1. Premessa.


Lo schema del nuovo codice dei contratti  (di seguito Codice) reca, tra le altre cose, all’art. 204, la riforma dell’art. 120 del Codice del processo amministrativo (di seguito c.p.a.), introducendo un nuovo rito che si aggiunge a quelli  già esistenti e porta il numero dei riti del processo amministrativo al non esiguo numero di  8 .
In buona sostanza, il comma 2 del menzionato articolo del c.p.a. viene riformulato, prevedendosi che “i vizi relativi alla composizione della commissione di gara, all’ammissione e all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali di cui all’articolo 76 del codice degli appalti pubblici e delle concessioni, sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili dinanzi al giudice amministrativo nel termine di trenta giorni decorrente dalla pubblicazione della composizione della commissione, dell’elenco degli esclusi e degli ammessi sul profilo del committente della stazione appaltante. L’omessa impugnazione di tali provvedimenti nei termini stabiliti dal presente comma preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura di gara, anche con ricorso incidentale. E’ altresì inammissibile l’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria, ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività.”
Le regole di procedura che questo speciale processo su commissioni di gara, ammissioni ed esclusioni dalla procedura di evidenza deve seguire è poi disciplinato attraverso l’introduzione di un nuovo comma 6 bis sempre all’art. 120 c.p.a.: “6-bis. Nei casi previsti al comma 2, il giudizio è definito in una camera di consiglio da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica. Il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato alle parti quindici giorni prima dell’udienza. Le parti possono produrre documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi e presentare repliche ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi. La camera di consiglio o l’udienza possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie o per estendere il contraddittorio, proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale. Il deposito di documenti deve avvenire entro tre giorni dalla notifica dell’ordinanza istruttoria. La nuova camera di consiglio deve essere fissata non oltre quindici giorni. Non può essere disposta la cancellazione della causa dal ruolo”.

 


2. L’inquadramento concettuale della nuova previsione.


Da una analisi preliminare, sembra potersi dire che la novità normativa in commento si inserisca nel filone, dottrinale e giurisprudenziale, che propugna un’anticipazione del momento della verifica giurisdizionale dal provvedimento finale a qualificati passaggi endoprocedimentali, tutte le volte in cui il procedimento sia giunto ad un grado consistente di avanzamento, tale da far ritenere, almeno in parte, che l’esito del procedimento sia sostanzialmente già maturato (al limite dell’irreversibilità).
Si tratta di considerare praticabile una impugnazione autonoma dei singoli atti endoprocedimentali laddove ciascuno di essi evidenzi il raggiungimento di una composizione degli interessi sufficientemente definita e tale da poter radicare, in capo al partecipante, un interesse sostanziale e, dunque, l’interesse ad impugnare una parte soltanto di quel rapporto posto in essere con la pubblica amministrazione .
In giurisprudenza, possono ricordarsi, senza la benché minima pretesa di esaustività: (i) Tar Lombardia, Brescia, sent. n. 853/2009 (in merito all’affidamento della concessione di gestione dell’aeroporto di Brescia) che riconosce l’interesse, da parte di un operatore concorrente, ad impugnare la convenzione accessiva al provvedimento di concessione; convenzione che era stata stipulata prima della concessione, la quale però tardava a intervenire prolungando la gestione del concessionario di fatto (o del concessionario precario). Tuttavia, il Consiglio di Stato ha poi ritenuto (errando, ad avviso di chi scrive) che si dovesse aspettare l’aggiudicazione definitiva della concessione prima di poter contestare la posizione dell’allora concessionario precario o di fatto che aveva ottenuto la convenzione accessiva, pur essendo evidente che una volta che interviene la convenzione accessiva con un operatore, propedeutica alla stipula della concessione, vuol dire che tutti gli altri operatori sono stati esclusi dalla procedura e dalla possibilità di aggiudicarsi quella concessione; (ii) Consiglio di Stato, sent. n. 1243/2014, in cui viene riconosciuta (o confermata e in parte estesa) la possibilità di impugnare il bando di gara non solo nelle sue parti escludenti, ma anche nelle parti in cui non disciplina in modo sufficientemente chiaro alcuni profili della concessione, nella misura in cui le parti del bando contestate non fossero più emendabili nel prosieguo della gara (ma in realtà nel caso di specie potevano forse ancora essere precisate) e nella misura in cui dovessero impedire la formulazione di una offerta consapevole; in particolare viene affermato il diritto-obbligo di impugnare le prescrizioni puntuali del bando di gara insuscettibili di essere emendate/modificate/corrette in sede di successiva lettera-invito; (iii) Consiglio di Stato, ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, 23 giugno 2015, n. 3167, riguardante un caso in cui si chiedeva l’annullamento dei provvedimenti relativi all’adozione del piano regolatore generale di Roma Capitale, nella parte in cui prevedevano un contributo straordinario per alcuni interventi urbanistici, che però non erano ancora stati attuati dal ricorrente; nell’ordinanza citata, è stato ritenuto che vi fossero profili di incostituzionalità nel principio di attualità dell’interesse inteso nel senso tradizionale e che la Costituzione imporrebbe di consentire l’accertamento giurisdizionale anche ove il pregiudizio non abbia una attualità “sicura”.
Al di là di alcune aperture giurisprudenziali e dottrinali, tuttavia, l’idea che l’interesse a ricorrere debba essere attuale e che per essere tale debba avere ad oggetto un provvedimento definitivo, o comunque una posizione giuridica ormai plasmata formalmente ed in via definitiva dall’azione della p.a., è sempre rimasta molto forte (si vedano in merito, per esempio, le sentenze sull’inammissibilità della immediata impugnazione degli impegni ex art. 14-ter della l. 10 ottobre 1990, n. 287, presentati in sede di procedimento antitrust; cfr. Consiglio di Stato n. 4393/2011, sostanzialmente confermata, con interessanti indicazione in merito al rapporto tra atto endoprocedimentale e provvedimento finale da Consiglio di Stato n. 743/2016).

