Tar Puglia, Lecce sez. I, 22 settembre 2016, n. 1461

1. A differenza della disciplina processuale penale vigente, che impone solo alla parte di attivarsi in vista della dichiarazione di estinzione, l’articolo 578 del previgente codice Rocco obbligava l'autorità giudiziaria ad attivarsi per la pronuncia di estinzione del reato a decorrere da cinque anni dopo la sentenza di condanna.

2. L’inadempimento a tale dovere non è irrilevante in relazione alla non addebitabilità della mancata estinzione al condannato che legittimamente ha confidato che da tempo il reato fosse stato dichiarato estinto, sicché non sussisteva alcun obbligo di dichiararlo.

3. In questo caso, l'omessa indicazione della sentenza di condanna determina una quadro conoscitivo, più che falsato, incompleto, che necessita, quindi, delle necessarie integrazioni mediante l'applicazione dell'istituto del soccorso istruttorio “rinforzato”, che consente, appunto, la sanabilità, attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria, dell’erroneità o omissione delle dichiarazioni attestanti i requisiti generali

 

 

 

-omissis-

 

sul ricorso numero di registro generale 1050 del 2016, proposto da:
Russo Luigi Surl - Costruzioni Edili e Stradali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Gianluigi Manelli C.F. MNLGLG76D07E506A, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Ludovico Ariosto N. 43;

 

contro

Provincia di Lecce, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Giovanna Capoccia C.F. CPCMGV59L48A662S, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, Ufficio Legale C/ Amm.Ne Prov.Le;

nei confronti di

Basento Scavi Srl non costituito in giudizio;

per l'annullamento

della determinazione n. 50 del 07/06/2016, prot. gen. n. 890 del 7/6/2016, comunicata con nota prot. n. 34085 del 23/6/2016 con cui la Provincia di Lecce ha determinato di revocare l'aggiudicazione provvisoria disposta in favore della Russo Luigi surl con verbale di gara del 2/2/2016, di escludere la stessa dalla procedura di gara e di dichiarare l'aggiudicazione definitiva in favore della Basento Scavi srl, disponendo inoltre l'escussione della cauzione provvisoria di euro 32.336,00 prodotta dalla ricorrente in sede di partecipazione alla gara;

della nota prot. n. 34167 del 23/6/2016 con cui la Provincia di Lecce, Servizio Appalti ed Espropri ha riscontrato la nota del 13/6/2016;

di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Lecce;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art.60 c.p.a.

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2016 la dott.ssa Patrizia Moro e uditi per le parti i difensori come da verbale;

E’ impugnato il provvedimento epigrafato con il quale la Provincia di Lecce ha determinato di revocare l’aggiudicazione provvisoria disposta in favore della ricorrente in quanto, “dal certificato del casellario giudiziale del sig. Russo Luigi (amministratore unico, legale rappresentante e direttore tecnico della Russo Luigi srl), risulta iscritto un provvedimento di condanna con sentenza della Corte d’Appello di Lecce irrevocabile il 27.6.1989, per la quale ha ottenuto il beneficio della non menzione e che dalla documentazione prodotta in sede di partecipazione alla gara, tale situazione non risulta essere stata dichiarata, pur essendo tale obbligo previsto dall’art.38 c.2 del d.lgs. n.163/2006 e ss.mm.ii.”

Questi i motivi a sostegno del ricorso:

1.Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 c.2 d.lgs. 163/2006 e ss.mm.ii, con riferimento all’art.578 di cui al cpp del 1930 (c.d. Codice Rocco).

2.Violazione dell’art.38 c.2 bis d.lgs. n.163/2006 e ss.mm.ii. – violazione della lex specialis di gara – eccesso di potere – illogicità e illegittimità manifesta.

3. Violazione dell’art.3 l.241/1990 e ss.mm.ii – difetto di motivazione – eccesso di potere –carenza di istruttoria – illogicità e illegittimità manifesta.

Con atto depositato in data 26 luglio 2016 si è costituita in giudizio la Provincia di Lecce insistendo per la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio del 7 settembre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione ex art.60 c.p.a.

Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Il c.2 dell’art.38 del d.lgs. 163/2006 stabilisce che “ Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, nè le condanne revocate, nè quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione”.

Con riferimento all’interpretazione di tale norma, come rilevato anche da parte ricorrente, deve concordarsi con quanto espresso di recente dal Consiglio di Stato ( sent.n.5192/2015), i cui principi in questa sede possono, per analogia, essere riportati.

