entro stretti limiti[25].

La tesi è stata, però, disattesa da due successive pronunce dello stesso organo, rese in sede giurisdizionale[26], nelle quali è stato osservato come, in disparte la qualificazione della direttiva come autoesecutiva, i suoi effetti nell’ordinamento nazionale sono preclusi dal fatto che è ancora pendente il termine per il recepimento.

Inoltre, è stato chiarito che, in forza dell’art. 12 della direttiva medesima, le forme di partecipazione di capitali privati devono pur sempre essere «prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei Trattati», cosa che, nella fattispecie in trattazione, non sussisteva.

Questo significa che, anche dopo la trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno, l’ingresso di soci privati nella società in house resta subordinato al vincolo dell’introduzione di una specifica norma di legge interna che, in conformità con i Trattati europei, «preveda» detta partecipazione (come recita l’art. 5 del nuovo codice dei contratti) ovvero la «prescriva» (come viceversa recitano l’art. 16 del T.U.S.P.P. e l’art. 12 della direttiva).

 

[1] Sulle società pubbliche, cfr. CAMMELLI-DUGATO, Lo studio delle società a partecipazione pubblica: la pluralità dei tipi e le regole del diritto privato. Una premessa metodologica e sostanziale, in Studi in tema di società a partecipazione pubblica, a cura di CAMMELLI e DUGATO, Torino, 2008, 1; VOLPE, La disciplina delle società pubbliche e l’evoluzione normativa, in www.giustamm.it, n. 12/2014.

[2] Per una aggiornata panoramica sull’in house, si segnalano: CONTESSA, L’in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, in Appalti e concessioni. Le nuove direttive europee, a cura di CONTESSA e CROCCO, Roma, 2015; FOÀ-GRECO, L’in house providing nelle direttive appalti 2014: norme incondizionate e limiti dell’interpretazione conforme, in Federalismi, 29 luglio 2015; VOLPE, Le nuove direttive sui contratti pubblici e l’in house providing: problemi vecchi e nuovi, Relazione svolta al 61° Convegno di studi amministrativi in Varenna, il 17-18-19 settembre 2015.

[3] Corte di giustizia 18 novembre 1999, in causa C-107/98, Teckal.

[4] Corte di giustizia 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, Brixen Parking.

[5] Corte di giustizia 11 maggio 2006, in causa C- 340/04, Cabotermo.

[6] Corte di giustizia 13 novembre 2008, in causa C-324/07, Coditel Brabant.

[7] Corte di giustizia 29 novembre 2012, in cause riunite C-182/11 e C-183/11, Econord.

[8] Corte di giustizia 19 giugno 2014, in causa C-574/12, Centro Hospitalar de Setúbal e 11 gennaio 2005, in causa C-26/03, Stadt Halle.

[9] Corte costituzionale 28 maggio 2014, n. 141, ha dichiarato illegittima, per violazione del vincolo di cui all’art. 117, comma 1, Cost., una legge regionale istitutiva di una società finanziaria avente un oggetto sociale non conforme al modello tipo dell’in house providing.

[10] Consiglio di Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1; Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1034 e 30 settembre 2013, n. 4832; Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660 e 11 febbraio 2013, n. 762.

[11] Consiglio di Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 22 marzo 2016, n. 431; T.A.R. Liguria, Sez. II, 8 febbraio 2016, n. 120.

[12] Corte di giustizia 11 maggio 2006, in causa C- 340/04, Cabotermo.

[13] Consiglio di Stato, Sez. III, 7 maggio 2015, n. 2291.

[14] Il quale, al dichiarato fine di «evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale», ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le pubbliche amministrazioni, «nel rispetto dell’articolo 2, comma 1 del citato decreto, acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo».

[15] VOLPE, Le nuove direttive sui contratti pubblici e l’in house providing: problemi vecchi e nuovi, cit.

[16] Consiglio di Stato, Sez. III, 27 aprile 2015, n. 2154.

[17] Consiglio di Stato, Sez. atti normativi, parere 1 aprile 2016 n. 855.

[18] Corte di giustizia 11 maggio 2006, in causa C- 340/04, Cabotermo.

[19] A tal riguardo, si rinvia a Consiglio di Stato, Sez. IV, ord. 15 aprile 2016, n. 1522, che ha deferito alla Corte di giustizia la questione di compatibilità, rispetto alla normativa europea, dell’art. 49 del D.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) che, in caso di perdita o di riduzione dei requisiti di partecipazione in capo all’impresa ausiliaria indicata, non consentendo espressamente la sostituibilità di questa con altra impresa, determina l’esclusione automatica dell’operatore economico dalla gara, per fatto non a lui riconducibile né oggettivamente né soggettivamente.

[20] Consiglio di Stato, Sez. atti normativi, parere 1 aprile 2016 n. 855.

[21] ANAC, atto di chiarimenti del Presidente del 5 agosto 2016.

[22] ANAC, Relazione annuale 2015.

[23] Consiglio di Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257 e 10 settembre 2014, n. 4599.

[24] DE NICTOLIS, Il nuovo codice dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti n. 5/2016.

[25] Consiglio di Stato, Sez. II, parere 30 gennaio 2015, n. 298.

[26] Consiglio di Stato, Sez. V, 11 settembre 2015, n. 4253 e Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660.