Consiglio di Stato, Sez. III, 7 luglio 2016, n. 3008

1. In tema informativa antimafia, il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del “più probabile che non”: la regola di giudizio da applicare, quindi, ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso. Ne consegue che gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

2. L'Amministrazione può ragionevolmente attribuire rilevanza - quando non siano frutto di casualità o di necessità - ad elementi quali i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell'impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia (2).

 

(2)In senso conforme: Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 3 maggio 2016, n. 1743, Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 5 settembre 2012 n. 4708; Consiglio di Stato, sentenza n. 3057/10; Consiglio di Stato, sentenza n. 1559/10; 3491/09, Consiglio di Stato, sentenza n. 5130 del 2011; Consiglio di Stato, sentenza n. 2783 del 2004; Consiglio di Stato, sentenza n. 4135 del 2006, Consiglio di Stato, sentenza n. 4724 del 2001, Consiglio di Stato, sentenza n. 7260 del 2010.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7237 del 2015, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Di Lieto, con domicilio eletto presso lo studio della dott.ssa Santina Murano in Roma, via Pelagio I, n. 10; 

contro

l’Ufficio Territoriale del Governo (U.T.G.) - Prefettura di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliato per legge; 
il Comune di Lamezia Terme ed il Comune di Vibo Valentia; 
il Comune di Nicotera, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Bartone, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Primo Conti, n. 23; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Calabria, Sezione I^ di Catanzaro n. 951 del 2015, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. - Prefettura di Vibo Valentia e del Comune di Nicotera;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli Avvocati Andrea Di Lieto e Giovani Bartone e l'Avvocato dello Stato Marco La Greca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1. Con ricorso n. 1052 del 2013 (proposto al TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro), la -OMISSIS- ha impugnato l’informativa antimafia interdittiva n. 21168 dell’8 luglio 2013, emessa dal Prefetto di Vibo Valentia, e gli atti conseguenziali ad essa (note n. 197467/2013 del Comune di Lamezia Terme, n. 6704/2013 del Comune di Nicotera, n. 31940/2013 del Comune di Vibo Valentia, di revoca o rescissione ed annullamento con riferimento a lavori già appaltati in suo favore); con successivi motivi aggiunti la società ha poi impugnato gli atti istruttori acquisiti in sede processuale.

1.1 -Nel ricorso introduttivo di primo grado, la società ricorrente ha dedotto i vizi di difetto di istruttoria e di carenza di motivazione, rilevando che non vi sarebbero stati i necessari presupposti per l’adozione del provvedimento interdittivo e dei conseguenti atti applicativi.

2. - L’Amministrazione intimata, nel costituirsi in giudizio, ha rilevato invece l’infondatezza dell’impugnazione, sostenendo che il provvedimento prefettizio sarebbe stato legittimamente adottato.

3. - Si sono costituiti in giudizio anche i Comuni di Vibo Valentia e di Nicotera, rilevando la natura vincolata dei provvedimenti da essi adottati in applicazione dell’interdittiva antimafia.

4. - Con la sentenza n. 951 del 2015 il ricorso è stato respinto.

5. - Con il ricorso in appello la-OMISSIS-ha censurato la sentenza di primo grado, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 83 e seguenti del D.Lgs. 159/2011, il vizio di eccesso di potere sotto diversi profili, tra i quali in particolare l’illogicità e l’erroneità della motivazione, il travisamento dei fatti.

6. - Si è costituita nel giudizio di appello l’Amministrazione appellata, che ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.

7. - Si è costituito, inoltre, il Comune di Nicotera, deducendo che il proprio provvedimento di revoca dell’appalto assegnato alla-OMISSIS-avrebbe avuto natura vincolata e sarebbe, quindi, legittimo.

8. - Con l’ordinanza n. 4421 del 2015, la domanda cautelare è stata respinta.

9. - All’udienza pubblica del 28 aprile 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno richiamare il contenuto dell’informativa antimafia impugnata nel presente giudizio.

A carico del sig. -OMISSIS-risultano i seguenti pregiudizi:

a) la sentenza di condanna per violazione di norme in materia edilizia e sul conglomerato cementizio armato; il decreto penale per danneggiamento con l’aggravante di cui all’art. 625, n. 7, c.p.; il procedimento penale per la violazione della direttiva appalti sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi, sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio (la sentenza è stata appellata);

b) la frequentazione di soggetti sul cui conto gravano precedenti di polizia per associazione per delinquere, usura, estorsione, truffa, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, rapina, minaccia, ricettazione, violazione di norme in materia di sostanze stupefacenti; tra questi figurano i nipoti del capo dell’omonima cosca del capoluogo di provincia, uno di questi già avvisato oralmente;

c) egli è figlio convivente di -OMISSIS- titolare di ditta individuale (che svolge attività nel campo di produzione e fornitura di conglomerati cementizi, lavorazioni rete metalliche, autotrasporto merci per conto terzi, costruzione di opere idrauliche) con a carico alcuni precedenti penali, tra i quali una condanna a mesi 8 di reclusione per omicidio colposo (art. 589 c.p.), pena condonata;

d) la-OMISSIS-è stata presa in considerazione nell’ambito dello scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata ex art. 143 del D.lgs. n. 267/2000 del Comune di Mileto (VV), avvenuto nell’anno 2012, in quanto risultante tra le ditte legate da rapporti di stretta parentela con amministratori, che hanno ricevuto numerosi incarichi affidati in via diretta;

e) rapporti economici (subappalto e prestito di personale dipendente) sono stati intrattenuti tra la-OMISSIS-e altra ditta di proprietà di soggetto legato al contesto criminale del territorio confluita, a seguito di cessazione di attività, nella -OMISSIS-», destinataria di informazione interdittiva emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria in data 7 aprile 2011;

f) rapporti di cointeressenza risultano tra il titolare della -OMISSIS-e il padre convivente, -OMISSIS- il quale ha assunto nell’anno 2010 soggetti risultati dipendenti nello stesso anno di imposta della predetta -OMISSIS-»;

g) il sig. -OMISSIS-risulta, inoltre, iscritto nel proc. penale n.1352/11 mod. 21, per il reato previsto dall’art. 640 bis c.p. e dagli artt. 2 e 8, c. 1, del d.lgs. n. 74/2000, accertato in Vibo Valentia in data 20 giugno 2011 (c.d. operazione Resort);

h) a carico del citato amministratore unico pende, inoltre, presso il Tribunale di Vibo Valentia, il procedimento penale n. 1710/09 RGNR mod. 21, per il reato di subappalto non autorizzato ex art. 21 della legge n. 646/1982, essendo stata la -OMISSIS- rinvenuta operativa in un cantiere senza la necessaria autorizzazione; dalle risultanze dell’attività di indagine è emersa l’elusione della normativa antimafia riguardante il subappalto, attraverso la strumentale rappresentazione di un fittizio contratto di nolo a freddo tra la -OMISSIS-e l’effettiva aggiudicataria, con sequestro dell’intera area di cantiere;

i) dagli ulteriori atti (nota della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro-Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro del 28 giugno 2013, con la quale è stato inviato uno stralcio della informativa c.d. «Insider Dealing 2» confluita nel procedimento penale n.1878/2007, pendente presso il predetto Ufficio giudiziario), la polizia giudiziaria ha evidenziato i contatti mediati tra il citato sig. -OMISSIS-ed il genero di un elemento di vertice di una nota famiglia mafiosa della provincia, tratto in arresto in tale procedimento per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. in epoca coincidente con l’espletamento da parte di -OMISSIS-dei lavori ritenuti dallo stesso effettuati in violazione della normativa antimafia riguardante il subappalto.

In tale ambito, il sig. -OMISSIS-si rivolgeva al soggetto arrestato «al fine di ottenere quelle forme di protezione ritenute spettanti in ragione della compiacenza e contiguità all’organizzazione criminale».

2. - Il TAR, dopo aver acquisito in giudizio gli atti istruttori sui quali si fonda la stessa informativa impugnata, ha rilevato che «il pericolo di condizionamento da parte di organizzazioni criminali della ditta ricorrente si fonda, essenzialmente, sui rapporti che intercorrono tra il -OMISSIS-ed il -OMISSIS-, tratto in arresto per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. (partecipazione al clan Mancuso), in epoca coincidente con l’espletamento da parte del -OMISSIS-dei lavori afferenti la manutenzione straordinaria S.P. di Cessaniti-Favelloni-Conidoni e sugli appalti ottenuti dal Comune di Mileto, sciolto per infiltrazione mafiosa».

Egli, infatti, «in concomitanza con le pretese di -OMISSIS-e -OMISSIS-di imporre i loro mezzi meccanici nel cantiere, nella notte tra il 07/05/2009 ed il successivo 08/05/2009, cercava di contattare telefonicamente -OMISSIS-, elemento di spicco della malavita locale, al fine di farlo intercedere in suo favore, di fatto riconoscendo il controllo a quest’ultimo sull’appalto in corso».

2.1 - Ha poi richiamato il primo giudice la sentenza del TAR Lazio n. 4440 del 2013, relativa al decreto di scioglimento del Comune di Mileto per infiltrazione mafiosa, e la sentenza di questa Sezione n. 727 del 2014 di conferma della decisione di primo grado, nella quale si precisa che molti affidamenti irregolari – senza l’espletamento di gare ad evidenza pubblica – sono stati effettuati proprio alle --OMISSIS-e -OMISSIS-, riconducibili – secondo elementi investigativi svolti dalla D.D.A. di Catanzaro – alla ‘cosca dei Mancuso’.

2.2 - Il TAR ha poi approfondito lo stretto legame esistente tra le due società e tra la società interdetta e la -OMISSIS-», anch’essa destinataria di interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria.

2.3 – Secondo il TAR, il provvedimento prefettizio risultava basato su una pluralità di elementi che, unitariamente considerati, costituivano un quadro indiziario sufficiente a fondare il giudizio di pericolo di condizionamento dell’attività imprenditoriale da parte della criminalità organizzata.

Il primo giudice ha dunque ritenuto legittimo il provvedimento prefettizio ed i conseguenti provvedimenti comunali di recesso e revoca degli affidamenti di lavori.

3. - Con il primo motivo, l’appellante ha dedotto – in estrema sintesi – che:

- le frequentazioni sulle quali si fonderebbe il provvedimento impugnato sarebbero in realtà ‘meri incontri occasionali’, risalenti nel tempo;

- gli incontri con il signor -OMISSIS-sarebbero giustificati, essendo stato quest’ultimo dipendente della società tra il 6 settembre 2011 ed il 23 marzo 2012 con la qualifica di manovale edile;

- lo stesso Comando dei Carabinieri di Vibo Valentia avrebbe escluso la rilevanza di tali frequentazioni;

- il signor -OMISSIS-non sarebbe stato coinvolto nell’indagine denominata ‘Insider Dealing 2’;

- vi sarebbe stato un solo contatto tra il signor -OMISSIS-, legale rappresentante della società appellante, ed il signor -OMISSIS-, che all’epoca era dipendente della società -OMISSIS- per conto della quale la -OMISSIS-. stava eseguendo un subappalto, non essendovi altri rapporti tra i due;

- la discussione con il sig. -OMISSIS-dimostrerebbe l’insussistenza di qualunque rapporto con la criminalità organizzata;

- il signor -OMISSIS- avrebbe denunciato un furto subito presso il cantiere, a dimostrazione del suo spirito di collaborazione con le forze dell’ordine;

- i contatti con la ditta -OMISSIS-non avrebbero alcun significato, trattandosi di rapporti commerciali, come già ritenuto dal TAR Calabria nella sentenza n. 1067 del 2014, passata in giudicato;

- irrilevante sarebbe il riferimento agli appalti conseguiti dal Comune di Mileto, sciolto per infiltrazione mafiosa.

Pertanto, secondo l’appellante la sentenza sarebbe erronea ed immotivata, in quanto basata su presupposti inesistenti e mal valutati.

4. - Prima di esaminare i motivi di impugnazione, è opportuno richiamare, sinteticamente, taluni principi espressi recentemente dalla Sezione in tema di interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):

-- l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;

-- quanto alla ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

-- ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

-- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

-- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

-- pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

-- tra gli elementi rilevanti – per quanto di interesse in base al contenuto dell’interdittiva oggetto di giudizio – vi sono «i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia, l’Amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità.

(…) Tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del «più probabile che non», che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario - scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi.

(…) Quand’anche ciò non risulti punibile (salva l’adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge.

(…) In altri termini, l’imprenditore che – mediante incontri, telefonate o altri mezzi di comunicazione, contatti diretti o indiretti – abbia tali rapporti (e che si espone al rischio di esserne influenzato per quanto riguarda le proprie attività patrimoniali e scelte imprenditoriali) deve essere consapevole della inevitabile perdita di ‘fiducia’, nel senso sopra precisato, che ne consegue (perdita che il provvedimento prefettizio attesta, mediante l’informativa)».

Rilevano, inoltre, «le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa», quali il subappalto e il prestito di personale dipendente, i contatti con imprese legate al contesto criminale del territorio, i rapporti di cointeressanza tra società e l’assunzione di personale dipendente di imprese interdette per sospetta infiltrazione mafiosa;

- rilevano, infine, tra i tanti elementi, anche i rapporti di parentela con soggetti collegati con gli ambienti malavitosi;

- «rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel procedimento: una visione parcellizzata di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri»;

- nondimeno, la valutazione del provvedimento prefettizio si può ragionevolmente basare anche su un solo indizio, che comporti una presunzione, qualora essa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari».

A questi principi enucleati di recente dalla Sezione, occorre aggiungere quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza:

- non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del ‘più probabile che non’ - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012 n. 4708; Cons. Stato n. 3057/10; 1559/10; 3491/09);

- la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla norma e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni assunte, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011; Cons. Stato, n. 2783 del 2004; Cons. Stato n. 4135 del 2006);

- l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la valutazione prefettizia sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001).

Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato n. 7260 del 2010).

5. - Alla luce di tali principi, l’appello è infondato e va dunque respinto.

5.1 - Correttamente il TAR, dopo aver visionato la documentazione prodotta in giudizio in seguito all’ordinanza istruttoria (ed in particolare, lo stralcio dell’informativa della DDA di Catanzaro, la copia della sentenza n. 727 del 2014 emessa dal Consiglio di Stato, relativa allo scioglimento del Consiglio Comunale di Mileto, la copia del rapporto del Comando Provinciale di Vibo Valentia del 4 luglio del 2014), ha attribuito rilievo - per la valutazione del rischio di condizionamento della criminalità organizzata nell’esercizio dell’attività di impresa - ai contatti mediati tra il signor -OMISSIS-, amministratore unico della società appellante, ed un soggetto, genero di un elemento di vertice di una nota famiglia mafiosa della provincia, tratto in arresto in tale procedimento per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. in epoca coincidente con l’espletamento da parte di -OMISSIS-dei lavori ritenuti dallo stesso effettuati in violazione della normativa antimafia riguardante il subappalto.

In tale ambito, il sig. -OMISSIS-si rivolgeva al soggetto arrestato «al fine di ottenere quelle forme di protezione ritenute spettanti in ragione della compiacenza e contiguità all’organizzazione criminale».

5.2 - Dalla disamina della documentazione versata in atti (v. lo stralcio dell’informativa cd. ‘Insider Dealing 2’ depositata dalla Guardia di Finanza, Nucleo di Polizia Tributaria di Trieste unitamente alla Compagnia di Vibo Valentia, in particolare le pagine 1326 e seguenti), emerge in modo palese il pericolo di condizionamento della criminalità organizzata sulla società appellante: da tale rapporto emerge che il signor -OMISSIS-stava eseguendo presso il cantiere sito in Cessaniti (VV) sulla strada provinciale Cessaniti- Favelloni- Condoni SS 522, nei pressi del bivio per le frazioni di San Marco e San Cono, in località Curtaglie-Nucarella, i lavori di costruzione di una variante alla preesistente strada provinciale SS 522, lavori appaltati dall’Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia alla -OMISSIS-, opere subappaltate contra legem alla-OMISSIS-attraverso la metodologia di contratti di nolo a freddo tra l’aggiudicataria e l’effettiva esecutrice delle opere.

A seguito della richiesta di effettuare i lavori da parte del sig. -OMISSIS-(sorvegliato speciale di PS contiguo al tessuto mafioso) e di -OMISSIS-(cognato di -OMISSIS-, capo dell’omonima cosca operante nel comprensorio del Poro), ed in seguito al furto di materiale a fini intimidatori, il signor -OMISSIS-ha chiesto l’‘intercessione’ del signor -OMISSIS-, ben conscio della sua caratura nell’ambiente malavitoso, «al fine di ottenere quelle forme di protezione ritenute spettanti in ragione della compiacenza e contiguità all’organizzazione criminale» (cfr. pag. 1336).

Detto elemento – già da solo – è in grado di sorreggere l’interdittiva antimafia, costituendo indizio grave di permeabilità dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

5.3 - L’interpretazione della vicenda fornita dalla difesa dell’appellante non risulta condivisibile, in quanto contrasta con gli accertamenti e le valutazioni svolte dalle forze dell’ordine:

- la vicenda in questione, infatti, è riportata negli atti di indagine denominata ‘Insider Dealing 2’, nella quale compare il nominativo dell’amministratore della società interdetta;

- i lavori sono stati eseguiti in violazione del divieto di subappalto, sulla base di un fittizio nolo a freddo;

- la denuncia del -OMISSIS-non assume alcun significato, in quanto si tratta di un esponente di una cosca concorrente a quella presso la quale il sig. -OMISSIS-si è rivolto per ottenere protezione.

5.4 - Inoltre, particolare rilievo – come ha correttamente sottolineato il TAR – assume la vicenda relativa agli affidamenti in violazione della normativa sugli appalti pubblici da parte del Comune di Mileto, sciolto per infiltrazione mafiosa, ottenuti in considerazione di rapporti di parentela.

5.5 - In aggiunta a tali elementi, correttamente il primo giudice ha fatto riferimento anche alle relazioni intercorrenti con la società del padre, signor -OMISSIS- e allo scambio di dipendenti tra le due società e con la -OMISSIS- destinataria di informativa antimafia, emessa dal Prefetto di Reggio Calabria.

Lo scambio di dipendenti, alcuni dei quali contigui o organici alla criminalità organizzata, o l’assunzione di soggetti controindicati anche nello svolgimento di mansioni di ordine, costituisce una modalità tipica attraverso cui si estrinseca nella pratica il condizionamento mafioso, sicché l’assunzione del signor -OMISSIS-– nipote del capo dell’omonima cosca Lo Bianco Carmelo (cfr. verbale del Gruppo Tecnico del 30 novembre 2012) – da parte della -OMISSIS-anziché giustificare la frequentazione, come deduce l’appellante, risulta indicativa - in base al criterio del ‘più probabile che non’ - della permeabilità o del condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

5.6 - Sulla base di tali elementi, che si connotano per la concretezza e la concordanza, la valutazione operata al Prefetto risulta immune dai vizi dedotti, tenuto conto che l’interdittiva antimafia può essere disposta non soltanto per le ipotesi previste dall’art. 84 del Codice delle leggi antimafia – come deduce l’appellante, ma anche nei casi riconducibili all’art. 91 del D.Lgs. n. 159 del 2011, richiamato nel provvedimento impugnato.

6. - L’appello va dunque respinto, con conferma della sentenza di primo grado, che ha respinto il ricorso di primo grado ed i successivi motivi aggiunti.

7. - Le spese del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello RG 7237 del 2015 e, per l’effetto, conferma la sentenza del TAR Calabria, Sezione I di Catanzaro, n. 951 del 2015 che ha respinto il ricorso di primo grado RG 1117 del 2013 ed i successivi motivi aggiunti.

Condanna l’appellante a rifondere le spese sostenute dall’Amministrazione statale appellata e dal Comune di Nicotera costituitisi in giudizio, che liquida in complessivi € 6.000 (seimila/00) da dividersi in parti uguali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i nominativi delle persone fisiche e delle società indicate nella sentenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Carlo Deodato, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

Guida alla lettura

La sentenza che si segnala affronta il tema della valutazione delle misure interdittive antimafia e, cominciando dalle recenti  pronunce della III Sezione del Consiglio di Stato, enuncia i seguenti principi espressi in materia:

-- l'informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del D.Lgs. n. 159 del 2011, presuppone "concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata";
-- l'istituto dell’interdittiva antimafia costituisce una misura volta, ad un tempo, alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: ne consegue, quindi, che il Prefetto possa escludere che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti "affidabile") e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
-- ai fini dell'adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento, in quanto il rischio di una visione 'parcellizzata' di un singolo elemento, o di più elementi, è quello di far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

-- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né occorre l'accertamento di responsabilità penali, quali il "concorso esterno" o la commissione di reati aggravati ai sensi dell' art. 7 della L. n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, diretta a prevenire un grave pericolo e non certo a punire, neppure indirettamente, una condotta penalmente rilevante;

-- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più "probabile che non", alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

-- gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;
-- l'Amministrazione può ragionevolmente attribuire rilevanza - quando non siano frutto di casualità o di necessità - ad elementi quali i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell'impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia.

Infatti, tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, sempre secondo la logica del "più probabile che non", che l'imprenditore - direttamente o anche tramite un proprio intermediario - scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi. Condotta che - quand'anche consapevole e tuttavia non punibile (salva l'adozione delle misure di prevenzione) – si pone su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) e che determina la reazione dello Stato, espressa dall'esclusione dell'imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque dagli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge.

 

In via esemplificativa, il Collegio precisa che rilevano "le vicende anomale nella concreta gestione dell'impresa", quali “il subappalto e il prestito di personale dipendente, i contatti con imprese legate al contesto criminale del territorio, i rapporti di cointeressanza tra società e l'assunzione di personale dipendente di imprese interdette per sospetta infiltrazione mafiosa; i rapporti di parentela con soggetti collegati con gli ambienti malavitosi; il complesso degli elementi concreti emersi nel procedimento: una visione parcellizzata di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri".

La valutazione del provvedimento prefettizio si può ragionevolmente basare anche su un solo indizio che comporti una presunzione, purchè ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari.

A questi principi, il Collegio aggiunge quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza, secondo cui:

- non è richiesta la prova dell'attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile - secondo il principio del 'più probabile che non' - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio);

- la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose è di competenza del Prefetto ed è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non gli impedisce di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla norma e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni assunte, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto;

- l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la valutazione prefettizia sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti; mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento.