1. Ambito di applicazione: i contratti, tra validità e periodo di efficacia. 2. Le varianti progettuali. 3. Procedura di autorizzazione. Obblighi di informazione e comunicazione. 4. I limiti alle modifiche: il prezzo. 5. La rinnovazione del contratto e la sua durata.

 

1. Ambito di applicazione: i contratti, tra validità e periodo di efficacia.

L’articolo 1, comma 1, lett. ee), della legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, ha ad oggetto l’introduzione di misure volte a contenere il ricorso a variazioni progettuali in corso d'opera, “distinguendo in modo dettagliato tra variazioni sostanziali e non sostanziali, in particolare nella fase esecutiva (…) e prevedendo che ogni variazione in corso d'opera debba essere adeguatamente motivata e giustificata unicamente da condizioni impreviste e imprevedibili e, comunque, debitamente autorizzata dal R.U.P., con particolare riguardo all'effetto sostitutivo dell'approvazione della variazione rispetto a tutte le autorizzazioni e gli atti di assenso comunque denominati e assicurando sempre la possibilità, per l'amministrazione committente, di procedere alla risoluzione del contratto quando le variazioni superino determinate soglie rispetto all'importo originario, garantendo al contempo la qualità progettuale e la responsabilità del progettista in caso di errori di progettazione e prevedendo, altresì, l'applicazione di uno specifico regime sanzionatorio in capo alle stazioni appaltanti per la mancata o tardiva comunicazione all'ANAC delle variazioni in corso d'opera per gli appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria”.

L’articolo 106 recepisce tale delega, con una disposizione particolarmente complessa che aggrega, in un unico articolo, fattispecie precedentemente disciplinate in più articoli.

In esso è contenuta la disciplina della modifica dei contratti ancora in essere, senza nuova procedura di affidamento. Più precisamente, la norma si riferisce, già dal primo comma, a tutte le modifiche riguardanti “i contratti di appalto in corso di validità”, nonostante la rubrica dell’articolo si riferisca ai contratti di appalto in “periodo di efficacia”. L’utilizzo del termine “efficacia” sembra più propriamente tecnico e soprattutto in linea con il testo originale, in inglese e francese, delle direttive europee in materia, che fanno riferimento a contratti “during their terms” o “en cours”.

Si tratta di una differenza di non trascurabile importanza, visto che solo il termine “efficacia” include tutti i contratti di appalto che siano in corso di esecuzione, cioè quei contratti di cui non siano ancora esauriti gli effetti; mentre il termine validità si riferisce più propriamente ad aspetti formali dell’atto, indicando quella validità in senso tecnico che potrebbe venir meno, ad esempio, con provvedimento giudiziale.

La discrasia tra i due termini non è stata superata nemmeno in sede emanazione della legge della Provincia Autonoma di Trento 9 marzo 2016, n.2, che, nel riprodurre essenzialmente l’articolo 106, ha fatto ugualmente e indifferentemente riferimento ai termini “validità” ed efficacia.

L’articolo 106, strutturalmente, affronta tre profili rilevanti delle modifiche in corso di esecuzione: le varianti progettuali, le modifiche del corrispettivo e la durata e rinnovo del contratto. Trattandosi di profili eterogenei, sarebbe stato opportuno seguire le indicazioni del Consiglio di Stato che suggerivano una suddivisione in più articoli[1].

  2.  Le varianti progettuali.

La disciplina delle varianti progettuali è contenuta anzitutto nei commi da 1 a 5. Su di essa la normativa europea e la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea hanno inciso molto. In particolare il legislatore ha recepito quel bilanciamento tra l’assunto che, in fase di esecuzione dei contratti (specie di lunga durata), le modifiche contrattuali siano inevitabili e, come tali, consentite; ed il divieto, in materia di appalti pubblici, di apportare modifiche soggettive e oggettive al contratto già concluso ed in fase di esecuzione[2].  La lettera della norma, tra l’altro, sembra pressoché riprodurre l’articolo 72 della direttiva numero 24 del 2014 e l’articolo 89 della direttiva numero 25 del 2014[3].

La norma si occupa prioritariamente di individuare i casi in cui le modifiche dei contratti di appalto, nei settori ordinari e nei settori speciali, non richiedono una nuova procedura di affidamento.

Coerentemente con quanto disponeva l’articolo 132 del previgente codice, la tecnica enumerativa per l’individuazione delle varianti progettuali consentite, esprime il principio dell’eccezionalità e della tassatività dei casi in cui tali varianti sono consentite.

Il primo caso è quello delle varianti previste in clausole dei documenti di gara iniziali. Tali clausole devono essere chiare, precise ed inequivocabili al fine di definire la portata, la natura, nonché le condizioni alle quali è possibile ricorrervi, anche facendo riferimento alle varianti dei prezzi e dei costi standard ove definiti. La previsione di tali clausole non è esente da limiti. Oltre ai limiti di prezzo, le modifiche non devono alterare la natura generale del contratto.

La natura di tali previsioni va precisata. Non si tratta, infatti, di espressione di poteri autoritativi della pubblica amministrazione, ma di elementi propri della struttura privatistica del rapporto. Nonostante la loro adozione in forme pubblicistiche, infatti, il loro contenuto non è di natura provvedimentale, potendosi piuttosto riconoscere loro la natura di atto negoziale, avverso il quale l’appaltatore potrà ricorrere al giudice ordinario o al procedimento arbitrale, al fine di ottenere l’accertamento del proprio eventuale diritto e la condanna della stazione appaltante al pagamento delle somme dovute[4].

  Il secondo caso è quello delle varianti non previste nei documenti di gara iniziali, consistenti in lavori, servizi o forniture supplementari da parte del contraente originario, quando  la variazione del contraente risulti impossibile sia per motivi economici o tecnici (quali il rispetto di interoperabilità e intercambiabilità tra apparecchiature servizi o impianti forniti nell’appalto iniziale), sia perché esporrebbe la stazione appaltante a notevoli disguidi e ad una notevole duplicazione dei costi.

Si tratta di disposizione il cui contenuto si presta a diverse osservazioni.

In primo luogo si tratta di lavori, servizi e forniture che il nuovo codice si limita a definire come supplementari, senza scendere nello specifico. Inoltre non è chiaro cosa si intenda né per impraticabilità economica, né per impraticabilità tecnica. Sulla prima non si specifica se esista un limite oggettivo all’impraticabilità o se essa coincida con la duplicazione dei costi. Sulla seconda la norma sembrerebbe indicare una impossibilità connessa all’intercambiabilità ed interoperabilità tra apparecchiature che, riferendosi ai soli appalti di servizi e forniture (tra l’altro neanche in maniera tassativa), lascia la definizione dell’impossibilità alla sola discrezionalità e interpretazione della stazione appaltante.

L’articolo 57 del previgente d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nell’occuparsi della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, prevedeva la possibilità di ricorrere a forniture complementari, solo se esse fossero state destinate al rinnovo parziale di forniture ed impianti di uso corrente; o all’ampliamento di forniture ed impianti esistenti. Il quinto comma, invece, si riferiva ai lavori e ai servizi, introducendo requisiti stringenti per l’affidamento di lavori e appalti definiti complementari (e non supplementari, come vengono definiti nel nuovo codice). Le modifiche venivano essenzialmente equiparate a nuovi contratti, con conseguenze pratiche di rilievo tanto su un piano giuridico, quanto su un piano contabile.

La definizione di “lavori supplementari” è diversa da quella di “lavori complementari” contenuta nel precedente codice. Su tale definizione, l’AVCP (ora ANAC) precisò che si trattava di opere “che da un punto di vista tecnico-costruttivo rappresentino un’integrazione dell’opera principale, saldandosi inscindibilmente con essa, giustificavano l’affidamento e la relativa responsabilità costruttiva ad un unico esecutore”. È ipotizzabile che l’Autorità sarà chiamata ad operare altrettante precisazioni per la definizione di lavori supplementari.

Anche l’utilizzo della nozione “notevoli disguidi”, nella sua genericità, appare eccessivamente esposta ad interpretazioni flessibili difficilmente sindacabili; senza contare che non è chiaro se tale nozione si riferisca a disagi relativi all’esecuzione delle prestazioni, a disagi della stazione appaltante o a disagi della collettività di utenti, visto che si tratta di nozione del tutto estranea alla materia dei contratti pubblici.

L’utilizzo dell’espressione “notevole duplicazione dei costi” sembrerebbe scelta altrettanto infelice del legislatore, visto che non precisa se ci si riferisca ad un incremento oggettivo, consistente in un aumento notevole o in una letterale duplicazione, oppure un incremento soggettivamente valutabile dalla stazione appaltante.

  Il terzo caso è quello delle varianti in corso d’opera, cioè quelle modifiche genericamente necessarie a causa di circostanze non previste e non prevedibili da parte della stazione appaltante, che comunque non alterino la natura generale del contratto.

Si tratta, quindi, di varianti ancorate ad un parametro qualitativo (natura del contratto) e ad un parametro normativo (circostanze imprevedibili)[5]. Proprio quest’ultimo parametro si è rivelato fondamentale – in vigenza del precedente codice – per evitare che lo strumento delle varianti in corso d’opera si prestasse ad utilizzi distorti. Il rischio, infatti, è che senza il parametro dell’imprevedibilità, le varianti in corso d’opera possano essere utilizzate per sanare errori della progettazione già noti all’appaltatore in fase di gara[6].

L’articolo 132 si occupava delle varianti progettuali o, più precisamente, delle varianti in corso d’opera. La disciplina enumerava i motivi per cui le varianti in corso d’opera fossero ammissibili così come nell’articolo 106, ma includendo nel novero di tali motivi anche: a) intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione e che possono determinare – senza aumento di costo – significativi miglioramenti qualitativi dell’opera, senza alterare l’impostazione progettuale; b) verificarsi eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni o dei luoghi o rinvenimenti imprevisti o imprevedibili; c) onerosità o difficoltà nell’esecuzione[7]; d) bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati[8].

Dunque appare evidente come la norma contenuta nell’articolo 106 operi una generalizzazione che, prestandosi ad interpretazioni flessibili, non appare idonea ad individuare con precisione in quali casi si possa ricorrere a varianti in corso d’opera senza una nuova procedura di gara. Una enumerazione dei casi (almeno quelli più rilevanti o ricorrenti) in cui ammetterle, accompagnate dai criteri generali forniti dalla norma, sarebbe stata preferibile.

Il quarto caso è quello di varianti (sostituzioni) del contraente originario a causa: a) di una clausola di revisione prevista nei documenti di gara (rispettando i requisiti delle clausole dei documenti di gara che prevedono modifiche al contratto); b) di successione mortis causa, di contratto o di ogni intervento di ristrutturazione societaria, purché il nuovo contraente rispetti i requisiti originariamente previsti per l’aggiudicazione della gara e che tale sostituzione non sia finalizzata ad eludere il codice; c) di assunzione degli obblighi del contraente nei confronti dei subappaltatori, da parte della stazione appaltante.

Il quinto caso è quello delle varianti non sostanziali, secondo le soglie stabilite nei documenti di gara. Il parametro per considerare una modifica come “sostanziale” è fornito dal successivo comma 4 che individua tali tipologie di modifiche in quelle che alterano considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. La norma sembra recepire la definizione di modifiche non sostanziali contenuta sia nell’articolo 132 del precedente codice, che nel sesto comma dell’articolo 311 del d.P.R. 207/2001. Ai sensi di tale ultima disposizione, riferita alle varianti progettuali (modifiche non sostanziali) disposte dalla stazione appaltante che l’esecutore era tenuto ad eseguire su ordine del direttore dei lavori, le modifiche sostanziali coincidevano con quelle che potevano alterare, sostanzialmente, la natura delle attività oggetto del contratto e non comportassero a carico dell’esecutore maggiori oneri.

Il concetto di modifica sostanziale – va precisato - non può essere inteso in senso oggettivo ed immodificabile, ma va parametrato ad una verifica caso per caso della volontà iniziale delle parti. Al riguardo la nuova direttiva “concessioni”[9], infatti, precisa che nel caso in cui la modifica dimostri l’intenzione di rinegoziare i termini o le condizioni essenziali della concessione, allora sarà necessario procedere ad una nuova procedura di gara[10].

L’articolo 106 appare sicuramente meno preciso dell’articolo 43, comma 3, della direttiva “concessioni”, ai sensi del quale le modifiche sono sostanziali se: a) introducono condizioni che avrebbero alterato la partecipazione e l’esito della procedura di gara; b) alterano l’equilibrio economico della concessione a favore del concessionario, senza che ciò fosse previsto nella concessione iniziale; c) l’ambito applicativo della concessione è notevolmente esteso; d) sostituzioni della stazione appaltante diverse da quelle previste dal paragrafo 1, lett. d), della direttiva.

Il sesto caso, di cui al comma 2, è quello di varianti a causa di errori nella progettazione esecutiva, a condizione che tali errori abbiano l’effetto di pregiudicare, totalmente o parzialmente, la realizzazione o l’utilizzazione dell’opera.

La responsabilità dei titolari di incarichi di progettazione è confermata dal comma 9 dell’articolo in parola che, tra l’altro, attribuisce all’appaltatore la responsabilità per gli oneri ed i ritardi conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d’opera per carenze della progettazione esecutiva.

Tali carenze sono quelle che il successivo comma 10 definisce come “errori ed omissioni di progettazione”, consistenti nell’inadeguata valutazione dello stato di fatto, nella mancata od erronea identificazione delle norme tecniche vincolanti, nel mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti, nella violazione di regole di diligenza in fase di predisposizione degli elaborati.

Nel precedente codice, le norme sulle modifiche dei contratti in corso di validità erano contenute in vari articoli. In primo luogo, l’articolo 114 disponeva che le “varianti in corso di esecuzione del contratto” fossero ammissibili: a) se previste nel bando di gara[11]; b) nei casi previsti dal codice; c) nei casi previsti dal regolamento d’attuazione per contratti di servizi e forniture, purché compatibili con l’articolo 132.

Al pari della nuova disciplina, invece, erano considerate ammissibili le varianti progettuali dovute ad errori ed omissioni nel progetto esecutivo. La definizione di tali errori, contenuta nel sesto comma dell’articolo 132, è stata trasposta integralmente nell’articolo 106.

I casi – tassativi - previsti dal regolamento di attuazione[12] riguardano le varianti introdotte dalla stazione appaltante, con la precisazione che l’esecutore – a parità di condizioni contrattuali – era obbligato ad assoggettarsi alle medesime. Tra di esse rientravano alcune analogamente previste dall’articolo 132 (sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari, utilizzo di nuovi materiali, eventi inerenti natura e specificità dei beni o dei luoghi). Ad esse si aggiungeva l’ipotesi di varianti, in aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento o alla migliore funzionalità delle prestazioni contrattuali, escluse modifiche sostanziali, e a condizione che fossero motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula.

3. Procedura di autorizzazione. Obblighi di informazione e Comunicazione.

La norma si occupa anche di aspetti legati alla procedura e alla pubblicità di tale jus variandi. In particolare il primo comma precisa che le modifiche debbano essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante da cui il RUP dipende.

Quando si tratti di modifiche non previste nei contratti di gara (senza possibilità di modifica del contraente), nonché di varianti in corso d’opera, l’avviso di modificazione del contratto dev’essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, seguendo le disposizioni dettate dall’articolo 72 per i settori ordinari e dall’articolo 130 per i settori speciali.

Per le modifiche non previste nei contratti di gara (senza possibilità di modifica del contraente) e per quelle derivanti da errori nella progettazione esecutiva, è previsto l’obbligo della comunicazione all’ANAC di tali modifiche entro il termine di 30 giorni, a pena di sanzione pecuniaria; nonché l’obbligo di comunicare, sulla propria sezione “Amministrazione Trasparente”, l’elenco delle modificazioni contrattuali comunicate, con indicazione dell’opera, della stazione appaltante, dell’aggiudicatario, del progettista e del valore della modifica[13].

Infine, per gli appalti e le concessioni sotto soglia comunitaria, le varianti in corso d’opera sono comunicate dal RUP all’Osservatorio dei Contratti Pubblici[14]. Per quelli sopra soglia, dove le varianti superino il dieci per cento dell’importo originario del contratto, il RUP trasmette la comunicazione delle modificazioni all’ANAC, unitamente al progetto esecutivo, all’atto di validazione e ad un’apposita relazione del RUP, entro 30 giorni dall’approvazione della modifica da parte della stazione appaltante. L’inadempimento di tali obblighi informativi è sanzionato dall’ANAC[15].

Gli obblighi di comunicazione e informazione, già presenti nel precedente codice, sembrano essere un rimedio alle lacune delle norme sulle modifiche (in special modo quelle consistenti in lavori supplementari), mediante i poteri di controllo dell’ANAC ed un un controllo generalizzato della collettività. A tali obblighi si accompagna il ruolo del RUP nella fase che precede tali modificazioni. Se tale ruolo sarà interpretato dalla giurisprudenza conformemente a quanto accadeva in materia di varianti in corso d’opera (ma riguardo al direttore dei lavori), l’interesse pubblico potrà essere più correttamente tutelato escludendo che la sua autorizzazione sia surrogabile o sostituibile da accettazione postuma tacita, anche se la modifica sia stata disposta dalla stazione appaltante[16].

4. I limiti alle modifiche: il prezzo.

Escludendo le modificazioni del contraente, tutte le altre modifiche incidono sulle prestazioni oggetto del contratto, con l’effetto di modificarne il prezzo. Affinché tali modifiche siano ammissibili, l’articolo 106 si preoccupa di individuare l’ammontare massimo di esse rispetto al prezzo originario.

In primo luogo, il comma 3 si occupa di fornire un riferimento per il calcolo del prezzo. Il prezzo aggiornato è il valore di riferimento quando il contratto prevede una clausola di indicizzazione.

Quanto alle modifiche già previste nei documenti di gara, il comma 1, lettera a), dispone che non possono essere consentite modifiche che alterino la natura generale del contratto o dell’accordo quadro, nonché modifiche (varianti di prezzo in aumento o diminuzione) che, per gli appalti di lavori, superino il 10% del prezzo originario o comunque metà del prezzo originario; mentre per gli appalti di servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori, restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Il comma 7 dell’articolo, invece, si riferisce, per i contratti nei settori ordinari, ai cd. lavori supplementari. Il limite previsto è di un aumento di prezzo che non sia superiore al 50% del valore del contratto iniziale. Con la precisazione che tale limite, nel caso di più modifiche successive, si applica ad ogni singola modifica.

Il comma 13, dispone più genericamente che aumenti o diminuzioni delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto possono essere imposte all’appaltatore, senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto.

Anche nell’assetto previgente, il limite alle varianti coincideva con il quinto dell’importo complessivo del contratto. Il regime, però appariva differenziato per le modifiche di cui all’articolo 311 del d.P.R. 207/2010 (modifiche non sostanziali disposte dalla stazione appaltante). Nel caso in cui fossero state inferiori al quinto avrebbero richiesto la sottoscrizione di un atto di sottomissione – a parità di condizioni contrattuali – e l’esecutore sarebbe stato obbligato ad eseguirle; mentre in caso di superamento di tale limite, la stazione appaltante avrebbe solamente dovuto procedere alla stipula di un atto aggiuntivo al contratto principale, dopo aver acquisito il consenso dell’esecutore. Bisognerà capire se, con l’entrata in vigore del nuovo decreto attuativo, tale differenziazione sarà mantenuta, come è presumibile.

5. La rinnovazione del contratto e la sua durata.

Nei contratti di lunga durata, se modificazioni prestazionali sono da considerarsi tendenzialmente inevitabili (e quindi consentite), è ben immaginabile che anche modificazioni circa la durata del contratto siano ugualmente configurabili.

A tal proposito bisogna ricordare che, in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto, le norme poste a tutela dell’interesse pubblico sono inderogabili e non lasciano molto spazio all’autonomia contrattuale delle parti. Il motivo per cui il rinnovo e la proroga dei contratti pubblici sono affidati ad un regime generale di divieto salvo eccezioni deriva dalla finalità di scongiurare affidamenti reiterati allo stesso soggetto, eludendo il principio di concorrenza che, più di ogni altro, garantisce la scelta del miglior contraente[17]. Pertanto, in linea generale, una volta scaduto il contratto, se la stazione appaltante avrà ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni (con proroga o rinnovo del contratto), dovrà effettuare una nuova gara, salvo nei casi e nei modi tassativamente previsti dalla legge[18]. Tali casi tassativi saranno accompagnati da un adeguato livello di evidenza pubblica, tale da escludere che possa mai configurarsi tacitamente un rinnovo o una proroga[19].

L’articolo 106 del nuovo codice dispone che la durata del contratto possa essere modificata. La ratio dell’inserimento di tale disposizione nell’articolo 106 sta nel fatto che la proroga rappresenta modificazione del contratto che non richiede una nuova procedura di gara.

La proroga può essere legittimamente negoziata se saranno soddisfate tre condizioni.

La prima condizione è anzitutto che si tratti di un contratto in corso di esecuzione.

La seconda è che tale proroga sia prevista, con apposita clausola, nel bando o nei documenti di gara. L’importanza di tale condizione appare evidente nel momento in cui si osserva come essa svolga la funzione di tutelare l’interesse generale alla concorrenza. Il fatto che la possibilità di proroga o rinnovo siano previsti all’interno dei documenti di gara è, infatti, equiparabile alla situazione nella quale i contraenti si troverebbero nel caso in cui l’azienda, ab initio, avesse operato una scelta immediata per la più lunga durata del contratto[20].

La terza condizione è che essa sia limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione del nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all'esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante.

La limitazione temporale si accompagna ad una adeguata e puntuale motivazione che dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale di gara[21].

La previsione di tali condizioni sono il riflesso del principio secondo cui le disposizioni che consentono o autorizzano la proroga di rapporti contrattuali in corso di esecuzione, debbano considerarsi eccezionali, in quanto derogatorie del divieto generale di proroga dei contratti pubblici; e non dovranno essere suscettibili di interpretazione estensiva[22].

Ciononostante, l’utilità della proroga appare evidente laddove rappresenta una soluzione con cui la stazione appaltante può operare un frazionamento della durata del contratto, con riserva espressa di optare per il suo prolungamento eventuale. Essa consente di rivalutare la convenienza del rapporto dopo un primo periodo di attività, alla scadenza contrattuale, sulla base dei risultati ottenuti ed, eventualmente, optare per reperire sul mercato condizioni migliori[23]. Del resto, la proroga, pur essendo prevista nei documenti di gara, resta una mera facoltà della stazione appaltante, tale per cui se essa ritiene non conveniente rinegoziare la prosecuzione del rapporto oltre la scadenza, può procedere ad espletare una nuova procedura di evidenza pubblica per la scelta di un nuovo contraente[24].

Discorso diverso vale, invece, per il rinnovo. Il divieto di rinnovo esprime un principio generale del diritto comunitario, alla stregua del divieto di proroga senza previsione nei documenti di gara[25]. A confermarlo, la lettera dell’articolo 106 fa riferimento esclusivamente alla proroga.

 

[1] Cfr. Cons. St., Sez. Cons., par. 1 aprile 2016, n. 855.

[2] Sul punto: A. NAPOLEONE, Commento all’articolo 106, in F. GARELLA e M. MARIANI (a cura di), Il codice dei contratti pubblici. Commento al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Torino, 2016, pp. 279 ss.

[3] Cfr. Cons. St., Sez. Cons., par. 1 aprile 2016, n. 855.

[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, sent. 1 ottobre 2014, n. 20722.

[5] Cfr. AVCP, par. 5 settembre 2013, n. 4/13.

[6] Cfr. Tar Umbria, Perugia, Sez. I, 7 giugno 2008, n. 247.

[7] Cfr. articolo 1664, comma 2, del cod. civ.

[8] Di cui alla Parte IV, Titolo V, del d.lgs. 3 aprile 2006 numero 152.

[9] Cfr. Dir. n. 2014/23/UE.

[10] Cfr. D. MARESCA, Le modificazioni sostanziale dei contratti di concessione di lunga durata durante l’esecuzione, in Dir. Comm. Intern., 2014, pp. 146 ss.

[11] Cfr. articolo 76, commi 2 e 3, del d.lgs. 12 aprile 2006, numero 163.

[12] Cfr. articolo 311 del d.P.R. 5 ottobre 2010, numero 107.

[13] Cfr. articolo 106, comma 8, d.lgs. 50/2016.

[14] Di cui all’articolo 213, del d.lgs. 50/2016.

[15] Cfr. articolo 213, comma 13, del d.lgs. 50/2016.

[16] Cfr. Corte d’Appello di Palermo, Sez.I, sent. 7 marzo 2016, n. 428;

[17] Cfr. Cons. St., Sez. III, sent. 5 luglio 2013, n. 3580.

[18] Cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. IV, sent. 12 giugno 2015, n.3201.

[19] Cfr. Cons. St., Sez. V, sent. 7 aprile 2011, n. 2151.

[20] Cfr. Cons. St., Sez. III, sent. 7 maggio 2015, n. 2288; Tar Liguria, Genova, Sez. II, sent. 28 luglio 2014, n. 1209; Cons. St., Sez. V, sent. 6 maggio 2015, n. 2272.

[21] Cfr. Cons. St., Sez. V, sent. 6 maggio 2015, n. 2272.

[22] Cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. V, sent. 4 settembre 2015, n.4345.

[23] Cfr. Cons. St., Sez. III, sent. 5 luglio 2013, n. 3580.

[24] Cfr. Cons. St., III, sent. 15 aprile 2016, n. 1532.

[25] Cfr. Tar Puglia, Bari, Sez. I, sent. 20 febbraio 2012, n.232; Tar Lombardia, Brescia, Sez. II, sent. 7 aprile 2015, n. 490.