 


3. Il parere del Consiglio di Stato.


Il Consiglio di Stato, nel parere espresso sullo schema di decreto legislativo, evidenzia più di una criticità della norma in esame, tanto con riguardo alla immediata impugnazione dei vizi afferenti ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dei concorrenti, nonché della nomina commissione di gara, quanto con riferimento alle regole di procedura che tale processo dovrebbe seguire.

 

 

3.1. Sull’impugnazione immediata di ammissioni, esclusioni e nomina commissione.


Sotto il primo profilo, il Consiglio di Stato individua innanzitutto un potenziale eccesso di delega, dal momento che quest’ultima non prevedeva la predisposizione del rito anticipato-accelerato anche con riferimento alla nomina della commissione giudicatrice, ma solo per i vizi relativi all’ammissione o all’esclusione degli offerenti. Nel parere si sottolinea che, avendo tale procedura carattere derogatorio, e anche alla luce del divieto di gold plating, l’applicazione non può che essere considerata eccezionale e, quindi, la delega avrebbe dovuto essere utilizzata in maniera particolarmente restrittiva o, comunque, non in maniera estensiva con inclusione di casi non indicati, com’è invece avvenuto. Infine, l’attuale formulazione della norma non sarebbe coerente con la ratio della delega volta ad eliminare le incertezze circa la platea degli offerenti in un momento antecedente alla valutazione delle offerte. 
In secondo luogo, la Commissione costituita presso il Consiglio di Stato rileva che la norma prevista dallo schema di decreto avrebbe, tra le altre cose, l’effetto di eliminare il vigente secondo comma dell’art. 120 del c.p.a., che fissa un limite di sei mesi per ricorrere contro le aggiudicazioni di procedure non precedute da previa pubblicazione di un bando di gara. In caso di espunzione della norma, l’eventuale impugnazione potrebbe essere promossa entro trenta giorni dalla conoscenza del bando non pubblicato, quindi anche molto tempo dopo l’aggiudicazione, con evidenti ricadute sotto il profilo della certezza delle situazioni giuridiche. 
Ancora, secondo il parere in discorso, l’art. 204 dello schema di Codice non pare coordinato con il diritto di accesso agli atti della procedura, né con la disciplina delle informazioni ai candidati, mentre soltanto attraverso la possibilità di avere effettiva conoscenza, non solo delle ammissioni e delle esclusioni, ma anche delle relative motivazioni e della afferente documentazione sarebbe possibile garantire una tutela giurisdizionale piena e l’effettiva velocizzazione del rito. In particolare, sarebbe insufficiente la previsione della pubblicità data sulla sezione Amministrazione Trasparente del profilo di committente degli elenchi di ammessi e esclusi (art. 29, comma 1, dello  schema del nuovo Codice).
Un ulteriore punto della relazione contiene una disapprovazione del divieto di ricorso cumulativo in caso di gare a più lotti, con la sola eccezione della proposizione di censure identiche. È ritenuto eccessivo il sacrificio a scapito del diritto di difesa (art. 24 Cost.) anche tenuto conto del naturale corollario in termini di maggior peso del contributo unificato, già oggetto di numerose critiche.  
Sempre in materia di costi del giudizio, il Consiglio di Stato evidenzia che l’obbligatorietà dell’immediata impugnazione nei casi appena descritti comporterebbe un significativo aumento dei costi del giudizio, stante la necessità di impugnare la procedura in tempi diversi e sotto diversi profilo con ricorsi non cumulabili. Per questo, nel parere, si propongono dei correttivi che tengano conto della criticità, anche riducendo, fino a dimezzarla, l’entità del contributo unificato.  
Infine, si è espressa l’esigenza di valutare l’opportunità che sia inserita una previsione per cui la stazione appaltante dovrebbe indicare già nel bando la data entro la quale comunicherà l’ammissione o l’esclusione degli offerenti.

 


3.2. Sulle regole di procedura del nuovo rito. 


Stante la previsione di un nuovo rito super accelerato, il parere prende atto del fatto che un velocissimo giudizio di merito (che teoricamente dovrebbe essere reso in 3-4 mesi) quasi esclude la possibilità che gli interessati facciano ricorso alla tutela cautelare, stante la sostanziale omogeneità dei tempi per ottenere, invece, una decisione definitiva, oltre alla possibilità che il dispositivo venga reso immediatamente entro due giorni dall’udienza di discussione.
Al tempo stesso, però, il parere sottolinea come non può escludersi tout court la possibilità che tale interesse ad ottenere una misura cautelare possa sussistere. Pertanto, essa dovrebbe essere opportunamente prevista.
La previsione nello schema di nuovo Codice della motivazione per relationem delle pronunzie di appello, poi, ad avviso del Consiglio di Stato, presenta delle criticità. La norma appare, infatti, violativa dei fondamentali principi in tema di diritto di difesa, e rischierebbe di essere addirittura controproducente rispetto al preteso interesse di velocizzare la risoluzione del contenzioso, dal momento che, a quel punto, le parti potrebbero attivare ulteriori rimedi previsti dall’ordinamento (revocazione, opposizione di terzo, ricorso per Cassazione) per ottenere una revisione della decisione di primo grado. Tutto ciò senza considerare che uno strumento utile a tale scopo è già previsto dal Codice del processo amministrativo e consiste nella sentenza in forma semplificata ex art. 120 c.p.a..
Sempre con riguardo alle questioni attinenti alle regole di procedura del nuovo ricorso, il parere evidenzia l’opportunità di ridurre i termini di appello, eliminando la possibilità di avvalersi del termine cd. lungo di tre mesi dalla pubblicazione.
Rispetto a tutte queste problematiche, con atteggiamento propositivo, il Consiglio di Stato suggerisce altresì delle soluzioni attraverso delle modifiche al testo della norma. Tra le modifiche consigliate è di rilievo la richiesta di dare avviso ai concorrenti, mediante PEC, dell’adozione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione.

 


4. Le permanenti criticità del nuovo processo. 


Fatta la premessa che precede in termini di inquadramento generale, sembra si possa dire che, anche ove fossero accolte le (complessivamente assennate) osservazioni del Consiglio di Stato, nella nuova norma permangono significative criticità, alcune delle quali potrebbero essere definite sostanziali o procedimentali, in quanto relative alla logica ed al funzionamento della norma nel contesto intrinseco del Codice dei Contratti, ed altre processuali o estrinseche (rispetto a detto Codice), attinenti cioè alla difficile collocazione della novella nell’ambito dei principi consolidati del processo amministrativo, nazionale e comunitario, anche in materia di appalti.

 


4.1. L’individuazione del “provvedimento di ammissione alla gara” e dei suoi presupposti ed il coordinamento tra l’art. 29 comma 1, l’art. 53 e l’art. 32 del nuovo Codice.


Il provvedimento che il nuovo schema di Codice impone di impugnare non pare avere, nel diritto sostanziale, le caratteristiche di un provvedimento “tipico”. Sembrerebbe quindi utile (forse indispensabile) una sua definizione, al fine di chiarire quale sia l’oggetto del nuovo ricorso.
Nel nuovo Codice, l’art. 29 dispone la pubblicazione dell’elenco dei soggetti “ammessi” entro due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, con i documenti pertinenti allegati, mentre l’art. 53 contiene una serie di ipotesi di differimento dell’accesso e quindi, sembrerebbe, di pubblicazione, nonché alcune ipotesi di divieto di pubblicazione e di comunicazione. In tale scenario, occorre notare che il nuovo art. 120 c.p.a. si riferisce ad un termine per l’impugnazione di trenta giorni dalla pubblicazione dell’elenco degli esclusi e degli ammessi sul profilo del committente della stazione appaltante, pubblicazione che sembrerebbe essere disciplinata dall’art. 29. Tuttavia, al tempo stesso, l’art. 53 consente, ed anzi impone, in molte circostanze il differimento della comunicazione di dati essenziali per proporre l’eventuale ricorso. Sempre nel nuovo Codice non si rinvengono indicazioni specifiche sulle modalità con cui le stazioni appaltanti debbano emanare il “provvedimento di ammissione alla gara”, che dovrebbe essere pubblicato entro due giorni dalla emanazione e che però potrebbe essere soggetto, almeno in relazione ad alcuni suoi profili (motivazionali e documentali) ai differimenti di cui all’art. 53.
Dal canto suo, l’art. 32 – che delinea le fasi della procedura – non sembra contemplare un provvedimento del genere.
Appare quindi inopportuno collegare un termine di decadenza così importante alla pubblicazione di un provvedimento che non è “tipico”, i cui contenuti ed i cui (eventuali) presupposti documentali sono evanescenti, e che le stazioni appaltanti potrebbero decidere liberamente di formalizzare immediatamente all’inizio oppure a ridosso della fine del procedimento. Non sembra infatti che il solo fatto di aprire la busta tecnica e/o quella economica possa significare senz’altro la “ammissione” del concorrente alla gara a seguito della mancata sollevazione di censure esplicite rispetto alla busta amministrativa, o che tali aperture possano essere disposte solo a seguito di un formale provvedimento di “ammissione”, visto che la “ammissione” potrebbe anche essere con riserva e che l’apertura di una busta diversa da quella amministrativa non pare debba necessariamente essere preceduta da una formale deliberazione di “ammissione”. Oltretutto, potrebbero essere viziate parti delle offerte tecniche, quindi, almeno fino all’apertura delle buste economiche non v’è alcun provvedimento di ammissione definitivo e stabile (a volte nemmeno a tale stadio della procedura, visto che anche la configurazione della offerta economica potrebbe presentare dei vizi, e visto che alle volte le leggi di gara riservano verifiche o prove del prodotto acquistato post aggiudicazione provvisoria o emanazione della graduatoria).

 


4.2. Il difficile coordinamento con i principi di autodichiarazione e di effettiva conoscenza del vizio.


Possono poi essere rilevati diversi problemi di coordinamento con i principi in tema di dimostrazione dei requisiti tramite autodichiarazioni e di effettiva conoscenza del vizio .
In effetti appare difficile coordinare, se non nel momento finale della procedura quando i requisiti vengono documentalmente verificati, il principio di autocertificazione dei requisiti con il principio per cui l’interessato deve poter conoscere effettivamente il vizio di cui deve dolersi.
In effetti, di regola, le ammissioni, salvo casi particolari, avvengono sulla base delle autodichiarazioni (a regime con il nuovo documento unico europeo, il DGUE) , ma è possibile che poi l’aggiudicatario quando produce i documenti non dimostri la sussistenza del requisito che ha dichiarato, quindi appare difficile impugnare una ammissione che è stata determinata sulla base delle sole autodichiarazioni. I concorrenti potrebbero avere comunque il diritto di impugnare il provvedimento di aggiudicazione per motivi attinenti ai vizi dei requisiti dell’aggiudicataria, se questi vizi (come sembra possa accadere in molti casi) sono stati conosciuti dopo.
Può poi darsi il caso di vizi sopravvenuti, dopo l’ammissione alla gara, e anche in questo caso è nel momento della aggiudicazione che il concorrente danneggiato conosce i vizi e può dolersene.
Inoltre non è chiaro quali sarebbero i documenti “relativi alla ammissione”.
Non possono essere solo documenti della P.A. perché non sarebbe tutelato il diritto di difesa, e, se sono compresi anche i documenti dell’offerente, va compreso di quali documenti deve trattarsi. Quanto ai documenti amministrativi potrebbero esserci delle parti non pubblicabili sul profilo del committente (per esempio la dichiarazione dei conviventi di un amministratore). Quanto ai documenti tecnici, vi sarebbe un evidente contrasto con i limiti del diritto di accesso, che, se troppo esteso, consentirebbe a concorrenti scaltri di acquisire progetti e proposte a volte di notevole valore. Anche l’accesso indiscriminato alla offerta economica potrebbe talvolta dar modo ai concorrenti scaltri di acquisire informazioni riservate.
Sicché sembrerebbe che il processo sulle ammissioni potrebbe risolversi in una verifica formale sulla correttezza delle autocertificazioni, mentre il successivo processo sulla aggiudicazione potrebbe avere ad oggetto la effettiva sussistenza del requisito. Il punto però andrebbe quantomeno chiarito, in disparte l’utilità o meno di tale processo anche alla luce del principio del soccorso istruttorio.

 


4.3. Il difficile coordinamento con le fasi e la tempistica del procedimento.


Nell’esperienza del vecchio Codice, tranne in caso di appalti molto complessi, le operazioni che vanno dalla verifica dei requisiti dei concorrenti sorteggiati (verifica che adesso non pare obbligatoria nel nuovo Codice, potendosi – sembrerebbe – proseguire la gara in presenza delle sole autodichiarazioni) fino all’aggiudicazione possono facilmente avvenire nell’arco di tre, quattro, mesi che equivalgono grossomodo alla durata (prevista) per il nuovo processo.
Ma una volta che, nelle more del processo “ammissioni”, sopraggiunga la aggiudicazione tutti i ricorsi contro chi non sia vincitore divengono improcedibili per carenza di interesse, il che determina situazione a dir poco curiosa.

 


4.4. La possibile inutile complicazione delle operazioni di gara.


Collegato al rilievo che precede ve ne è un altro. Se v’è un momento in cui è pubblicato un provvedimento con gli operatori ammessi alla gara e da quel momento in poi parte il contenzioso sulle ammissioni questo contenzioso meno di quattro mesi in primo grado è difficile possa durare (sempre che il caso non sia complesso, ad esempio per la presentazione di un ricorso incidentale, motivi aggiunti oppure per la necessità di una verifica tecnica o istruttoria per esempio se un macchinario possiede caratteristiche equivalenti a quelle richieste nelle specifiche tecniche della gara). E’ quindi facile che, come sopra visto, si determini una sovrapposizione del processo su ammissioni/esclusioni con il processo sull’aggiudicazione. In tale scenario, è difficile comprendere cosa è opportuno che la stazione appaltante faccia nelle more del processo. Una volta che viene proposto il ricorso la P.A. può continuare ed aggiudicare oppure fermarsi. Se si ferma perde tre quattro - mesi a causa di questo contenzioso anticipato e inutile avente ad oggetto la mera forma delle autodichiarazioni, se va avanti, oltre alla difficoltà di andare avanti in pendenza di dubbi sulla ammissione o meno di alcuni dei concorrenti, dovrà decidere se aprire solo la busta tecnica o anche la busta economica. In questo secondo caso ove un concorrente fosse riammesso in gara, ovvero uno di essi fosse escluso a seguito del processo sulle ammissioni, la commissione dovrebbe riunirsi di nuovo ed effettuare valutazioni inquinate dalla conoscenza della offerta economica.
Inoltre, nel caso in cui non venga disposta la sospensione della procedura, c’è il concreto rischio che la gran parte dei ricorsi sulle ammissioni diventino improcedibili per carenza di interesse, per cui torna la domanda: perché l’ordinamento costringe a iniziare una azione giurisdizionale che può facilmente non portare da nessuna parte ?

 


4.5. Le infrazioni gravi nel processo sulle ammissioni.


Come accennato, sembrano sussistere anche ad alcuni problemi estrinseci, cioè di incardinamento della nuova norma nel sistema processuale esistente, nonché di rispetto delle norme di rango costituzionale e/ comunitario.
In particolare, nel caso di infrazioni gravi, ai sensi dell’art. 2 sexies della direttiva 2007/66, il termine per impugnare o chiedere il risarcimento del danno deve decorrere dalla comunicazione della aggiudicazione o comunque dalla effettiva conoscenza del vizio (sentenza Medeval, Corte di Giustizia UE, Sez. V, 26/11/2015 n. C-166/14, negli stessi termini la sentenza Uniplex). Ovviamente le infrazioni gravi sono un numero molto ridotto, si riducono essenzialmente alla aggiudicazione senza previo bando di gara ed alla violazione delle regole di stand still, però non pare trascurabile questo primo elemento di dubbia compatibilità della nuova norma con il diritto comunitario, e per questo il Consiglio di Stato ha evidenziato la necessità che il termine di impugnazione delle ammissioni prenda le mosse solo successivamente alla piena conoscenza dei possibili vizi delle stesse. Il problema è che fino all’aggiudicazione la dimostrazione dei requisiti è per definizione sub iudice, instabile e soggetta a successiva verifica documentale.

 


4.5. I principi della direttiva 2007/66.


La Direttiva 2007/66/CE non sembra prevedere ipotesi di immediata lesività del genere di quelle in parola, ma anzi dispone che:
“Il termine sospensivo (cfr.  per la stipula del contratto) dovrebbe concedere agli offerenti interessati sufficiente tempo per esaminare la decisione d’aggiudicazione dell’appalto e valutare se sia opportuno avviare una procedura di ricorso. Quando la decisione di aggiudicazione è loro notificata, gli offerenti interessati dovrebbero ricevere le informazioni pertinenti, che sono loro indispensabili per presentare un ricorso efficace. Lo stesso vale di conseguenza per i candidati se l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore non hanno messo tempestivamente a disposizione informazioni circa il rigetto della loro domanda” (considerando n. 6);
“Una procedura di ricorso dovrebbe essere accessibile almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione” (considerando n. 17);
– “le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace” (art. 1, paragrafo 1, secondo capoverso);
– “Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione” (art. 1, paragrafo 3);
– “Se gli organi responsabili delle procedure di ricorso non sono organi giudiziari, le loro decisioni sono sempre motivate per iscritto. In questo caso inoltre devono essere adottate disposizioni mediante cui ogni misura presunta illegittima presa dall’organo di ricorso competente oppure ogni presunta infrazione nell’esercizio dei poteri che gli sono conferiti possa essere oggetto di un ricorso giurisdizionale o di un ricorso presso un altro organo che sia una giurisdizione ai sensi dell’articolo 234 del trattato e che sia indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’organo di ricorso” (art. 2, paragrafo 9);
La Direttiva in parola, quindi, sembra esigere il rispetto del principio di effettività della tutela, e sembra implicare che la lesività dell’azione amministrativa può vagliarsi, di norma, solo a seguito dell’avvenuta aggiudicazione dell’appalto, una volta che il soggetto interessato sia messo nella condizione di valutare il proprio interesse e di verificare in modo adeguato le decisioni della stazione appaltante.
Inoltre, la medesima Direttiva sembra implicare la necessità che sussista un interesse soggettivo valutato dall’operatore economico a presentare un ricorso, mentre nel nuovo processo l’interesse non è valutato dall’operatore ma è stabilito per legge.  
Anche sotto tale profilo i dubbi di compatibilità eurounitaria emergono prepotentemente.

 


4.6. La tutela risarcitoria nel processo sulle ammissioni.


Almeno sotto il profilo risarcitorio, è tutta da verificare la compatibilità con il diritto comunitario e costituzionale della nuova norma, in particolare occorre riflettere su due profili: il primo è la possibilità che l’impugnazione delle ammissioni possa NON essere ritenuta un comportamento dovuto per eliminare o mitigare il danno ai sensi dell’art. 1227 c.c., dell’art. 30 del c.p.a. e dell’art. 124 del c.p.a. (che secondo taluni orientamenti è norma speciale rispetto al 30), anche alla luce della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 3/2011. E quindi la preclusione del nuovo comma 2 dell’art. 120 c.p.a. potrebbe impedire la presentazione di una domanda di annullamento relativamente a quella fase di gara, ma non la domanda risarcitoria. Il secondo punto riguarda il fatto che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, le infrazioni al diritto comunitario devono essere sempre accertate dal giudice che ne venga investito, nemmeno il giudicato maturato su una questione esime tout court il giudice dal valutare la violazione del diritto europeo (sentenze Köbler, Kempter, Kühne & Heitz, Traghetti del Mediterraneo, Lucchini, Olimpiclub, Cartiera dell’Adda), ove sia possibile accedere a tale scrutinio con applicazione, anche molto estesa, dei principi di interpretazione conforme, parità di trattamento, accessibilità dei ricorsi, risarcimento dei danni.
Questo vuol dire che il giudicato sulle ammissioni potrebbe non rappresentare una barriera insormontabile allo scrutinio di un motivo afferente alla violazione del diritto europeo, in particolare in caso di richiesta di risarcimento danni, e soprattutto in caso di richiesta di risarcimento per violazione del diritto comunitario da parte di organi dello Stato membro.
Inoltre, a rigor di logica, se nemmeno il giudicato può ostacolare tout court l’accertamento di una infrazione al diritto comunitario non si vede come tale ostacolo possa rinvenirsi nella “acquiescenza” alla ammissione di un concorrente che di per sé non è lesiva, è ancora soggetta a verifica finale post aggiudicazione,  e potrebbe quindi essere ancora disposta dalla stazione appaltante procedente. In effetti la P.A., nel nostro ordinamento, almeno fino alla fine del procedimento, non perde mai il potere di autotutela rispetto agli atti endoprocedimentali e, in alcune delle sentenze prima citate (in particolare Kühne & Heitz, Kempter  e Lucchini), la Corte ha affermato che il diritto europeo impone ad un organo amministrativo di riesaminare una decisione amministrativa (anche) definitiva per tener conto dell’interpretazione delle pertinenti disposizioni comunitarie eventualmente sopravvenuta della giurisprudenza comunitaria. Pertanto, pur non potendosi generalizzare la possibilità di riaprire una questione risolta, o non sollevata, in sede di procedimento o di processo contro le “ammissioni”, e pur dovendosi allo stato circoscrivere detta possibilità ai casi di sopravvenienze nella giurisprudenza europea, non sembra che il processo sulle “ammissioni” possa avere quel grado di solidità che il nuovo Codice sembra pretendere. Non sembra improbabile la possibile affermazione di un principio eurounitario per cui sin quando la stazione appaltante può disporre l’esclusione di un concorrente per vizi attinenti ai requisiti nessuna preclusione può maturare per alcuno dei concorrenti, giacché essi hanno il diritto che, in sede di aggiudicazione, la P.A. riesamini tutti i provvedimenti presi in corso di procedura valutandone la conformità al diritto comunitario.

 

 
4.7. L’aumento del costo del processo.


Nella sentenza “Orizzonte Salute” della Corte di Giustizia UE, riguardante gli importi dei contributi unificati, sembra affermarsi, al punto 58, che un contributo di oltre il 2% del valore dell’appalto rende la tutela giurisdizionale eccessivamente difficile, ma tale importo può facilmente essere raggiunto se gli operatori sono costretti a presentare ricorsi senza averne interesse.

 


4.8. I principi costituzionali ed eurounitari nel processo sulle ammissioni.


Si aggiunga che i principi processuali europei di equivalenza e non eccessiva difficoltà della tutela giurisdizionale potrebbe essere vulnerati sotto vari profili, perché, come visto, né il “mezzo” processo sulle ammissioni né il “mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire pienezza ed efficacia della tutela.
Identici problemi sorgono sotto il profilo dei principi processuali previsti dagli artt. 1 e 2 del c.p.a.: effettività della giurisdizione, parità delle parti, contraddittorio, giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione, leale collaborazione tra le parti per la realizzazione della ragionevole durata del processo. Si tratta peraltro di canoni che, in buona misura, rappresentano precipitati dei principi in tema di processo recati da norme costituzionali ed europee, queste ultime derivanti sia dal diritto dell’UE sia dal diritto CEDU, e delle disposizioni di cui all'art 24 ed all’art. 113 della Costituzione.

 


5. Conclusioni.


In definitiva, la grave alterazione del principio di concentrazione della tutela giurisdizionale e di personalità ed attualità dell’interesse che la nuova norma reca è suscettibile di determinare una violazione  delle garanzie costituzionali ed eurounitarie nel processo in materia di appalti, perché, come visto, né il “mezzo” processo sulle ammissioni né il “mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire efficacia e pienezza della tutela. Il primo processo, di certo, non è efficace, perché non consente di conseguire il bene della vita ambito. Il secondo, di certo, non è pieno, perché non ha ad oggetto tutti i possibili vizi della procedura.
In ogni caso non può che preoccupare la proliferazione dei riti del processo amministrativo, arrivati, come si diceva in premessa, al ragguardevole numero di 8.