SOMMARIO: 1. La semplificazione dei riti in materia di appalti. – 2. I rimedi alternativi al ricorso giurisdizionale. – 2.1. L’accordo bonario nel nuovo codice. – 2.2. Il nuovo istituto del collegio consultivo tecnico. – 2.3. La transazione negli appalti. – 2.4. L’arbitrato e le ulteriori forme di ADR nel nuovo codice. – 3. La frammentazione della tutela giurisdizionale nel nuovo Codice dei contratti pubblici. – 3.1. L’inquadramento concettuale della nuova previsione processuale. – 3.2. Il parere del Consiglio di Stato. – 3.2.1. Sull’impugnazione immediata di ammissioni, esclusioni e nomina commissione. – 3.2.2. Sulle regole di procedura del nuovo rito. – 3.3. Le permanenti criticità del nuovo processo. – 3.3.1. L’individuazione del “provvedimento di ammissione alla gara” e dei suoi presupposti ed il coordinamento tra l’art. 29 comma 1, l’art. 53 e l’art. 32 del nuovo D.Lgs. 50/2016. – 3.3.2. Il difficile coordinamento con i principi di auto-dichiarazione e di effettiva conoscenza del vizio. – 3.3.3. Il difficile coordinamento con le fasi e la tempistica del procedimento. – 3.3.4. La possibile inutile complicazione delle operazioni di gara. – 3.3.5. I principi della direttiva 2007/66. – 3.3.6. La tutela risarcitoria nel processo sulle ammissioni. – 3.3.7. L’aumento del costo del processo. – 3.3.8. I principi costituzionali ed eurounitari e il processo sulle ammissioni. – 3.4. Conclusioni.

1.  La semplificazione dei riti in materia di appalti

Le note che seguono offrono un’esposizione semplice e ricostruttiva della disciplina del nuovo codice in materia di processo amministrativo e di rimedi giustiziali alternativi, riflettendo, dall’interno della commissione tecnica governativa, gli intenti innovativi dei redattori per lo più ispirati dall’esigenza di deflazione del contenzioso.

Dopo la stagione della “nuova accelerazione”[1] dei riti sugli appalti il recente codice dei contratti pubblici prevede numerose innovazioni sia al fine della riduzione del contenzioso (vero, grande problema del sistema italiano degli appalti) e sia per favorire i rimedi alternativi al ricorso giurisdizionale.

In primo luogo, si riafferma il principio secondo cui gli atti delle procedure di affidamento di commesse pubbliche, nonché i connessi provvedimenti dell’ANAC, sono impugnabili unicamente mediante ricorso giurisdizionale. Ma, in particolare, al fine di razionalizzare il processo in materia di gare pubbliche, sono apportate modifiche al codice del processo amministrativo. Si prevede che i vizi relativi alla composizione della commissione di gara, all’ammissione e all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziaria e tecnico-professionali sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili dinanzi al giudice amministrativo, precludendosi la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura di gara, anche con ricorso incidentale.

Si dispone, inoltre, che il giudizio, ferma la possibilità della sua definizione immediata nell’udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, venga comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d’ufficio.

Al fine di razionalizzare il processo in materia di gare pubbliche, il giudizio è definito da una camera di consiglio da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica. Le parti possono produrre documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi.

Si dispone, inoltre, che il Tribunale amministrativo regionale depositi la sentenza con la quale definisce il giudizio entro trenta giorni dall’udienza di discussione, ferma restando la possibilità di chiedere l’immediata pubblicazione del dispositivo entro due giorni.

Si stabilisce, infine, che nel giudizio di appello la sentenza di rigetto possa essere motivata richiamando le argomentazioni della sentenza del Tribunale amministrativo regionale. Sono, da ultimo, previste forme di proposizione di ricorso cumulativo.

Sono tutti “aggiustamenti” espressamente mirati alla riduzione del contenzioso e alla maggiore celerità del giudizio.

In particolare, l’idea di anticipare la tutela nel contenzioso sui requisiti soggettivi, che costituisce circa il 70 per cento dei ricorsi sugli appalti, è stata a lungo discussa nell’ambito della giustizia amministrativa e della dottrina[2].

Funzionerà? Con la riforma si ha la pubblicazione di un elenco degli ammessi e degli esclusi e chi vorrà ricorrere contro gli ammessi non sarà nelle condizioni di conoscere il futuro aggiudicatario: ricorrerà contro tutti? Vi saranno i presupposti dell’interesse legittimo a ricorrere avverso l’ammissione di meri concorrenti? Nei confronti della esclusione propria senza dubbio.

Oggi, invece, i ricorsi sulla presunta carenza di requisiti soggettivi sono indirizzati, quasi automaticamente, contro il vincitore della gara o chi lo segue in posizione utile, spesso in modo strumentale.

Ma, dopo la riforma, tutto ciò non sarà più possibile[3].

È anche significativo rilevare che con la “novella” del codice del processo amministrativo, determinata dall’art. 204, nella decisione cautelare, il giudice dovrà motivare in ordine alla sussistenza di esigenze imperative connesse a un interesse generale alla esecuzione delle prestazioni contrattuali: in altri termini, se l’opera è urgente e necessaria si dovrà propendere per il risarcimento del danno subito dal ricorrente (vittorioso) e non per la sospensiva. Sarà interessante valutare come la giurisprudenza accoglierà questo nuovo principio ma è certo che si è fatto un passo in avanti nella direzione della limitazione delle sospensive[4] ed in favore del risarcimento del danno per equivalente, aprendo nuove prospettive.

Naturalmente occorre ben evidenziare che, sotto il profilo del regime transitorio e degli effetti dello ius superveniens, le innovazioni che incidono sul procedimento seguono le chiare regole dell’art. 216 (ossia non si applicano alle procedure avviate, come previsto), le innovazioni che incidono sul processo amministrativo, in particolare quelle relative all’anticipazione del giudizio prognostico in sede cautelare (sussistenza delle “esigenze imperative” come presupposto per la tutela risarcitoria) devono a nostro avviso ritenersi applicabili ai processi avviati dopo il 19 aprile 2016, anche in relazione a procedure di gara svolte anteriormente.

Secondo questo nostro assunto ciò non vale, però, per le controversie relative alle ammissioni e alle esclusione dei concorrenti per difetto dei requisiti soggettivi poiché in tal caso prevale il diritto intertemporale che regola la fase sostanziale, secondo le regole dell’art. 216 nuovo codice.

2.  I rimedi alternativi al ricorso giurisdizionale

Sebbene i tempi della giustizia amministrativa siano lusinghieri, da più tempo è in corso una riflessione sull’introduzione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie in cui sia parte la pubblica amministrazione.

Nel diritto comunitario vi sono precise indicazioni di valorizzazione di forme di tutela non giurisdizionale o amministrativa, per esempio, mediante affidamento ad organi esterni altamente specializzati.

Si tratta di un indirizzo che Governo e Parlamento hanno già intrapreso in campo civile e commerciale laddove la valorizzazione di tali strumenti è avvenuta sulla base del recepimento di direttive comunitarie, favorito da un sostrato comune.

Le peculiarità che caratterizzano il diritto amministrativo, quali il concetto di atto amministrativo, le nozioni di interesse legittimo e di risarcimento di tale posizione soggettiva, non hanno sin qui agevolato l’introduzione di tale istituto.

A ciò si aggiunga l’ulteriore considerazione secondo cui il fatto che una delle parti sia costituita da uno dei tre poteri dello Stato, inteso come amministrazione, rende probabilmente più insidioso il ricorso a un “giudice” diverso da quello statale.

Come è stato puntualmente ricostruito[5], storicamente si riconduce la nascita dei rimedi alternativi alla giurisdizione al professore Frank Sander il quale, nel corso della Pound Conference, tenutasi nel 1976 negli Stati Uniti e dedicata al tema dell’amministrazione della giustizia e alle sue criticità, introdusse il concetto della multidoor courthouse ossia l’idea, già consolidata nella prassi, di una pluralità di soluzioni o strumenti che possono essere utilizzati per gestire una lite[6].

Nel tempo la dottrina nordamericana ha variamente spiegato la tendenza ad introdurre e valorizzare strumenti alternativi delle controversie riconducendoli sostanzialmente ad obiettivi di efficienza ordinamentale e, dunque, al fine di assicurare una tutela più celere e adeguata alla soddisfazione del diritto del cittadino[7]. L’ordinamento comunitario, sin dagli anni Novanta, guarda con favore all’introduzione di tali strumenti deflattivi del contenzioso[8].

Da ultimo, il considerando (29) della dir. 2014/24/UE prevede che «...i servizi d’arbitrato e di conciliazione e altre forme analoghe di risoluzione alternativa delle controversie sono di norma prestati da organismi o persone approvati, o selezionati, secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti. Occorre precisare che la presente direttiva non si applica agli appalti di servizi per la fornitura di tali servizi indipendentemente dalla loro denominazione nel diritto interno»[9].

Un espresso criterio in questo senso è già contenuto nel disegno di legge delega per l’attuazione delle nuove direttive nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni ove si prescrive «la razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, limitando il ricorso alle procedure arbitrali, ma riducendone il costo»[10].

La formulazione della legge delega, e in particolare il riferimento ivi contenuto alla razionalizzazione, lascia pensare ad un’idea di giustizia intesa come bene finito, scarso tale da suggerirne un “impiego economico”[11].

Si tratta di una tesi da tempo autorevolmente sostenuta da Pajno secondo il quale «non può seriamente parlarsi di politiche deflattive della giurisdizione se non si rilanciano con forza gli strumenti ad essa alternativi, pienamente coerenti con la considerazione che la giurisdizione è una risorsa ed un servizio pubblico»[12].

L’Autore osserva che, anche a seguito dell’introduzione dell’istituto della mediazione in materia civile e commerciale, il ricorso a strumenti alternativi alla giurisdizione a fini deflattivi sembra ormai una via quasi obbligata[13].

A conforto di tale tesi egli richiama le considerazioni formulate dalla Corte di Cassazione in merito all’istituto del c.d. filtro secondo cui «l’introduzione di norme volte a prevedere filtri all’accesso alla tutela giurisdizionale trova il proprio fondamento nella convinzione che il principio di effettività della tutela postuli un adeguato bilanciamento tra diritto delle parti agli strumenti processuali, e concreta possibilità di esercizio della funzione del giudice, garanzia a sua volta del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.; e che tale adeguato bilanciamento sia conseguibile soltanto con un “impiego economico” della risorsa costituita dalla giurisdizione e da una sua articolazione»[14].

La riforma del Codice dei contratti pubblici razionalizza e favorisce il ruolo dei mezzi alternativi al ricorso giurisdizionale attraverso i sei tipi dell’accordo bonario, sia per i lavori che per i servizi e le forniture, del collegio consultivo tecnico, della transazione, dell’arbitrato e, anche, dei pareri di precontenzioso dell’ANAC.

2.1. L’accordo bonario nel nuovo codice

La nuova disciplina dell’accordo bonario per i lavori è coerente con quanto disposto dal criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera aaa), della legge 28 gennaio 2016 n. 11, che richiede la razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, disciplinando il ricorso alle procedure arbitrali al fine di escludere il ricorso a procedure diverse da quelle amministrate, garantendo trasparenza, celerità ed economicità e assicurando il possesso dei requisiti di integrità, imparzialità e responsabilità degli arbitri e degli eventuali ausiliari. La disposizione prevede l’applicabilità della fattispecie dell’accordo bonario per i lavori pubblici affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori, ovvero dai concessionari, nel caso in cui, a seguito dell’iscrizione di riserve sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera possa variare per un importo compreso tra il 5 e il 15 % dell’importo contrattuale e non più per un importo non inferiore al 10% come disposto dall’articolo 240 del d.lgs. n. 163/2006. Il procedimento dell’accordo bonario riguarda tutte le riserve iscritte fino al momento dell’avvio del procedimento stesso e può essere reiterato per una sola volta quando le riserve iscritte, ulteriori e diverse rispetto a quelle già esaminate, raggiungano nuovamente l’importo compreso tra il 5 e il 15 %, nell’ambito comunque di un limite massimo complessivo del 15% dell’importo del contratto. Le domande che fanno valere pretese già oggetto di riserva non possono essere proposte per importi maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse. Non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica. Prima dell’approvazione del certificato di collaudo ovvero di verifica di conformità o del certificato di regolare esecuzione qualunque sia l’importo delle riserve, il responsabile del procedimento attiva l’accordo bonario per la risoluzione delle riserve iscritte.

Il direttore dei lavori o il direttore dell’esecuzione del contratto dà immediata comunicazione delle riserve al responsabile del procedimento il quale valuta l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle riserve ai fini dell’effettivo raggiungimento del limite di valore. Il responsabile del procedimento, entro 15 giorni dalla comunicazione, acquisita la relazione riservata del direttore dei lavori e, ove costituito, dall’organo di collaudo, richiede alla Camera arbitrale, l’indicazione di una lista di 5 esperti aventi competenza specifica in relazione all’oggetto del contratto. Il responsabile del procedimento e il soggetto che ha formulato le riserve scelgono d’intesa, nell’ambito della lista, l’esperto incaricato della formulazione della proposta motivata di accordo bonario. Si evidenzia che l’articolo 240 del d.lgs. n. 163/2006 prevede, invece, che il responsabile del procedimento, entro trenta giorni dal ricevimento del certificato di collaudo o di regolare esecuzione, promuova la costituzione di una commissione composta da tre membri, indipendentemente dall’importo economico delle riserve ancora da definirsi. In caso di mancata intesa tra il responsabile del procedimento e il soggetto che ha formulato le riserve, entro 15 giorni dalla trasmissione della lista, l’esperto è nominato dalla Camera arbitrale. La proposta è formulata entro 90 giorni dalla nomina. L’esperto, tra l’altro, verifica le riserve in contraddittorio tra il responsabile del procedimento e il soggetto che le ha formulate, istruisce la questione anche con la raccolta di dati e informazioni e con l’acquisizione di eventuali altri pareri e quindi formula una proposta di accordo bonario, che viene trasmessa al responsabile del procedimento e al soggetto che ha formulato le riserve. Se la proposta è accettata entro 45 giorni dal ricevimento, l’accordo bonario è realizzato e viene redatto verbale a cura dell’esperto, sottoscritto dalle parti e dall’esperto. Il verbale è inoltrato alla stazione appaltante per le valutazioni definitive. L’accordo ha natura di transazione. Sulla somma riconosciuta in sede di accordo bonario sono dovuti gli interessi al tasso legale a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla accettazione dell’accordo bonario da parte della stazione appaltante. In caso di reiezione della proposta da parte del soggetto che ha formulato le riserve, ovvero di inutile decorso del termine, possono essere aditi gli arbitri o il giudice ordinario.

L’art. 206 del nuovo codice dei contratti (d.lgs. n. 50/2016) detta previsioni anche in materia di accordo bonario per i servizi e le forniture adattando le disposizioni previste per l’accordo bonario in materia di affidamento di lavori pubblici, in quanto compatibili, ai contratti di fornitura di natura continuativa o periodica, e di servizi[15]

2.2. Il nuovo istituto del collegio consultivo tecnico

Il collegio consultivo tecnico è un nuovo istituto giuridico per la risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di affidamento di commesse pubbliche. A tal fine, le parti possono convenire che, prima dell’avvio dell’esecuzione, sia costituito un collegio consultivo tecnico con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle dispute di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto stesso. L’articolo 207 definisce, altresì, la relativa procedura per la composizione della controversia.

Questo nuovo istituto è stato mantenuto nonostante le diverse voci che ne suggerivano la soppressione dal testo finale.

2.3. La transazione negli appalti

L’art. 208, in tema di transazione, in aderenza al criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera aaa), della legge 28 gennaio 2016 n. 11, dispone che le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possano essere risolte mediante transazione, nel rispetto del codice civile, solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi. Ove il valore dell’importo oggetto di rinuncia sia superiore a 100.000,00 euro, ovvero 200.000 euro in caso di lavori pubblici, si dispone l’obbligo di acquisire il necessario parere legale, in base alla normativa vigente. La proposta di transazione può essere formulata dal soggetto aggiudicatario e dal dirigente competente, sentito il RUP.

2.4. L’arbitrato e le ulteriori forme di ADR nel nuovo codice

In coerenza a quanto disposto dal criterio di delega di cui alle lettere pp) e aaa), della legge 28 gennaio 2016, n. 11, l’art. 209 nuovo Codice prevede che le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario possono essere deferite ad arbitri. Aggiunge, altresì, rispetto al disposto dell’articolo 241 del d.lgs. n. 163/2006, che l’arbitrato, ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 6 novembre 2012, n. 190, si applica anche alle controversie relative a concessioni, appalti pubblici di opere, servizi e forniture in cui sia parte una società a partecipazione pubblica ovvero una società controllata o collegata a una società a partecipazione pubblica, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, o che comunque abbiano ad oggetto opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici. Il deferimento ad arbitri è sempre subordinato alla preventiva autorizzazione, motivata, da parte dell’organo di governo dell’amministrazione. La norma prevede che la stazione appaltante indica nel bando o nell’avviso con cui indice la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell’invito, se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria. L’aggiudicatario può ricusare la clausola compromissoria, che in tale caso non è inserita nel contratto, comunicandolo alla stazione appaltante entro venti giorni dalla conoscenza dell’aggiudicazione. È vietato in ogni caso il compromesso. L’articolo introduce una nuova disposizione secondo cui l’inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell’avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell’invito, o il ricorso all’arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli. Il collegio arbitrale è composto da tre membri ed è nominato, a differenza di quanto previsto dall’articolo 241 secondo cui i membri sono solo scelti dalle parti, dalla Camera arbitrale. Ciascuna delle parti, nella domanda di arbitrato o nell’atto di resistenza alla domanda, designa l’arbitro di propria competenza scelto tra soggetti di provata esperienza e indipendenza nella materia oggetto del contratto cui l’arbitrato si riferisce. Il Presidente del collegio arbitrale è nominato e designato dalla Camera arbitrale, scegliendolo tra i soggetti iscritti all’albo e in possesso di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l’arbitrato si riferisce. Viene introdotta una nuova disposizione secondo cui la nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione avviene nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione, oltre che nel rispetto delle disposizioni del presente codice. Qualora la controversia si svolga tra due pubbliche amministrazioni, gli arbitri di parte sono individuati tra i dirigenti pubblici. Qualora la controversia abbia luogo tra una pubblica amministrazione e un privato, l’arbitro individuato dalla pubblica amministrazione è scelto, preferibilmente, tra i dirigenti pubblici. In entrambe le ipotesi, qualora l’Amministrazione con atto motivato ritenga di non procedere alla designazione dell’arbitro nell’ambito dei dirigenti pubblici, la designazione avviene nell’ambito degli iscritti all’albo.

La rimanente disciplina segue principi noti.

Infine viene rafforzato il ruolo dei pareri di precontenzioso dell’ANAC.

L’art. 211 prevede che su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprima parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Qualora l’altra parte acconsenta preventivamente, il parere purché adeguatamente motivato, obbliga le parti ad attenersi a quanto in esso stabilito.

Ma l’analisi dei singoli “rimedi alternativi” non è sufficiente ed occorre allargare lo sguardo anche ad altre misure previste dal nuovo codice in grado di incidere sostanzialmente sulle dinamiche del controllo di legalità.

Si può far riferimento, ad esempio, al secondo comma dell’art. 211 che attribuisce all’ANAC il sostanzioso potere di stand still nei confronti della stazione appaltante rafforzato da una rilevante sanzione pecuniaria a carico del dirigente che non si adegui alla “raccomandazione” dell’Autorità[16].

È difficile non intravedere, nel nuovo regime normativo, una seria criticità e ciò sia sul versante dell’effetto sospensivo e sia per la “centralizzazione” in capo all’ANAC di valutazioni anche dell’interesse pubblico e non solo di legittimità, tipiche delle funzioni di amministrazione attiva.

 A ben vedere il mantenimento in capo all’ANAC, nonostante il contrario parere del Consiglio di Stato sul punto di un generale potere di supremazia gerarchica su tutte le stazioni appaltanti che oggettivamente destabilizza l’assetto ordinamentale in materia di appalti.

Dinanzi alla già radicata “paura della firma” quale sarà il responsabile unico del procedimento che, nel ricevere la “raccomandazione” dell’ANAC[17], non si atterrà ad essa essendo tale condotta sanzionabile fino a 25.000 euro, oltre che ai fini della carriera?

3.  La frammentazione della tutela giurisdizionale nel nuovo Codice dei contratti pubblici

Il d.lgs. n. 50/2016, il nuovo testo normativo che sostituisce il Codice dei contratti pubblici, reca, tra le altre cose, all’art. 204, la riforma dell’art. 120 del Codice del processo amministrativo (di seguito c.p.a.), attraverso l’introduzione di un nuovo rito che si aggiunge a quelli già esistenti e porta il numero dei riti del processo amministrativo al non esiguo numero di 8[18].

In buona sostanza, al comma 2 del menzionato articolo del c.p.a. viene aggiunto un comma 2 bis, prevedendosi che “Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice degli appalti pubblici e delle concessioni. L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. è altresì inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endoproceclimentali privi di immediata lesività.”

Le regole di procedura che questo speciale rito su ammissioni ed esclusioni da procedimenti di evidenza pubblica deve seguire è poi disciplinato attraverso l’introduzione di un nuovo comma 6 bis sempre all’art. 120 c.p.a.: “Nei casi previsti al comma 2-bis, il giudizio è definito in una camera di consiglio da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica. Il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato alle parti quindici giorni prima dell’udienza. Le parti possono produrre documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi e presentare repliche ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi prima. La camera di consiglio o l’udienza possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie, per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale. L’ordinanza istruttoria fissa per il deposito dl documenti un termine non superiore a tre giorni decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, notificazione della stessa. La nuova camera di consiglio deve essere fissata non oltre quindici giorni. Non può essere disposta la cancellazione della causa dal ruolo. L’appello deve essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, notificazione della sentenza e non trova applicazione il termine lungo decorrente dalla sua pubblicazione”.

3.1. L’inquadramento concettuale della nuova previsione processuale

Da una analisi preliminare, sembra di poter dire che la novità normativa si inserisce nella corrente, dottrinale e giurisprudenziale, che propugna una anticipazione del momento della verifica giurisdizionale, dal provvedimento finale a qualificati passaggi endoprocedimentali, tutte le volte in cui il procedimento raggiunge un grado consistente di avanzamento, tale da far ritenere, almeno in una sua parte, l’esito del procedimento sostanzialmente già maturato o irreversibile.

Si tratta di considerare praticabile una impugnazione autonoma dei singoli atti endoprocedimentali laddove ciascuno di essi evidenzi il raggiungimento di una composizione degli interessi sufficientemente definita, tale da poter radicare, in capo al partecipante, un interesse sostanziale e, dunque, l’interesse ad impugnare una parte soltanto di quel rapporto posto in essere con la pubblica amministrazione[19].

In giurisprudenza possono ricordarsi, senza la benché minima pretesa di esaustività: (i) TAR Brescia sentenza n. 853/2009 sull’affidamento della concessione di gestione dell’aeroporto di Brescia che riconosce l’interesse, da parte di un operatore concorrente, ad impugnare la convenzione accessiva al provvedimento di concessione, convenzione che era stata stipulata prima della aggiudicazione definitiva della concessione, la quale ultima però tardava a intervenire prolungando la gestione del concessionario di fatto (o del concessionario precario); tuttavia, il Consiglio di Stato (sentenza n. 1250/2010) ha poi ritenuto che si dovesse aspettare la aggiudicazione definitiva della concessione prima di poter contestare la posizione dell’allora concessionario precario o di fatto che aveva ottenuto la convenzione accessiva, pur essendo evidente che una volta che interviene la convenzione accessiva con un operatore, propedeutica alla stipula della concessione, vuol dire che tutti gli altri operatori sono stati esclusi dalla procedura e dalla possibilità di aggiudicarsi quella concessione; (ii) Consiglio di Stato sentenza n. 1243/2014, in cui viene riconosciuta (o confermata e in parte estesa) la possibilità di impugnare il bando di gara non solo nelle sue parti escludenti, ma anche nelle parti in cui non disciplina in modo sufficientemente chiaro alcuni profili della concessione, nella misura in cui le parti del bando contestate non fossero più emendabili nel prosieguo della gara (ma in realtà nel caso di specie potevano forse ancora essere precisate) e nella misura in cui dovessero impedire la formulazione di una offerta consapevole; in particolare viene affermato il diritto-obbligo di impugnare le prescrizioni puntuali del bando di gara lesive ed insuscettibili di essere emendate/modificate/corrette in sede di successiva lettera-invito; (iii) Consiglio di Stato, ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale n. 3167/2015, riguardante un caso in cui si chiedeva l’annullamento dei provvedimenti relativi all’adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma, nella parte in cui prevedevano un contributo straordinario per alcuni interventi urbanistici, che però non erano ancora stati attuati dal ricorrente; nell’ordinanza citata, è stato ritenuto che vi fossero profili di incostituzionalità nel principio di attualità dell’interesse inteso nel senso tradizionale e che la Costituzione imporrebbe di consentire l’accertamento giurisdizionale anche ove il pregiudizio non abbia una attualità “sicura”.

Al di là di alcune aperture giurisprudenziali e dottrinali, tuttavia, l’idea che l’interesse a ricorrere debba essere attuale e che per essere tale debba avere ad oggetto un provvedimento definitivo, o comunque una posizione giuridica ormai conformata formalmente ed in via irreversibile dall’azione della p.a., è sempre rimasta molto forte (si vedano in merito, per esempio, le sentenze sull’inammissibilità della immediata impugnazione degli impegni ex art. 14-ter della l. 10 ottobre 1990, n. 287, presentati in sede di procedimento antitrust; cfr. Consiglio di Stato n. 4393/2011, sostanzialmente confermata, con interessanti indicazione in merito al rapporto tra atto endoprocedimentale e provvedimento finale, da Consiglio di Stato n. 743/2016).

3.2. Il parere del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, nel parere espresso sullo schema di decreto legislativo, aveva evidenziato più di una criticità della norma in esame come originariamente concepita, sia con riguardo alla immediata impugnazione dei vizi afferenti ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dei concorrenti, nonché della nomina commissione di gara, sia con riferimento alle regole di procedura di tale nuovo rito.

Il testo definitivo del D.Lgs. 50/2016 accoglie alcuni dei rilievi segnalati in sede consultiva, di ciò si darà conto nel prosieguo.

3.2.1. Sull’impugnazione immediata di ammissioni, esclusioni e nomina commissione

Il Consiglio di Stato aveva individuato innanzitutto un potenziale eccesso di delega, dal momento che quest’ultima non prevedeva la predisposizione del rito anticipato-accelerato anche con riferimento alla nomina della commissione giudicatrice, mentre nello schema di D.Lgs. tale atto era assoggettato al menzionato nuovo rito. Nel parere si sottolineava che, avendo tale procedura carattere derogatorio, essa doveva essere considerata eccezionale, e quindi la delega avrebbe dovuto essere utilizzata in maniera particolarmente restrittiva o, comunque, non in maniera estensiva con inclusione di casi non indicati espressamente, anche alla luce del divieto di gold plating che rappresentava uno dei criteri direttivi della delega.

La versione definitiva del D.Lgs. 50/2016 non contiene più tale previsione, la nomina della Commissione rimane dunque un atto che, almeno di regola, non può considerarsi immediatamente impugnabile.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato rilevava che la norma prevista dallo schema di decreto avrebbe avuto, tra le altre cose, l’effetto di eliminare il vigente secondo comma dell’art. 120 c.p.a., che fissa un limite di sei mesi per ricorrere contro le aggiudicazioni di procedure non precedute da previa pubblicazione di un bando di gara. In caso di espunzione della norma, l’eventuale impugnazione avrebbe potuto essere promossa entro trenta giorni dalla conoscenza del bando non pubblicato, quindi anche molto tempo dopo l’aggiudicazione, con evidenti ricadute sotto il profilo della certezza delle situazioni giuridiche.

Tale profilo critico è stato corretto nella versione definitiva del D.Lgs. 50/2016.

Ancora, secondo il parere in discorso, l’art. 204 dello schema di decreto non era coordinato con il diritto di accesso agli atti della procedura, né con la disciplina delle informazioni ai candidati, mentre soltanto attraverso la possibilità di avere effettiva conoscenza, non solo delle ammissioni e delle esclusioni, ma anche delle relative motivazioni e della afferente documentazione sarebbe stato possibile garantire una tutela giurisdizionale piena e l’effettiva velocizzazione del rito. In particolare, sarebbe stata insufficiente la previsione della pubblicità data sulla sezione Amministrazione trasparente del profilo di committente degli elenchi di ammessi e esclusi (art. 29, comma 1, dello schema e anche del D.Lgs. 50/2016).

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

Un ulteriore punto della relazione in parola contiene una disapprovazione del divieto di ricorso cumulativo in caso di gare a più lotti, con la sola eccezione della proposizione di censure identiche. È ritenuto eccessivo il sacrificio a scapito del diritto di difesa (art. 24 Cost.) anche tenuto conto del naturale corollario in termini di maggior peso del contributo unificato, già oggetto di numerose critiche.

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

Sempre in materia di costi del giudizio, il Consiglio di Stato evidenzia che l’obbligatorietà dell’immediata impugnazione, nei casi appena descritti, comporterebbe un significativo aumento dei costi del giudizio, stante la necessità di impugnare la procedura in tempi diversi e sotto diversi profilo con ricorsi non cumulabili. Per questo, nel parere, si propongono dei correttivi che tengano conto della criticità, anche riducendo, fino a dimezzarla, l’entità del contributo unificato.

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

Infine, il Consiglio di Stato affidava al legislatore delegato la valutazione circa la opportunità che fosse inserita una previsione per cui la stazione appaltante dovrebbe indicare già nel bando la data entro la quale comunica l’ammissione o l’esclusione degli offerenti.

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

3.2.2. Sulle regole di procedura del nuovo rito

Stante la previsione di un nuovo rito super accelerato, il parere prende atto del fatto che un velocissimo giudizio di merito (che teoricamente dovrebbe essere reso in 3-4 mesi) quasi esclude la possibilità che gli interessati facciano ricorso alla tutela cautelare, stante la sostanziale omogeneità dei tempi per ottenere, invece, una decisione definitiva, oltre alla possibilità che il dispositivo venga reso immediatamente entro due giorni dall’udienza di discussione.

Al tempo stesso però il parere sottolinea come non può escludersi la possibilità che detto interesse ad ottenere una misura cautelare possa sussistere, e pertanto essa dovrebbe essere opportunamente prevista.

Questo rilievo pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016, che adesso non sembra escludere la possibilità di richiedere la tutela cautelare anche nel processo “ammissioni”.

La previsione, poi, nello schema di decreto, della motivazione per relationem delle pronunzie di appello, ad avviso del Consiglio di Stato, presentava delle criticità. La norma appariva, infatti, violativa di fondamentali principi in tema di diritto di difesa, e rischiava di essere addirittura controproducente rispetto al preteso interesse a velocizzare la risoluzione del contenzioso, dal momento che, a quel punto, le parti avrebbero potuto attivare più facilmente gli ulteriori rimedi previsti dall’ordinamento (e.g. revocazione, opposizione di terzo, ricorso per Cassazione) per ottenere una revisione della decisione di primo grado “confermata” in appello. Tutto ciò senza considerare che uno strumento utile a tale scopo era già previsto nelle forme della sentenza in forma semplificata ex art. 120 c.p.a..

Questo rilievo pare essere stato considerato nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016, che sembra non più contenere la motivazione per relationem delle sentenze d’appello.

Sempre con riguardo alle questioni attinenti alle regole di procedura del nuovo rito, il parere evidenziava la opportunità di ridurre i termini di appello, eliminando la possibilità di avvalersi del termine c.d. lungo di tre mesi dalla pubblicazione.

Questo rilievo è stato considerato nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016, che contiene ora, in relazione a tale genere di ricorsi, la eliminazione del termine lungo, per cui le sentenze di primo grado dovranno essere impugnate entro trenta giorni dalla pubblicazione o dalla notifica se antecedente.

Tra le modifiche suggerite in sede consultiva, ma non accolte nel testo definitivo, è di interesse la richiesta di dare avviso ai concorrenti, mediante PEC, dell’adozione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione.

3.3. Le permanenti criticità del nuovo processo

Fatta la premessa che precede in termini di inquadramento generale e di risultanze del parere consultivo, sembra si possa dire che, anche nel testo definitivo della nuova norma, permangono significative criticità, alcune delle quali potrebbero essere definite sostanziali o procedimentali, in quanto relative alla logica ed al funzionamento del nuovo rito nel contesto intrinseco della materia dei contratti pubblici, ed altre processuali o estrinseche (rispetto a detta materia), attinenti cioè alla difficile collocazione della novella nell’ambito dei principi consolidati del processo amministrativo, nazionale e del diritto comunitario.

3.3.1. L’individuazione del “provvedimento di ammissione alla gara” e dei suoi presupposti ed il coordinamento tra l’art. 29 comma 1, l’art. 53 e l’art. 32 del nuovo D.Lgs. 50/2016

Il provvedimento che il nuovo Codice impone di impugnare non pare avere, nel diritto sostanziale, le caratteristiche di un provvedimento “tipico”. Sarebbe stato quindi utile, forse indispensabile, una sua definizione, al fine di chiarire quale sia l’oggetto del nuovo ricorso.

Nel nuovo D.Lgs. 50/2016, l’art. 29 dispone la pubblicazione dell’elenco dei soggetti “ammessi” entro due giorni dalla data di adozione dei relativi atti mentre l’art. 53 contiene la disciplina del diritto di accesso ed una serie di ipotesi di differimento allo stesso. In tale scenario occorre notare che il nuovo art. 120 c.p.a. si riferisce ad un termine per l’impugnazione di trenta giorni dalla pubblicazione dell’elenco degli esclusi e degli ammessi sul profilo del committente della stazione appaltante, pubblicazione che sembrerebbe essere disciplinata dall’art. 29. Tuttavia, nel medesimo tempo, l’art. 53 sembra implicare una richiesta di accesso del concorrente in relazione alla documentazione alla base di ammissioni ed esclusioni, per cui in molti casi non sarà possibile disporre effettivamente di trenta giorni per valutare la documentazione pertinente (che peraltro non è chiaro quale debba essere). Sempre nel nuovo D.Lgs. 50/2016 non sembra si dica da qualche parte come e quando le stazioni appaltanti debbano emanare il “provvedimento di ammissione alla gara”, che dovrebbe essere pubblicato entro due giorni dalla emanazione.

Dal canto suo, l’art. 32, che delinea le fasi della procedura, non sembra contemplare un provvedimento del genere.

Appare quindi inopportuno collegare un termine di decadenza così importante alla pubblicazione di un provvedimento che non è “tipico”, i cui contenuti ed i cui (eventuali) presupposti documentali sono evanescenti, forse non conoscibili, o non immediatamente conoscibili dagli interessati, e che oltretutto le stazioni appaltanti potrebbero decidere liberamente di formalizzare immediatamente all’inizio oppure a ridosso della fine del procedimento, o addirittura di non formalizzare. Non sembra infatti che il solo fatto di aprire la busta tecnica e/o quella economica possa significare senz’altro la “ammissione” del concorrente alla gara a seguito della mancata sollevazione di censure esplicite rispetto alla busta amministrativa, o che tali aperture possano essere disposte solo a seguito di un formale provvedimento di “ammissione”, visto che la “ammissione” potrebbe anche essere con riserva e che l’apertura di una busta diversa da quella amministrativa non pare debba necessariamente essere preceduta da una formale deliberazione di “ammissione”. Peraltro, potrebbero essere viziate parti delle offerte tecniche, quindi, almeno fino all’apertura delle buste economiche, non v’è alcun provvedimento di ammissione definitivo e stabile (a volte nemmeno a tale stadio della procedura, visto che anche la configurazione della offerta economica potrebbe presentare dei vizi, e considerando che alle volte le leggi di gara riservano alla stazione appaltante verifiche o prove del prodotto acquistato post aggiudicazione provvisoria o emanazione della graduatoria).

3.3.2. Il difficile coordinamento con i principi di autodichiarazione e di effettiva conoscenza del vizio

Possono poi essere rilevati diversi problemi di coordinamento con i principi in tema di dimostrazione dei requisiti tramite autodichiarazioni e di effettiva conoscenza del vizio[20].

In effetti appare difficile armonizzare, se non nel momento finale della procedura quando i requisiti vengono documentalmente verificati, il principio di autocertificazione dei requisiti con il principio per cui l’interessato deve poter conoscere effettivamente il vizio di cui deve dolersi.

In realtà, di regola, le ammissioni, salvo casi particolari, avvengono sulla base delle autodichiarazioni (a regime con il nuovo documento unico europeo, il DGUE), ma è possibile che poi l’aggiudicatario, quando produce i documenti, non dimostri la sussistenza del requisito che ha dichiarato, quindi appare difficile impugnare una ammissione che è stata determinata sulla base delle sole autodichiarazioni. I concorrenti potrebbero avere comunque il diritto di impugnare il provvedimento di aggiudicazione per motivi attinenti ai vizi dei requisiti dell’aggiudicataria, se questi vizi (come sembra possa accadere in molti casi) sono stati conosciuti o resi conoscibili anche alla stazione appaltante in un momento successivo.

Può poi darsi il caso di vizi nei requisiti (per esempio soggettivi) sopravvenuti dopo l’ammissione alla gara, e anche in questo caso è nel momento della aggiudicazione che il concorrente danneggiato può conoscere i vizi e dolersene.

Va aggiunto che non è chiaro quali sarebbero i documenti relativi alla ammissione a cui sarebbe possibile accedere.

Non possono essere solo documenti della P.A. perché non sarebbe tutelato il diritto di difesa, e, se sono inclusi anche i documenti dell’offerente, va compreso di quali documenti deve trattarsi. Quanto ai documenti amministrativi potrebbero esserci delle parti non pubblicabili sul profilo del committente (per esempio la dichiarazione dei conviventi di un amministratore). Quanto ai documenti tecnici, vi sarebbe un evidente contrasto con i limiti del diritto di accesso, che, se troppo esteso, consentirebbe a concorrenti scaltri di acquisire progetti e proposte a volte di notevole valore. Anche l’accesso indiscriminato alla offerta economica potrebbe talvolta dar modo ai concorrenti scaltri di acquisire informazioni riservate.

Sicché sembrerebbe che il processo sulle ammissioni potrebbe risolversi in una verifica formale sulla correttezza delle autocertificazioni, mentre il successivo processo sulla aggiudicazione potrebbe avere ad oggetto la effettiva sussistenza del requisito. Il punto però andrebbe quantomeno chiarito, in disparte ogni valutazione in merito alla utilità o meno di tale processo “meramente formale”, anche alla luce del principio del soccorso istruttorio che dovrebbe consentire l’emenda dei vizi meramente formali.

3.3.3. Il difficile coordinamento con le fasi e la tempistica del procedimento

Nell’esperienza del vecchio Codice, tranne in caso di appalti molto complessi, le operazioni che vanno dalla verifica dei requisiti dei concorrenti sorteggiati (verifica che adesso non pare obbligatoria nel nuovo Codice, potendosi – sembrerebbe – proseguire la gara in presenza delle sole autodichiarazioni) fino all’aggiudicazione possono facilmente avvenire nell’arco di tre, quattro, mesi che equivalgono grossomodo alla durata (prevista) per il nuovo processo.

Ma una volta che nelle more del processo “ammissioni” sopraggiunga la aggiudicazione, tutti i ricorsi contro chi non sia vincitore divengono improcedibili per carenza di interesse, il che determina una situazione a dir poco curiosa.

3.3.4. La possibile inutile complicazione delle operazioni di gara

Collegato al rilievo che precede ve ne è un altro. Se ad un dato momento viene pubblicato un provvedimento con gli operatori ammessi alla gara, e da quel momento in poi parte il contenzioso sulle ammissioni, questo contenzioso meno di quattro mesi in primo grado è difficile possa durare (sempre che il caso non sia complesso, ad esempio per la presentazione di un ricorso incidentale, motivi aggiunti oppure per la necessità di una verifica tecnica o istruttoria per esempio se un macchinario possiede caratteristiche equivalenti a quelle richieste nelle specifiche tecniche della gara). È quindi facile che, come sopra visto, si determini una sovrapposizione del processo su ammissioni/esclusioni rispetto al processo sull’aggiudicazione. In tale scenario, è difficile comprendere cosa è opportuno che la stazione appaltante faccia nelle more del processo.

In sostanza, una volta che viene proposto il ricorso, la P.A. può continuare ed aggiudicare oppure fermarsi.

Se si ferma perde (almeno) tre – quattro mesi a causa di questo contenzioso anticipato e inutile avente ad oggetto la mera formalità delle autodichiarazioni, se va avanti, oltre alla difficoltà di andare avanti in pendenza di dubbi sulla ammissione o meno di alcuni dei concorrenti, dovrà decidere se aprire solo la busta tecnica o anche la busta economica. Nel primo caso analizzerà una offerta tecnica che potrebbe poi essere esclusa, nel secondo caso, ove un concorrente fosse riammesso in gara, ovvero uno di essi fosse escluso a seguito del processo sulle ammissioni, la commissione di gara dovrebbe riunirsi di nuovo ed effettuare valutazioni inquinate dalla conoscenza della offerta economica.

Inoltre, nel caso in cui non venga disposta la sospensione della procedura, c’è il concreto rischio che la gran parte dei ricorsi sulle ammissioni diventino improcedibili per carenza di interesse, per cui torna la domanda: perché l’ordinamento costringe ad iniziare una azione giurisdizionale che può facilmente non portare da nessuna parte?

3.3.5. I principi della direttiva 2007/66

Come accennato, sembrano sussistere anche alcuni problemi di natura squisitamente processuale, cioè di incardinamento della nuova norma nel sistema esistente, nonché di rispetto delle norme di rango costituzionale e/ comunitario.

Anzitutto, la Direttiva 2007/66/CE non sembra prevedere ipotesi di immediata lesività del genere di quelle in parola, ma anzi dispone che:

–   “Il termine sospensivo (cfr. per la stipula del contratto) dovrebbe concedere agli offerenti interessati sufficiente tempo per esaminare la decisione d’aggiudicazione dell’appalto e valutare se sia opportuno avviare una procedura di ricorso. Quando la decisione di aggiudicazione è loro notificata, gli offerenti interessati dovrebbero ricevere le informazioni pertinenti, che sono loro indispensabili per presentare un ricorso efficace. Lo stesso vale di conseguenza per i candidati se l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore non hanno messo tempestivamente a disposizione informazioni circa il rigetto della loro domanda” (considerando n. 6);

–   “Una procedura di ricorso dovrebbe essere accessibile almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione” (considerando n. 17);

–   “le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace” (art. 1, paragrafo 1, secondo capoverso);

–   “Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione” (art. 1, paragrafo 3);

–   “Se gli organi responsabili delle procedure di ricorso non sono organi giudiziari, le loro decisioni sono sempre motivate per iscritto. In questo caso inoltre devono essere adottate disposizioni mediante cui ogni misura presunta illegittima presa dall’organo di ricorso competente oppure ogni presunta infrazione nell’esercizio dei poteri che gli sono conferiti possa essere oggetto di un ricorso giurisdizionale o di un ricorso presso un altro organo che sia una giurisdizione ai sensi dell’articolo 234 del trattato e che sia indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’organo di ricorso” (art. 2, paragrafo 9).

La Direttiva in parola, quindi, sembra esigere il rispetto del principio di effettività della tutela, e sembra implicare che la lesività dell’azione amministrativa può vagliarsi, di norma, solo a seguito dell’avvenuta aggiudicazione dell’appalto, una volta che il soggetto interessato sia messo nella condizione di valutare il proprio interesse e di verificare in modo adeguato le decisioni della stazione appaltante.

Inoltre, la medesima Direttiva sembra implicare la necessità che sussista un interesse soggettivo valutato personalmente dall’operatore economico a presentare un ricorso, mentre nel nuovo processo l’interesse non è valutato dall’operatore ma è stabilito per legge.

Si aggiunga che nella giurisprudenza europea sinora intervenuta è stato affermato che il termine per impugnare o chiedere il risarcimento del danno deve comunque decorrere dalla comunicazione della aggiudicazione o comunque dalla effettiva conoscenza del vizio (sentenza Medeval, Corte di Giustizia UE, Sez. V, 26 novembre 2015, in causa C-166/14, negli stessi termini la sentenza Uniplex, Sez. III, 28 gennaio 2010, in causa C-406/08).

Per questo il Consiglio di Stato ha evidenziato la necessità che il termine di impugnazione delle ammissioni prenda le mosse solo successivamente alla piena conoscenza dei possibili vizi delle stesse. Il problema è che fino all’aggiudicazione la dimostrazione dei requisiti è per definizione sub iudice, instabile e soggetta a successiva verifica documentale.

Sicché i dubbi di compatibilità eurounitaria emergono prepotentemente.

3.3.6. La tutela risarcitoria nel processo sulle ammissioni

Almeno sotto il profilo risarcitorio, poi, è tutta da verificare la compatibilità con il diritto comunitario e costituzionale della nuova norma.

In particolare occorre riflettere su due profili.

Il primo è la possibilità che l’impugnazione delle ammissioni possa non essere ritenuta un comportamento dovuto per eliminare o mitigare il danno ai sensi dell’art. 1227 c.c., dell’art. 30 del c.p.a. e dell’art. 124 del c.p.a. (che secondo taluni orientamenti è norma speciale rispetto al 30), anche alla luce della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 3/2011. Potrebbe forse pretendersi, ai fini dell’art. 1227 c.c., in sede procedimentale una richiesta di autotutela oppure una segnalazione all’ANAC, ma richiedere, pena la decadenza del diritto al risarcimento del danno, l’impugnazione di un “elenco degli ammessi”, senza peraltro in molti casi avere comunicazione o poter accedere ai documenti su cui tale ammissione si basa, pare piuttosto forzato. E quindi la preclusione del nuovo comma 2bis dell’art. 120 c.p.a. potrebbe impedire la presentazione di una domanda di annullamento relativamente a quella fase di gara, ma non la domanda risarcitoria (alcuni spunti in questo senso sono forse rinvenibili nella giurisprudenza eurounitaria “(44) Occorre di conseguenza considerare che, in applicazione del principio della certezza del diritto, in caso di irregolarità asseritamente commesse prima della decisione di aggiudicazione dell’appalto, un offerente è legittimato a proporre un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione soltanto entro il termine specifico previsto a tal fine dal diritto nazionale, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto di ricorso, conformemente al diritto dell’Unione.

(45) Per converso, un offerente è legittimato a proporre un ricorso per risarcimento danni entro il termine generale di prescrizione previsto a tal fine dal diritto nazionale.”; sentenza, sez. V, 8 maggio 2014, in causa C161/13, Idrodinamica Spurgo Velox)

Il secondo punto riguarda il fatto che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, le infrazioni al diritto comunitario devono essere sempre accertate dal giudice che ne venga investito. Nemmeno il giudicato maturato su una questione esime tout court il giudice dal valutare la violazione del diritto europeo (sentenze Köbler, Kempter, Kühne & Heitz, Traghetti del Mediterraneo, Lucchini, Olimpiclub, Cartiera dell’Adda[21]), ove sia possibile accedere a tale scrutinio con applicazione, anche molto estesa, dei principi di interpretazione conforme, parità di trattamento, accessibilità dei ricorsi, risarcimento dei danni.

Questo vuol dire che il giudicato sulle ammissioni potrebbe non rappresentare una barriera insormontabile allo scrutinio di un motivo afferente alla violazione del diritto europeo, in particolare in caso di richiesta di risarcimento danni, e soprattutto in caso di richiesta di risarcimento per violazione del diritto comunitario da parte di organi dello Stato membro.

Inoltre, a rigor di logica, se nemmeno il giudicato può ostacolare tout court l’accertamento di una infrazione al diritto comunitario, non si vede come tale ostacolo possa rinvenirsi nella “acquiescenza” alla ammissione di un concorrente che, di per sé, non è lesiva, è ancora soggetta a verifica finale post aggiudicazione, e potrebbe quindi essere ancora disposta dalla stazione appaltante procedente. In effetti, la P.A., nel nostro ordinamento, almeno fino alla fine del procedimento, non perde mai il potere di autotutela rispetto agli atti endoprocedimentali e, in alcune delle sentenze prima citate (in particolare Kühne & Heitz, Kempter e Lucchini), la Corte ha affermato che il diritto europeo impone ad un organo amministrativo di riesaminare una decisione amministrativa (anche) definitiva per tener conto dell’interpretazione delle pertinenti disposizioni comunitarie eventualmente sopravvenute a seguito di sentenze della Corte di giustizia.

Pertanto, pur non potendosi generalizzare la possibilità di riaprire una questione risolta, o non sollevata, in sede di procedimento o di processo contro le “ammissioni”, e pur dovendosi allo stato circoscrivere detta possibilità ai casi di sopravvenienze nella giurisprudenza europea, non sembra che il processo sulle “ammissioni” possa avere quel grado di solidità che il nuovo Codice sembra pretendere. Non sembra improbabile la possibile affermazione di un principio eurounitario per cui, sin quando la stazione appaltante può disporre l’esclusione di un concorrente per vizi attinenti ai requisiti, nessuna preclusione può maturare per alcuno dei concorrenti, giacché essi sembrerebbero avere il diritto che, in sede di aggiudicazione, la P.A. riesamini tutti i provvedimenti presi in corso di procedura valutandone la conformità al diritto comunitario.

3.3.7. L’aumento del costo del processo

Nella sentenza “Orizzonte Salute” della Corte di Giustizia UE, riguardante gli importi dei contributi unificati, sembra affermarsi, al punto 58, che un contributo di oltre il 2% del valore dell’appalto rende la tutela giurisdizionale eccessivamente difficile. Ebbene tale importo può facilmente essere raggiunto se gli operatori sono costretti a presentare ricorsi contro provvedimenti endoprocedimentali senza averne interesse.

3.3.8. I principi costituzionali ed eurounitari e il processo sulle ammissioni

Si aggiunga che i principi processuali europei di equivalenza e non eccessiva difficoltà della tutela giurisdizionale potrebbe essere vulnerati sotto vari profili. Infatti, come visto, né il “mezzo” processo sulle ammissioni né il “mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire pienezza ed efficacia della tutela. Il primo processo di certo non è efficace, perché non consente di conseguire il bene della vita ambito, il secondo processo di certo non è pieno, perché non ha ad oggetto tutti i possibili vizi della procedura.

Identici problemi sorgono sotto il profilo dei principi processuali previsti dagli artt. 1 e 2 del c.p.a.: effettività della giurisdizione, parità delle parti, contraddittorio, giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione, leale collaborazione tra le parti per la realizzazione della ragionevole durata del processo. Si tratta peraltro di canoni che, in buona misura, rappresentano precipitati dei principi in tema di processo recati da norme europee, queste ultime derivanti sia dal diritto dell’UE sia dal diritto CEDU, e dalle disposizioni di cui all’art. 24 ed all’art. 113 della Costituzione[22].

3.4. Conclusioni

In definitiva, la grave alterazione del principio di concentrazione della tutela giurisdizionale e di personalità ed attualità dell’interesse che la nuova norma presenta è suscettibile di determinare una violazione delle garanzie costituzionali ed eurounitarie nel processo in materia di appalti, perché, come visto, né il “mezzo” processo sulle ammissioni né il “mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire efficacia e pienezza della tutela, e la necessità di adirli entrambi può rendere eccessivamente difficile la tutela dei diritti.


[1]* I paragrafi 1 e 2 del presente capitolo sono a cura di Pierluigi Mantini; il paragrafo 3 del presente capitolo è a cura di Giovanni Caputi.

 Sia consentito rinviare, ex multiis a P. Mantini, Nel cantiere dei nuovi appalti pubblici, Milano, 2015, pp. 181 ss..

[2] A. Pajno, I contratti pubblici e il processo, in Pajno A., Torchia L. (a cura di), La nuova disciplina dei contratti pubblici: le regole, i controlli, il processo, Paper Astrid, 2015, pp. 51 ss.; P. Mantini, Nel cantiere dei nuovi appalti pubblici, op. cit., pp. 179 ss..

 

[3] Osserva a riguardo il Consiglio di Stato che «la sottoposizione dei concorrenti all’onere di un doppio giudizio (prima quello preliminare sugli atti di ammissione ed esclusione, quindi quello finale sull’esito della gara) pone l’esigenza equitativa di ridurre significativamente (si può pensare a un dimezzamento) l’entità del contributo unificato per il contenzioso a valle», in Parere, cit.

 

[4] A riguardo il Consiglio di Stato, nel parere più volte citato, osserva che in relazione al giudizio cautelare «l’art. 204 introduce, in ossequio alla legge delega, un comma 8-ter nell’art. 120 cod. proc. amm.: si tratta di previsione che richiede al giudice, in sede di bilanciamento degli interessi in sede cautelare, di tener conto delle disposizioni degli artt. 121, comma 1, e 122 cod. proc. amm. La previsione può essere ritenuta una esplicitazione dei parametri già utilizzati in sede di bilanciamento, attraverso un giudizio prognostico. Quanto, invece, al rito “superspeciale” previsto per le ammissioni e le esclusioni, la tutela cautelare diventa, di fatto e nella ordinarietà dei casi, superflua, attesi i tempi strettissimi in cui si perviene alla decisione di merito, di cui può anche essere anticipata la pubblicazione del dispositivo. Sicché la funzione anticipatoria che è propria e tipica della tutela cautelare non troverà ordinariamente possibilità di pratica esplicazione. In tale prospettiva si comprende perché l’art. 204, nel novellare il comma 8 dell’art. 120 cod. proc. amm., relativo alla tutela cautelare, fa “salvo quanto previsto al comma 6-bis”. Tuttavia tale inciso, se rispondente alla ratio della ordinaria non necessità della tutela cautelare nel rito “superspeciale”, dà luogo a dubbi sul piano dei principi comunitari e costituzionali in tema di indefettibilità della tutela cautelare. Difatti, la tutela cautelare non può essere preclusa ex ante, in via generale, anche ove, di fatto, ed ordinariamente, ex post non sia necessaria. Sicché, potrebbe essere opportuno sopprimere la lett. f) del comma 2 dell’art. 204».

 

[5] M. Ramajoli, Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie pubblicistiche, in Dir. Amm., 2014, 1-2, pp. 1 ss..

 

[6] A. L. Levin, R.R. Wheeler, The Pound Conference: Perspectives on Justice in the Future, West Publishing co., St Paul Minnesota, 1979.

 

[7] La previsione è stata introdotta attraverso la modifica dell’articolo 120 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Su questi temi sia consentito rinviare a P. Mantini, Osservazioni minime sulla giustizia amministrativa e gli appalti nel d.l. n. 90/2014, in Osservatorio sugli appalti pubblici, GiustAmm.it — Rivista Internet di diritto pubblico, 2014.

 

[8] Le ADR sono infatti espressamente menzionate nel Libro Verde sull’accesso dei consumatori alla giustizia, del 1993, nella direttiva 97/5/CE, sui bonifici transfrontalieri, nella direttiva 97/7/CE, sulla tutela dei consumatori nei contratti a distanza, nonché oggetto di atti non vincolanti, quali la Comunicazione della Commissione sulla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, del 1998 e la Raccomandazione della Commissione 98/257/CE, riguardante i principi applicabili agli organismi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, dello stesso anno.

 

[9] Considerando (29), dir. 2014/24/UE.

 

[10] Art. 1, comma 1, lettera pp), A. S. n. 1678 come approvato dal Senato.

 

[11] Si veda Cass. civ., ord. 6 settembre 2010, n. 19051.

 

[12] Pajno A., Giustizia amministrativa e crisi economica, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 2013, 5-6, pp. 951 ss..

 

[13] Pajno A., Giustizia amministrativa e crisi economica, op.cit.

 

[14] Cass. civ., ord. 6 settembre 2010, n. 19051.

 

[15] A riguardo, il parere del Consiglio di Stato muove i seguenti rilievi: «nel caso dei servizi e forniture la procedura il metodo di risoluzione alternativo in esame diviene esperibile per tutte le controversie insorgenti nella fase esecutiva del contratto ed aventi ad oggetto “la corretta valutazione dell’esattezza della prestazione pattuita” (art. 206); la formula è tuttavia ridondante, essendo più corretto riferirsi all’“esatta esecuzione delle prestazioni dovute”; – in un contesto volto all’ampliamento dell’ambito di operatività dell’istituto ne è precluso il suo impiego per gli aspetti progettuali “che sono stati oggetto di verifica ai sensi dell’art. 26” (art. 205, comma 2. terzo periodo)».

 

[16] Recita, infatti, il secondo comma dell’art. 211 che «qualora l’Autorità, nell’esercizio delle proprie funzioni, accerti violazioni che determinerebbero l’annullabilità d’ufficio di uno dei provvedimenti ricompresi nella procedura ai sensi degli articoli 21-opties e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. La raccomandazione ha effetto sospensivo sul procedimento di gara in corso per il medesimo termine di sessanta giorni, qualora dal provvedimento possa derivare danno grave. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 36 del presente decreto».

 

[17] «In pratica, con l’applicazione generalizzata dell’art. 211, comma secondo, sono state messe sotto tutela le Amministrazioni, sia quelle centrali che quelle periferiche ed anche quelle specificatamente qualificate per il ruolo di stazioni appaltanti. La qualcosa suscita non poche perplessità in ordine al giudizio di affidabilità dell’apparato amministrativo nell’esercizio di una importante funzione, tant’è che si è previsto un intervento diretto e vincolante affidato ad un organismo indipendente in parallelo agli ordinari controlli istituzionali della Magistratura amministrativa, penale e contabile. Non è una bella prospettiva per l’affermazione di quel principio di responsabilità, che dovrebbe governare le regole di un efficiente sistema democratico. Ma è anche lo specchio di ciò che si sta verificando il linea più generale nel sistema Paese. (…) In disparte la violazione del sistema delle Autonomie – rilevata dalla Commissione Normativa del Consiglio di Stato – in termini fattuali la «raccomandazione» di ANAC può intervenire in qualsiasi momento del procedimento di gara, in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché di certezza delle situazioni giuridiche. L’invito, secondo la previsione dell’art. 211, può riguardare qualsiasi atto del procedimento, anche dopo la sua conclusione, se è vero che l’autotutela è imposta anche per «rimuovere gli eventuali effetti degli atti illegittimi». L’iniziativa di ANAC è riferita oltre che ai tradizionali vizi di legittimità anche ai nuovi parametri definiti dalle direttive attuative del Codice, non è condizionata da eventuali vicende giurisdizionali su impulso di parte, prescinde da scansioni temporali e può assumere quindi la natura di supplenza o surrogazione degli interessi di parti private decadute dal termine per agire in sede giurisdizionale», così P. Quinto, Il nuovo codice dei contratti pubblici e le “raccomandazioni vincolanti” di Cantone, in www.lexItalia.it, 2016.

 

[18] Senza pretesa di esaustività e pur considerando che alcuni riti presentano significative somiglianze (omettendo però di computare, per esempio, il processo in tema di infrastrutture strategiche ed il ricorso straordinario): 1) Ordinario, 2) Accesso 3) Silenzio 4) Elettorale 5) Ottemperanza 6) Abbreviato per determinate materie 7) Speciale Abbreviato appalti 8) Super speciale abbreviato ammissione/esclusione appalti.

 

[19] Per i riferimenti dottrinali si veda A. Romeo, L’impugnabilità degli atti amministrativi, Napoli, 2008.

 

[20] Su cui la Corte di Giustizia CE si è pronunciata, tra l’altro, con la decisione della V Sezione, 8 maggio 2014, in causa C-161/13, nella quale, in particolare, ha affermato che “ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni” (punto 37) e che «una possibilità, come quella prevista dall’articolo 43 del decreto legislativo n. 104/2010, di sollevare “motivi aggiunti” nell’ambito di un ricorso iniziale proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell’appalto non costituisce sempre un’alternativa valida di tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli offerenti sarebbero costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell’appalto, senza conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso” (punto 40).

 

[21] Sentenze del 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Köbler; 13 gennaio 2004, in causa C-453/00 Kühne & Heitz; 12 febbraio 2008, in causa C-2/06, Kempeter KG; 13 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; 18 luglio 2008, in causa C-119/05, Lucchini S.p.A.; 3 settembre 2009, causa C-2/08, Olimpiclub; 6 novembre 2014, in causa C-42/13, Cartiera dell’Adda.

 

[22] Queste ultime come è noto prevedono: (a) che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”; (b) che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost.); (c) che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa; (d) che detta tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; ed infine (e) la (tendenzialmente necessaria, salvi i casi e gli effetti previsti dalla legge) previsione della possibilità di tutela per mezzo dell’annullamento degli atti della pubblica amministrazione (art. 113 Cost.).