Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20 gennaio 2015, n. 143

Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20 gennaio 2015, n. 143

Presidente Giaccardi; Estensore Greco

 

- Nelle gare di appalto, poiché il procedimento di scelta del privato contraente si conclude con l’aggiudicazione, relativamente alla quale il termine per proporre l’impugnazione decorre dalla conoscenza degli elementi essenziali di tale atto (quali la sua esistenza, l’autorità emanante, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo), non può assumere alcun rilievo la conoscenza sopravvenuta di nuovi vizi, la quale semmai può giustificare la proposizione di motivi aggiunti, ma non consente la riapertura dei termini per proporre l’impugnazione in via principale.

 

- A fronte di condotte illecite, anche penalmente rilevanti, poste in essere da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, può verificarsi il caso che non sussista anche un vizio di legittimità negli atti da questi posti in essere: trattasi invero di evenienza fisiologica, connessa alla diversa natura del giudizio amministrativo di legittimità, che presuppone sempre l’accertamento di vizi che devono ricavarsi dai provvedimenti impugnati o dall’iter procedimentale che li ha preceduti, rispetto al giudizio penale, che ha ad oggetto l’accertamento di responsabilità individuali per fatti previsti dalla legge come reati.

 

- Anche alla luce della sopravvenuta disciplina di cui al d.l. n. 90 del 2014, deve predicarsi il carattere non automaticamente viziante di fatti corruttivi come quelli emersi durante l’esecuzione dell’appalto di che trattasi (relativi all’Expo 2015), potendosi optare in favore del mantenimento in essere del rapporto contrattuale scaturito dall’originario affidamento (come dimostrato dall’avere il legislatore bilanciato unicamente i due interessi pubblici alla sollecita realizzazione dell’opera pubblica e ad impedire al possibile reo di lucrare sul proprio illecito, lasciando sullo sfondo l’interesse delle altre imprese partecipanti alla gara a monte).

 

 

 

BREVI ANNOTAZIONI
 

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA


La sentenza in commento affronta la questione della rilevanza della commissione di illeciti penalmente rilevanti in seno all’espletamento di una gara pubblico per l’affidamento di un contratto d’appalto con la pubblica amministrazione, sotto il profilo della decorrenza del termine decadenziale di cui all’art. 120, comma quinto, del codice del processo amministrativo, e, in specie, dell’individuazione del dies a quo della decadenza nell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione ovvero nella sopravvenuta conoscenza della perpetrazione di un reato; nella sentenza si esamina, inoltre, il problema della incidenza sull’interesse ad agire delle imprese concorrenti non vincitrici delle novità normative introdotte con il d.l. 24 giugno 2014, n. 90, che all’art. 32 consente di disporre la gestione straordinaria e temporanea dell’impresa aggiudicataria di un contratto pubblico, coinvolta nella commissione di delitti per i quali l’autorità giudiziaria stia procedendo ovvero di gravi irregolarità sintomatiche della commissione di illeciti, anche penalmente rilevanti.

 


IL PERCORSO ARGOMENTATIVO


Prendendo le mosse dalla prima delle questioni menzionate, la sentenza del Consiglio di Stato in esame ha dichiarato la tardività del ricorso proposto oltre trenta giorni dalla avvenuta aggiudicazione e dalla relativa comunicazione e solo a seguito della sopravvenuta conoscenza delle indagini dell’autorità giudiziaria relative alla commissione di reati in occasione dello svolgimento della gara pubblica.
Discostandosi dalla decisione di primo grado sulla questione, i giudici della quarta sezione hanno infatti osservato come il procedimento di selezione del contraente privato si concluda con l’aggiudicazione del contratto di appalto e che soltanto da tale momento decorre il termine previsto per l’impugnazione degli atti di gara, quando inficiati da vizi che emergano dall’atto, dalla sua motivazione e dai suoi elementi essenziali.
La sopravvenuta conoscenza di irregolarità, secondo l’impostazione accolta nella decisione in commento, non consentirebbe pertanto la riapertura dei termini per proporre impugnazione, giustificando, al più, la proposizione di motivi aggiunti nel corso di un giudizio tempestivamente avviato.
Viene dunque disconosciuta la distinzione, condivisa invece dai giudici di prime cure, tra “vizi immediatamente evincibili” dagli atti del procedimento, in relazione ai quali trovano applicazione le ordinarie regole in materia di decorrenza del termine decadenziale, e “altri vizi percepibili aliunde”, rispetto ai quali il dies a quo della decadenza dovrebbe individuarsi nella sopravvenuta conoscenza che il ricorrente ne abbia avuto.
La commissione di reati in occasione dello svolgimento di una gara pubblica, pertanto, potrà essere motivo di impugnazione dell’aggiudicazione del contratto solo quando rilevabile dal provvedimento emanato, sotto il profilo contenutistico dell’eccesso di potere, e sia dedotto nei termini di decadenza previsti dalla legge, decorrenti dal momento dell’aggiudicazione e della relativa comunicazione.
La seconda questione affrontata dai giudici della quarta sezione riguarda l’interesse a ricorrere dell’impresa non aggiudicataria per l’annullamento dell’aggiudicazione e il subentro nella posizione contrattuale dell’impresa aggiudicataria, quando quest’ultima sia stata destinataria della misura di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, ai sensi dell’art. 32 del d.l. 90/2014, conv. in l. n. 114/14.
Si tratta del potere riconosciuto al prefetto del luogo ove ha sede la stazione appaltante di nominare, su proposta del presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, sino a tre amministratori che provvedano alla gestione dell’impresa, limitatamente all’esecuzione del contratto con la pubblica amministrazione.
Come evidenziato dai giudici della quarta sezione, l’istituto “costituisce la miglior conferma del carattere non automaticamente viziante di fatti come quelli emersi durante l’esecuzione dell’appalto di che trattasi (come dimostrato dal fatto che il legislatore ha dovuto escogitare uno strumento ad hoc per impedire all’affidatario di continuare a percepire quello che potrebbe essere il profitto di un reato), e al tempo stesso dell’opzione normativa in favore del mantenimento in essere del rapporto contrattuale scaturito dall’originario affidamento (come dimostrato dall’avere il legislatore bilanciato unicamente i due interessi pubblici alla sollecita realizzazione dell’opera pubblica e ad impedire al possibile reo di lucrare sul proprio illecito, lasciando sullo sfondo l’interesse delle altre imprese partecipanti alla gara a monte)”.
Tanto non consente, tuttavia, di ritenere improcedibile il giudizio per sopravvenuta carenza di interesse da parte dell’impresa non aggiudicataria ricorrente, sul presupposto che quest’ultima non potrebbe ricavare alcuna utilità dall’accoglimento delle proprie domande, in ragione dell’adozione della misura di gestione straordinaria e temporanea dell’impresa aggiudicataria, che impone la prosecuzione del rapporto contrattuale sotto la gestione da parte degli amministratori di nomina prefettizia.
Afferma infatti il Consiglio di Stato che “il provvedimento prefettizio ha una natura intrinsecamente provvisoria, essendo preordinato ad impedire la realizzazione di profitti d’impresa da parte dell’imprenditore il quale si trovi sottoposto a procedimento penale per fatti delittuosi asseritamente connessi all’aggiudicazione dell’appalto”, aggiungendo che “non potrebbe in nessun caso escludersi il residuare in capo alle originarie ricorrenti, ai sensi del comma 3 dell’art. 34 cod. proc. amm., di un interesse di natura risarcitoria a vedere accertata l’illegittimità degli atti originariamente impugnati: e, anzi, un tale interesse nella specie è certamente sussistente, se si considera da un lato che il giudizio avente a oggetto la domanda risarcitoria è tuttora pendente in primo grado, e per altro verso che quella per equivalente è l’unica forma di ristoro che astrattamente potrebbe essere loro riconosciuto, operando comunque per l’affidamento de quo– come del resto riconosciuto dallo stesso primo giudice – la preclusione di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. amm. alla declaratoria di inefficacia del contratto”.
La relativa eccezione di improcedibilità del ricorso originario non può pertanto trovare accoglimento.

 


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE


Come si è avuto modo di evidenziare, i giudici della quarta sezione del Consiglio di Stato hanno ritenuto non condivisibile la tesi del ricorrente, sposata nella sentenza di primo grado, secondo cui la sopravvenuta conoscenza di vizi non riscontrabili in via immediata dal provvedimento impugnato imporrebbe di individuare il dies a quo della decadenza dell’impugnazione nel momento dell’effettiva conoscenza di questi ultimi.
Tale soluzione rischia tuttavia di entrare in contrasto con il principio di effettività della tutela avverso gli atti della pubblica amministrazione, dal momento che la conoscenza del vizio dell’atto, legato ad una condotta penalmente rilevante e che non poteva essere nota al ricorrente sino al momento in cui l’autorità giudiziaria abbia esternato le proprie determinazioni a riguardo, potrebbe non consentire all’impresa concorrente di agire in giudizio negli stretti termini decadenziali scanditi dalla disciplina speciale di cui all’art. 120, comma quinto, c.p.a.; nel contempo, una soluzione diversa, che consenta la remissione in termini del ricorrente, in ipotesi di commissione di reati in occasione della gara pubblica, apparirebbe in sintonia con la disciplina processuale che, tanto nel processo penale, quanto nel processo civile e amministrativo, consente alle parti di impugnare in via straordinaria le decisioni passate in giudicato, ben oltre i termini di decadenza previsti per le impugnazioni ordinarie, in presenza di fatti che non potessero essere evinti dal provvedimento giurisdizionale impugnato e spesso legati alla commissione di illeciti, anche penalmente rilevanti.
Nella sentenza in commento il Consiglio di Stato ha invece respinto la soluzione adottata dai giudici di primo grado e ha dichiarato la tardività del ricorso proposto oltre i termini di decadenza decorrenti dall’avvenuta aggiudicazione.
Nella sentenza si dà tuttavia atto dell’ordinanza 25 marzo 2013, n. 427, con cui il TAR Puglia, Bari, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea perché si pronunci sui seguenti quesiti: “se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE vadano interpretati nel senso che il termine per proporre un ricorso, diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, decorra dalla data in cui il ricorrente ha conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza, l’esistenza della violazione stessa” e “se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE ostano a disposizioni processuali nazionali ovvero a prassi interpretative, quali quelle enunciate nella causa principale, che consentono al giudice di dichiarare irricevibile un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, quando il ricorrente è venuto a conoscenza della violazione dopo la formale comunicazione degli estremi del provvedimento di aggiudicazione definitiva, per la condotta tenuta dall’Amministrazione aggiudicatrice”.
Occorrerà, pertanto, attendere che i giudici di Lussemburgo sciolgano le questioni pregiudiziali sollevate dal TAR Puglia, Bari, per conoscere gli sviluppi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato in merito alla questione.
Con riferimento, infine, all’incidenza dell’adozione delle misure straordinarie di cui all’art. 32 del d.l. 90/2014 sull’interesse a ricorrere dell’impresa non aggiudicataria, la pronuncia in commento conferma la natura cautelare e strumentale delle misure in questione, la cui adozione non preclude alle imprese concorrenti di ottenere il risarcimento dei pregiudizi subiti a causa delle irregolarità verificatesi in occasione della gara pubblica, scongiurando, nel contempo, il rischio che la pubblica amministrazione sia tenuta ad un duplice esborso di denaro, a titolo di corrispettivo per le prestazioni ottenute e a titolo di risarcimento del danno a favore delle imprese concorrenti, dal momento che, per espressa previsione dell’art. 32, comma quinto, cit., “l'utile d'impresa derivante dalla conclusione dei contratti d'appalto […], determinato anche in via presuntiva dagli amministratori, è accantonato in apposito fondo e non può essere distribuito né essere soggetto a pignoramento”.

 


PERCORSO BIBLIOGRAFICO


F. CARINGELLA, M. GIUSTINIANI, MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO. IV I CONTRATTI PUBBLICI, DIKE GIURIDICA EDITRICE, 2014
F. CARINGELLA, M. GIUSTINIANI, O. TORIELLO, LA RIFORMA RENZI DELLA PUBBLICA AMINISTRAZIONE, DIKE GIURIDICA EDITRICE, 2014
F. CARINGELLA, MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO, VIII EDIZIONE, DIKE GIURIDICA EDITRICE, 2015

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA


sui seguenti ricorsi in appello:


1) nr. 6681 del 2014, proposto da EXPO 2015 S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Greco, Manuela Muscardini e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Principessa Clotilde, 2,

 

contro


COSTRUZIONI PERREGRINI S.r.l., PANZERI S.p.a. e MILANI GIOVANNI & C. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, nelle rispettive qualità di mandataria (la prima) e mandanti (le altre) di costituendo r.t.i., rappresentate e difese dagli avv.ti Sergio Colombo, Elvira Poscio e Massimo Letizia, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Monte Santo, 68,

 

nei confronti di

 

AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELL’IMPRESA COSTRUZIONI GIUSEPPE MALTAURO S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, U.T.G. – PREFETTURA DI MILANO, in persona del Prefetto pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore, e COMMISSARIO UNICO DEL GOVERNO PER EXPO 2015, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

2) nr. 7342 del 2014, proposto dall’AMMINISTRAZIONE PER LA STRAORDINARIA E TEMPORANEA GESTIONE DELL’IMPRESA COSTRUZIONI GIUSEPPE MALTAURO S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dall’U.T.G. – PREFETTURA DI MILANO, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,


contro


COSTRUZIONI PERREGRINI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita,


nei confronti di


EXPO 2015 S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita,


entrambi per la riforma,
previa sospensione,


della sentenza pronunciata ex art. 60 cod. proc. amm. dal T.A.R. della Lombardia, Sezione Prima, nr. 1802 depositata in data 9 luglio 2014, non notificata.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Costruzioni Perregrini S.r.l., Panzeri S.p.a. e Milani Giovanni & C. S.r.l., nonché dell’Amministrazione Straordinaria dell’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a., del Commissario Unico del Governo per Expo 2015 e dell’U.T.G. – Prefettura di Milano;
Viste le memorie prodotte dalla appellante Expo 2015 S.p.a. (in date 2 e 5 dicembre 2014), dalle Amministrazioni appellanti (in data 1 dicembre 2014) e dalle appellate Costruzioni Perregrini S.r.l. e altri (in date 11 settembre, 28 novembre e 5 dicembre 2014) a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 4089 del 16 settembre 2014, con la quale sono state accolte le domande incidentali di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi gli avv.ti Clarizia e Muscardini per l’appellante Expo 2015 S.p.a., l’avv. Colombo per le appellate Costruzioni Perregrini S.r.l. e altre e gli avv.ti dello Stato Fabio Tortora ed Ettore Figliolia per le Amministrazioni statali;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO


1. Il presente giudizio concerne la procedura ristretta indetta, con bando del 23 febbraio 2013, da Expo 2015 S.p.a., società incaricata di organizzare e gestire l’Esposizione Universale del 2015 di Milano, per l’affidamento dell’appalto integrato avente a oggetto “la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori delle cd Architetture di Servizio, afferenti al sito per l’Esposizione Universale del 2015”, per un importo totale a base d’asta pari a € 67.080.501,72.
2. L’appalto si è concluso con aggiudicazione definitiva del 21 novembre 2013 in favore del costituendo r.t.i. con capogruppo l’Impresa di Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a., e il relativo contratto è stato sottoscritto in data 4 febbraio 2014.
3. Nel mese di maggio del 2014, le cronache sono state scosse dalla notizia delle indagini in corso da parte della Procura della Repubblica di Milano per gravi ipotesi di reato (corruzione, turbativa d’asta etc.) in relazione agli appalti affidati da Expo 2015 S.p.a., con l’esecuzione di misure cautelari personali nei confronti di svariati soggetti, fra i quali l’allora legale rappresentante dell’Impresa di Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a. e il Direttore Generale della stessa Expo 2015 S.p.a.
In particolare, fra le procedure oggetto delle suindicate indagini penali vi era anche quella relativa alle “Architetture di Servizio”, cui afferisce il presente giudizio.
4. Per quanto qui rileva, l’Impresa Costruzioni Perregrini S.r.l., capogruppo del costituendo r.t.i. classificatosi secondo in graduatoria, dopo aver invitato la stazione appaltante a valutare l’opportunità di una risoluzione del contratto già sottoscritto, manifestando in tale ipotesi la propria disponibilità a subentrare nell’affidamento, ha successivamente proposto ricorso giurisdizionale dinanzi al T.A.R. della Lombardia, chiedendo l’annullamento dell’aggiudicazione e la declaratoria di inefficacia del contratto.
Il T.A.R. adito, con la sentenza parziale oggetto delle odierne impugnazioni, resa all’esito di giudizio cautelare ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.:
- ha respinto l’eccezione di tardività dell’impugnativa dell’aggiudicazione sollevata da parte intimata;
- ha annullato l’aggiudicazione in ragione della presunta violazione del Protocollo di legalità sottoscritto tra la Prefettura di Milano ed Expo 2015 S.p.a. in data 13 febbraio 2012, ritenendo di poter conoscere di tale violazione in quanto rientrante nella propria giurisdizione;
- ha escluso di poter dichiarare l’inefficacia del contratto di appalto, e tuttavia ha lungamente argomentato in ordine alla sussistenza dei presupposti perché la stazione appaltante procedesse alla sua risoluzione ed al conseguente affidamento dell’appalto al r.t.i. ricorrente;
- ha evidenziato l’irrilevanza, ai fini delle proprie statuizioni, della sopravvenuta disciplina di cui al decreto-legge 24 giugno 2014, nr. 90, medio tempore entrata in vigore (e sulla base della quale, in seguito, l’Impresa Maltauro S.p.a. è stata assoggettata ad Amministrazione Straordinaria);
- ha rinviato a successiva udienza pubblica per la trattazione della domanda risarcitoria formulata da parte istante in una alle domande di annullamento e subentro nel contratto.
5. Avverso tali statuizioni ha proposto appello Expo 2015 S.p.a., sulla scorta dei seguenti motivi:
I) violazione degli artt. 29, 41 e 120, comma 5, cod. proc. amm.; violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; violazione dell’art. 100 cod. proc. civ.; eccesso di potere giurisdizionale: violazione degli artt. 111 e 113 Cost. (in relazione alla reiezione dell’eccezione di irricevibilità per tardività dell’impugnazione dell’aggiudicazione, se del caso mediante il non consentito esame della determinazione del 4 giugno 2014 di Expo 2015 S.p.a. – non specificamente impugnata da parte ricorrente – con cui si ribadiva la volontà di proseguire nell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa affidataria e, quindi, di non risolvere il contratto);
II) illogicità della sentenza; violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; violazione degli artt. 121 e 122 cod. proc. amm. (per avere il primo giudice annullato l’aggiudicazione in accoglimento del secondo motivo di ricorso, che però aveva a oggetto non già la domanda di annullamento, ma la domanda di declaratoria di inefficacia del contratto, poi non accolta dallo stesso T.A.R.);
III) violazione sotto altro profilo dell’art. 112 cod. proc. civ.; illogicità; eccesso di potere giurisdizionale (per avere il primo giudice annullato l’aggiudicazione sulla base di un vizio, la pretesa violazione del Protocollo di legalità, non specificamente denunciato da parte ricorrente, e quindi rilevato d’ufficio);
IV) violazione degli artt. 38 e 46, comma 1-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, nr. 163; violazione dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE; violazione dell’art. 27 Cost.; carenza di giurisdizione, travisamento dei fatti (per essere stato l’annullamento dell’aggiudicazione motivato da causa cui l’ordinamento non riconosce tale effetto, ossia dall’esistenza di mere indagini penali nei confronti del legale rappresentante dell’impresa affidataria e di soggetti facenti parte dell’amministrazione della stazione appaltante);
V) in subordine: illogicità e contraddittorietà della sentenza; violazione dell’art. 84 del d.lgs. nr. 163 del 2006; violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; erroneità per mancata rilevazione di assenza della domanda (atteso che, ove sussistente, il vizio rilevato dal T.A.R. avrebbe dovuto comportare il travolgimento dell’intera procedura selettiva, e non già l’annullamento della sola aggiudicazione);
VI) in ulteriore subordine: violazione per falsa applicazione della lex specialis; violazione dell’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. nr. 163 del 2006; violazione dell’art. 1, comma 17, della legge 31 dicembre 2012, nr. 190 (stante l’inconferenza del Protocollo di legalità ai fini dell’annullamento dell’aggiudicazione);
VII) difetto di giurisdizione; violazione dell’art. 133, comma 1, lettera e), nr. 1, cod. proc. amm. (in relazione alle affermazioni rese dal T.A.R. in ordine al contratto d’appalto ed alla sua risolubilità, questione sulla quale pur formalmente il medesimo giudice aveva precisato di essere sfornito di giurisdizione);
VIII) eccesso di potere giurisdizionale; violazione del principio di separazione del potere giurisdizionale dal potere esecutivo (in relazione al “suggerimento” formulato dal T.A.R. alla stazione appaltante in ordine alla risoluzione del rapporto contrattuale in essere);
IX) eccesso di potere giurisdizionale sotto altro profilo; violazione dell’art. 32 del d.l. nr. 90 del 2014; violazione dell’art. 34, comma 2, cod. proc. amm.; violazione degli artt. 60, 27 e 49 cod. proc. amm. (in relazione alle affermazioni del T.A.R. circa l’irrilevanza della sopravvenuta normativa relativa alla facoltà del Prefetto di intervenire sui contratti d’appalto in corso di esecuzione laddove emergano fatti penalmente rilevanti);
X) in estremo subordine: erroneità della sentenza; difetto di motivazione; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione degli artt. 135 e 140 del d.lgs. nr. 163 del 2006; violazione delle clausole di cui al Protocollo di legalità; violazione dell’art. 81 cod. proc. civ. (in relazione alla carenza di legittimazione e interesse dei ricorrenti, eccepita in primo grado, quanto alla declaratoria di inefficacia del contratto ed al relativo subentro).
6. Si sono costituite le appellate Costruzioni Perregrini S.r.l., Panzeri S.p.a. e Milani Giovanni & C. S.r.l., le quali si sono argomentatamente opposte all’accoglimento del gravame, instando per la conferma della sentenza impugnata.
7. Si sono altresì costituiti la Prefettura di Milano, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Commissario Unico del Governo per Expo 2015, associandosi invece all’appello di Expo 2015 S.p.a. e chiedendone l’accoglimento.
8. La medesima Prefettura di Milano, unitamente all’Amministrazione per la Straordinaria e Temporanea Gestione dell’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a., ha poi proposto un separato appello avverso la medesima sentenza in epigrafe, sulla scorta dei seguenti motivi, in parte sovrapponibili a quelli articolati da Expo 2015 S.p.a.:
a) tardività del ricorso di primo grado (non avendo il r.t.i. ricorrente proposto un’azione di nullità, ma semplicemente censurato l’aggiudicazione definitiva della gara per cui è causa);
b) erroneità della sentenza con riguardo alla ritenuta violazione del Protocollo di legalità;
c) erroneità delle statuizioni di prime cure con riguardo alla sorte del contratto di appalto.
9. Con ulteriore memoria, le imprese appellate hanno altresì replicato anche al secondo appello, eccependone in limine l’inammissibilità.
10. Alla camera di consiglio del 16 settembre 2014, questa Sezione, riuniti gli appelli in epigrafe, ha accolto le domande cautelari formulate in una agli stessi.
11. Di poi, le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.
In particolare, la appellante Expo 2015 S.p.a. ha eccepito l’improcedibilità del ricorso di primo grado, per sopravvenuta carenza di interesse, a cagione dell’intervenuto assoggettamento dell’Impresa Maltauro S.p.a. ad amministrazione straordinaria.
Al contrario, parte appellata ha insistito nelle tesi svolte in prime cure, giungendo a sollecitare il rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione Europea della questione di compatibilità comunitaria dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. (in tema di decorrenza del termine di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva), ovvero la rimessione all’Adunanza plenaria della relativa questione interpretativa.
12. All’udienza del 18 dicembre 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
13. Tutto ciò premesso, va innanzi tutto ribadita la riunione degli appelli, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. amm., già disposta in fase cautelare.
14. In via preliminare, va poi respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello delle Amministrazioni statali, sollevata dalle imprese odierne appellate sul rilievo che le dette Amministrazioni non sarebbero legittimate a proporre appello ex art. 102 cod. proc. amm., non essendo state parti del giudizio di primo grado.
Ed invero, come correttamente evidenziato dalla difesa erariale, in ogni caso lo strumento che le predette Amministrazioni avrebbero dovuto impiegare per censurare una sentenza comunque pregiudizievole nei loro riguardi (sul punto, è sufficiente rilevare che l’Amministrazione Straordinaria altro non è che l’avente causa nella posizione contrattuale dell’originaria appaltatrice, Impresa Maltauro S.p.a.) sarebbe stato l’intervento nel giudizio di appello già instaurato da Expo 2015 S.p.a., ai sensi dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.; di conseguenza, l’autonomo appello dalle medesime Amministrazioni spiegato ben può essere qualificato come atto di intervento nel giudizio d’appello, avendone i requisiti di forma e sostanza e avendo finito per sortirne gli effetti a seguito della riunione disposta da questa Sezione nell’esercizio del potere di cui all’art. 96 cod. proc. amm.
15. Ancora in via preliminare, non può trovare accoglimento l’eccezione di improcedibilità del ricorso originario, per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dalla appellante Expo 2015 S.p.a. nella propria memoria conclusiva.
Secondo l’appellante, la parte originaria ricorrente non potrebbe più ricavare alcuna utilità dall’accoglimento delle proprie domande a seguito della sopravvenuta entrata in vigore dell’art. 32 del già citato d.l. nr. 90 del 2014, che ha superato la disciplina già contenuta nel Protocollo di legalità della cui violazione si discuteva nel presente giudizio, e soprattutto del provvedimento con cui il Prefetto di Milano, aderendo all’invito proveniente dall’Autorità Nazionale Anti-Corruzione, ha “commissariato” l’Impresa Maltauro S.p.a.: in tal modo sarebbe divenuto impossibile l’auspicato subentro del r.t.i. istante nell’aggiudicazione e nel contratto.
L’eccezione è infondata, in primo luogo, perché il provvedimento prefettizio ha una natura intrinsecamente provvisoria, essendo preordinato ad impedire la realizzazione di profitti d’impresa da parte dell’imprenditore il quale si trovi sottoposto a procedimento penale per fatti delittuosi asseritamente connessi all’aggiudicazione dell’appalto, e non esclude la possibilità di un reintegro dello stesso nella propria posizione di contraente in ipotesi di esito favorevole del giudizio penale (ed invero, come già anticipato in fase cautelare, la soluzione legislativa adottata con la normativa in questione – piaccia o no – ha qualificato come recessivo l’interesse delle imprese partecipanti alla gara a subentrare nel contratto, rispetto al primario interesse pubblico all’esecuzione di opere pubbliche considerate urgenti, ed ha al tempo stesso sopperito all’assenza di previsioni normative per ipotesi, come quella qui in esame, in cui non si configurano vizi o vicende tali da indurre a un annullamento dell’aggiudicazione o della gara, e tuttavia appare intollerabile consentire di proseguire i lavori a un imprenditore nei cui confronti pendano imputazioni per gravissime fattispecie criminose collegate alla stessa procedura di aggiudicazione).
Inoltre, non potrebbe in nessun caso escludersi il residuare in capo alle originarie ricorrenti, ai sensi del comma 3 dell’art. 34 cod. proc. amm., di un interesse di natura risarcitoria a vedere accertata l’illegittimità degli atti originariamente impugnati: e, anzi, un tale interesse nella specie è certamente sussistente, se si considera da un lato che il giudizio avente a oggetto la domanda risarcitoria è tuttora pendente in primo grado, e per altro verso che quella per equivalente è l’unica forma di ristoro che astrattamente potrebbe essere loro riconosciuto, operando comunque per l’affidamento de quo– come del resto riconosciuto dallo stesso primo giudice – la preclusione di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. amm. alla declaratoria di inefficacia del contratto.
16. Nel merito, gli appelli sono fondati e pertanto meritevoli di accoglimento.
17. In particolare, merita condivisione il primo motivo di entrambi gli appelli, con cui è reiterata l’eccezione di tardività dell’originaria impugnazione dell’aggiudicazione definitiva.
17.1. In punto di fatto, risulta incontestato che il ricorso di primo grado è stato notificato a controparte ben oltre il trentesimo giorno dal ricevimento da parte del r.t.i. istante della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva di cui all’art. 79 del d.lgs. nr. 163 del 2006, con conseguente superamento del termine decadenziale di cui all’art. 120, comma 5, cod. proc. amm.
17.2. A fronte dell’eccezione in tal senso sollevata dalle parti intimate, il primo giudice ha però ritenuto tempestiva la domanda assumendo che nella specie il termine d’impugnazione dovesse considerarsi decorrente dalla data, successiva all’aggiudicazione ed alla relativa comunicazione, in cui le imprese ricorrenti avevano acquisito conoscenza dei vizi che inficiavano la procedura selettiva, data coincidente con le sopravvenute notizie di cronaca in ordine alle indagini penali ed alle misure cautelari eseguite per gravi reati commessi (anche) in occasione della gara di che trattasi.
17.3. Questa Sezione non condivide siffatta ricostruzione, ritenendo che anche nella presente fattispecie vada riaffermato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, poiché il procedimento di scelta del privato contraente si conclude con l’aggiudicazione, relativamente alla quale il termine per proporre l’impugnazione decorre dalla conoscenza degli elementi essenziali di tale atto (quali la sua esistenza, l’autorità emanante, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo), non può assumere alcun rilievo la conoscenza sopravvenuta di nuovi vizi, la quale semmai può giustificare la proposizione di motivi aggiunti, ma non consente la riapertura dei termini per proporre l’impugnazione in via principale (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2004, nr. 3298; id., sez. V, 2 aprile 1996, nr. 381; id., 4 ottobre 1994, nr. 1120; C.g.a.r.s., 20 aprile 1998, nr. 261).
17.4. Più specificamente, non convince il tentativo della parte odierna appellata di proporre una distinzione tra i vizi immediatamente evincibili dagli atti del procedimento, per i quali effettivamente il dies a quo del termine per l’impugnazione coinciderebbe con la comunicazione dell’aggiudicazione, e altri vizi percepibili aliunde, per i quali dovrebbe farsi invece riferimento al momento dell’effettiva conoscenza (eventualmente successiva alla conoscenza del provvedimento conclusivo e degli atti della procedura selettiva); in particolare, si assume che nella seconda categoria rientrerebbero i vizi afferenti “ai fatti e comportamenti tenuti dai soggetti partecipanti al procedimento e cioè a circostanze che non trovano né possono trovare negli atti di gara la loro rappresentazione”.
La Sezione, per vero, non ravvisa ragione per discostarsi dalla comune individuazione, oggi consacrata a livello positivo dall’art. 21-octies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, nr. 241, dei vizi del provvedimento amministrativo nelle tradizionali categorie della violazione di legge, dell’incompetenza e dell’eccesso di potere: con la precisazione che per “provvedimento adottato in violazione di legge” deve intendersi quello in cui il vizio sia stato posto in essere nell’ambito dell’attività procedimentale/provvedimentale della p.a., senza che possano assumere rilievo ex se le eventuali condotte illecite (o finanche penalmente rilevanti) poste in essere dai soggetti che abbiano operato per conto della stessa p.a.; queste ultime, se del caso, potranno rilevare sotto il profilo dell’eccesso di potere per sviamento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2000, nr. 5366), ma a condizione che tale vizio trovi “rappresentazione” negli atti impugnati attraverso le sue figure sintomatiche, come sempre è necessario perché possa configurarsi tale tipologia di vizio (e come, invece, la stessa parte appellata esplicitamente nega sia avvenuto nel caso che qui occupa).
Né deve sorprendere il fatto che, a fronte di condotte illecite e anche penalmente rilevanti poste in essere da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, possa non sussistere anche un vizio di legittimità negli atti da questi posti in essere: trattasi invero di evenienza fisiologica, connessa alla diversa natura del giudizio amministrativo di legittimità, che presuppone sempre l’accertamento di vizi che devono ricavarsi dai provvedimenti impugnati o dall’iter procedimentale che li ha preceduti, rispetto al giudizio penale, che ha a oggetto l’accertamento di responsabilità individuali per fatti previsti dalla legge come reati (e la cui commissione, come è noto, può determinare anche l’interruzione del rapporto di immedesimazione organica tra il pubblico ufficiale e la p.a. presso cui presta servizio).
17.5. Per completezza espositiva, può aggiungersi che nemmeno può rilevare, al fine di addivenire a diverse conclusioni, la determinazione del 4 giugno 2014 con la quale Expo 2015 S.p.a. ha comunicato, in riscontro alla sollecitazione proveniente dal r.t.i. Costruzioni Perregrini S.r.l., l’insussistenza dei presupposti per una risoluzione del contratto stipulato con il r.t.i. aggiudicatario (determinazione della quale, peraltro, nel presente grado parte appellata nega il carattere decisivo ai fini dell’asserita tempestività del ricorso introduttivo).
Tale determinazione infatti, oltre ad afferire all’esercizio (rectius: al mancato esercizio) di una facoltà civilistica e attinente alla fase esecutiva e paritetica del rapporto contrattuale, risulta resa in risposta a una nota con la quale il r.t.i. risultato secondo in graduatoria nemmeno aveva esplicitamente chiesto l’esercizio di poteri di autotutela sull’aggiudicazione – ferma e impregiudicata, ove tale fosse stato il tenore delle richiesta, la questione se una risposta negativa al riguardo sarebbe stata o meno atto impugnabile in sede giurisdizionale -, limitandosi piuttosto a manifestare la propria disponibilità a subentrare nel contratto di appalto, qualora la stazione appaltante si fosse determinata a risolvere il rapporto con il r.t.i. Maltauro S.p.a.
Infine, come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la ridetta determinazione del 4 giugno 2014 non risulta neanche essere stata impugnata, atteso che il ricorso di primo grado aveva a oggetto unicamente la domanda di annullamento dell’aggiudicazione (oltre a quelle di declaratoria di inefficacia del contratto di appalto e di condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno).
17.6. Le considerazioni che precedono valgono a dar conto anche delle ragioni per le quali la Sezione non ritiene di aderire alle richieste subordinate di parte appellata, aventi a oggetto la rimessione all’Adunanza plenaria ovvero alla Corte di giustizia UE della questione interpretativa relativa al dies a quo del termine per l’impugnazione degli atti in materia di appalti.
Al riguardo, premesso che il combinato disposto degli artt. 79 del d.lgs. nr. 163 del 2006 e 120, comma 5, cod. proc. amm. risulta ispirato da evidenti finalità acceleratorie e semplificatorie (con l’individuazione di una presunzione legale di conoscenza alla data della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva e la “concentrazione” della successiva fase dell’accesso in tempi e modalità tali da assicurare il rispetto del consequenziale termine di decadenza), è avviso di questa Sezione che l’inciso “…ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto” contenuto nel citato comma 5 dell’art. 120 cod. proc. amm. sia da intendersi riferito esclusivamente all’ipotesi in cui gli avvisi di cui all’art. 79, d.lgs. nr. 163/2006 siano stati omessi dalla stazione appaltante; in ogni caso, è noto che tuttora pende presso la Corte di giustizia UE la questione di compatibilità comunitaria delle disposizioni citate, a seguito di rinvio pregiudiziale da parte del T.A.R. della Puglia (ord. 25 marzo 2013, nr. 427), e che medio tempore l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto di non potersi esprimere su di essa (sent. 20 maggio 2013, nr. 14).
Tuttavia, alla luce di quanto sopra esposto, le dette questioni risultano manifestamente irrilevanti ai fini del decidere.
Infatti, una volta esclusa – come si è visto dover escludersi – la configurabilità di vizi non ricavabili dagli atti amministrativi impugnati, ma evincibili aliunde da condotte materiali di persone, perde rilevanza ogni questione circa la sopravvenuta conoscenza di tali condotte e la correlativa ipotetica decorrenza da tale conoscenza del termine per impugnare gli atti della procedura selettiva, che sarebbe già spirato ove riferito alla data della conoscenza degli atti medesimi.
18. La fondatezza dei motivi d’appello testé esaminati, comportando, in riforma della sentenza impugnata, la declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado, è suscettibile di esaurire il presente giudizio d’appello esonerando il Collegio dall’esame di ogni residua questione.
Tuttavia, in considerazione del fatto che risulta tuttora pendente dinanzi al T.A.R. della Lombardia il giudizio relativo alla domanda risarcitoria formulata dalle originarie ricorrenti in una alle domande già esaminate con la sentenza qui impugnata, e tenuto conto della proponibilità della domanda risarcitoria anche in via autonoma e indipendente dalle altre (art. 30, comma 1, cod. proc. amm.), non è fuori luogo, anche al fine di orientare le successive determinazioni giudiziali, svolgere qualche ulteriore osservazione in ordine alle ragioni di merito poste dal primo giudice a base dell’annullamento dell’aggiudicazione, soffermandosi sulle questioni sostanziali esaminate e prescindendo dai vizi “formali” lamentati dalle parti odierne appellate (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., difetto di interesse in ragione della potenziale caducabilità dell’intera gara etc.).
19. Orbene, come già sopra anticipato, il primo giudice ha ritenuto che il vizio suscettibile di determinare l’illegittimità dell’aggiudicazione fosse nella specie ravvisabile nella violazione del Protocollo di legalità sottoscritto in data 13 febbraio 2012 tra la Prefettura di Milano ed Expo 2015 S.p.a. e richiamato dal bando di gara in ottemperanza all’art. 1, comma 17, della legge nr. 190 del 2012 (ovvero, come oggi parte appellata preferisce argomentare, de plano nella violazione di tale ultima disposizione).
19.1. Per chiarezza, si rammenta il contenuto della disposizione dianzi citata: “…Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara”.
19.2. Avvalendosi di tale facoltà, Expo 2015 S.p.a. aveva previsto, nella lex specialis di gara, l’obbligo delle imprese partecipanti di sottoscrivere la dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 4, comma 1, punto iii), del Protocollo suindicato, con la quale il concorrente si impegnava a “dare notizia senza ritardo alla prefettura, dandone comunicazione a EXPO 2015 s.p.a., di ogni tentativo di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale in qualunque forma esso si manifesti nei confronti dell’imprenditore, degli eventuali componenti la compagine sociale o dei loro familiari (richiesta di tangenti, pressioni per indirizzare l’assunzione di personale o l’affidamento di lavorazioni, forniture, servizi o simili a determinate imprese, danneggiamenti o furti di beni personali o in cantiere ecc.)” (clausola nr. 1), a “denunciare all’autorità giudiziaria o agli Organi di Polizia ogni illecita richiesta di denaro, prestazione o altra utilità ad essa formulata prima della gara e/o dell’affidamento o nel corso dell’esecuzione dei lavori (…) e comunque ogni illecita interferenza nelle procedure di aggiudicazione o nella fase di esecuzione dei lavori” (clausola nr. 2) e ad “accettare il sistema sanzionatorio” previsto dal medesimo Protocollo di legalità (clausola nr. 3).
Sotto tale ultimo profilo, l’art. 4, comma 2, del Protocollo stabiliva che la violazione degli obblighi suindicati fosse “espressamente sanzionata ai sensi dell’art. 1456 c.c.”, e il successivo art. 7, comma 3, prevedeva “…la risoluzione automatica del contratto o la revoca dell’affidamento da parte di Expo nei casi indicati dal presente Protocollo”.
19.3. Tutto ciò premesso, nella sentenza si assume che le indagini penali di cui si è appreso nel mese di maggio del 2014, facendo emergere l’ipotesi di gravi collusioni e accordi fraudolenti, coinvolgenti fra gli altri rappresentanti dell’impresa aggiudicataria e della stessa stazione appaltante, al fine di “orientare” in favore del r.t.i. Maltauro S.p.a. l’esito della procedura selettiva de qua, avrebbero disvelato la violazione degli obblighi suindicati: ciò in quanto, rispetto alla condotta di chi in violazione degli impegni assunti ometta di segnalare o denunciare condotte illecite e interferenze di terzi, ancor più grave dovrebbe qualificarsi il comportamento di chi in prima persona si renda responsabili dei medesimi illeciti, di modo che non potrebbe non pervenirsi ad annullamento dell’aggiudicazione per la sostanziale violazione degli obblighi assunti all’atto della presentazione della domanda di partecipazione.
19.4. La Sezione reputa non condivisibile tale impostazione.
19.4.1. Ed invero, va innanzi tutto evidenziato come l’assunzione degli obblighi di denuncia e/o segnalazione sopra richiamati fosse destinata a valere per tutta la durata del rapporto tra concorrente e stazione appaltante, e pertanto non solo per le eventuali interferenze e condotte illecite di cui si avesse notizia in corso di gara, ma anche, quanto all’impresa aggiudicataria, per quelle che avessero dovuto manifestarsi nella successiva fase dell’esecuzione dell’appalto; naturalmente, diverse sarebbero state la violazione dell’impegno in ragione del diverso momento in cui questo si fosse verificato, potendo solo nella prima fase predicarsi un’esclusione dalla procedura del concorrente inottemperante, mentre nella seconda avrebbe dovuto farsi luogo alla risoluzione del contratto e/o alla revoca dell’aggiudicazione (come stabilito dall’art. 7 del Protocollo, sopra citato).
19.4.2. Posta dunque la fondamentale distinzione tra la fase pubblicistica della procedura selettiva e quella privatistica e paritetica del rapporto contrattuale, assumono le parti odierne appellanti, che con riguardo alla prima fase, l’esclusione era espressamente comminata dalla lex specialis per il solo caso di “omissione” della sottoscrizione della dichiarazione d’impegno (pag. 8 della lettera d’invito: cfr. documento nr. 3 delle produzioni della appellante Expo 2015 S.p.a.), omissione che pacificamente non vi fu da parte del r.t.i. poi risultato aggiudicatario; pertanto, non potrebbe in alcun modo discorrersi di violazione dell’art. 1, comma 17, della legge nr. 190 del 2012, atteso che nella specie la stazione appaltante non si era avvalsa della facoltà di ricollegare l’esclusione del concorrente anche al “mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità”.
Ma, in ogni caso, quand’anche si reputasse, sulla base del tenore complessivo delle prescrizioni dianzi richiamate, che anche la violazione degli impegni assunti avrebbe potuto indurre la stazione appaltante ad escludere il concorrente interessato (ed al di là dei problemi di compatibilità col principio di tassatività di cui all’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. nr. 163 del 2006 che una tale opzione ermeneutica porrebbe), tale esclusione in tanto avrebbe potuto essere disposta in quanto l’inottemperanza agli impegni fosse stata accertata durante la fase pubblicistica dell’affidamento; al contrario, nel caso che qui occupa è incontestato che nessuna violazione emerse né fu accertata durante la fase selettiva, essendo le notizie delle indagini penali e gli arresti di molto successivi all’aggiudicazione ed alla stessa stipulazione del contratto d’appalto.
19.4.3. Né può affermarsi, come torna a fare parte appellata (senza però gravare in via incidentale la sentenza in epigrafe, che ha respinto in parte qua le doglianze attoree), che l’accaduto rileverebbe sotto il profilo della falsità delle dichiarazioni rese in sede di gara, dovendo quindi condurre all’esclusione del concorrente ex art. 38, comma 1, lettera m), del d.lgs. nr. 163 del 2006.
Al riguardo – in disparte ogni approfondimento della questione relativa alla configurabilità o meno di un falso in relazione a dichiarazioni non di scienza o comunque aventi a oggetto rappresentazioni di fatti, stati o qualità, ma di impegno a tenere determinati comportamenti – risulta in radice discutibile che possa contestarsi un falso a chi abbia omesso di segnalare o denunciare condotte illecite da egli stesso commesse, ostandovi il fondamentale principio nemo tenetur se detegere.
19.4.4. Superata dunque la fase pubblicistica, e con riguardo alla fase esecutiva del contratto d’appalto, risulta incontestabile che l’unico strumento azionabile, a fronte dell’emergere di un’ipotetica violazione del Protocollo di legalità, sarebbe stata la risoluzione contrattuale: quest’ultima, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, attiene all’esercizio di un diritto potestativo di tipo privatistico e paritetico, con la conseguenza che ogni controversia relativa al suo esercizio (o mancato esercizio) sfugge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
19.4.5. Alla luce di quanto fin qui svolto, risulta evidente che nella specie ogni ipotetica violazione del Protocollo di legalità, che dovesse ricollegarsi alle indagini della Procura della Repubblica di Milano ed alla conseguente esecuzione di misure cautelari, giammai avrebbe potuto viziare l’aggiudicazione definitiva determinandone l’illegittimità: perché, verificatosi l’evento in un momento successivo all’esaurimento della fase pubblicistica di scelta del contraente, esso non avrebbe potuto mai “retroagire” in modo da viziare ex post gli atti della gara.
19.5. Ma vi è di più, ché nel caso che occupa è quanto meno discutibile che una violazione del Protocollo, nei sensi stigmatizzati dal primo giudice, effettivamente vi sia stata.
E, difatti, è vero – come sottolineato dalle parti appellanti – che la dichiarazione d’impegno di cui all’art. 4 del Protocollo mirava a “responsabilizzare” i concorrenti rispetto a eventuali condotte illecite commesse da terzi, dei quali essi fossero vittima o comunque avessero conoscenza restandovi estranei, imponendo loro di segnalarle alla stazione appaltante e denunciarle alle competenti Autorità; non v’è chi non veda, invece, l’incongruità di ricavare dalla predetta dichiarazione un analogo obbligo anche a carico di chi fosse egli stesso artefice o responsabile di abusi e illeciti: un siffatto impegno alla “autodenuncia” sarebbe da considerare in ogni caso tamquam non esset, siccome contrario al già evocato principio nemo tenetur se detegere.
Né vale obiettare, come fa la parte odierna appellata, che nella specie i soggetti sottoposti a indagini e a misure cautelari personali sarebbero stati tenuti al rispetto dell’impegno de quo in quanto anche “vittime” dei reati contestati, alla cui commissione sarebbero stati indotti dagli altri indagati: sul punto, è sufficiente rilevare che, dalla documentazione prodotta dalle stesse appellate, i soggetti cui esse fanno riferimento risultano sottoposti a indagini da parte del P.M. milanese per concorso nei reati ascritti agli altri indagati (qualità che, notoriamente, è incompatibile con quella di persona offesa dei medesimi reati).
19.6. In definitiva, la vicenda penale che a partire dal maggio del 2014 ha coinvolto anche l’affidamento per cui qui è causa, senza necessariamente ridondare a vizio di legittimità degli atti della procedura selettiva, avrebbe potuto al più indurre la stazione appaltante a valutare l’opportunità di un intervento in via di autotutela sull’aggiudicazione ovvero di una risoluzione del contratto di appalto già stipulato; ma su questi punti nulla è dato aggiungere nella presente sede, in considerazione dell’essere tali interventi rimessi alla piena discrezionalità dell’Amministrazione (e, nel secondo caso, anche estranei alla sfera delle questioni conoscibili da questo giudice), nonché della già evidenziata opzione normativa che privilegia, anche in presenza di gravi vizi di legittimità (la cui sussistenza comunque nella specie non è stata provata), il mantenimento in essere del rapporto contrattuale in funzione della sollecita esecuzione dei lavori.
19.7. Sotto tale ultimo profilo, mette conto richiamare nuovamente la sopravvenuta disciplina di cui al già citato d.l. nr. 90 del 2014, la quale secondo l’avviso di questa Sezione costituisce la miglior conferma del carattere non automaticamente viziante di fatti come quelli emersi durante l’esecuzione dell’appalto di che trattasi (come dimostrato dal fatto che il legislatore ha dovuto escogitare uno strumento ad hoc per impedire all’affidatario di continuare a percepire quello che potrebbe essere il profitto di un reato), e al tempo stesso dell’opzione normativa in favore del mantenimento in essere del rapporto contrattuale scaturito dall’originario affidamento (come dimostrato dall’avere il legislatore bilanciato unicamente i due interessi pubblici alla sollecita realizzazione dell’opera pubblica e ad impedire al possibile reo di lucrare sul proprio illecito, lasciando sullo sfondo l’interesse delle altre imprese partecipanti alla gara a monte).
Tale ultimo interesse, se del caso, potrà trovare tutela in via risarcitoria attraverso la costituzione di parte civile nel giudizio penale ovvero attraverso la proposizione di autonoma azione nei confronti di coloro che dovessero risultare responsabili di reati (laddove, quanto ai pubblici funzionari, l’effettivo e definitivo accertamento della loro responsabilità penale confermi l’interruzione del rapporto di immedesimazione organica con l’Amministrazione di appartenenza).
20. In considerazione della novità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), riuniti gli appelli in epigrafe, definitivamente pronunciando su di essi, li accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara irricevibile il ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere