Sommario: 1. Un codice “su misura”. - 2. Un anno fa. - 3. Oggi. - 4. C’è il codice: c’è la semplificazione? - 5. Semplificazione: istruzioni per l’uso. - 5.1. Realtà complesse e ordinamenti multilivello. - 5.2. “Lingua comune”. - 5.3. Codificazione e decodificazione. - 5.4. Semplificare le organizzazioni e i procedimenti. - 5.5. Standardizzazione e trasparenza. - 5.6. Sinteticità, clare loqui, principio di lealtà. - 5.7. Il fattore tempo: il tempo della legge, i tempi del legislatore. - 5.8. Tabula rasa e/o transizione? - 5.9. Semplificazione e semplificatori. - 5.10. Semplificazione e processo. – 6. Per semplificare basta un codice?

1. Un codice “su misura”

Ho intitolato il mio intervento: il codice dei contratti pubblici, la semplificazione che verrà.

Quando un vestito inizia ad avere troppi buchi e rattoppi, è meglio buttarlo via e comprarne uno nuovo.

Questa sembra l’idea sottesa alla scelta del legislatore italiano in sede di recepimento delle tre nuove direttive europee sugli appalti e concessioni pubblici[1].

Esisteva già un “codice”[2], che, a suo tempo, nel 2006, aveva segnato un traguardo: l’Italia, emulando la Francia, aveva fatto confluire tutta la normativa del settore in un unico testo.

L’impostazione – figlia della legge Merloni del 1994, a sua volta nata sulla scia di “tangentopoli” - era quella di un azzeramento formale della discrezionalità delle stazioni appaltanti. Salvo poi a intervenire reiteratamente con decreti legge per introdurre regimi “alleggeriti”.

Il codice non aveva ancora festeggiato il decimo compleanno: ma era in cattiva salute, cresciuto troppo e male, rattoppato oltre 50 volte[3].

Si è scelto di farne uno nuovo, secondo canoni di “semplificazione e trasparenza”.

Il Parlamento, con oltre 70 principi di delega (rispetto ai quattro scarni della delega n. 62/2005)[4], ha impartito i criteri per un vestito tagliato “su misura”, della realtà italiana.

 

2. Un anno fa

Lo scorso anno, a Varenna, è stato affrontato il tema della codificazione dei contratti pubblici mentre la legge delega era in gestazione.

Nelle esaustive relazioni tenute in quell’occasione dal Presidente Pajno e dagli altri autorevoli relatori[5], si è parlato delle criticità:

a) la bulimia normativa e il numero esorbitante di stazioni appaltanti;

b) la ricerca di nuovi mezzi di prevenzione della corruzione, avendo sinora fallito l’obiettivo, sia le troppe regole, sia i troppi vincoli all’azione pubblica;

c) il prevalente utilizzo di procedure sotto soglia e in deroga;

d) il contenzioso sulle gare, concentrato soprattutto sui requisiti degli operatori, e connotato dalla complessità dei ricorsi principali e incidentali incrociati.

 

3. Oggi

Ci ritroviamo oggi a parlare nuovamente di appalti, e nel frattempo sono entrati in vigore, in rapida successione la delega[6] e il codice[7].

La delega ha tracciato la “diagnosi” dei mali che affliggono il settore e ha prescritto la cura, enunciando principi che vanno ben oltre il recepimento europeo.

Sul piano formale, ha previsto:

a) un codice “snello” che operi sia un “recepimento” delle direttive che un “riordino complessivo”, limitandosi all’essenziale, e demandando a linee guida i dettagli;

b) un’ordinata transizione dalla vecchia alla nuova disciplina.

Sul piano sostanziale, i punti più innovativi sono noti, e concernono:

c) la riduzione del numero delle stazioni appaltanti e la loro qualificazione;

d) l’albo dei commissari di gara esterni[8];

e) la qualificazione degli operatori economici, affidata anche a criteri reputazionali e premiali;

f) la standardizzazione delle procedure, con bandi tipo e piena informatizzazione delle gare;

g) la tendenziale separazione tra chi progetta e chi esegue i lavori;

h) la qualità della progettazione e ulteriori misure per eradicare le “varianti disinvolte”;

i) l’affidamento con gara delle concessioni scadute e gli obblighi di esternalizzazione per i concessionari;

l) ulteriori regole sul contenzioso;

m) il rafforzamento e la modernizzazione della vigilanza[9].

Questi sono principi che si muovono in una prospettiva di efficienza economica.

Ma la delega ha considerato la spesa pubblica per i contratti anche come leva di politiche ambientali, sociali, giuslavoristiche.

Da qui gli ulteriori principi sull’accesso alle gare delle micro, piccole e medie imprese, i criteri di sostenibilità ambientale e sociale, il dibattito pubblico sulla localizzazione dei grandi progetti, gli appalti riservati a categorie protette, la tutela dei lavoratori e dei subappaltatori, l’obbligo di gare per lotti.

La declinazione concreta di tali ulteriori criteri richiede un supplemento di attenzione alla trasparenza.

Perché, quando si impone come regola la gara suddivisa in lotti, quando si riservano appalti a determinate categorie di operatori, non vi è solo il rischio “messo in conto” che si dilatino costi e tempi delle procedure, ma anche quello, non tollerabile, di maggiore esposizione a turbative e fenomeni corruttivi.

Le gare per lotti sono state terreno di elezione di fenomeni di bid ridding, le intese tra i concorrenti finalizzate a una spartizione del mercato[10].

Il periodo di gestazione della delega ha assorbito quasi tutto il biennio a disposizione per il recepimento delle direttive, e il Governo ha dovuto approvare, in soli tre mesi, il nuovo codice[11], che abroga il “vecchio” [12] e una buona parte del relativo regolamento[13], e che dovrà essere completato con circa 50 atti attuativi[14].

Ne sono stati sinora pubblicati tre[15], e ne sono in dirittura d’arrivo altri cinque, più quattro linee guida di indirizzo e orientamento; su sei il Consiglio di Stato ha già reso il suo parere[16].

Delega e codice compiono scelte di sistema che impattano anche sull’assetto delle fonti del diritto, della governance, degli equilibri tra organi costituzionali. Come già accaduto per il precedente codice, è prevedibile che anche il nuovo affronterà questioni di costituzionalità e di compatibilità comunitaria, oltre al banco di prova, non sempre morbido, della giurisdizione.

 

4. C’è il codice: c’è la semplificazione?

A questo punto si impone la domanda se il nuovo codice abbia centrato l’obiettivo di semplificazione.

Ma la vera questione mi sembra piuttosto un’altra: basta un codice per semplificare?

Il paragone iniziale di un cambio d’abito è suggestivo, ma non coglie in pieno la portata dell’azzeramento di un codice e della creazione di uno nuovo; che è piuttosto la costruzione di un nuovo edificio, con annesso trasloco di una parte dei mobili che occupavano il precedente.

 

5. Semplificazione: istruzioni per l’uso

Per dare una risposta a queste domande è necessario esaminare presupposti e corollari della semplificazione.

 

5.1. Realtà complesse e ordinamenti multilivello

Per cominciare, semplificare è complicato.

L’ideale delle leggi poche e chiare, di illuministica memoria, non è di agevole declinazione nei moderni ordinamenti multilivello, in cui il punto di partenza è una complessa realtà fattuale.

Per gli appalti, si tratta di un magma di interessi di 27 Stati membri e degli operatori economici di quegli Stati. Già le direttive delineano non meno di sei regimi di appalto: settori ordinari, speciali, concessioni, difesa e sicurezza, contratti esclusi, servizi in regime “alleggerito”.

La semplificazione, perciò, non dovrebbe essere solo un “affare domestico”, ma iniziare dal diritto europeo, dalle sei direttive, quattro sostanziali e due processuali. Esse hanno gli stessi difetti che usualmente si imputano ai legislatori nazionali: ripetizioni, sovrapposizioni, rinvii reciproci, norme “rompicapo”, di cui sono un caso emblematico quelle sui contratti misti.

C’è poi un tema di fondo: la direttiva, nella teoria delle fonti europee, è un atto che indica l’obiettivo, lasciando margine sui mezzi per conseguirlo.

Dovrebbe assegnare i compiti a casa, non dire anche come farli.

Le nuove, iperdettagliate, direttive sono uno snaturamento della fonte, e tanto varrebbe sostituirle con un regolamento europeo, che avrebbe effetti diretti e imporrebbe norme identiche e contestuali in tutti gli Stati membri: con minori costi del processo legislativo, e tempi più rapidi di armonizzazione.

A questa complessa realtà europea, si aggiungono, in Italia, molteplici regimi “alleggeriti” nelle “zone bianche” che le direttive lasciano alla fantasia dei legislatori nazionali, per ragioni di importo o ambito: il sotto soglia[17], ivi compresi protezione civile[18] e affidamenti a cooperative sociali[19], la cooperazione internazionale[20], gli appalti NATO[21], i settori di informazione e sicurezza, difesa[22], ricerca e sviluppo[23], beni culturali[24], i contratti segretati[25].

Non di rado le regole sono contenute in fonti-satellite, e non nel codice.

Soprattutto, sconcerta il dato economico: a fronte di una significativa incidenza sul PIL della spesa pubblica per appalti, solo una ridotta percentuale di essa, inferiore al 20%, è impiegata mediante le procedure ordinarie[26].

Come dire, ho l’abito nuovo di sartoria, ma in molte occasioni “non lo potrò indossare”, o, meglio, “potrò non indossarlo”.

Forse, non è esigibile un abito unico per tutte le stagioni.

Però è esigibile che “gli abiti diversi” rispondano a un unico stile e un’unica logica: che è quella della flessibilità delle procedure bilanciata dalla inflessibilità dei controlli. Almeno questo, anche se personalmente resto convinta che nel “contesto italiano” il legislatore dovrebbe dare priorità assoluta al regime ordinario.

Non si tratta, poi, solo di buone regole, che in astratto ci sono, perché anche le procedure in deroga devono - “dovrebbero” - rispettare i canoni di trasparenza, partecipazione, par condicio. Si tratta soprattutto di buona attuazione.

Solo se i buoni principi saranno seguiti da prassi virtuose, si potrà evitare che semplificazione e trasparenza restino una grida manzoniana, priva di effettiva capacità di incidere sul feudalesimo normativo.

Un ruolo promozionale delle buone prassi potranno assolverlo le linee guida dell’ANAC sul sotto soglia, sulla procedura negoziata senza bando, sinora editate, e auspicabilmente sulle altre procedure in deroga.

 

5.2. “Lingua comune”

Il codice pone un problema di “lingua comune” che è cosa diversa, come sto per dire, dal “linguaggio comune”.

Le direttive sono una sintesi di terminologie e regimi giuridici nazionali differenziati. Ne risultano istituti ibridi, che subiscono un’ulteriore ibridazione quando si innestano nei preesistenti tessuti nazionali.

Al codice si poneva l’alternativa tra tradurre la terminologia europea in quella nazionale ovvero mantenere la lingua originale; esso ha optato per la seconda soluzione, condivisa dal Consiglio di Stato, perché l’integrazione europea passa anche per un comune linguaggio giuridico[27].

Ma questa “nuova lingua” comporta uno “shock culturale”, e questioni esegetiche non di lieve momento.

Occorre infatti cogliere la natura giuridica che si cela dietro una data terminologia. Un esempio per tutti è la c.d. “risoluzione del contratto”, di matrice europea, quando si riscontrano gravi vizi genetici dell’aggiudicazione, anche a distanza di molti anni[28].

L’istituto italiano più somigliante è l’autotutela pubblicistica. E’ tuttavia un’autotutela “sui generis”, che si scosta dall’archetipo nazionale su aspetti chiave: il termine massimo di esercizio; la necessità di un interesse pubblico concreto e attuale; la regolazione del rapporto per la parte in cui ha avuto svolgimento nonostante il suo peccato originale. Inevitabilmente si discetterà del riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e ordinario su un istituto di diritto amministrativo con un nome civilistico.

C’è un ulteriore aspetto che definirei “globalizzazione con contaminazione”: per cucinare un piatto etnico, non si avranno sempre a disposizione tutti gli ingredienti della ricetta originale, se ne useranno di locali, a chilometro zero, e il risultato finale assomiglierà solo vagamente all’originale.

Così, si è importata la “soft law”, che origina dalla lex mercatoria transnazionale, ma in Italia essa si colloca in un sistema basato sulla gerarchia rigida delle fonti del diritto. Così che la soft law rischia di assomigliare a uno di quei “principi dell’animalismo” di orwelliana memoria[29], in cui alla regola iniziale si aggiunge col tempo una chiosa che ne capovolge il significato: “soft law, but law”, che non è poi molto diverso da “dura lex sed lex”.

Insomma, una soft law “contaminata”, in salsa italiana, sulla cui natura giuridica gli interpreti si sono già cimentati[30].

 

5.3. Codificazione e decodificazione

Sul fronte della semplificazione normativa un codice va riguardato sotto il duplice profilo della codificazione e decodificazione.

Occorre ridurre lo stock di regole e metterle a sistema, per renderle di facile reperibilità[31].

La “codificazione”, è qualcosa di più di una mera “testunificazione”, per mutuare il neologismo usato dal Consiglio di Stato[32], richiedendo, oltre a una raccolta completa, l’enucleazione di principi e la “messa in chiaro” delle regole.

Codificare significa allora “decodificare” e “consolidare” regole stratificate, nel significato che risulta dall’elaborazione giurisprudenziale.

Ma “decodificazione” significa anche abbandonare il modello di codice “lungo” nello stile di un regolamento di esecuzione, e optare per un codice “snello”, affidandone l’attuazione alle buone prassi e alla giurisprudenza.

Questo è l’obiettivo da raggiungere, ma ad oggi è rimasto allo stadio di buone intenzioni, nel vecchio come nel nuovo codice.

Ci sono almeno quattro fronti aperti.

a) La codificazione statale non potrà mai essere esaustiva, finché le Regioni continueranno a essere azionisti, ancorché di minoranza, della competenza legislativa sugli appalti. La materia dei contratti pubblici non è tra quelle espressamente e univocamente riservate allo Stato dall’art. 117 Cost., e in via di esegesi la si riconduce alle materie statali “tutela della concorrenza” e “ordinamento civile”. Tuttavia residuano spazi di intervento per le leggi regionali, più ampi per le regioni a statuto speciale e la Corte costituzionale è stata chiamata ripetutamente “a regolare i confini”[33]. L’omissione è perpetuata dal nuovo art. 117, su cui a breve i cittadini italiani esprimeranno la loro “monosillabica opinione[34], sebbene esso faccia un passo avanti, assegnando allo Stato, oltre all’ordinamento civile, non solo la “tutela della concorrenza” ma anche la “promozione” di essa, nonché “le norme sul procedimento amministrativo (…) tese ad assicurarne l'uniformità sul territorio nazionale”[35].

b) I tempi stretti di elaborazione del codice non hanno consentito un vaglio completo delle fonti preesistenti da riordinare o eliminare: eppure l’abrogazione espressa è il primo ferro del mestiere del semplificatore, quella tacita lascia sempre interrogativi sulla vera intenzione della legge.

Rinviando alla nota per i dettagli, segnalo dubbi di perdurante vigenza di disposizioni rimaste extravaganti su: contratti di ricerca e sviluppo[36]; baratto amministrativo[37]; buoni pasto sostitutivi del servizio di mensa[38]; programmazione per servizi e forniture[39]; regole processuali per le infrastrutture strategiche[40].

Per nulla chiaro, poi, e il tema è rilevante, è il coordinamento del nuovo codice con il d.lgs. n. 208/2011 sui contratti della difesa e sicurezza, le cui previsioni operano spesso un rinvio “di tipo statico” ad articoli del previgente codice[41].

c) Il terzo fronte è quello del “sequel” della riforma, attraverso i 50 atti attuativi, che seguiranno iter differenti e hanno eterogenea natura giuridica: vi è un doppio pericolo, che la semplificazione resti “futura” a lungo, e che si complichi, e si perda, nei meandri di tale seguito.

d) Il quarto fronte è che nella delega è mancato un criterio espresso che imponesse il consolidamento del diritto giurisprudenziale[42], e nel codice non si è sempre tenuto conto degli approdi della giurisprudenza europea e nazionale.

Perciò alcune partite che potevano ritenersi chiuse, si riapriranno: ne sono esempi il soccorso istruttorio, in cui ora si impone di regolarizzare, a pena di esclusione, anche violazioni formali e inessenziali[43]; l’esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti sotto soglia, estesa a quelli di “rilievo transfrontaliero”[44]; il silenzio del codice sulle pubblicità o riservatezza delle sedute di gara[45].

 

5.4. Semplificare le organizzazioni e i procedimenti

La semplificazione normativa va sempre accompagnata con quella amministrativa, che riguarda l’organizzazione e i procedimenti.

La riduzione degli enti o organi non può essere una mera sforbiciata con taglio lineare. Né si può muovere da un’idea preconcetta di inutilità e dannosità della burocrazia, secondo la legge di Murphy[46].

Occorre piuttosto individuare la dimensione ottimale di una organizzazione in relazione ai suoi compiti, e rafforzarla con le risorse necessarie.

Il codice aveva alle spalle un’analisi sull’esorbitante numero delle stazioni appaltanti in Italia, e sulle inefficienze riscontrate in quelle di minori dimensioni, e ha portato avanti un processo di valorizzazione delle centrali di committenza e di ridimensionamento delle altre stazioni appaltanti[47].

Le stazioni appaltanti per “sopravvivere come tali” dovranno qualificarsi, secondo parametri che dimostrino la capacità di gestione della procedura in tutte le sue fasi[48].

Questo imporrà a ciascuna Amministrazione l’accorpamento dei molteplici “uffici contratti” che spesso coabitano in un unico Ente, con gravi danni per legalità e trasparenza, stando alle ben poco edificanti casistiche che vengono alla ribalta della stampa[49].

A loro volta i controllori, che hanno dovuto finora esercitare una vigilanza polverizzata e dispersiva, potranno concentrare le proprie forze su meno controllati, con un recupero di efficacia ed effettività.

A logica di semplificazione organizzativa risponde anche l’albo dei commissari di gara esterni[50].

Le consultazioni degli stakeholders hanno registrato una notevole ostilità per il nuovo istituto, asseritamente fonte di aumento di tempi e costi, e di deresponsabilizzazione dei commissari.

Sembrano critiche ingenerose.

I commissari potranno lavorare a distanza, dovranno superare una asticella alta di requisiti, sono un organo “straordinario” dell’amministrazione, con tutte le responsabilità di una commissione interna, ivi compresa quella per danno erariale[51].

La semplificazione procedimentale esige che i procedimenti siano sfoltiti dagli adempimenti superflui.

Ma occorre, al contempo, salvaguardare quei passaggi procedurali imposti a tutela di valori fondamentali (ambientali, sociali, giuslavoristici, o a presidio della prevenzione della corruzione).

L’accusa - rivolta sia alla legge delega che al codice - di operare gold plating rispetto al “minimo comunitario”, non può essere condivisa: il Trattato (TFUE) consente di limitare la concorrenza a tutela di altri interessi essenziali dello Stato[52], e la competitività non può assurgere a un “diritto tiranno” in contrasto con i valori affermati dalla Costituzione, primo fra tutti l’uguaglianza sostanziale[53].

Questo non toglie che i procedimenti amministrativi debbano avere regole snelle e univoche.

Sotto tale profilo vi sono alcune criticità, essendo mancato un pieno coordinamento con la riforma in itinere della pubblica amministrazione nel suo complesso.

Non brilla per chiarezza, in particolare, il procedimento di approvazione dei progetti di opere pubbliche - che pure ha una rilevanza cruciale - a causa dei reciproci rinvii tra il codice e la legge n. 241/1990[54].

 

5.5. Standardizzazione e trasparenza

La semplificazione deve vivere in simbiosi con la standardizzazione e la trasparenza.

Sul primo fronte il codice investe su bandi tipo e informatizzazione completa degli atti e attività di gara.

E’ un investimento a lungo termine che esige ponderazione, perché redigere bandi tipo e informatizzare le gare presuppone analisi e rilevazione delle prassi, eliminazione delle cattive e consolidamento di quelle virtuose.

Per la trasparenza, l’accessibilità online è condizione necessaria ma non sufficiente: che una notizia sia sul sito[55], non è di per sé garanzia di conoscibilità effettiva.

Le troppe informazioni fornite in modo disorganico, ossia il “rumore informatico”, possono lasciare nell’ignoranza più del silenzio.

Deve essere chiaro “che cosa” si pubblica, e “come e dove” all’interno del sito web, aspetti ad oggi trattati in modo ancora disomogeneo dal codice, la l. n. 190/2012 e il d.lgs. n. 33/2013[56].

Né è chiaro come si coordinano tra loro il RUP, il responsabile della trasparenza e il responsabile della prevenzione della corruzione.

Il codice fa meritoriamente luce su alcuni pregressi “buchi neri” nella trasparenza, in tema di lodi arbitrali.

Il vecchio codice ne aveva previsto una pubblicità “timida” (delle sole massime) e comunque rimasta inattuata[57].

Il nuovo codice, sebbene con formula non chiarissima, sembra estendere la pubblicità al testo integrale delle sentenze arbitrali[58].

E sarebbe auspicabile, in sede di correttivo, un’ulteriore estensione agli accordi bonari.

Alla Camera arbitrale è affidata la rilevazione dei dati sul contenzioso, un compito non nuovo ma finora rimasto inattuato per l’esiguità degli arbitrati amministrati nella precedente disciplina. Ora, tale rilevazione dovrebbe acquisire un diverso e maggior peso, perché tutti gli arbitrati e accordi bonari passeranno per la camera arbitrale.

Conoscere i dati del contenzioso in fase esecutiva è essenziale per poter intervenire in modo efficace su eventuali patologie diffuse.

 

5.6. Sinteticità, clare loqui, principio di lealtà

La semplificazione porta con sé i temi della sinteticità e della chiarezza.

Sono state fornite “le cifre della semplificazione”, tratte da un confronto di tipo numerico tra nuovo e vecchio codice: 220 articoli contro i precedenti 257, che sommati a quelli del regolamento del 2010, superavano i 600.

Affido alle note scritte questo confronto “quantitativo”, con la scoperta che il vecchio codice - quando è nato - era più snello di quello odierno, e ha preso peso con il passare degli anni (problema, questo, comune alle leggi e agli esseri umani)[59]. Né, credo, riusciranno ad essere sintetici gli atti attuativi, tanto più che le linee guida adottano uno stile “discorsivo” e non “imperativo” (almeno quelle sinora esitate).

Sembrano tuttavia ragionamenti sterili, se la sinteticità resta fine a sé stessa.

Vi sono invece alcuni problemi formali e sostanziali di chiarezza delle regole.

Sul piano formale nel codice ci sono articoli con troppi commi, o commi con troppi periodi, laddove le guide alla redazione degli atti normativi auspicano che un articolo non abbia più di dieci commi[60].

Questo non agevola la lettura del testo, e rende di difficile esegesi i rinvii interni.

Sul piano sostanziale, poi, la chiarezza delle regole è la declinazione del principio di lealtà dei governanti verso i governati.

Le scelte politiche devono essere immediatamente comprensibili, in ossequio alla democrazia come “governo del potere visibile[61].

Oltretutto regole oscure e ambigue, una volta immesse nel circuito ordinamentale, rischiano di sortire risultati diversi da quelli che si proponevano, perché verranno applicate secondo canoni di interpretazione logica, sistematica, costituzionale e europea, mettendo all’angolo l’originaria intenzione del legislatore.

Ancora una volta rinviando alle note scritte per maggior dettaglio, mi sembrano violare il clare loqui:

a) l’art. 28, c. 13, che in tema di appalti misti di progettazione ed esecuzione sembra “sdoganare” l’appalto integrato che è invece considerato l’eccezione dall’art. 59 del codice[62];

b) l’art. 216, c. 11, che attraverso un sibillino rinvio ad altre quattro fonti normative, intende procrastinare la pubblicità di bandi e avvisi sulla stampa quotidiana, adempimento superfluo e costoso[63];

c) l’art. 104, c. 10, che attraverso l’esclusione del vincolo di solidarietà passiva tra i garanti, oltre a contraddire i principi della garanzia a prima richiesta, indebolisce la posizione della stazione appaltante[64].

Vedrei con favore che nell’analisi di impatto della regolamentazione (la c.d. AIR) si includesse la sottoposizione dello schema di legge a “test di leggibilità” per valutarne la semplicità della sintassi e del lessico; esistono test di leggibilità messi a punto da autorevoli linguisti[65].

 

5.7. Il fattore tempo: il tempo della legge, i tempi del legislatore

Un aspetto non secondario della semplificazione è il fattore tempo, il tempo della legge, i tempi del legislatore.

Con l’occhio rivolto alle codificazioni del passato, si pensa che sia nella natura dei codici che essi durino a lungo, e che cambiare un codice richieda tempi lunghi.

Nell’era odierna ci sono invece leggi con una scadenza inferiore a quella - mi sia consentito il paragone - di un piatto di sushi, e non è un paradosso: ne è un esempio recente il c. 1-bis dell’art. 2, del d.l. n. 117/2016, vissuto dal 24 al 31 agosto 2016[66].

Il codice del 2006 ha subìto modifiche frenetiche, anche otto volte in un anno[67], non vi è mai stato un periodo di decantazione, e ora è travolto da un codice tutto nuovo.

Il tempo di adattamento di amministrazioni e imprese non può essere altrettanto rapido.

Un codice ha una struttura in cui gli operatori si orientano. Una struttura del tutto diversa crea problemi di “jet lag legislativo”.

Inoltre un codice non è una monade, ma un ramo connesso agli altri rami dell’ordinamento. Molte leggi rinviano al codice del 2006 e non sono state coordinate con il nuovo.

Sul piano tecnico, in luogo della opzione prescelta, si sarebbero potute seguire due strade differenti:

a) quella del mantenimento del vecchio codice, da modificare con “novellazione”; una opzione complicata, sul piano tecnico prima ancora che su quello politico;

b) o quella del ricambio normativo in due tappe, la prima di recepimento delle direttive, la seconda di riordino.

Questa seconda strada era indicata anche dalla delega, come opzione alternativa al recepimento e riordino in unico contesto.

Ma la delega, temo, ha calcolato male i tempi.

E’ vero che per il recepimento delle direttive il termine era obbligato, coincidendo con quello del 18 aprile 2016 imposto dall’Europa.

Tuttavia per il riordino il termine era libero, e non ha avuto senso fissarne uno strettissimo al 31 luglio 2016.

Tanto che, in Francia, dove le direttive sono state recepite con contestuale abrogazione del codice dei contratti pubblici, il riordino è stato rimandato a un momento successivo, con tempi ben più lunghi.

 

5.8. Tabula rasa e/o transizione?

Semplificare non significa necessariamente fare in fretta tabula rasa del passato.

La codificazione richiede una fase di transizione dal vecchio al nuovo. Questo, in termini di stretta “tecnica giuridica”, sebbene sul piano politico paghi di più il messaggio della rottura repentina, della soluzione di continuità col passato.

La stessa legge delega aveva prescritto una “ordinata transizione”.

Il Consiglio di Stato, a sua volta, aveva messo in guardia sulla immediata abrogazione del regolamento 207/2010, e suggerito un’abrogazione differita e a tappe, man mano che si adottassero gli atti attuativi, comunque con una dead line, a due anni, quando - ci fossero o meno gli atti attuativi - il regolamento sarebbe stato comunque e definitivamente “ghigliottinato”[68].

Il Governo ha optato per una diversa soluzione: un pezzo di regolamento sopravvive fino agli atti attuativi, un pezzo è morto all’indomani della nascita del codice[69].

Tuttavia, la fretta di liberarsi del passato ha fatto, in più di un caso, buttare via il bambino con l’acqua sporca, con il rischio di mettere a repentaglio l’immunità delle procedure di gara da contestazioni.

Ci sono alcuni vuoti dovuti alla contestuale abrogazione delle vecchie regole, e rinvio a futuri atti attuativi senza il paracadute di norme transitorie o con norme transitorie incomplete, ed è difficile credere rispondano a un consapevole intento di semplificazione.

Rinviando alle note, segnalo, in sintesi, i vuoti transitori nella disciplina relativa a:

a) programmazione dei contratti[70];

b) giovane professionista nella compagine dell’operatore economico[71];

c) collaudo per servizi e forniture[72];

d) forme di comunicazione degli atti di gara. Non sono indicate le forme di comunicazione applicabili fino a ottobre 2018, quando saranno obbligatorie quelle informatiche[73].

Né convince la scomparsa della previgente regola che in tema di progettazione interna e esterna, affermava la priorità della prima[74]. Gli incarichi esterni comportano maggiori costi, deresponsabilizzazione, un regime di responsabilità del progettista “alleggerito”, davanti al giudice ordinario in luogo che davanti alla Corte dei conti[75].

 

5.9. Semplificazione e semplificatori

Non si può parlare di semplificazione senza parlare di semplificatori.

La semplificazione non si fa da sola, e ha i suoi costi che vanno messi in bilancio.

Codificare richiede i codificatori, e una successiva attività costante di monitoraggio e manutenzione (ordinaria e straordinaria) dei codici.

La semplificazione, normativa e amministrativa, non va affidata al caso o al volontariato, ma al lavoro di squadra di una taskforce: risorse umane di elevata competenza professionale e a ciò esclusivamente dedicate.

Pertanto l’articolazione organizzativa che è stata data alla Cabina di regia non appare proporzionata alla sua importante missione, perché non sembrano previste risorse umane esclusivamente dedicate[76]; andrebbe implementata secondo la pregressa esperienza del Nucleo per la semplificazione, che ha dato un grande contributo alla stagione dei codici e testi unici del diritto amministrativo[77].

 

5.10. Semplificazione e processo

La semplificazione degli appalti ha, non da ora, comportato ritocchi alle norme processuali in funzione acceleratoria.

Gli “addetti ai lavori” ricorderanno le disposizioni, del passato remoto, in tema di limiti alla tutela cautelare[78].

Lo “speciale rito appalti” è stato costruito con una progressiva riduzione dei tempi di ricorso e decisione[79].

Tuttavia, alcuni asseriti “fattori di rallentamento” sono in realtà paletti imposti dal diritto europeo, e da cui non si può sfuggire: quali l’inibitoria alla immediata stipula del contratto, e la tutela cautelare effettiva.

Le opzioni del codice sulla giustizia non sono tutte condivisibili.

Sono state ampliate le deroghe allo standstill, così creandosi regimi processuali differenziati e si consente l’esecuzione d’urgenza anche durante il termine di standstill, con il rischio di sua elusione[80].

Non è stato riprodotto l’avviso volontario per la trasparenza preventiva che, però, continua a essere menzionato nel codice del processo amministrativo (art. 121 c.p.a.)[81].

E’ stato imposto un onere di impugnazione immediata delle altrui ammissioni (oltre che della propria esclusione) (art. 120, c. 2-bis, c.p.a.), su cui i primi interpreti hanno espresso alcune riserve[82].

Non sono chiarissime le regole sulla impugnazione cumulativa in caso di gara per più lotti (art. 120, c. 11-bis, c.p.a.)[83].

Le nuove regole potrebbero avere vita difficile, se si considera che la Corte di Lussemburgo è inflessibile in punto di effettività della tutela, come da ultimo dimostra la sentenza Puligienica in tema di ordine di esame di ricorso principale e incidentale[84].

Questo non toglie che le nuove regole perseguono il giusto obiettivo di deflazionare un contenzioso spesso emulativo, obiettivo che va rivendicato anche in sede europea.

Ma giustizia veloce non deve significare giustizia sommaria.

Non è auspicabile un modello processuale in cui la parte si perda nei rivoli di una procedura oscura, e la conflittualità tra avvocati e giudici si esprime con l’aneddoto, tratto dal processo di Kafka, del magistrato che, dopo aver “studiato ininterrottamente per un giorno e una notte una causa difficile, resa intricata in specie dai ricorsi dell’avvocato (…)” verso il mattino (…) è andato alla porta, si è messo lì in agguato, e scaraventava giù per le scale ogni avvocato che volesse entrare”[85].

La giustizia amministrativa non deve, e non vuole, mettere alla porta i ricorrenti.

Piuttosto occorre lavorare “a monte” del processo, investendo su mezzi deflattivi quali, in primis, le regole chiare, il soccorso istruttorio, i criteri reputazionali, i rimedi precontenziosi.

Occorre anche lavorare “sul processo e nel processo”, con scelte di sistema, quali la sinteticità degli atti[86], la specializzazione del giudice[87], il ruolo nomofilattico dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Quest’ultima, nell’arco dei dieci anni di vigenza del codice del 2006 ha reso quasi 60 pronunce sugli appalti pubblici[88]; di esse, alla luce del nuovo codice, andrà verificata la perdurante attualità ovvero l’ovverriding legislativo.

Analogo ruolo nomofilattico la plenaria sarà chiamata ad assolvere sul nuovo codice.

Le regole processuali in tema di immediata impugnazione di ammissioni e esclusioni, si inseriscono in tale contesto più ampio di strumenti procedimentali e preprocessuali, e pertanto la loro efficacia dipenderà da come funzioneranno tali altri strumenti.

Dopo un congruo periodo di applicazione e previa verifica di impatto, si potrà anche immaginare una soluzione alternativa incentrata su un immediato ricorso amministrativo contro le ammissioni, proposto alla stessa stazione appaltante, e le cui censure delimitino definitivamente la materia del contendere. Il successivo ricorso giurisdizionale potrà essere rivolto contro l’aggiudicazione, nel momento in cui diviene attuale l’interesse a contestare le altrui ammissioni, ma solo per le censure già dedotte in sede amministrativa.

In conclusione la velocità del processo non dipende dalle norme processuali e la sua accelerazione non si consegue con il convulso succedersi delle leggi, è piuttosto questione di organizzazione delle risorse umane, da una parte, e di “cultura del processo”, dall’altra[89].

 

6. Per semplificare basta un codice?

Si può ora rispondere alle due domande iniziali.

1) Il codice raggiunge l’obiettivo di semplificare?

Il codice è sulla buona strada.

2) Basta un codice?

Un codice non basta.

Il codice “non semplifica da solo” ma “semplificherà” se si verificheranno determinate condizioni.

Ne occorrono tre.

a) La prima sono le correzioni necessarie.

Lo stesso Consiglio di Stato nell’evidenziare che i tempi troppo ristretti avrebbero reso inevitabili errori e refusi, ha auspicato tre strumenti:

1) errata corrige e/o avviso di rettifica;

2) un primo correttivo in tempi brevi;

3) un secondo correttivo a seguito di verifica di impatto[90].

C’è già stato un avviso di rettifica, che ha apportato circa 185 correzioni, muovendosi tuttavia nei limiti dell’errore materiale[91].

Un primo correttivo a breve mi sembrerebbe inevitabile, perché ci sono questioni che rischiano di generare incertezza e contenzioso.

Per un correttivo in senso proprio occorrono almeno due anni di applicazione, e andrebbe allo scopo modificata la delega, perché essa dà solo un anno di tempo.

b) La seconda condizione è la fase di successiva implementazione, che ha “rilevanza cruciale”, per usare le parole del Consiglio di Stato[92].

La vera semplificazione è affidata a istituti che per ora sono sulla carta: qualificazione delle stazioni appaltanti; albo dei commissari di gara[93]; qualificazione e criteri reputazionali degli operatori; piena informatizzazione delle procedure; bandi tipo.

L’attuazione dovrà essere tempestiva e ben coordinata, ma, soprattutto, effettiva.

Occorre evitare che le linee guida, rispetto al vecchio regolamento, abbiano di diverso solo il nome.

E’ anche per questo che il Consiglio di Stato ha chiesto che tali atti siano corredati da analisi e verifica di impatto della regolamentazione (AIR e VIR): e non ne è l’equivalente solo l’audizione degli stakeholders. Anche le linee guida su materie “tradizionali” come il direttore dei lavori o il collaudo, devono essere occasione per ripensare un sistema che non ha ben funzionato, se è vero, come è vero, che i repertori di giurisprudenza abbondano di casistica sul danno erariale provocato dalle figure tecniche della fase di esecuzione dell’appalto[94].

c) La terza condizione è un cambio di “sistema”: un unico legislatore, limiti drastici alle modifiche convulse delle leggi.

Già Tacito metteva in guardia che “moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto[95].

Economisti e giuristi denunciano i vorticosi cambiamenti delle regole e il moltiplicarsi di regimi in deroga come fattore di scarsa trasparenza, aumento di costi e contenzioso, rallentamento dell’economia, tanto che si è parlato di “selva oscura dei 100 mila codici”[96].

Pertanto, la clausola finale, di “riserva di codice” non dovrà essere di mero stile, come finora accaduto[97].

A tal fine occorrerà che la Cabina di regia sia l’hot spot di confluenza di tutte le istanze di modifica e la sede di filtro critico delle stesse, se del caso introducendo “la legge annuale sugli appalti”.

Il codice è sulla buona strada della semplificazione, ma deve restarci.

Le partite vere sono ancora da giocare e le regole di queste partite non vanno cambiate in corsa.

Perché i continui cambi di passo del legislatore, le proroghe e le deroghe, sortiscono l’effetto opposto di lasciare tutto come è, a vantaggio di chi pensa che “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”[98].

L’auspicio, piuttosto, è che il codice possa segnare l’inizio di una nuova etica in un settore in cui la posta in gioco non è solo la “concorrenza” ma anche, e prima, i diritti fondamentali delle persone.

 

Rosanna De Nictolis

Presidente di Sezione C.g.a.

 

Pubblicato il 23 settembre 2016

 

 

[1] Si tratta delle direttive n. 2014/24/UE sugli appalti nei settori ordinari, n. 2014/25/UE sugli appalti nei settori speciali e n. 2014/23/UE sui contratti di concessione. Esse sostituiscono e abrogano le direttive 2014/18 e 2014/17, mentre lasciano in vita le c.d. direttive “ricorsi” e la direttiva sugli appalti nei settori di difesa e sicurezza.

[2] Si tratta del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) corredato dal d.P.R. n. 207/2010 (regolamento di esecuzione e attuazione del codice), oltre che da una serie di altri atti normativi, primari o secondari, per specifici settori (appalti della difesa, nei settori della sicurezza, relativi a beni culturali; codice del processo amministrativo quanto alla tutela giurisdizionale).

A sua volta, il codice del 2006 ha rappresentato al tempo stesso un’operazione di recepimento di due direttive europee del 2004 (nn. 17 e 18), relative, rispettivamente, ai settori ordinari (comprendenti anche limitate regole per le concessioni di opere pubbliche e per le concessioni di servizi) e ai settori speciali, nonché di riordino delle previgenti disposizioni sparse in una serie numerosa di atti normativi primari e secondari.

Il codice del 2006 si è sostituito, come è noto, alla c.d. legge Merloni del 1994, plurimodificata nel corso degli anni, nata in un contesto politico connotato dalla nota vicenda “tangentopoli”, che aveva fatto ritenere necessario intervenire sugli appalti pubblici con norme di assoluto rigore, volte a limitare ogni spazio di discrezionalità delle stazioni appaltanti.

[3] Si ricordano, oltre ai tre decreti legislativi correttivi (rispettivamente: d.lgs. n. 6/2007; 113/2007; 152/2008), i seguenti 49 provvedimenti normativi statali modificativi, per un totale di 52: d.l. n. 173/2006; l. n. 296/2006; d.P.R. n. 90/2007; l. n. 123/2007; l. n. 124/2007; l. n. 244/2007; d.l. n. 207/2008; d.l. n. 78/2009; l. n. 69/2009; l. n. 94/2009; l. n. 99/2009; d.l. n. 135/2009; d.lgs. n. 53/2010; d.lgs. n. 104/2010; d.l. n. 34/2011; d.l. n. 70/2011; d.lgs. n. 58/2011; d.l. n. 95/2011; l. n. 180/2011; d.lgs. n. 195/2011; d.l. n. 201/2011; d.lgs. n. 208/2011; d.l. n. 1/2012; l. n. 3/2012; d.l. n. 5/2012; d.l. n. 16/2012; d.l. n. 52/2012; d.l. n. 83/2012; d.l. n. 95/2012; d.lgs. n. 169/2012; d.l. n. 179/2012; l. n. 190/2012; d.l. n. 35/2013; d.l. n. 69/2013; d.l. n. 101/2013; d.l. n. 145/2013; l. n. 147/2013; d.l. n. 150/2013; d.l. n. 47/2014; d.l. n. 64/2014; d.l. n. 66/2014; d.l. n. 83/2014; d.l. n. 90/2014; d.l. n. 91/2014; d.l. n. 133/2014; l. n. 161/2014; d.l. n. 192/2014; d.l. n. 210/2015; l. n. 221/2015. Inoltre le soglie sono state modificate dai seguenti regolamenti comunitari: 1422/2007; 1177/2009; 1251/2011; 1336/2013; 2341/2015; 2341/2015.

[4] Legge delega 28 gennaio 2016 n. 11.

[5] Varenna, 17-19 settembre 2015, 61° convegno di studi amministrativi “La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”; A. PAJNO, La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione.

 

[6] La legge delega n. 11/2016 è in vigore dal 13.2.2016.

[7] Il d.lgs. 18.4.2016 n. 50 è in vigore dal 19.4.2016.

[8] Si prevede un albo gestito dall’ANAC.

[9] La vigilanza è affidata in generale all’ANAC, ma ci sono anche altre competenze specifiche come quella della Corte dei conti sugli appalti segretati.

[10] La suddivisione in lotti, se amplia la platea dei potenziali concorrenti e pertanto la concorrenza, si presta, tuttavia, specie se i lotti sono di importo elevato e in numero contenuto, a turbative di gara mediante intese restrittive della concorrenza poste in essere dagli operatori economici partecipanti alla gara divisa in lotti, finalizzate alla spartizione dei singoli lotti da aggiudicarsi (bid rigging, cover bidding, courtesy bidding, bid rotation, phantom bid).

L’AGCM e la giurisprudenza amministrativa hanno ritenuto che il mercato rilevante su cui può incidere una intesa restrittiva della concorrenza può anche identificarsi con una singola gara di appalto della pubblica amministrazione, segnatamente le gare tramite centrali di committenza, e in particolare Consip [Cons. St., VI, 2.3.2004 n. 926].

Più volte l’AGCM ha sanzionato intese restrittive della concorrenza perpetrate da operatori economici nella partecipazione a gare Consip suddivise in lotti, mediante la presentazione di offerte coordinate e concordate per conseguire l’obiettivo della spartizione dei lotti tra gli offerenti [V. Provvedimento AGCM 22.12.2015 che sanziona una intesa restrittiva della concorrenza posta in essere da 4 operatori economici partecipanti a gara Consip di facility management divisa in 13 lotti; Provvedimento AGCM di marzo 2016 di avvio istruttoria su intesa restrittiva posta in essere da operatori economici partecipanti a gara Consip per l’affidamento dei servizi di supporto alla gestione di fondi europei, suddivisa in 9 lotti; Cons. St., VI, 2.3.2004 n. 926].

[11] Si tratta del d.lgs. n. 50/2016. Non ha un nome di battesimo “unico”. Non ha preso né il nome chiesto dalla legge delega (codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione) né quello suggerito dal Consiglio di Stato (codice dei contratti pubblici), e ha ricevuto un nome ben più lungo quanto non necessario, in particolare “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.

Però quanto meno il “soprannome” di codice dei contratti pubblici, gli è rimasto, legificato, nell’art. 120, c. 2-bis, c.p.a.

[12] D.lgs. n. 163/2006.

[13] D.P.R. n. 207/2010.

[14] Si tratta di:

14 decreti del Ministro delle infrastrutture e trasporti;

- 15 atti dell’ANAC;

- 6 d.P.C.M.;

- 15 decreti di altri Ministri.

In dettaglio:

DECRETI DEL MINISTRO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

1)       art. 21 (pianificazione dei contratti pubblici

2)       art. 23 (contenuto dei livelli della progettazione

3)       art. 24 (requisiti delle forme organizzative dei progettisti)

4)       art. 38 (servizio contratti pubblici)

5)       art. 73 (indirizzi per la pubblicazione telematica di bandi e avvisi)

6)       art. 77 (tariffa per albo e compensi dei commissari di gara)

7)       art. 81 (documentazione da inserire nella banca dati nazionale degli appalti pubblici)

8)       art. 84 (modalità di qualificazione alternative per i lavori pubblici)

9)       art. 89 (individuazione delle opere superspecialistiche

10)   art. 102 (modalità tecniche del collaudo

11)   art. 111 (attività del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione dei contratti di servizi e forniture)

12)   art. 196 (albo nazionale dei responsabili lavori e collaudatori nel caso di affidamento a contraente generale)

13)   art. 209 (compensi degli arbitri)

14)   art. 214 (struttura tecnica di missione)

LINEE GUIDA E ALTRI ANNI DELL’ANAC

1)       art. 31 (compiti del RUP)

2)       art. 36 (procedure dei contratti sotto soglia)

3)       art. 38 (modalità attuative della qualificazione delle stazioni appaltanti)

4)       art. 71 (bandi tipo)

5)       art. 78 (requisiti per l’iscrizione nell’albo dei commissari di gara)

6)       art. 80 (mezzi di prova delle cause di esclusione dalle gare)

7)       art. 83 (qualificazione degli operatori economici negli appalti di lavori nei settori ordinari

8)       art. 83 (sistema di penalità e premialità e relative sanzioni)

9)       art. 84 (rating di impresa)

10)   art. 84 (sistema SOA, vigilanza sulle SOA, vigilanza sul sistema di qualificazione e controlli a campione

11)   art. 84 (revisione straordinaria delle SOA e proposte revisione sistema attuale di qualificazione)

12)   art. 110 (requisiti per la partecipazione a gare e esecuzione appalti per operatori economici sottoposti a fallimento o altre procedure di soluzione crisi di impresa)

13)   art. 177 (verifica rispetto percentuale di esternalizzazione affidamenti da parte dei concessionari)

14)   art. 194 (criteri dell’albo stazioni appaltanti che fanno affidamenti in house

15)   art. 197 (requisiti di qualificazione del contraente generale)

DECRETI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

1)       art. 22 (opere soggette a dibattito pubblico)

2)       art. 25 (procedimenti semplificati di verifica preventiva dell’interesse archeologico)

3)       art. 37 (centrali di committenza dei comuni non capoluogo di provincia

4)       art. 37 (requisiti delle centrali di committenza)

5)       art. 41 (revisione accordi e convenzioni quadro)

6)       art. 212 (organizzazione della cabina di regia)

DECRETI DI ALTRI MINISTRI

1)       art. 1 MINESTERI (appalti all’estero)

2)       art. 24 MINGIUSTIZIA (corrispettivi per i progettisti)

3)       art. 25 MIBAC (elenco soggetti qualificati)

4)       art. 34 MINAMBIENTE (criteri di sostenibilità ambientale, percentuale prestazioni negli appalti)

5)       art. 44 MINSemplificazionePA (digitalizzazione procedure contrattuali pubbliche)

6)       art. 103 MISE (polizze tipo per garanzia di esecuzione)

7)       art. 104 MISE (polizze tipo per garanzia di esecuzione per lavori di particolare valore)

8)       art. 114 MINSALUTE (servizio di ristorazione ospedaliera)

9)       art. 144 MISE (buoni pasto servizio sostitutivo mensa)

10)   art. 146 MIBAC (qualificazione per appalti relativi a beni culturali)

11)   art. 159 MINDIFESA (appalti nel settore della difesa)

12)   art. 185 MEF (definizione delle garanzie per obbligazioni delle società di progetto)

13)   art. 201 DPR (approvazione PGTL)

14)   art. 203 MININTERNO (monitoraggio infrastrutture e insediamenti prioritari)

15)   art. 215 DPR (attribuzione ulteriori compiti al Consiglio superiore lavori pubblici)

[15] Si tratta dei seguenti atti: d.m. 24.5.2016 sui CAM (criteri ambientali minimi) per alcuni servizi e forniture; d.m. 17.6.2016 sugli onorari professionali; d.P.C.M. 10.8.2016 sulla cabina di regia; non sono stati sottoposti al parere del Consiglio di Stato.

[16] Si tratta di: 5 linee guida dell’ANAC, (su OEPV, RUP, SIA, appalti sotto soglia, commissari di gara), 1 regolamento ANAC (sul precontenzioso), 2 LG MIT (sul direttore dei lavori e sul direttore dell’esecuzione del contratto). Di tali atti attuativi non sono specificamente previsti dal codice e dunque non si computano nei “50 atti attuativi” le LG su SIA e OEPV, nonché il regolamento sul precontenzioso. L’ANAC ha inoltre approvato in via preliminare e trasmesso ai pareri ulteriori LG sulle procedure negoziate, in particolare “per il ricorso a procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando nel caso di forniture e servizi ritenuti infungibili”. I pareri del Consiglio di Stato sono: Cons. St., sez. affari normativi, comm. spec., 2.8.2016 n. 1767 reso su tre LG ANAC: RUP, OEPV, SIA; Id., 13.9.2016 n. 1903 reso sulle LG ANAC sui contratti sotto soglia; Id., 14.9.2016 n. 1919, reso sulle LG ANAC sui commissari di gara; Id., 14.9. 2016 n. 1920, reso sul regolamento ANAC relativo al precontenzioso. 

[17] La disciplina dei contratti sotto soglia è nell’art. 36, codice, nonché negli artt. 31, c. 8; 32, c. 10 e c. 14; lett. b); 97, c. 8; 106, c. 14; 157, c. 2; 216, c. 9.

[18] I contratti della protezione civile sono regolati nell’art. 163 codice.

[19] Per gli affidamenti alle cooperative sociali, oltre all’art. 112 sui “contratti riservati” si applica l’art. 5, l. n. 381/1991.

[20] Sugli appalti della cooperazione internazionale v. art. 1, c. 7, codice; si applicano, in via transitoria, gli artt. da 343 a 356, d.P.R. n. 207/2010.

[21] Sui contratti in ambito NATO v. d.P.R. n. 236/2012

[22] Sui contratti della difesa v. nel codice art. 1, c. 6 e artt. 159-161; nonché artt. da 534 a 536, da 538 a 547, 2133, d.lgs. n. 66/2010 (cod. ord. mil.); artt. da 463 a 475; da 565 a 574, d.P.R. n. 90/2010 (reg. ord. mil.); d.lgs. n. 208/2011; d.P.R. n. 236/2012; d.P.R. n. 49/2013.

[23] Sui contratti relativi a ricerca e sviluppo v. art. 158, e inoltre l. n. 770/1986.

[24] Sugli appalti relativi a beni culturali v. artt. 145-151 codice, si applicano in via transitoria gli artt. 248 e 251, d.P.R. n. 207/2010.

[25] Sugli appalti segretati v. art. 162 codice.

[26] In Italia la spesa per appalti pubblici incide sul PIL per circa il 10,7%; e del totale di tale spesa media annua, solo il 16,2% è per appalti soggetti a procedure europee. In dettaglio, secondo i dati dell’AIR che accompagna lo schema del codice dei contratti pubblici:

- il mercato degli appalti pubblici, secondo le stime della Commissione europea, vale in media (media 2011-2014) 1.900 miliardi di euro/per anno;

- l’Italia rappresenta il quarto mercato con 172,6 miliardi di euro/per anno di media;

- l’incidenza sul PIL della spesa per appalti pubblici è nella media europea il 13%;

- in Italia l’incidenza sul PIL della spesa per appalti pubblici è circa il 10,7%;

- il valore degli appalti pubblici i cui bandi sono pubblicati sul TED (Tenders Electronic Daily) è in media 327 miliardi/per anno in Europa;

- il valore degli appalti pubblici italiani i cui bandi sono pubblicati sul TED è 27,7 miliardi di euro/per anno, pari al 16,2 per cento del totale della spesa per appalti pubblici.

[27] Si legge nel parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice [Cons. St., sez. affari normativi – commissione speciale, 1.4.2016 n. 855]: “Non sempre le disposizioni del codice adoperano una terminologia di immediata comprensione, ma si tratta spesso dell’inevitabile tributo al recepimento puntuale delle direttive, a loro volta formulate con una tecnica linguistica tarata sull’esigenza di costruire istituti che coniugano e mediano tra le diverse tradizioni giuridiche dei Paesi membri.

Sotto tale profilo, il Consiglio di Stato, pur consapevole della non familiarità del linguaggio delle direttive, condivide la scelta, operata dal codice, di riprodurre fedelmente tale linguaggio. I vantaggi di tale tecnica sono, da un lato, la riduzione del rischio di una trasposizione infedele delle direttive e dei conseguenti contrasti esegetici (favorendo altresì il formarsi di una interpretazione uniforme a cura dei giudici nazionali e del giudice europeo), dall’altro il rafforzamento del processo di integrazione europea”.

[28] V. per le concessioni l’art. 176 e per gli appalti l’art. 108, c. 1, lett. c) e d) codice, secondo cui “1. Fatto salvo quanto previsto ai commi 1, 2 e 4, dell'articolo 107, le stazioni appaltanti possono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di sua efficacia, se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte:

(…)

c) l'aggiudicatario si è trovato, al momento dell'aggiudicazione dell'appalto in una delle situazioni di cui all'articolo 80, comma 1, sia per quanto riguarda i settori ordinari sia per quanto riguarda le concessioni e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura di appalto o di aggiudicazione della concessione, ovvero ancora per quanto riguarda i settori speciali avrebbe dovuto essere escluso a norma dell'articolo 136, comma 1;

d) l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in un procedimento ai sensi dell'articolo 258 TFUE, o di una sentenza passata in giudicato per violazione del presente codice”.

L’art. 176 c. 2 dichiara espressamente inapplicabili i termini massimi per l’autotutela previsti dall’art. 21-novies l. n. 241/1990.

[29] G. ORWELL, La fattoria degli animali.

[30] Il tema della natura giuridica delle linee guida è stato affrontato dal Consiglio di Stato nei pareri resi sullo schema di codice e sulle successive linee guida: v. Cons. St., sez. affari normativi, comm. spec. 1.4.2016 n. 855; Id., 2.8.2016 n. 1767; Id., 13.9.2016 n. 1903; Id., 14.9.2016 n. 1919; Id., 14.9. 2016 n. 1920. V. anche C. DEODATO, Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto, in www.giustizia-amministrativa.it, 29.4.2016; C. CONTESSA, Dalla legge delega al nuovo codice: opportunità e profili di criticità, ivi, 18.4.2016; R. DE NICTOLIS, Il nuovo codice dei contratti pubblici, ivi, 28.4.2016.

[31] Si è fatta strada una nozione di “qualità della regolazione” riferita non solo e non tanto alla “qualità formale” dei testi normativi (che devono essere chiari, intellegibili, accessibili), quanto e soprattutto alla “qualità sostanziale delle regole”, che devono essere delle “buone regole” nella sostanza [v. anche Cons. St., ad. gen., 25 ottobre 2004, n. 2/2004].

Una “buona legge” è:

- una legge “necessaria”, nel senso che non vi sono altre alternative (nelle leggi già vigenti o negli strumenti amministrativi, o nella deregolamentazione e autoregolamentazione);

- una legge chiara e comprensibile;

- una legge completa;

- una legge sistematica [Cons. St., sez. norm., 21 maggio 2007 n. 2024, reso sul piano di azione per la semplificazione].

[32] Il neologismo “testunificazione” è usato nel parere del Consiglio di Stato n. 855/2016, par. II.f.4.

[33] Il codice, riprendendo l’impostazione delle direttive e del codice vigente, detta una disciplina generale distinta in due fasi dei contratti pubblici: la prima fase ha natura amministrativa ed è rappresentata dalle procedure di scelta del contraente che devono svolgersi nel rispetto di regole puntualmente definite; la seconda fase ha natura negoziale ed è costituita dal momento di conclusione del contratto e attuazione del rapporto contrattuale.

La suddivisione in due fasi evoca due titoli di legittimazione legislativa esclusiva statale.

La fase di scelta del contraente rientra nella materia trasversale della tutela della concorrenza (art. 117, c. 2, lett. e), Cost.).

L’intervento europeo e nazionale è giustificato dalla finalità prevalente di assicurare la cosiddetta “concorrenza per il mercato” e dunque le libertà europee di libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali, unitamente ad altri interessi di rilevanza pubblicistica.

La seconda modalità di esercizio della funzione legislativa regionale può avere valenza più specifica involgendo, con riferimento a specifiche “parti” della procedura, la competenza residuale in materia di “organizzazione amministrativa”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 401/2007, evocando questo titolo di legittimazione, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 84, c. 2, 3 e 8, d.lgs. n. 163/2006, che conteneva norme relative alla composizione delle commissioni aggiudicatrici. In particolare, la Corte affermò che esse “attengono, più specificamente, all’organizzazione amministrativa degli organismi cui sia affidato il compito di procedere alla verifica del possesso dei requisiti, da parte delle imprese concorrenti, per aggiudicarsi la gara”.

La seconda fase di conclusione ed esecuzione del contratto rientra nella materia dell’ordinamento civile, in quanto l’autorità pubblica agisce nell’esercizio di “autonomie negoziali” e non di “poteri normativi” [Corte cost., n. 401/2007].

La Corte costituzionale ha escluso, pertanto, che possa configurarsi, in tale ambito, una disciplina generale di matrice regionale, ammettendo soltanto che, “in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico”, possano “residuare in capo alla pubblica amministrazione poteri riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva”.

Dopo Corte cost. n. 401/2007 v. Corte cost. nn. 431/2007; 320/2008; 322/2008; 411/2008; 160/2009; 283/2009; 45/2010; 186/2010; 221/2010; 7/2011; 43/2011; 53/2011; 114/2011; 184/2011; 328/2011; 52/2012, 74/2012; 131/2013; 220/2013, 229/2013; 274/2013; 97/2014; 33/2015; 38/2015; 124/2015, 7/2016.

[34] L’espressione “monosillabica opinione” è tratta da G. TOMASI DI LAMPEDUSA, Il Gattopardo, pag. 92 edizione La Biblioteca di Repubblica, dove viene utilizzata a proposito del voto espresso in occasione del Plebiscito del 21 ottobre 1860 relativo all’annessione della Sicilia al Regno d’Italia. Il passo completo recita: “(…) Don Fabrizio consegnò il proprio <<sì>> nelle patriottiche mani del sindaco Sedàra. Padre Pirrone invece non votò affatto perché era stato attento a non farsi iscrivere come residente nel paese. Don ‘Nofrio, lui, obbedendo agli ordini del Principe, manifestò la propria monosillabica opinione sulla complicata quistione italiana, capolavoro di concisione che venne compiuto con la medesima buona grazia con la quale un bambino beve l’olio di ricino”.

[35] V. nuovo art. 117, lett. e), g), l). Il futuro art. 117 Cost. continua, come il vigente art. 117 a non menzionare specificamente tra le materie di competenza statale i contratti pubblici. Nell’attuale assetto costituzionale essi in via esegetica vengono ascritti, per la parte delle procedure di affidamento, alla materia “tutela della concorrenza”. Occorrerà fare leva, per ritenere ampliata la competenza statale a scapito di quella regionale, sulla nuova previsione che intesta allo Stato sia la “tutela” che la “promozione” della concorrenza, nonché la disciplina generale del procedimento amministrativo.

[36] E’ da verificare se la legge n. 770 del lontano 1986 sugli appalti di ricerca e sviluppo, non toccata né dal codice del 2006 né da quello del 2016, sia ancora in vigore o tacitamente abrogata.

[37] E’ rimasto in vigore l’art. 24 d.l. n. 133/2014 sul baratto amministrativo, che nel nuovo codice ha assunto il nome più moderno di partenariato pubblico privato tipizzato (art. 190).

[38] E’ rimasto in vigore l’art. 14-viciester d.l. n. 115/2005 che prevede una fonte del potere regolamentare in materia di buoni pasto, diversa da quella prevista dall’art. 144 del codice.

[39] E’ rimasto in vigore il c. 505 della legge di stabilità per il 2016, che sulla programmazione per servizi e forniture dice cose diverse dal codice (art. 21).

[40] Il codice ha inteso “superare la legge obiettivo” e il regime speciale delle infrastrutture strategiche: ma restano, nell’art. 125 c.p.a., le disposizioni processuali speciali per le infrastrutture strategiche, con il dubbio se siano ancora vigenti o tacitamente abrogate.

[41] Il d.lgs. n. 208/2011 sui contratti della difesa e sicurezza contiene numerosi rinvii ad articoli puntuali del codice n. 163/2006, senza usare la locuzione “ e successive modificazione integrazioni”. Il rinvio sembra di tipo statico, se si considera che a suo tempo lo si fece per evitare di riprodurre disposizioni che erano identiche nella direttiva su difesa e sicurezza rispetto alla direttiva 2004/18. Sembra perciò che per difesa e sicurezza continuano ad applicarsi gli articoli del codice del 2006, come richiamati e cristallizzati, e che non si intendono richiamati i corrispondenti articoli del nuovo codice. Il problema si colloca più a monte del codice italiano: perché le tre nuove direttive, pur cambiando molti istituti non hanno toccato la direttiva sugli appalti di difesa e sicurezza, lasciando in essa in vita gli istituti nella loro veste originaria, corrispondente a quella della direttiva appalti generale n. 2004/18.

[42] La legge delega, laddove prevede il “riordino” insieme al recepimento delle direttive, fa infatti riferimento al “riordino della disciplina vigente”, ma non al diritto di matrice giurisprudenziale, né per consolidarlo né per superarlo.

[43] La prima giurisprudenza ha rilevato che mentre nella disciplina previgente la sanzione era dovuta anche se il concorrente non usufruisse dell’offerto soccorso istruttorio, nel nuovo codice la sanzione è dovuta solo se la parte si avvale del soccorso istruttorio [Così Cons. St., V, 22.8.2016 n. 3667; Tar Lombardia – Milano, I, 14.7.2016 n. 1423].

Ma ben più rilevante sembra un’altra differenza di disciplina: ed è che secondo le regole previgenti per alcune irregolarità ritenute irrilevanti non si chiedeva la sanatoria e non si pagava sanzione; ora la regolarizzazione va chiesta per qualsivoglia vizio, anche per quelli solo formali, per i quali non si applica sanzione, e se il concorrente non risponde al soccorso istruttorio, va sempre escluso.

Si confrontino l’art. 83, c. 9, codice del 2016, con l’art. 38, c. 2-bis, codice del 2006, nelle parti di seguito sottolineate:

- art. 83, c. 9, codice del 2016 - “Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all'articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all'offerta tecnica ed economica, obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 5.000 euro. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere, da presentare contestualmente al documento comprovante l'avvenuto pagamento della sanzione, a pena di esclusione. La sanzione è dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione. Nei casi di irregolarità formali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non essenziali, la stazione appaltante ne richiede comunque la regolarizzazione con la procedura di cui al periodo precedente, ma non applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, il concorrente è escluso dalla gara. Costituiscono irregolarità essenziali non sanabili le carenze della documentazione che non consentono l'individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa.”;

- art. 38, c. 2-bis, codice del 2006 – “La mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte.”

[44] L’esclusione automatica è illegittima, secondo la C. giust. UE, anche negli appalti sotto soglia, ove essi presentino una rilevanza transfrontaliera.

In tal senso si è già espressamente pronunciata in passato la Corte di Lussemburgo con riferimento al sistema normativo italiano, ritenendo che negli appalti sotto soglia vanno rispettati i principi del Trattato e che pertanto l’esclusione automatica delle offerte anomale è in linea di massima in contrasto con il diritto europeo, anche se può giustificarsi negli appalti di modesto importo e che non presentino alcun interesse transfrontaliero [C. giust. CE 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06, in Urb. e app., 2008, 1123, con nota di G. BALOCCO, La Corte CE censura il criterio di valutazione dell’anomalia nelle offerte sotto soglia; Cons. St., sez. V, 7 febbraio 2006 n. 489; Tar – Lombardia - Milano, con ord. 19 aprile 2006 n. 64, segnalata in Urb. e app., 2007, 46].

Inoltre, già in passato la C. giust. CE ha condannato norme italiane che prevedevano l’esclusione automatica delle offerte anomale per un periodo transitorio che superava in durata il periodo transitorio massimo consentito dal legislatore europeo [C. giust. CE, 16 ottobre 1997, C - 304/96, in Urb. e app., 1997, 1394, con nota di R. De Nictolis, La Corte CE sulla disciplina transitoria delle offerte anomale, introdotta dal legislatore italiano].

[45] Su cui v. Cons. St., ad. plen., 28.7.2011 n. 13; 22.4.2013 n. 8; 27.6.2013 n. 16.

[46]Se c’è una maniera di rimandare una decisione importante, la buona burocrazia, pubblica o privata, la troverà.” (Arthur Bloch, Quinta legge di Parkinson, La legge di Murphy)

È più facile ottenere un perdono che un permesso” (Arthur Bloch, Legge di Stewart, La legge di Murphy)

“Se hai un problema che deve essere risolto da una burocrazia, ti conviene cambiare problema.” (Arthur Bloch, Legge di Good, La legge di Murphy)

Se qualcosa può andar male, lo farà in triplice copia.” (Arthur Bloch, Legge di Murphy sulle burocrazie)

[47] V. artt. 37-39 codice.

[48] V. art. 38 codice.

[49] Sui plurimi uffici contratti di Roma capitale e l’uso disinvolto delle procedure negoziate v. ANAC, delibera 2.3.2016; su uffici contratti periferici del Ministero della difesa, in relazione alla vicenda di Taranto, v. La Repubblica, 19.9.2016.

[50] V. artt. 77 e 78 codice.

[51] In tal senso v. Cons. St., sez. affari normativi, comm. spec., 14.9.2016 n. 1919.

[52] Il parere del Consiglio di Stato n. 855/2016 sullo schema di codice ha chiarito in che modo vada inteso il divieto di gold plating, “in una prospettiva di riduzione della “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive.

Così, in termini generali, il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall’altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell’art. 36 del TFUE”.

[53] Sulle politiche economiche come strumento di contrasto della diseguaglianza piuttosto che come mezzo per incrementarle, v. J. STIGLITZ, La grande frattura, Einaudi, 2015; Id., Le nuove regole dell’economia, Ed. Il Saggiatore, 2016; nonché l’intervista rilasciata dal medesimo a G. ALUFFI, L’euro e Trump: cosa non ha funzionato: ve lo spiega Mr. Stiglitz, in La Repubblica – Il Venerdì, 26.8.2016.

[54] Il codice appalti rinvia per la conferenza di servizi indetta per l’approvazione del progetto di opera pubblica agli artt. 14-bis e ss. l. n. 241/1990. Ma, a sua volta, di approvazione di progetto di opera pubblica si occupa l’art. 14, l. 241/1990, non richiamato dal codice, e però fonte successiva e dunque prevalente essendo stato novellato con la legge 127/2016.

[55] Si tratta del c.d. “profilo di committente”, in gergo tecnico-europeo.

[56] Si confrontino l’art. 29, d.lgs. n. 50/2016, l’art. 1, commi 15, 26, 32 e 34, l. n. 190/2012; gli artt. 33 e 38 d.lgs. n. 33/2013.

[57] Il codice del 2006 aveva ipotizzato da un lato una pubblicità delle “massime” dei lodi sul sito informatico dell’Osservatorio (art. 7, c. 10, d.lgs. n. 163/2006), che non fu attuata, e, dall’altro lato, che la Camera arbitrale curasse la rilevazione dei dati sul contenzioso. Strumento, quest’ultimo, di fatto inutile a fronte dell’esiguo numero di arbitrati “amministrati”, nel vigore del codice del 2006. Sulla camera arbitrale nel vigore del codice del 2006 v. ANAC, Relazione annuale 2015, par. 13, p. 312 ss.

[58] Dispone testualmente l’art. 210, c. 13: “Sul sito dell'ANAC sono pubblicati l'elenco degli arbitrati in corso e definiti, i dati relativi alle vicende dei medesimi, i nominativi e i compensi degli arbitri e dei periti”.

[59] Il nuovo codice ha 220 articoli e XXV allegati: i 220 articoli del nuovo codice ammontano a 111.740 parole e 662.638 caratteri, spazi esclusi (testo originario da GURI).

Il codice del 2006 era nato anche più snello, con 257 articoli e 22 allegati: i 257 articoli ammontavano a 100.074 parole e 586.241 caratteri, spazi esclusi, senza computare le tabelle di riferimento in calce a ogni rubrica (che nel nuovo codice non sono inserite nel testo), ovvero a 103.310 parole e 602.315 caratteri, spazi esclusi, calcolando tali tabelle. Aveva preso peso nel corso degli anni, contando, alla data della sua abrogazione, 271 articoli e 22 allegati, calcolando aggiunte e sottrazioni successive (aggiunti: artt. 6-bis; 68-bis; 79-bis; 112-bis; 160-bis; 160-ter; 169-bis, 199-bis; 237-bis; 240-bis; 243-bis; 245-bis; 245-ter; 245-quater; 245-quinquies; 246-bis; 251-bis: abrogati: artt. 154, 155, 246-bis); (per un totale di 118.714 parole e 694.183 caratteri, spazi esclusi, senza computare le tabelle di riferimento in calce a ogni rubrica).

[60] La circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2 maggio 2001 sulla redazione degli atti normativi auspica che ciascun articolo non superi i dieci commi.

[61] N. BOBBIO, Democrazia e segreto, ET Saggi, 2011.

[62] L’art. 28, c. 13, in tema di appalti misti, ha un tenore testuale incomprensibile e inapplicabile, che cela verosimilmente l’intento, negli appalti misti di progettazione ed esecuzione di lavori, di far prevalere le regole degli appalti di lavori. Ma così com’è oggi scritto, esso sembra “sdoganare” in termini generali l’appalto integrato, in contrasto con il principio dell’eccezionalità di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, affermato dalla delega e da altra disposizione dello stesso codice (art. 59, c. 1). Dispone l’art. 28, c. 13: “Le stazioni appaltanti ricorrono alle procedure di cui al presente articolo solo nei casi in cui l'elemento tecnologico ed innovativo delle opere oggetto dell'appalto sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori, prevedendo la messa a gara del progetto esecutivo.”

Si tratta di disposizione che non era presente nella bozza originaria sottoposta ai pareri degli organi consultivi.

Alla previsione va dato un significato utile e una applicazione euro-orientata, nelle more di una sua auspicabile riscrittura in termini più rispondenti al canone del clare loqui.

Anzitutto, il suo incipit, secondo cui “le stazioni appaltanti ricorrono alle procedure di cui al presente articolo solo nei casi in cui” va correttamente delimitato; sul piano letterale, esso condiziona l’applicazione di tutto l’art. 28 al solo presupposto del c. 13, ma tale interpretazione letterale sarebbe palesemente contraria al diritto europeo. Inoltre l’art. 28 non contempla “procedure”, ma definisce i regimi giuridici applicabili.

L’ambito della previsione sono, verosimilmente, i contratti misti di lavori e servizi di progettazione, come si desume anche dalla circostanza che afferma che si mette a gara il protetto esecutivo insieme ai lavori.  L’appalto avente ad oggetto lavori e progetto esecutivo corrisponde a quello che nel vecchio codice andava sotto il nome di appalto integrato. Tuttavia la legge delega ha posto come principio la limitazione radicale dell’appalto integrato, principio recepito nell’art. 59, c. 1 codice. Perciò, non potendosi ritenere che l’art. 28, c. 13 abbia inteso autorizzare in termini generali l’apporto integrato, esso va interpretato come se contenesse l’implicito presupposto che si verta in uno dei casi tassativi in cui il legislatore italiano ha consentito l’affidamento congiunto di lavori e progettazione.

La previsione intende verosimilmente apprestare un criterio esegetico legale per stabilire come si determina l’oggetto principale del contratto, nel caso in cui abbia ad oggetto sia servizi (di progettazione) che lavori. In tale chiave di lettura, l’oggetto principale possono essere considerati i servizi di progettazione e non i lavori solo nel caso in cui “l'elemento tecnologico ed innovativo delle opere progettate sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori”.

In sintesi, il c. 13 dell’art. 28 va letto come se dicesse “Nell’ipotesi di contratto misto avente ad oggetto l’affidamento congiunto di lavori e servizi di progettazione, nei casi consentiti dal presente codice, l’oggetto principale del contratto è costituito dai servizi di progettazione solo nel caso in cui l'elemento tecnologico ed innovativo delle opere progettate sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori.”.

Anche così interpretata la previsione dà adito a dubbi di compatibilità europea sembrando introdurre un parametro quantitativo ai fini del giudizio di prevalenza di una data prestazione: già la legge Merloni fu stigmatizzata dalla C. giust. UE laddove introduceva parametri di tipo economico anziché qualitativo [C. giust. CE, 21.2.2008 C-412/04].

[63] Recita l’art. 216, c. 11, terzo periodo: “Fino al 31 dicembre 2016, si applica altresì il regime di cui all'articolo 66, comma 7, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nel testo applicabile fino alla predetta data, ai sensi dell'articolo 26 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, come modificato dall'articolo 7, comma 7, del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21”. Esso, attraverso un sibillino rinvio a plurime fonti normative, sottende l’intento di mantenere transitoriamente in vita la pubblicità di avvisi e bandi sulla stampa quotidiana, in palese contraddizione con l’obiettivo di informatizzazione, semplificazione, riduzione dei costi, eliminazione di adempimenti inutili.

[64] L’art. 104, c. 10, per tutte le garanzie, dell’offerta, dell’esecuzione, e dell’esecuzione di lavori di particolare valore, consente che la garanzia sia prestata da più garanti con esclusione del vincolo di solidarietà, cosi onerando la stazione appaltante di escutere la garanzia pro quota da ciascun garante. Sembra scardinare l’impianto della garanzia a prima richiesta e senza eccezioni, e andare ben oltre il superamento della garanzia globale di esecuzione, privando la stazione appaltante di una copertura efficace.

[65] Esistono test che misurano la “leggibilità” di un testo, formule matematiche in grado di valutarne la semplicità della sintassi e del lessico, come il Gulpease (cui ha lavorato Tullio De Mauro e con cui è stato calcolato l’indice di leggibilità della nostra Costituzione).

[66] Il c. 1-bis dell’art. 2, del d.l. n. 117/2016 in tema di processo amministrativo telematico, è nato con la legge di conversione n. 161/2016 in data 24 agosto ed è deceduto il successivo 31 agosto con il d.l. n. 168/2016. Sembra un classico esempio di shopping bulimico-compulsivo, con predisposizione di una norma superflua e inapplicabile.

[67] E’ accaduto nel 2014 con: d.l. n. 47/2014; d.l. n. 64/2014; d.l. n. 66/2014; d.l. n. 83/2014; d.l. n. 90/2014; d.l. n. 91/2014; d.l. n. 133/2014; l. n. 161/2014; d.l. n. 192/2014.

[68] Si legge a tal proposito nel parere n. 855/2016: “Si segnala, peraltro, che la precedente disciplina resta da un lato integralmente applicabile non solo ai contratti per i quali i bandi siano già stati pubblicati, ma anche ai nuovi affidamenti, per quegli ambiti per i quali gli atti attuativi nuovi non siano ancora varati, e finché non vengano varati.

Si può quindi determinare un periodo di confusione e incertezza applicativa, non rispettoso del principio di delega che chiede una “ordinata transizione” tra il vecchio e il nuovo.

In questa prospettiva, si suggerisce di affidarsi a una tecnica normativa già sperimentata e tipica del meccanismo di delegificazione di cui all’art. 17, comma 2, della l. n. 400 del 1988 (su cui cfr. la vasta e consolidata giurisprudenza consultiva di questo Consiglio di Stato). Secondo tale modello di cd. “cedevolezza” delle disposizioni abrogate, resta in capo al codice l’effetto abrogante del d.P.R. n. 207/2010, ma il concreto venir meno delle singole normative previgenti è differito temporalmente al momento dell’entrata in vigore dei singoli atti sostitutivi di attuazione del nuovo codice, quale che sia la loro natura giuridica (linee guida ministeriali, atti ANAC, etc.).

A questi ultimi viene altresì assegnato dal codice anche il compito di recare una esplicita ricognizione delle disposizioni che vengono sostituite e che pertanto cessano di avere efficacia (si rinvia alle più dettagliate considerazioni sub artt. 216 e 217).

Certo, tale meccanismo ha come controindicazione il dilatarsi dei tempi di effettiva scomparsa della precedente normativa, ma questa circostanza appare comunque preferibile ai dubbi e alle incertezze del vuoto normativo. Peraltro, questo rischio può essere considerevolmente ridotto da una efficace e sistematica attività di monitoraggio da parte della cabina di regia.

Appare, comunque, opportuno inserire anche una disposizione abrogativa di chiusura, secondo la tecnica del guillottine system, che preveda comunque la definitiva scomparsa del regolamento dopo un congruo termine”. Sempre nel citato parere, in relazione all’art. 217, si legge: “In relazione all’abrogazione del d.P.R. n. 207/2010, si rileva che dall’art. 216, comma 2, si desume che esso continuerà ad applicarsi non solo ai contratti i cui bandi siano stati pubblicati prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, ma, in molte parti, anche a quelli i cui bandi siano pubblicati dopo, nelle more dell’adozione degli atti attuativi del nuovo codice. Sotto tale profilo, l’abrogazione integrale e con effetto immediato, sembra contraddire tali regimi transitori.

Occorre pertanto prevedere che l'abrogazione del d.P.R. n. 207/2010, ancorché disposta in via diretta dal codice, sia differita alla data di entrata in vigore degli atti attuativi, a cui sia demandata l'elencazione ricognitiva delle disposizioni che si intendono abrogate, nonché, per le disposizioni non oggetto di ricognizione, a una data specificamente individuata.

Tale data specifica può ragionevolmente essere fissata al 1° giugno 2018 (che corrisponde a circa due anni dopo l’entrata in vigore del codice), salvo un eventuale successivo riallineamento in sede di decreti correttivi (laddove l’intervento correttivo fosse portato dal Parlamento a due anni – come auspicato nella parte generale di questo parere – sarebbe ragionevole fissare nella medesima data anche l’effetto abrogativo finale del regolamento del 2010).

Si rinvia per maggior dettaglio alle considerazioni fatte nella parte generale sub II.i).

Si suggerisce pertanto di integrare la lett. tt) dell’art. 217 come segue:

“tt) il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, con effetto:

1) dalla data di adozione degli atti attuativi del presente codice, i quali operano la ricognizione delle disposizioni del d.P.R. n. 207 del 2010 da essi sostituite;

2) per le disposizioni che non formano oggetto della ricognizione di cui al numero 1, dalla data del 1° giugno 2018.”.

[69] V. art. 217, lett. u), codice.

[70] Per la fase di programmazione dei contratti pubblici è stata interamente abolita la precedente normativa di dettaglio, mentre la nuova disciplina attuativa è rinviata a un futuro d.m., e nel frattempo si applica un regime transitorio incompleto, che non scioglie alcuni nodi, come le opere fuori programma o la modulistica (v. artt. 21, c. 8 e 216, c. 3 codice). Nelle more del nuovo d.m. una stazione appaltante che dovesse adottare un programma nuovo, non saprebbe quali regole applicare.

[71] Si segnala il “buco” sugli appalti di progettazione quanto alla presenza del giovane professionista nella compagine dell’operatore economico concorrente, abolita con effetto immediato demandandosi a un futuro d.m. di prevederla nuovamente. Nel frattempo, le stazioni appaltanti non hanno un quadro di riferimento. Così, quello che sembra un evidente refuso, produce un vuoto che incide negativamente sull’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

Si demanda in particolare a un d.m. di fissare i criteri per garantire la presenza di giovani professionisti, in forma singola o associata, nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e di idee, di cui le stazioni appaltanti tengono conto ai fini dell'aggiudicazione (art. 24, c. 6).

Nelle more di tale d.m., vi è un vuoto normativo, perché la previgente disciplina, contenuta nell’art. 253, c. 5, d.P.R. n. 207/2010, è stata abrogata (v. art. 216, c. 1, lett. u), e non è stata fatta transitoriamente salva.

[72] E’ stata abrogata tutta la disciplina regolamentare della verifica di conformità per servizi e forniture (l’equivalente del collaudo), (artt. 312-325 d.P.R. n. 207/2010), senza chiarire quali linee guida debbano occuparsene, se quelle sul collaudo (art. 102, c. 8) o quelle sul direttore dell’esecuzione (art. 111, c. 2), e senza prevedere una disciplina transitoria. Le emanande linee guida sul direttore dell’esecuzione del contratto hanno colmato la lacuna, ma è dubbio che la fonte primaria autorizzi questo contenuto. Sembra necessario un intervento correttivo alternativamente sull’art. 102 o sull’art. 111.

[73] Il legislatore italiano, avvalendosi di una possibilità di proroga consentita dalle direttive, ha differito la informatizzazione totale a ottobre 2018 per le stazioni appaltanti diverse dalle centrali di committenza (art. 40, c. 2 codice). All’ovvia domanda su quali forme di comunicazione si applicano nel frattempo non si può rispondere con quella che sembrerebbe la risposta ovvia, ossia le previgenti. Perché le previgenti sono state interamente abrogate, e il nuovo codice non prevede nessun regime transitorio. Né può applicarsi in via immediata la direttiva europea, che in tale parte non è self-executing. La direttiva non è in tale parte self-executing, in quanto prescrive che siano gli Stati membri a individuare le forme di comunicazione medio tempore applicabili, scegliendo tra varie opzioni. L’art. 90, par. 2, direttiva 2014/24 e l’art. 106, par. 2, direttiva 2014/25 facoltizzano gli Stati membri a rinviare l’applicazione degli obblighi di comunicazione con mezzi elettronici fino al 18 ottobre 2018, ma prescrivono che in tali casi gli Stati membri garantiscono che le stazioni appaltanti possano scegliere tra i mezzi di comunicazione previgenti, vale a dire: mezzi elettronici; posta o altro idoneo supporto; fax; una combinazione di questi mezzi.

Nel recepimento italiano, il coordinamento dell’art. 40, c. 2 con l’art. 53 non è chiaro, in quanto il c. 1 dell’art. 53 prevede una decorrenza immediata dell’obbligo di utilizzo di mezzi di comunicazione elettronica nei settori ordinari e speciali.

E non è prevista alcuna disposizione transitoria (come quella prevista dal diritto europeo) che chiarisca, ove si dovesse ritenere che l’art. 53, c. 1, non è di immediata applicazione, quale disciplina si applica nel frattempo. Il previgente art. 77, codice del 2006, è abrogato con effetto dal 19 aprile 2016 e non ne è prevista una ultrattività, salvo che per le procedure già bandite.

[74] Confronta previgente art. 90, c. 6, d.lgs. n. 163/2006 e attuale art. 46.

[75] Uno dei punti di forza del nuovo codice dovrebbe essere la qualità e centralità della progettazione, separandola dall’esecuzione, e assicurando la riappropriazione della funzione progettuale da parte delle stazioni appaltanti. Ma il risultato pratico, a leggere le norme, potrebbe sembrare l’opposto, tanto più che è stato abolito (qui per espresso principio di delega) l’incentivo per la progettazione (che resta invece per tutte le altre funzioni tecniche, anzi, si estende pure a servizi e forniture, con qualche dubbio di rispetto della delega). Sicché non potrà allo stato che registrarsi una fuga dalla progettazione interna, e un aumento di costi e tempi per le stazioni appaltanti, che dovranno indire due gare, una per la progettazione e una per l’esecuzione. Ci sarà anche una sostanziale modifica del regime di responsabilità del progettista, che è per danno erariale davanti alla Corte dei conti in caso di dipendente pubblico, e davanti al giudice ordinario, in caso di libero professionista. Con la sostanziale differenza che nel primo caso l’azione di danno è promossa d’ufficio, nel secondo va promossa dalla stazione appaltante, con maggiori costi processuali. Cass., sez. un., 22.9.2014 n. 19891; Cass., sez. un., 5.5.2011 n. 9845; Cass., sez. un., 2.12.2008 n. 28537; C. conti, sez. giur. reg. Abruzzo, 29.12.2010 n. 576.

[76] Il d.P.C.M. 10.8.2016 prevede che la Cabina di regia sia composta:

a) dal Capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, che la presiede;

b) dal Capo dell'Ufficio legislativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che svolge le funzioni di Vice Presidente e presiede la Cabina di regia in caso di assenza o impedimento del Presidente;

c) da un rappresentante del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri;

d) da due rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze;

e) da un rappresentante dell'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC);

f) da tre rappresentanti delle regioni e province autonome;

g) da tre rappresentanti delle autonomie locali;

h) da un rappresentante dell'Agenzia per l'Italia digitale (AGID);

i) da un rappresentante di CONSIP.

Il Presidente della Cabina di regia può nominare fino a 10 esperti competenti in materia di appalti pubblici e concessioni, di procedure telematiche di acquisto, di bancabilità delle opere pubbliche. I

Ai componenti, ai rispettivi supplenti, agli esperti e ai partecipanti alla Cabina di regia non spetta alcun compenso.

[77] Il nucleo per la semplificazione fu previsto dall’art. 3, l. n. 50/1999. Appartengono alla “stagione” di codici e testi unici del diritto amministrativo: d.P.R. n. 445/2000 t.u. di documentazione amministrativa; d.lgs. n. 327/2000, t.u. in materia di enti locali; d.lgs. n. 165/2001, t.u. in materia di pubblico impiego; d.P.R. n. 327/2001, t.u. in materia di espropriazioni; d.P.R. n. 380/2001, t.u. in materia edilizia; d.P.R. n. 115/2002, t.u. in materia di spese di giustizia; d.lgs. n. 196/2003, codice della privacy; d.lgs. n. 259/2003, codice delle comunicazioni elettroniche; d.P.R. n. 396/2003, t.u. sul debito pubblico, d.P.R. n. 313/2003, t.u. sul casellario giudiziale.

[78] L’art. 5, ult. c., l. 3.1.1978 n. 1, escludeva l’appellabilità al Consiglio di Stato delle ordinanze dei Tar pronunciate sulla domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto amministrativo impugnato nei giudizi in materia di opere pubbliche. Fu dichiarato incostituzionale da Corte cost., 1.2.1982 n. 8. In prosieguo la Corte costituzionale, con la sent. 16.7.1996 n. 249, rese una pronuncia interpretativa di rigetto, ritenendo che l’art. 31-bis, c. 3, l. n. 109/1994 andasse interpretato nel senso che la presentazione, da parte dell’amministrazione resistente o dei controinteressati, di domanda di trattazione del merito del ricorso, non precludesse al giudice amministrativo l’esame della domanda di sospensione dell’atto impugnato e non facesse perciò venire meno il potere - dovere del giudice di pronunciarsi sulla domanda cautelare.

[79] Il regime processuale dei pubblici appalti ha subito negli ultimi venti anni continui cambiamenti, tutti nella logica di ottenere una decisione il più rapidamente possibile.

Appartengono ormai al passato remoto sia le disposizioni processuali di cui all’art. 31-bis, legge Merloni sia il rito speciale di cui al d.l. n. 67/1997.

Appartiene al passato, sia pure prossimo, anche il rito dell’art. 23-bis, l. Tar, introdotto dalla l. n. 205/2000 e abrogato, per quanto riguarda gli appalti, dal d.lgs. n. 53/2010, recante recepimento della direttiva ricorsi, che ha novellato il codice appalti.

Ma a sua volta la novella processuale del codice appalti, se pure non è vissuta un solo giorno come le rose di una nota canzone, ha avuto comunque vita brevissima, dal 27.4. al 15.9.2010, avendo subito un’abrogazione (sia pure travestita da modifica degli articoli) ad opera del codice del processo amministrativo (art. 3, c. 19, disp. coord. e abr., c.p.a.).

Se le disposizioni in tema di sorte del contratto, sanzioni alternative, tutela risarcitoria, hanno subito solo un trasloco con ritocchi minimi, dal codice appalti al codice del processo amministrativo, invece il rito processuale sui pubblici appalti (già art. 245, codice appalti) dopo la sua vita brevissima dal 27.4.2010 al 15.9.2010, è stato trasferito dal codice appalti al c.p.a. (art. 120) con sensibili modificazioni che ne fanno un’entità profondamente diversa.

Ulteriori modifiche al rito sono poi state apportate dal d.l. n. 90/2014, con regole poi modificate dalla l. di conversione n. 114/2014. Infine, l’art. 120 c.p.a. è stato novellato dal codice dei contratti pubblici.

[80] Nell’art. 32, c. 10, codice, la prima ipotesi, di deroga, prevista dall’ordinamento italiano, e che è in linea con il diritto europeo, è quella in cui, a seguito di pubblicazione di bando o avviso con cui si indice una gara o dell'inoltro degli inviti nel rispetto del codice, è stata presentata o è stata ammessa una sola offerta e non sono state tempestivamente proposte impugnazioni del bando o della lettera di invito o queste impugnazioni risultano già respinte con decisione definitiva (art. 32, c. 10, lett. a).

Viene prevista poi una generica deroga allo standstill in caso di appalto basato su un accordo quadro di cui all'art. 54, nel caso di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione di cui all'art. 55. Tale ipotesi appare di dubbia compatibilità europea, in quanto il recepimento della deroga europea non è completo e corretto rispetto alle previsioni della direttiva 2007/66.

Invero, per la deroga allo standstill in caso di accordo quadro o sistema dinamico di acquisizione, la direttiva 2007/66/CE pone precise condizioni, che invece non sono state riprodotte né nel codice del 2006 né, ora, nel codice del 2016.

Secondo la direttiva il contratto stipulato sulla base di un accordo quadro o di un sistema dinamico di acquisizione deve comunque essere privato di effetti se:

a) nell’accordo quadro è violato l’art. 33, par. 4, lett. c), direttiva 2014/24 (recepito nell’art. 54, c. 4, lett. c), codice), che disciplina la procedura di affidamento di un contratto basato su un accordo quadro, richiedendo una nuova negoziazione se l’accordo quadro è stato concluso con più operatori economici, e non fissa tutte le condizioni; in tale ipotesi, essendovi una nuova negoziazione a valle dell’accordo quadro, va rispettato lo standstill;

b) nel sistema dinamico di acquisizione sono violati l’art. 34, par. 6, direttiva 2014/24 e l’art. 52, par. 6, direttiva 2014/25 (recepiti nell’art. 55, c. 8, codice) vale a dire che non sono stati invitati tutti i partecipanti ammessi a presentare offerta;

c) il valore stimato dell’appalto è pari o superiore alle soglie europee (art. 2-ter, direttiva 89/665 e art. 2-ter, direttiva 92/13 come novellati dapprima dalla direttiva 2007/66 e poi dalla direttiva 2014/23).

Una ulteriore deroga, prevista dall’art. 32 ma introdotta già in precedenza dal legislatore italiano, autonomamente rispetto al diritto europeo, è quello di acquisti effettuati attraverso il mercato elettronico.

In particolare, il previgente art. 11, c. 10-bis, lett. b), codice del 2006, inserito dall’art. 11, d.l. n. 52/2012, conv. in l. n. 94/2012, prevedeva la deroga allo standstill per il caso di acquisto effettuato attraverso il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'art. 328 regolamento n. 207/2010.

Va evidenziato che l’art. 328 regolamento appalti si riferiva ai soli acquisti di servizi e beni sotto soglia.

Sotto tale profilo, tale deroga allo standstill ricadeva nella consentita deroga per gli appalti per i quali il diritto europeo non prescrive la previa pubblicazione di un bando nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Tuttavia, nella trasposizione della previgente previsione nel codice del 2016, è venuto meno il limite del sottosoglia, e ora la deroga allo standstill è prevista per tutti gli acquisti effettuati tramite mercato elettronico. Occorre però considerare che secondo la lett. bbbb) dell’art. 3 il mercato elettronico opera solo per appalti “sotto soglia”. Perciò in via di interpretazione sistematica si deve ritenere che la deroga allo standstill valga solo per acquisti sotto soglia.

L’art. 32 ha autonomamente previsto un nuovo caso di deroga allo standstill, non previsto dal codice del 2006, in caso di affidamenti effettuati ai sensi dell'art. 36, c. 2, lett. a) e b).

Si tratta di affidamenti sotto soglia con procedure semplificate, e, in particolare:

- di affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro;

- di affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'art. 35 per le forniture e i servizi.

Nella bozza originaria del codice si parlava di acquisti e non di affidamenti, e il parere del Consiglio di Stato aveva rilevato che l’espressione “acquisti” induceva a ritenere che si fosse inteso fare riferimento alle sole “forniture” sotto soglia europea (v. art. 3, lett. tt) sulla definizione dell’appalto di forniture), anche se il rinvio all’art. 36, c. 2, lett. a) e b) (che contemplano anche servizi e forniture), poteva portare a una interpretazione più estesa, comprensiva dei lavori fino a 150.000 euro e dei servizi sotto soglia.

Si era suggerito di sostituire l’espressione “acquisti” con quella “forniture” al fine di fugare ogni dubbio interpretativo.

Con la locuzione affidamenti, alla fine prevalsa, è invece ora chiaro che tutti gli affidamenti sotto soglia nei limiti di importo delle lett. a) e b) dell’art. 36, e se fatti con le procedure ivi previste, sono sottratti allo standstill (si tratta dei lavori di importo inferiore a 150.000 euro e di servizi e forniture sotto soglia europea).

Va sottolineato che la deroga allo standstill presuppone non solo i limiti di importo sopra visti, ma anche che la stazione appaltante utilizzi le procedure di affidamento semplificate dell’art. 36, c. 2, lett. a) e b). Ove la stazione appaltante, pur in presenza di tali limiti di importo, utilizzasse le procedure ordinarie, la deroga allo standstill non troverebbe applicazione.

La nuova deroga al termine dilatorio non contrasta con la direttiva 2007/66, trattandosi di affidamenti sotto soglia, ed è in astratto coerente con la legge delega, che impone il divieto di gold plating e il principio di semplificazione degli appalti sotto soglia.

Tuttavia, ad avviso del parere del Consiglio di Stato, il termine di standstill ha un effetto immediato e diretto sulla possibilità di tutela giurisdizionale, e pertanto una deroga generalizzata per gli affidamenti sotto soglia rischia di creare una disparità di trattamento sul piano della tutela giurisdizionale. Il legislatore italiano ha sinora optato per una soluzione normativa uniforme, quando si tratta di tutela giurisdizionale, a prescindere dall’essere l’appalto sopra o sotto soglia. Si noti che la deroga avviene per un novero di contratti di importo e ambito significativo, ove si consideri che in virtù del combinato disposto di art. 35, c. 1, lett. d), art. 36 e art. 32, sono affidabili con procedure in deroga, e senza stanstill tutte le forniture e servizi sotto soglia, tra cui anche tutti i servizi sociali e gli altri servizi dell’allegato IX, per importi fino a 750.000 euro.

Infine, l’art. 32 introduce ex novo rispetto al codice del 2006 una indiretta deroga allo standstill, laddove consente l’esecuzione d’urgenza, prima della stipula del contratto: nel codice del 2006 in funzione antielusiva si era specificato che tale esecuzione d’urgenza non poteva comunque avvenire nelle more del termine di standstill. Tale esecuzione d’urgenza in deroga allo standstill può essere ritenuta conforme al diritto europeo solo se: si tratta di procedure sotto soglia, ovvero si tratta di procedure europee senza bando. Rilevano i casi di procedura negoziata senza bando per ragioni di urgenza o le procedure urgenti di cui all’art. 163.

[81] Nell’ambito delle comunicazioni e degli avvisi si colloca anche l’avviso volontario per la trasparenza preventiva (art. 79-bis, d.lgs. n. 163/2006, non riprodotto nel nuovo codice dei contratti pubblici), il cui scopo è quello di porre la stazione appaltante al riparo dalla privazione di effetti del contratto, quando essa abbia seguito una procedura senza bando (sia essa una procedura negoziata senza bando o un affidamento in economia).

A tal fine la stazione appaltante deve seguire un’articolata procedura che si snoda in tre passaggi, uno dei quali è l’avviso in commento.

Il primo passaggio è un atto motivato con cui la stazione appaltante dichiara di ritenere che il diritto europeo o nazionale consentano di omettere la pubblicazione del bando di gara.

Il secondo passaggio è la pubblicazione dell’avviso volontario per la trasparenza preventiva.

Il terzo passaggio è il rispetto di un termine dilatorio di almeno dieci giorni per la stipulazione del contratto, decorrenti dal giorno successivo a quello di pubblicazione dell’avviso volontario per la trasparenza preventiva.

Tale avviso volontario per la trasparenza preventiva si applica sia nei settori ordinari sia nei settori speciali.

Tanto si desume sia dalla direttiva 2007/66/CE, sia dall’art. 121, c. 5, c.p.a., che lo menziona nell’ambito del contenzioso, ossia una disciplina che si applica anche ai settori speciali.

[82] Sul nuovo rito v. G. SEVERINI, Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it, 3.6.2016; G. VELTRI, Il contenzioso nel nuovo codice dei contratti pubblici: alcune riflessioni critiche, ivi, 26.6.2016; M.A. SANDULLI, Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, ivi, 29.7.2016; C. CONTESSA, Commento all’articolo 205, in C. CONTESSA e G. CROCCO, Codice degli appalti e delle concessioni – Il d.lgs. 50/2016 commentato articolo per articolo, Roma, 2016.

[83] Il c. 11-bis dell’art. 120 c.p.a. consente, introdotto dal d.lgs. n. 50/2016, con riferimento al caso di presentazione di offerte per più lotti, che l’impugnazione possa proporsi con ricorso cumulativo unicamente laddove vengano dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto. Si tratta di codificazione dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di limiti al ricorso cumulativo, anche in funzione antielusiva delle regole sul contributo unificato, e per evitare, in materia di gare divise in lotti, ricorsi monstre che, a fronte dell’identità soggettiva delle parti, riguardano lotti diversi e contengono censure diverse.

La previsione dà peraltro luogo a dubbi esegetici.

Il suo presupposto di applicazione è “la presentazione di offerte per più lotti”.

Il presupposto sostanziale è dunque che, ai sensi dell’art. 51 codice appalti, sia stata indetta una gara unica suddivisa in lotti, e sia stata prevista la possibilità che ciascun concorrente possa presentare offerta per più lotti.

Occorre poi che, in concreto, il concorrente si sia avvalso di tale possibilità e abbia presentato offerta per più lotti, e che in giudizio contesti, evidentemente, l’aggiudicazione di più lotti ad altri concorrenti.

Il presupposto applicativo della previsione non ricorre, invece, quando il concorrente-ricorrente, abbia presentato offerta per un solo lotto: in tal caso è legittimato ad impugnare solo l’esito della gara per il lotto per cui ha concorso. Deve escludersi la sua legittimazione a contestare le aggiudicazioni degli altri lotti, anche se, in ipotesi, potrebbe trarne un indiretto vantaggio.

Ulteriore condizione per consentire all’offerente per più lotti di presentare un ricorso cumulativo è che “vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”.

Occorre chiarire cosa si intenda per “stesso atto”: in quanto è proprio del ricorso cumulativo che esso si rivolga contro una “pluralità di atti”.

Dal momento che la previsione in commento mira proprio a consentire il ricorso cumulativo contro una pluralità di aggiudicazioni, sia pure fissandovi dei limiti, sembra che “lo stesso atto”, vada inteso come “la medesima tipologia di atto”. Dunque, se vengono impugnati più atti di aggiudicazione di più lotti, occorre che tali atti siano contestati per identici motivi: ad es. perché le plurime aggiudicazioni a favore del medesimo concorrente, si assumono tutte viziate dal difetto del medesimo requisito in capo all’aggiudicatario.

[84] C. giust. UE, Grande Camera, 5.4.2016 C-689/13. La Corte di giustizia dell’UE, nella solennità della composizione allargata - pronunciando sulle interferenze fra la norma del processo amministrativo (art. 99, c. 3, c.p.a.) che obbliga la singola sezione del Consiglio di Stato a non discostarsi dal principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria e l’obbligo sancito dall’art. 267 del TFUE (secondo cui le corti supreme sono tenute ad effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte medesima quando davanti a loro è sollevata una questione concernente l’interpretazione del diritto europeo o la validità di atti delle istituzioni dell’Unione) – ha riacceso il dibattito sulla tormentata questione dell’ordine di esame del ricorso incidentale e principale nel contenzioso appalti.

La Corte ha enunciato i seguenti principi:

1) l’art. 1, paragrafi 1, c. 3, e 3, della direttiva 89/665/CEE deve essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l’esame prioritario del ricorso incidentale presentato dall’altro offerente;

2) l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui quest’ultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l’orientamento definito da una decisione dell’adunanza plenaria di tale organo, è tenuta a rinviare la questione all’adunanza plenaria e non può pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale;

3) l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte di giustizia dell’Unione europea ad una questione vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione da essa sottopostale, o allorché la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha già fornito una risposta chiara alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione del diritto dell’Unione.

[85] F. KAFKA, Il processo, pag. 117 dell’Edizione La biblioteca di Repubblica. Il passo completo è il seguente: “Tutti i funzionari erano irritati, anche quando sembravano calmi; e naturalmente chi ne soffre di più sono i piccoli avvocati. Si racconta ad esempio l’aneddoto seguente, che ha tutta l’aria di essere vero. Un funzionario anziano, uomo buono ed assestato, aveva studiato ininterrottamente per un giorno e una notte una causa difficile, resa intricata in specie dai ricorsi dell’avvocato: questi funzionari, quanto a diligenza, sono davvero senza pari. Bene, verso il mattino, dopo ventiquattr’ore di lavoro probabilmente non molto proficuo, è andato alla porta, si è messo lì in agguato, e scaraventava giù per le scale ogni avvocato che volesse entrare. Gli avvocati si sono radunati sul pianerottolo da basso, a decidere che fare; per un verso non avevano alcun diritto esplicito ad entrare, e quindi non potevano agire legalmente contro il funzionario, e dovevano anche evitare, come già accennato, di inimicarsi l’intera classe dei funzionari. Ma per un altro verso, per loro ogni giorno che passano fuori del tribunale è un giorno perduto, per cui tenevano molto a entrare. Finalmente si misero d’accordo, avrebbero cercato di stancare il vecchio signore. A rotazione, mandavano su uno degli avvocati, che correva su per la scala, e poi, opponendo la miglior resistenza che poteva, ma solo passiva, si lasciava buttare giù, dove veniva preso al volo dai colleghi. E’ andata avanti così per un’oretta, e poi il vecchio signore, già estenuato dal lavoro fatto di notte, si è stancato davvero ed è ritornato nel suo ufficio.”

[86] La sinteticità degli atti di parte e giudice è prevista dall’art. 3 c.p.a., ed è stata declinata in termini quantitativi, per gli atti di parte nel rito appalti, con d.P.C.S., in attuazione dell’art. 120, c. 6, c.p.a., come novellato dal d.l. n. 90/2014. La disciplina opera ora a regime, dopo un periodo di sperimentazione biennale, monitorato dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Sull’esito di tale monitoraggio v. delibera del plenum in data 15.7.2016.

[87] In questa prospettiva, il d.P.C.S. di determinazione delle materie di competenza delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato per l’anno 2016, ha concentrato quasi tutto il contenzioso sui contratti pubblici presso un’unica sezione, la V.

[88] Per la precisione, 56, di cui 4 tra il 2006 e il 2010, 52 dal 2011 alla data odierna; in particolare:

dal 2006 al 2010: ad. plen. nn. 11/2007; 9/2008; 11/2008; 12/2008

2011: nn. 4/2011; 10/2011; 13/2011; 16/2011;

2012: nn. 1/2012; 8/2012; 10/2012; 21/2012; 22/2012; 26/2012; 27/2012; 30/2012; 31/2012; 33/2012; 34/2012; 36/2012;

2013: 1/2013; 3/2013; 4/2013; 5/2013; 8/2013; 13/2013; 14/2013; 15/2013; 16/2013; 19/2013; 20/2013; 23/2013; 24/2013; 29/2013;

2014: 1/2014; 7/2014; 8/2014; 9/2014; 10/2014; 13/2014; 14/2014; 16/2014; 17/2014; 27/2014; 34/2014;

2015: 3/2015; 8/2015; 9/2015; 10/2015; 11/2015;

2016: nn. 5/2016; 6/2016; 10/2016; 19/2016; 20/2016; 22/2016.

Si rinvia in argomento a R. DE NICTOLIS, L’adunanza plenaria e i pubblici appalti dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (Rassegna), in www.giustizia-amministrativa.it.

[89] Sul piano organizzativo, rilevano misure volte a colmare i vuoti di organico, a rivedere le piante organiche dei Tar, a creare sezioni specializzate sui contratti pubblici nei Tar di maggiori dimensioni: i dati statistici sulle sopravvenienze dell’ultimo quinquennio davanti ai Tar denotano che, arretrato a parte, il sistema sarebbe pressoché in equilibrio se funzionasse ad organico pieno, o con un minimo aumento di organico; sul piano della “cultura” del processo, si tratta di applicare in concreto il principio di sinteticità degli atti di parte e del giudice (diffondendone la relativa cultura mediante protocolli condivisi, formazione di magistrati e avvocati, concorsi di accesso alla carriera forense e magistratuale) e di valorizzare la funzione nomofilattica della plenaria.

[90] Si legge nel parere n. 855/2016: “Entro un anno dalla data di entrata in vigore del codice, il Governo potrà adottare disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura dettati dalla delega per il codice (art. 1, comma 8, legge delega).

La ristrettezza dei tempi di esercizio della delega (meno di tre mesi dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo), imporrà un supplemento di riflessione su alcuni istituti innovativi.

Sicché, se ordinariamente i decreti correttivi intervengono dopo un congruo periodo di applicazione pratica di codici e testi unici, al fine di emendare difetti emersi, nel caso specifico è prevedibile che già all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del codice, si dovrà essere pronti a lavorare a un affinamento delle sue disposizioni al fine, ove necessario, di rapide correzioni.

Del resto la legge delega non pone limiti al numero di decreti correttivi, nell’ambito del periodo temporale massimo consentito.

Anche in questo caso, si confida che la Cabina di regia possa assumere un ruolo di coordinamento nell’opera emendativa.”

II.h).2. Si deve sotto altro profilo rilevare che i correttivi conseguono un effetto utile se intervengono dopo un ragionevole periodo di applicazione pratica, necessario per una compiuta verifica di impatto della regolamentazione. Nel caso di codificazioni settoriali, specie se, come in questo caso, vi sono numerosi regimi transitori, un periodo ragionevole di osservazione è almeno biennale.

Sicché, l’obiettivo del correttivo rischia di essere vanificato se viene previsto un periodo troppo breve.

Sotto tale profilo, questo Consiglio esprime l’auspicio che il Governo possa sensibilizzare il Parlamento in ordine a un allungamento da uno a due anni del termine per i correttivi.

II.h).3. Una volta completata la fase di prima “messa a punto” della disciplina, si ribadisce l’esigenza che i successivi decreti correttivi muovano da una effettiva rilevazione, “in concreto”, delle disfunzioni della normativa vigente, ovvero del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tale rilevazione è oggi perseguibile con corrette tecniche di VIR (cfr. retro, il punto II.f).5). Senza tale analisi preventiva, anche i correttivi rischiano di trasformarsi in un ulteriore intervento poco efficace, se non oneroso e controproducente”.

Si legge in altro passaggio del citato parere: “Andranno poi utilizzate tutte le potenzialità consentite da avvisi di rettifica e errata corrige, per eliminare refusi inevitabili in un testo di tale ampiezza, ai sensi degli artt. 8, comma 2, d.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092; 14 e 15, d.P.R. 14 marzo 1986, n. 21 [sulla verifica e correzione di refusi ed errori materiali attraverso il ricorso agli istituti dell’errata corrige e dell’avviso di rettifica, v. Cons. St., sez. norm., 26 luglio 2011, n. 2602/11].

È appena il caso di ricordare che la ripubblicazione corredata di tabelle e rubriche aggiornate, gli avvisi di rettifica e gli errata corrige, avendo portata chiarificativa e non innovativa, non sottostanno alla scadenza del termine della delega.”.

[91] Avviso di rettifica, <<Comunicato relativo al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (GU Serie Generale n. 164 del 15.7.2016).

[92] Si legge nel parere n. 855/2016: “La rilevanza cruciale della ‘fase attuativa’ di qualsiasi processo di cambiamento ordinamentale (a maggior ragione se esso è rilevante quale quello in oggetto) è spesso ingiustamente e ingiustificatamente sottovalutata, come questo Consiglio di Stato ha avuto recentemente modo di ribadire (cfr., da ultimo, il citato parere della Sezione per gli atti normativi n. 343 del 24 febbraio 2016).

Una riforma, per quanto ben costruita, è tale solo quando raggiunge un’effettiva attuazione, che sia in grado di incidere ‘in concreto’ su cittadini e imprese, migliorandone il rapporto con il pubblico potere, semplificando l’esercizio delle attività private, modificando positivamente gli indicatori dell’economia e della qualità della vita.

Rispetto alla redazione del codice, non è di minore importanza la successiva fase di implementazione: l’esperienza internazionale (soprattutto in sede OCSE) insegna che il successo (o il fallimento) di una riforma dipende soprattutto dalla sua attuazione successiva, tramite la normativa secondaria, la regolazione e i provvedimenti applicativi da parte delle pubbliche amministrazioni.

Tale attività, come si è appena detto (cfr. retro, alla fine del punto II.f), dovrà essere l’oggetto principale della fase di monitoraggio e di valutazione ex post dell’impatto della riforma.”

[93] Non risultano ancora adottate le LG sulla qualificazione; sono in dirittura d’arrivo quelle sui commissari di gara, che tuttavia prevedono, per la concreta operatività dell’Albo, un ulteriore regolamento dell’ANAC; questo ulteriore rinvio in avanti è stato criticato dal parere del Consiglio di Stato: v. Cons. St., sez. affari normativi, comm. spec., 14.9.2016 n. 1919.

[94] C. conti, sez. giur. Molise, 15.1.2014 n. 3; Id., sez. I giur. centr. app., 31.1.2013 n. 77/A; Id., sez. II giur. centr. app., 23.7.2013 n. 481/A; Id., sez. giur. reg. Valle d’Aosta, 28.1.2013 n. 1; Id., sez. giur. Abruzzo, 29.12.2010 n. 576; Id., sez. giur. Trento, 4.12.2009 n. 58; Id., sez. giur. reg. Lazio, 22.2.2007 n. 180; Id., sez. giur. Marche, 7.11.2006 n. 803; Id., sez. giur. app. Sicilia, 1.8.2006 n. 150/A; Id., sez. giur. Trento, 12.4.2006 n. 28; Id., sez. giur. Toscana, 19.12.2005 n. 792; Id., sez. giur. Campania, 28.11.2002 n. 142; Id., sez. giur. Veneto, 7.8.2000 n. 949; Id., sez. giur. Campania, 16.11.1999 n. 80; Id., sez. giur. Marche, 1.4.1998 n. 1710; Id., sez. giur. Lombardia, 1.12.1995 n. 1291; Id., sez. I, 6.12.1994 n. 163; Id., sez. giur. Sicilia, 19.10.1994 n. 175/R

[95] TACITO, Corruptissima re publica plurimae leges (Annales, Libro III, 27.

[96] M. AINIS, La selva oscura dei 100mila codici”, in La Repubblica, 24.8.2016.

V. anche S. MICOSSI, Leggi scritte male, applicate peggio, in Repubblica, Affari&Finanza, 6 ottobre 2014, secondo cui: <<…se si correggessero queste pratiche, si facesse piazza pulita delle migliaia di speciali provvidenze per questo e per quello, e si puntasse a costruire un sistema regolamentare semplice e valido in generale, l’economia rifiorirebbe. Il punto di partenza è l’istituzione di solidi filtri nel governo e in parlamento contro le degenerazioni (…) dell’attività legislativa, con chiari indirizzi e poteri invalicabili d’interdizione. Solo allora l’obbiettivo della semplificazione incomincerà ad avere un contenuto concreto.>>; C. SARACENO, I danni collaterali della legge, in La Repubblica, 29 agosto 2016, secondo cui il processo legislativo in Italia è rallentato <<(…) da leggi scritte male, che richiedono “interpretazioni autentiche”, o che individuano male (per superficialità del legislatore, scarsa conoscenza del fenomeno, cattivo uso delle informazioni) i propri obbiettivi e perciò, inevitabilmente li mancano.>>; M. AINIS, I posteri (purtroppo) non votano, in L’Espresso 4 settembre 2016, secondo cui: <<Le leggi italiane tremano, come i terremoti. Sono volubili, precarie…Emergenze e regole, ecco il problema. Perché le nostre regole viaggiano sempre sull’onda dell’ultima emergenza, vera o presunta…..La politica reagisce somministrando norme come sedativi…Allora servirebbe quantomeno un diritto più stabile e più chiaro>>.

[97] Si legge nel parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice: “La codificazione raccoglie le disposizioni già vigenti, le coordina con quelle di nuovo conio, e guarda al futuro, mirando a evitare la riproliferazione di normative extravaganti.

A tal scopo viene enunciata, tra le clausole finali o iniziali, quella di “riserva di codice”, con cui si chiede, in coerenza con l’obbiettivo dell’”autosufficienza” della codificazione, che ogni futuro intervento normativo nelle materie del codice sia fatto con esplicita modifica del codice medesimo (v. nel presente codice, art. 118).

Nell’intento del legislatore, i codici, i t.u., le leggi quadro (o di portata generale) al cui interno sono collocate clausole di salvaguardia come quella in esame, dovrebbero avere una particolare forza giuridica, tale che non è consentita la modificazione o abrogazione se non con disposizione espressa; tuttavia tale regola non è posta da nessuna norma della Costituzione, che è l’unica fonte idonea a stabilire la gerarchia delle fonti ad essa subordinate. Sicché una legge ordinaria, ancorché di “sistema” o “generale”, ha la stessa forza e valore di una qualsiasi altra legge e non si sottrae, pertanto, alla possibilità di una abrogazione tacita secondo quanto sancito dall’art. 15 disp. prel. Sul piano formale, si rileva l’impossibilità giuridica che forme di auto rafforzamento contenute in norme primarie, in modo esplicito o implicito, possano determinare la resistenza passiva di una disposizione rispetto all’abrogazione implicita operata da una fonte successiva equiparata.

Il principio resta perciò privo di vincolatività giuridica per il legislatore successivo, ma non per questo privo di considerevoli effetti giuridici, puntualmente illustrati dal Consiglio di Stato [Cons. St., sez. norm., 26 luglio 2011, n. 2602/11] e dalla Corte costituzionale [sentenza 22 aprile 1997, n. 111], e così sintetizzabili:

a) vincolo esegetico (per cui in caso di dubbio sulla portata abrogatrice o modificativa di una legge successiva, il principio di coerenza dell’ordinamento deve indurre a ritenere che la legge successiva non abbia abrogato o modificato tacitamente la precedente);

b) effetto monitorio (che indirizza una sorta di messaggio affinché gli atti normativi futuri incidano con chiarezza sull’articolato e non con modificazioni o abrogazioni tacite);

c) effetto di indirizzo (rispetto all’attività normativa futura, affinché i titolari del potere di iniziativa e coordinamento normativo assicurino – in sede di istruttoria tecnica e soprattutto di ATN, ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio del 1° settembre 2008 – la coerenza del sistema attraverso l’inserzione delle nuove disposizioni all’interno della legge di settore, codice o testo unico che sia, nella logica dell’impegno dei regolatori, nei confronti di cittadini e imprese, al rispetto dei canoni di better regulation).”

[98] G. TOMASI DI LAMPEDUSA, Il Gattopardo, pag. 33 edizione La Biblioteca di Repubblica.