“L’articolo 578 del codice di procedura penale vigente al tempo della commissione del reato (c.d. Codice Rocco approvato con il R.D. 19 ottobre 1930, n. 1399 e rimasto in vigore fino al 1989) in ordine alla estinzione del reato e delle pene stabiliva “Qualora si sia verificata l’estinzione del reato o della pena, il giudice che ha pronunciato la condanna emette anche d’ufficio in Camera di Consiglio la relativa dichiarazione (…). Se non si è provveduto al modo sopra indicato o se è stata respinta un’istanza del condannato, questi o il Pubblico Ministero può promuovere mandato di esecuzione a termine degli articoli 628 e seguenti”.

In sostanza, a differenza della disciplina processuale penale vigente che impone solo alla parte di attivarsi in vista della dichiarazione di estinzione, l’articolo 578 del previgente codice Rocco obbligava il Tribunale medesimo ad attivarsi per la pronuncia di estinzione del reato a decorrere da cinque anni dopo la sentenza di condanna risalente nel caso all’anno 1974.

Ebbene alla luce della disciplina pubblicistica citata l’autorità giurisdizionale aveva il dovere di procedere alla dichiarazione di estinzione di quel reato.

L’inadempimento a tale dovere non è irrilevante, atteso che il decorso del tempo, ha ingenerato il legittimo affidamento circa l’estinzione del reato e sulla conseguente non necessità della dichiarazione”.

Nella specie il sig. Russo Luigi ha subito una condanna emessa dalla Corte d’Appello di Lecce, divenuta irrevocabile il 27.6.1989, in ordine a un reato di abuso edilizio, sotto la vigenza del codice Rocco e, quindi, in relazione a un reato che avrebbe dovuto essere dichiarato estinto.

Ciò comporta l’applicabilità dell’art. 38, comma 1, lettera c) e comma 2, del codice dei contratti pubblici, secondo il quale il concorrente non è tenuto ad indicare le condanne quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna.

In tale situazione, obiettivamente, può dubitarsi che il sig. Russo abbia inteso scientemente emettere una dichiarazione reticente o falsa, anche avuto riguardo alla natura del reato commesso (abuso edilizio) sì da incidere sulla buona fede del dichiarante, potendo quindi ravvisarsi la fattispecie omissiva (scusabile per le ragioni suindicate), rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 38 c.2-bis del d.lgs.163/2006.

Il Collegio, condivide, infatti, l’assunto espresso dalla ricorrente circa l’applicabilità del comma 2-bis dell’art.38 cit., a tenor del quale “la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere”.

Risulta quindi evidente che, dopo le modifiche introdotte all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti 2006) dal suo nuovo comma 2 bis, in caso di mancanza, di incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive, l'esclusione dell'offerta consegue solo se tali dichiarazioni non vengano prodotte o integrate entro il termine assegnato dalla stazione appaltante.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto e conseguentemente annullato l’atto impugnato.

Sussistono nondimeno giustificati motivi (rappresentati dalla peculiarità della questione e dal non univoco orientamento giurisprudenziale in ordine alla necessarietà della dichiarazione ex art.38 anche per i reati estinti con il decorso del tempo- cfr. C.D.S. 4528/2014), per disporre la compensazione delle spese.

-omissis-

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

La sentenza in commento riguarda la contestata legittimità del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto adottato sul presupposto dell'accertata falsità delle dichiarazioni rese dall'aggiudicataria in ordine al possesso del requisito “negativo” di cui all'art. 38, comma 1 lett. c), del D.lgs. 163/2006 (sostituito dall'art. 80, comma 1, del D.lgs. 50/2016).

Era in particolare accaduto che, in occasione del controllo sul possesso dei requisiti autocertificati dall'impresa in sede di gara, la stazione appaltante avesse evinto, dal certificato del casellario giudiziale dell'amministratore unico (nonché legale rappresentante e direttore tecnico) dell'impresa medesima, l'iscrizione a suo carico di un provvedimento di condanna con sentenza irrevocabile il 27.6.1989, circostanza la cui esistenza era stata sottaciuta nella fase di “qualificazione”, ciò nell'asserita violazione dell'obbligo previsto dal richiamato art. 38.

La norma che la stazione appaltante ha ritenuto essere stata violata stabilisce che “ il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, nè le condanne revocate, nè quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione.[1]

Sulla interpretazione e la portata applicativa del citato disposto normativo possono ritenersi consolidati nella giurisprudenza amministrativa i seguenti principi:

a) la valutazione della gravità delle condanne riportate dai concorrenti e la loro incidenza sulla moralità professionale spetta esclusivamente alla stazione appaltante e non già ai concorrenti, i quali sono tenuti ad indicare tutte le condanne riportate, non potendo essi operare alcun filtro, ciò implicando un giudizio meramente soggettivo inconciliabile con la ratio della norma[2];

b) la completezza e la veridicità (sotto il profilo della puntuale indicazione di tutte le condanne riportate) della dichiarazione sostitutiva di notorietà rappresentano lo strumento indispensabile, adeguato e ragionevole, per contemperare i contrapposti interessi in gioco: quello dei concorrenti alla semplificazione e all’economicità del procedimento di gara (a non essere, in particolare, assoggettati ad una serie di adempimenti gravosi, anche sotto il profilo strettamente economico, come la prova documentale di stati e qualità personali, che potrebbero risultare inutili o ininfluenti) e quello pubblico, delle amministrazioni appaltanti, di poter verificare con immediatezza e tempestività se ricorrono ipotesi di condanne per reati gravi che incidono sulla moralità professionale, potendo così evitarsi ritardi e rallentamenti nello svolgimento della procedura ad evidenza pubblica di scelta del contraente, in tal modo realizzandosi, quanto più celermente possibile, l’interesse pubblico perseguito proprio con la gara di appalto[3];

c) ne consegue che la sola mancata dichiarazione dei precedenti penali o di anche solo taluno di essi, indipendentemente da ogni giudizio sulla loro gravità, rende legittima l’esclusione dalla gara[4];

d) anche in assenza di un’espressa comminatoria nella lex specialis, stante la eterointegrazione con la norma di legge, l’inosservanza dell’obbligo di rendere al momento della presentazione della domanda di partecipazione le dovute dichiarazioni previste dall’art. 38 del D.lgs. n. 163 del 2006 comporta l’esclusione del concorrente, senza che sia consentito alla stazione appaltante disporne la regolarizzazione o l’integrazione, non trattandosi di irregolarità, vizio o dimenticanza di carattere puramente formale[5];

e) in caso di mancata dichiarazione di precedenti penali non può operare il principio del c.d. falso innocuo, laddove si tratti di assenza di dichiarazioni previste dalla legge e dal bando di gara a pena di esclusione[6], con la precisazione che solo se la dichiarazione sia resa sulla base di modelli predisposti dalla stazione appaltante ed il concorrente incorra in errore indotto dalla formulazione ambigua o equivoca del bando non può determinarsi l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa[7];

f) quanto all’estinzione del reato (che consente di non dichiarare l’emanazione del relativo provvedimento di condanna), essa sotto il profilo giuridico non è automatica per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell’esecuzione penale, che è l’unico soggetto al quale l’ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non intervenga tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di “reato estinto[8].

Gli enunciati principi subiscono un temperamento nell'ipotesi in cui l'omessa dichiarazione di precedenti penali dipenda dall'inerzia dell'autorità giudiziaria nel dichiarare l'avvenuta estinzione del reato e dal correlativo e conseguente affidamento che il decorso di un lungo lasso temporale dalla pronuncia di condanna definitiva ingenera nel condannato circa l'avvenuta estinzione del reato.

Questa situazione si verifica sicuramente in tutti i casi in cui la sentenza che accerta il fatto penalmente rilevante sia intervenuta sotto il regime del previgente codice di procedura penale (Codice Rocco approvato con il R.D. 19 ottobre 1930, n. 1399 e rimasto in vigore fino al 1989), che all'art. 578, in ordine alla estinzione del reato e delle pene, stabiliva: “qualora si sia verificata l’estinzione del reato o della pena, il giudice che ha pronunciato la condanna emette anche d’ufficio in Camera di Consiglio la relativa dichiarazione (…). Se non si è provveduto al modo sopra indicato o se è stata respinta un’istanza del condannato, questi o il Pubblico Ministero può promuovere mandato di esecuzione a termine degli articoli 628 e seguenti”.

A differenza della disciplina processuale penale vigente, che impone solo alla parte di attivarsi in vista della dichiarazione di estinzione, l’articolo 578 del previgente codice Rocco obbligava l'autorità giudiziaria ad attivarsi per la pronuncia di estinzione del reato a decorrere da cinque anni dopo la sentenza di condanna.

L’inadempimento a tale dovere non è irrilevante in relazione alla non addebitabilità della mancata estinzione al condannato che legittimamente ha confidato che da tempo il reato fosse stato dichiarato estinto, sicché non sussisteva alcun obbligo di dichiararlo.

In tal senso depone, infatti, l’articolo 38, comma 1, lettera c) e comma 2, del previgente Codice dei contratti pubblici, secondo il quale il concorrente non è tenuto ad indicare le condanne quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna o nel caso di revoca della condanna.

Peraltro, anche nella vigenza dell’articolo 676 del codice di procedura penale Vassalli si è evidenziato dalla giurisprudenza più attenta, che l’effetto estintivo operi ex lege per effetto del decorso inattivo del tempo e non abbisogni di alcun provvedimento, non rilevando in contrario l’attribuzione al giudice dell’esecuzione della competenza a decidere in merito all’estinzione del reato dopo la condanna[9].

In particolare con la sentenza n. 2 del 2014 le Sezioni Unite della Cassazione, seppure con riferimento al tema dell’indulto, hanno ritenuto maggiormente coerente con i criteri ermeneutici che sottendono il codice processuale il principio secondo cui, quando un determinato effetto giuridico si verifichi per decorso inattivo del tempo, esso si verifica ope legis al momento in cui siano per legge maturate le condizioni cui è condizionato l’effetto.

Corollario di tale approccio ermeneutico è che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione, successivo e ricognitivo di un effetto già verificatosi, resta estraneo ai fini dell’estinzione del reato e si pone in funzione meramente formale e ricognitiva di un effetto già verificato, nel mentre l’automatismo degli effetti dell’estinzione del reato si pone in coerenza con i principi comunitari di ragionevole durata dei processi, sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile, evincibili dagli articoli 5 e 6 CEDU.

In entrambe le ipotesi prospettate, l'omessa indicazione della sentenza di condanna determina una quadro conoscitivo, più che falsato, incompleto, che necessita, quindi, delle necessarie integrazioni mediante l'applicazione dell'istituto del soccorso istruttorio “rinforzato di cui all’articolo 38, comma 2bis, del D.lgs. n. 163 del 2006, che consente, appunto, la sanabilità, attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria, dell’erroneità o omissione delle dichiarazioni attestanti i requisiti generali.

In applicazione dei delineati principi la I sezione del Tar Lecce, in accoglimento del ricorso, ha annullato l'atto impugnato.

Nella specie, la circostanza che la condanna comminata a carico dell'amministratore dell'impresa aggiudicataria ricadesse, quanto alla disciplina della estinzione del reato, sotto la vigenza del codice processuale Rocco, la caratterizza per la atipicità ed esclude l’applicabilità ad essa dei richiamati principi giurisprudenziali relativi alla necessità della richiesta della estinzione da parte del condannato formatasi con riferimento all’istituto della riabilitazione ed estinzione dei reati.

Non essendo implausibile che il reato di cui trattasi fosse estinto alla stregua dell’articolo 578 del Codice di procedura penale al tempo vigente, non è di conseguenza nemmeno configurabile l’obbligo della dichiarazione e, quindi, la fattispecie della dichiarazione falsa o non veritiera di cui all’articolo 75 del d.p.r. n. 445 del 2000.

 

[1]              Sul punto il nuovo Codice ha introdotto delle novità rispetto al previgente art. 38; in particolare, mentre finora i reati diventavano irrilevanti solo in caso di riabilitazione o altre cause estintive, ora diventano irrilevanti, oltre che per riabilitazione, decorso un periodo massimo temporale (decorrente dal giudicato) (art. 80, c. 10), e quindi anche a prescindere dalla intervenuta riabilitazione.

[2]           Cfr., ex pluribus, Cons. St., sez. V, 17 giugno 2014, n. 3092; 24 marzo 2014, n. 1428; 27 gennaio 2014, n. 400; 6 marzo 2013, n. 1378; sez. IV, 22 marzo 2012, n. 1646; 19 febbraio 2009, n. 740

[3]              Cfr. Cons. St., sez. V, 1378 del 6 marzo 2013; sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 6291; sez. III, 17 agosto 2011, n. 4792

[4]                Cfr. Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1646; sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2597

[5]           Cfr. Cons. St., sez. III, 2 luglio 2013, n. 3550; 14 dicembre 2011, n. 6569

[6]              Cfr. Cons. St., sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6271

[7]              Cfr. Cons. St., sez, III, 4 febbraio 2014, n. 507

[8]                Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3092; 13 dicembre 2012, n. 6393; 24 marzo 2011, n. 1800

[9]                 Cfr.  Cass. Pen. Sez. V, 14 maggio 2015, n. 20068; Cass. Sez. unite 30 ottobre 2014, n.2.